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In ambito semiotico sembra generalmente accettato un assunto: non si può definire il senso di un luogo senza tener conto delle pratiche umane che vi si realizzano. Secondo De Certeau (1980, p. 176) il senso dello spazio è dato dalle operazioni e dalle pratiche che lo orientano, lo circostanziano, lo temporalizzano e lo fanno funzionare. In questo senso qualsiasi luogo assume un’identità solo quando viene praticato da qualcuno. Di conseguenza la città – che Basso (2005, p. 1) descrive come “una paradigmatica di elementi realizzati e relati sintagmaticamente in funzione di precise strategie di significazione” – non ha un significato di per sé, né il suo significato è riconducibile alla semplice attribuzione di senso da parte dei cittadini. Esso piuttosto

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sorge dall’accoppiamento strutturale tra abitanti e spazio urbano, ovvero si dà come circolazione e continua trasformazione del senso che informa e costituisce sia l’identità della città, sia quella dei suoi cittadini” (ibidem).

Tali trasformazioni avvengono attraverso le pratiche semiotiche che caratterizzano l’ambiente urbano e che, secondo Greimas e Courtés (1979, voce “pratiche semiotiche”), si presentano come “successioni significanti di comportamenti somatici organizzati”, la cui finalità è riconoscibile a posteriori. I comportamenti umani sono considerati pratiche semiotiche perché sono portatori di significato in almeno due sensi messi in luce da Fontanille (2008): prima di tutto le pratiche umane sono definite semiotiche nella misura in cui sono costituite da un piano dell’espressione e da uno del contenuto. In secondo luogo, esse

producono del senso nella misura stessa in cui il corso della pratica si dispiega come un concatenamento di azioni capace di istituire, nell’impulso offerto, la significazione di una situazione e della sua trasformazione (ivi, p. 9).

Queste pratiche, quindi, producono senso e danno senso al testo urbano, ad esempio trasformando una piazza da un’attrazione per turisti a una zona di degrado e spaccio, ma, allo stesso tempo, sono influenzate dal senso urbano ottimizzandosi “in funzione delle possibilità/costrizioni offerte dall’organizzazione urbana e delle disposizioni/competenze cognitive e affettive dei soggetti” (Basso 2005, p. 1). La relazione tra città e pratiche urbane è quindi a doppio senso: l’ambiente urbano influisce sui comportamenti dei cittadini e al contempo ne è trasformato.

Bisogna ricordare che la capacità della città di trasmettere senso e produrre azioni non è collegata esclusivamente ai suoi vincoli fisici, come strade che invitano a essere percorse o muri che impediscono l’accesso in certe aree, ma riguarda anche la possibilità di porre

obblighi, divieti, possibilità come sensi del luogo (per esempio i percorsi religiosi, turistici e di shopping, le regole della circolazione, ecc.: i vincoli non puramente fisici, anche se incorporati fisicamente in una segnaletica) (Volli 2009b, p. 13).

139 I muri degli edifici stabiliscono confini tra il pubblico e il privato, la segnaletica e l’arredo urbano spingono le persone a realizzare alcuni programmi narrativi invece di altri, la bellezza o il degrado di una zona possono attirare o allontanare le persone.

Tuttavia, come abbiamo visto, il rapporto tra città e pratiche semiotiche non è a senso unico e le pratiche urbane svolgono un ruolo rilevante nella costruzione dell’identità di un luogo. Basti pensare ai progetti di design urbano per il recupero di zone degradate, progetti che spesso non bastano a modificare i comportamenti dei cittadini. Volli ci fa notare, al riguardo, che “non è la perfetta regolarità del progetto a garantire la dimensione umana, il senso del tessuto urbano” (Volli 2005, p. 7). Gli elementi inseriti in uno spazio urbano per un certo scopo (ad esempio una serie di panchine per ridare vita a una piazza poco frequentata) possono essere ignorati o risemantizzati dai cittadini (se ad esempio le panchine fossero usate come giaciglio dai senzatetto). Nonostante il testo spaziale dia istruzioni sulle sue funzioni e sulle possibilità che offre – istruzioni che in termini echiani potremmo chiamare intentio

operis (Eco 1979) – esso può essere interpretato e fruito in modi solo parzialmente

ipotizzabili: “l’Intentio operis viene scavalcata facendo un uso totalmente personale e arbitrario dello spazio, facendo cioè prevalere ciò che Eco (1979) ha definito Intentio

lectoris” (Urbani 2016, p. 22). Ciò comporta che il senso di un testo urbano non possa

essere completamente previsto e progettato dagli urbanisti, ma sia piuttosto il risultato dell’incontro effettivo tra la città e chi la vive. Riprendendo le parole di Volli (2005, p. 8) “il testo urbano dipende per il suo senso dalla percezione che se ne ha e dall’uso che se ne fa” e non è mai possibile separare ciò che un testo urbano comunica e significa dall’uso pratico del territorio da parte dei cittadini.

Queste premesse teoriche e metodologiche mi hanno spinto a progettare l’analisi di uno spazio urbano che desse il giusto peso al modo in cui i cittadini ne interpretano e usano gli spazi. Ciò si può fare seguendo due strade: l’analisi di testi prodotti dai cittadini riguardo alla loro esperienza urbana e l’osservazione diretta delle pratiche. Nelle pagine che seguono, vedremo come in entrambi i casi la metodologia di analisi semiotica possa avere un ruolo rilevante nel mettere in luce, da un lato, le diverse identità che caratterizzano un luogo e, dall’altro, il significato più o meno esplicito delle tendenze comportamentali che vi si possono riscontrare.

140 Attraverso l’analisi di una strada di Amsterdam tenterò quindi di mostrare come la metodologia semiotica possa servire ad aumentare l’intelligibilità di ampi corpora di testi digitali prodotti dai cittadini e relativi al luogo oggetto di indagine. Allo stesso tempo intendo mettere alla prova l’osservazione partecipativa d’ispirazione etnosemiotica per rinforzare l’analisi testuale con un’azione di arricchimento e contestualizzazione dei significati ricorrenti individuati nei testi.