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Tra i primi autori a proporre un modello d’analisi dello spazio inteso come sistema significante, troviamo Greimas con il suo saggio fondativo sulla semiotica topologica (Greimas 1976). A partire da questo lavoro, in ambito semiotico si è iniziato a considerare lo spazio come un linguaggio dotato di una propria significazione (Violi 2009) o, in altre parole, come qualcosa in grado di parlare di altro da sé, alla stregua dei segni. In questo senso, lo spazio ricopre il ruolo di soggetto dell’enunciazione che produce discorsi sulla comunità che lo abita, pur essendo anche un testo enunciato da istituzioni e cittadini che lo progettano e modificano ogni giorno. In quanto linguaggio, lo spazio è inoltre dotato di due piani: un piano del contenuto, che comprende il senso e i valori che i soggetti attribuiscono allo spazio, e un piano dell’espressione che riguarda invece l’estensione spaziale (Hjelmslev 1943; Marrone 2001b) e comprende elementi estremamente eterogenei (le caratteristiche del territorio, gli elementi di arredo urbano, le automobili, i cittadini e così via). La semiotica topologica proposta da Greimas (1976, p. 127) consiste quindi nella descrizione, produzione e interpretazione di questi linguaggi spaziali per mostrare come, grazie a essi, “una società significa se stessa a se stessa”. In questo senso l’obiettivo del/la semiologo/a è duplice: da un lato iscrive la società nello spazio e, dall’altro, legge e interpreta la società attraverso lo spazio (ivi, p. 129). Nel suo scritto però, Greimas non si limita a occuparsi dello spazio in generale ma si concentra sulla leggibilità di uno spazio specifico da lui chiamato oggetto-città. In questo modo pone le basi per lo sviluppo di una semiotica urbana volta a disarticolare le parti costitutive di questi oggetti complessi e polisemici per indagarne il senso complessivo. Grazie all’analisi dell’oggetto-città,

133 che non corrisponde all’analisi di una città in particolare, l’autore ne illustra il carattere pluri-isotopo73 e ipotizza diversi progetti di grammatica utili a comprendere il

linguaggio urbano.

Un altro contributo importante per lo sviluppo di una semiotica urbana lo ha offerto Barthes, che nel 1967 dedicò un intero saggio al rapporto possibile tra semiologia e urbanistica (cfr. Barthes 1985, pp. 51-59). In linea con Greimas, Barthes considera qualsiasi spazio umano come significante e descrive la città come un discorso basato su un linguaggio: “la città parla ai suoi abitanti, noi parliamo la nostra città, la città in cui ci troviamo, semplicemente abitandola, percorrendola, osservandola” (Barthes 1985, p. 53). Il punto di vista barthesiano prende le mosse dagli studi svolti da Lévi-Strauss negli anni ‘30 (Lévi-Strauss 1955) su un villaggio Bororo, i cui spazi sono stati analizzati in prospettiva semantica. L’osservazione della configurazione degli spazi e delle strutture presenti nel villaggio ha permesso di fare chiarezza sull’articolazione simbolica della sua spazialità, considerando la disposizione spaziale come il piano dell’espressione di un linguaggio dietro al quale c’è una vera e propria semantica.

Bisogna ammettere però che quello che è chiamato metaforicamente “il linguaggio della città”, pur essendo leggibile e interpretabile da chi la abita, non presenta rapporti fissi tra gli elementi del piano dell’espressione che la semiotica individua e i loro significati, essendo questi sempre imprecisi e ridiscutibili. Di conseguenza, il lavoro del/la semiologo/a, secondo Barthes, consiste nel “dissociare il testo urbano in tante unità, nel distribuire poi queste unità in classi formali, e in terzo luogo nel trovare le regole di combinazione e di trasformazione di queste unità e di questi modelli” (Barthes 1985, p. 53). In altre parole, si deve cercare di ricostruire il lessico delle varie possibili significazioni di una città tenendo conto delle caratteristiche e delle funzioni dei diversi luoghi al suo interno, senza però fissare in

73 Greimas parla dell’oggetto-città come di uno spazio costruito da un’isotopia “estetica”

(bellezza e bruttezza), un’isotopia “politica” (salute sociale e morale) e una “razionale” (inerente ad esempio all’efficacia funzionale e all’economia dei comportamenti). Queste tre isotopie permettono di classificare gli oggetti costitutivi dello spazio urbano e di rendere “non ambigui gli effetti polisemici di volta in volta esaminabili entro parecchie isotopie” (Greimas 1976, p. 134).

134 modo definitivo i significati degli elementi del piano dell’espressione che si individuano.

Dopo questi studi aurorali, la disciplina ha prodotto numerose ricerche riconducibili alla cosiddetta “semiotica urbana”, volte da un lato a definire il senso di ciò che Greimas chiama l’oggetto-città e, dall’altro, a metterne in luce alcuni aspetti particolarmente significativi. I lavori prodotti negli ultimi quindici anni mostrano infatti che la semiotica urbana è ormai diventata un progetto compiuto e attivo, capace di cogliere fenomeni di senso di tipo spaziale e, più specificamente, urbano (cfr. Hammad 2003; Volli 2005; Marrone, Pezzini 2006, 2008; Leone 2009; Pezzini 2009; Giannitrapani 2013; Marrone 2013; Pezzini, Savarese 2014).

In letteratura troviamo sia interventi che tentano di chiarire lo statuto semiotico delle città, sia veri e propri lavori di analisi di alcuni centri urbani in particolare, concentrati su diversi effetti di senso emergenti. Pelizza (2006) ad esempio propone una categorizzazione dei fenomeni di degrado riscontrabili nelle aree urbane sulla base di aspetti fisici, sociali e legati alla viabilità. Ciuffi (2006) e Granelli (2006) invece si concentrano sui cosiddetti terrains vagues, che sono le “aree dismesse, le zone abbandonate, gli edifici in disuso, i terreni incolti delle nostre città e delle loro periferie” (ivi, p. 1), mentre Bertetti (2006) e Dondero (2005) analizzano alcuni elementi spaziali che arredano gli ambienti urbani, rispettivamente il marciapiede e il giardino.

Ovviamente non mancano analisi più estese di intere città. È il caso del volume collettivo a cura di Gianfranco Marrone (2004), che raccoglie diversi saggi di semiotica urbana concentrati su Palermo. Gli autori di questa ricerca non si sono limitati ad affrontare aspetti più o meno teorici della città intesa come coagulo di significazioni, ma hanno accettato la sfida di produrre un’analisi semiotica di una particolare città nel suo complesso (Leone 2011b).

Questi esempi, che sono solo una piccola parte degli studi semiotici sugli ambienti urbani, testimoniano il profondo interesse della disciplina per la città per due ragioni principali, ben riassunte da Leone (2011b):

da un lato, le città contemporanee presentano fenomeni di complessità tale che la loro investigazione richiede apparati teoretici, concettuali, e analitici fortemente interdisciplinari e malleabili, quali appunto quello della semiotica. Dall’altro lato, è la semiotica stessa che trova in questi fenomeni

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pane per i suoi denti, ossia occasione per cimentarsi con segni, testi, discorsi, pratiche, e culture che, nella loro straordinaria varietà, mettono alla prova l’efficacia euristica dell’epistemologia e della metodologia semiotiche (ivi, p. 1).

Lo spazio urbano, inoltre, è giudicato un oggetto di studio pertinente per la semiotica perché può essere trattato come un testo. Volli (2005) ad esempio definisce la città come una realtà espressiva che si rinnova e si ridefinisce continuamente, prendendo la forma di un discorso, cioè “una pratica significante la quale però in ogni momento proietta alle sue spalle un testo” (ivi, p. 1). In questo senso

la città è viva, cambia materialmente e nel senso che proietta; ma in ogni suo tempo è stabile e leggibile come un libro. Non è solo un segno, qualcosa che abbia un significato unico e un significante ben determinato e stabile, né certamente un singolo messaggio che qualcuno recapiti ad altri – ma un testo, etimologicamente un tessuto (ricordiamo l’espressione: tessuto urbano) o piuttosto un intreccio di elementi di senso in relazione fra loro. (ivi, pp. 1-2).

Vediamo ora più in dettaglio in che senso la città possa essere intesa in semiotica come testo.