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Città romane delle Marche e dell’Umbria in età tardoantica

ATTESTAZIONI AL DI FUORI DELL’AREA SACRA (ETÀ IMPERIALE, SECOLI I-IV)

DELL’UMBRIA TRA L’ETÀ TARDOANTICA E L’ALTO MEDIOEVO

5.3.1 L’età tardo antica

5.3.1.2 Città romane delle Marche e dell’Umbria in età tardoantica

La mole di dati raccolta grazie a questa approfondita ricognizione sull’edito consente già di individuare alcune linee di tendenza interessanti e di diversificazione, innanzitutto tra centri che hanno mantenuto una continuità di vita e centri abbandonati – tra cui rientra Sentinum.

Il dato storico, innanzitutto, non è da sottovalutare: Picenum e Umbria, che con la nuova suddivisione operata da Diocleziano diventano l’una Flaminia et Picenum (che sotto Teodosio verrà distinta in Flaminia et Picenum Annonarium e Picenum Suburbicarium), e l’altra, unita all’Etruria, diviene Tuscia et Umbria, sono coinvolte e gravemente interessate sia dall’invasione di Alarico degli anni 408-410 d.C. che dalle vicende della lunga guerra greco-gotica degli anni 535-553 d.C. Infine, la discesa dei Longobardi e la costituzione del Ducato di Spoleto intorno al 570 d.C. segnano il definitivo dissolvimento dell’assetto territoriale di epoca romana.

Attraverso i dati raccolti si sono potute individuare delle linee di tendenza cui ricondurre i singoli centri, sia a continuità di vita che abbandonati. Sono state analizzate tutte le città, dalla costa adriatica all’Appennino, Marche settentrionali e meridionali, Umbria, dunque realtà diverse sia geograficamente che per vicissitudini storiche. Volutamente sono state prese in considerazione realtà differenti, distanti tra loro e con destini diversi, per cercare di comprendere il fenomeno nella sua globalità, e sono emersi dati piuttosto interessanti, nonostante vada rilevato che non per tutti i centri romani indagati più o meno archeologicamente sono stati pubblicati dati relativi all’epoca tardoantica; tuttavia è possibile individuare delle linee di tendenza.

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131 Il primo dato che emerge è la possibilità di raggruppare queste linee di tendenza per la loro pertinenza ai centri abbandonati piuttosto che ai centri a continuità di vita o comuni a entrambi. In secondo luogo si rileva come all’interno di uno stesso gruppo (sia quello delle città abbandonate che quello delle città a continuità di vita) centri gravitanti nello stesso areale geografico o con simili caratteristiche dell’insediamento (centro costiero, centro vallivo, centro montano) mostrino le medesime tendenze.

Innanzitutto emerge con forza il fattore centrale della viabilità. È la posizione in relazione alla strada – la strada consolare in particolare – che determina spesso la sopravvivenza di un centro, soprattutto se rapportata alla morfologia del territorio e alle contingenze storiche, prima tra tutte la più che ventennale Guerra Greco-Gotica. La viabilità delle Marche attuali era incentrata sulla via Flaminia, che attraversa l’Appennino umbro-marchigiano con un tracciato rigorosamente condizionato dalla geografia fisica, e che corre verso Nord, fino ad Ariminum; sulla via Salaria che attraversa l’Appennino più a Sud, e che, giunta lungo la costa risaliva sino a ricongiungersi con la Flaminia (Salaria Picena); sulle bisettrici di valle che univano le due strade. La morfologia del territorio è caratterizzata infatti da una serie di valli lunghe e strette pressoché parallele tra loro con andamento O/E che prendendo avvio dall’Appennino seguono il corso dei fiumi fino al mare. Le valli del Foglia, del Metauro, del Cesano, dell’Esino, del Musone, del Chienti e del Potenza videro nascere dall’epoca della romanizzazione fino all’età augustea un gran numero di centri a connotazione urbana, ben 36, che sopravvissero fino ad epoca tardoantica, collegati alla viabilità principale mediante diverticoli la cui esistenza risaliva a prima dell’apertura della via consolare (è, come vedremo, il caso di Sentinum). È con la crisi economica già avvertita nel III secolo e che si manifesta più compiutamente dall’inizio del V secolo, in concomitanza con le devastazioni di Alarico del 408-410 d.C., che le città della regione cominciano a manifestare comportamenti differenti che portano spesso alla contrazione dell’abitato e in molti casi alla sua scomparsa.

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Fig. 5.6 Schema complessivo della viabilità principale di età romana nelle Marche

L’analisi condotta sulle città delle due province Picenum Annonarium e Picenum Suburbicarium e sulle città dell’Umbria ha rivelato alcuni comportamenti comuni a quelle che sono le città che avranno continuità di vita, e a quelle che nel corso dell’epoca tardoantica-altomedievale risulteranno abbandonate.

Per le città a continuità di vita si individuano le seguenti tendenze:

 nei momenti di crisi più forte, sia economica che per eventi bellici, si assiste alla contrazione degli abitati;

 nel periodo di transizione dal tardoantico al medioevo si spostano i punti di interesse principali della città. Decade il foro quale fulcro della vita cittadina a favore delle sedi episcopali/cattedrali o delle chiese, inizialmente costruite ai margini della città, presso le mura. Si riscontrano aree libere lungo quelli che in età romana erano gli assi principali della città, e che solo nel medioevo avanzato verranno rioccupate, e piccole aree cimiteriali sparse, da connettere alla diffusione del Cristianesimo;

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 i ripetuti eventi bellici, da Alarico in avanti, portano al restauro/rafforzamento delle mura difensive nelle città strategiche per la loro posizione lungo la viabilità o poste in altura. Le mura in opera cd. tumultuaria304 (riscontrabili ad Urbino, a Pesaro e a Forum Sempronii) sono il risultato di restauri e accrescimenti realizzati con elementi edilizi e architettonici provenienti da edifici in disuso;

 abbandono degli edifici pubblici (teatro e anfiteatro, templi, edifici del foro) e defunzionalizzazione di aree che diventano zone di sepoltura intramuranea;

 impoverimento dei materiali e delle tecniche di costruzione negli edifici di nuova costruzione;

 all’impoverimento delle tecniche di costruzione/restauro si somma il reimpiego di materiali tratti da preesistenti edifici e lo sfruttamento “parassitario” delle strutture antiche;

 l’avvento del Cristianesimo e la conseguente costituzione di diocesi spostano il centro di interesse della città e fanno sì che la città continui a vivere;

 l’età longobarda segna l’apice del processo di decadimento e di impoverimento/dissesto. Per i centri che nel corso dell’età tardoantica saranno abbandonati, si individuano invece le seguenti tendenze:

 forti disastri ambientali uniti alla crisi generale dal III secolo in avanti portano al progressivo abbandono di città già penalizzate dalla loro posizione lungo la viabilità a causa della mancata manutenzione delle infrastrutture e del brigantaggio;

 cambiamenti di lungo periodo nella gestione agricola del territorio (latifondi) uniti alla crisi generale di III secolo cambiano l’assetto delle campagne e producono la comparsa di aree a selva laddove c’erano le piccole proprietà;

304 Per opera tumultuaria si intende una muratura posta in opera reimpiegando grandi spolia, in genere destinata a mura urbiche (come nel caso di Urbino) e torri difensive. Tali strutture murarie si datano tra il VI secolo (ad es. a Oderzo), l’età teodoriciana (Verona), e il secolo IX (Roma, domus aristocratiche nel foro di Nerva). Il reimpiego di materiali di spoglio è utilizzato come espediente tecnologico per imitare l’opera quadrata, tanto che spesso l’eventuale decorazione è coperta perché non funzionale ai fini della struttura. Tale pratica è regolamentata da un provvedimento teodoriciano del 507 d.C. che prescrive di utilizzare per le mura cittadine i blocchi di marmo squadrati giacenti in rovina:

ANGUISSOLA 2002, pp. 23-24. Il nome “tumultuaria” deriva dal fatto che queste tipologie di mura, costruite

dall’assemblaggio di pezzi eterogenei, fossero costruzioni frettolose realizzate sotto la spinta di un imminente pericolo, da cui il nome. Ma se si leggono le fonti contemporanee, esse apparivano tutt’altro che raffazzonate, ma anzi imponenti e stupefacenti: si veda sul tema CAGNANA 2008, p. 42.

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 contrazione nell’economia che diventa a scala regionale per i centri distanti dalla viabilità principale;

 le considerazioni fatte sull’urbanistica delle città a continuità di vita (cambiamento del popolamento in rapporto con la città, inserimento di aree sepolcrali in centro, impoverimento dei materiali e delle tecniche di costruzione, spoliazione, occupazione spontanea di spazi pubblici) valgono anche per le città che poi verranno definitivamente abbandonate; abbiamo i casi della rioccupazione con parziale modifica degli spazi della Domus dei Coiedii305 a Suasa e nella domus con mosaici di Tifernum Mataurense; il caso di spoliazione delle strutture del criptoportico di Urbs Salvia.

 Tracce labili di occupazione effimera (focolari) in alcune aree della città; insediamento di aree di necropoli non necessariamente nel foro: ad esempio la presenza di sepolture immediatamente al di sopra del basolato stradale a Pitinum Pisaurense e nel settore NE della città romana di Potentia Picena.

 Il processo di abbandono si completa con la ruralizzazione dell’ex area urbana;

 L’assenza di una sede vescovile nel V-VI secolo è una spia di un avviato processo di decadimento del centro urbano, a favore di altri centri vicini che invece sono sede di diocesi; è ciò che viene proposto ad esempio per Suasa, la quale non essendo sede di diocesi faceva capo a Ostra. Ostra però, pur essendo diocesi nel VI secolo, verrà abbandonata ugualmente.

 Le guerre e in particolare la guerra greco-gotica sconvolgono la regione al punto da indebolire e portare nel lungo periodo alla scomparsa dei centri urbani;

 L’avvento dei Longobardi (Ducato di Spoleto) segna in molti casi l’abbandono dei centri romani minori.

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Fig. 5.7 Città romane a continuità di vita e città romane abbandonate nelle Marche.

Nella tabella di seguito si riassumono le tendenze individuate e si indicano nello specifico le città che rispondono ad esse:

Destino città Comportamenti/tendenze Esempi

Città

abbandonate

 Disastri ambientali, mancata manutenzione delle infrastrutture, brigantaggio

 Nuovo assetto delle campagne e comparsa di aree a selva

 Contrazione nell’economia

 Avvento dei Longobardi

 Assenza di sede vescovile nel V-VI secolo

 Tradizione della distruzione della città da parte di Totila o Alarico non confermata dal dato archeologico

Carsulae, Potentia Picena,

Sestino, Urbisaglia, Tifernum Mataurense

Sestinum

Sestinum

Attidium, Cupra Montana, Planina, Tuficum, Sentinum (?), città litoranee a S di Numana,Urvinum Hortense, Sestinum

Suasa

Suasa, Urbisaglia,

Pitinum Mergens, Tifenum

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 Lento e progressivo abbandono cui segue attività di spoliazione

 Tracce labili di occupazione effimera (focolari) in alcune aree della città

 Ruralizzazione dell’ex area urbana

 Le considerazioni fatte sull’urbanistica delle città a continuità di vita valgono anche per le città abbandonate

 Le guerre portano nel lungo periodo alla scomparsa dei centri urbani.

Suasa, Sentinum, Urbisaglia

Suasa, Sentinum, Pitinum Pisaurense

Suasa, Sentinum, Falerio

Sentinum, Suasa, Tifernum

Mataurense Pitinum Pisaurense, Sentinum, Urbisaglia,

Cupra Montana

Città a

continuità di vita

 Si spostano i punti di interesse principali della città, da connettere alla diffusione del Cristianesimo.

 Abbandono degli edifici pubblici e defunzionalizzazione di aree che diventano zone di sepoltura intramuranea

 Impoverimento dei materiali e delle tecniche di costruzione negli edifici di nuova costruzione

 Età longobarda come apice del processo di decadimento e di impoverimento/ dissesto

 Reimpiego di materiali tratti da preesistenti edifici; sfruttamento parassitario delle strutture antiche

 La costituzione di diocesi fa sì che la città continui a vivere

 Contrazione degli abitati nei momenti di crisi più forte

 Restauro/rafforzamento delle mura difensive nelle città strategiche. Mura in opera cd. tumultuaria

Fano; Ascoli, Pesaro, Osimo, Terni, Assisi

Ascoli; Osimo, Terni

Ascoli; Pesaro, Suasa, Senigallia

Ascoli, Tadinum

Matelica; Ascoli, Senigallia, Terni, Assisi

Ascoli, Fano, Ancona

Urbino, Terni, Gubbio, Ancona

Todi, Urbino, Pesaro

Caratteri comuni sia alle città abbandonate che a quelle a continuità

 Contrazione degli abitati nei momenti di crisi più forte

 Si spostano i punti di interesse principali della città, da connettere alla diffusione del Cristianesimo.

Urbino, Terni, Gubbio, Ancona, Suasa,

Urbisaglia, Suasa, Fano, Ascoli, Pesaro, Osimo, Assisi, Terni

137 di vita  Abbandono degli edifici pubblici e

defunzionalizzazione di aree centrali

 Impoverimento dei materiali e delle tecniche di costruzione negli edifici di nuova costruzione

 Reimpiego di materiali tratti da preesistenti edifici; sfruttamento parassitario delle strutture antiche

 Le guerre sconvolgono e indeboliscono la regione

 Avvento del Cristianesimo: la creazione o l’assenza di poli religiosi forti influenza in un senso o nell’altro il destino delle città

 Avvento dei Longobardi segna l’apice dell’impoverimento/dissesto della regione e ne stabilisce una volta per tutte il nuovo assetto ed equilibrio

Urbisaglia

Suasa, Sentinum

Urbisaglia, Suasa, Sentinum, Terni, Matelica, Ascoli, Senigallia, Assisi

Situazione verificabile in tutti i centri

Situazione verificabile per tutte le città

Situazione verificabile per tutte le città

Volendo trarre delle conclusioni, innanzitutto il fattore viabilità risulta fondamentale, in quanto la vicinanza o meno all’arteria principale di collegamento con Roma determina la sopravvivenza del centro. Al tempo stesso, però, lungo la viabilità passano gli eserciti di Alarico prima, e bizantino e goto poi, e questo determina profonde conseguenze nelle città poste lungo il suo percorso: centri che per la loro posizione strategica lungo la Flaminia o per la loro posizione in altura, com’è il caso di Urvinum Mataurense (Urbino) e di Auximum (Osimo) nell’interno e, lungo la costa, di Pisaurum, Fanum Fortunae e Ancona, sono teatro a più riprese degli eventi bellici, proprio perché la loro posizione le rende naturalmente difendibili. Al contrario, una città come Forum Sempronii, centro di fondovalle posto lungo la Flaminia, è abbandonato nel corso della seconda metà del VI secolo e “sostituito” dal nuovo abitato di altura, poco distante, che diviene l’attuale Fossombrone e che eredita dall’antico centro le funzioni di città e di diocesi. In sintesi, le città di fondovalle si ritrovano ad essere indifese e indifendibili e, se pure non vengono distrutte nel corso di eventi bellici, vengono comunque abbandonate nel corso del VI secolo e durante l’età longobarda.

L’età longobarda, con l’insediamento del Ducato di Spoleto, viene a segnare una cesura netta col passato, la fine dell’ordinamento statale romano. Ciò è tanto più evidente nelle Marche se si confronta il destino delle città del settore costiero in mano ai Bizantini, la cosiddetta Pentapoli, con

138 quello dei centri nell’interno della regione, controllata dai nuovi padroni: se sulla costa le antiche città mantengono la loro vita e la loro funzione, i centri finiti nell’orbita del Ducato di Spoleto scompaiono. Tra questi, in particolare le città di fondovalle scompaiono per lasciare il posto a nuovi centri sorti sulle alture lungo i crinali di spartiacque tra le varie vallate. Anche alcuni centri interni della Pentapoli, comunque, vengono definitivamente abbandonati: si tratta delle città romane, situate nei fondovalle, di Cupra Montana nella valle dell’Esino, Ostra nella valle del Misa, Suasa nella valle del Cesano, Pitinum Mergens nella valle del Metauro, Pitinum Pisaurense nella valle del Foglia306. Si assiste ad un generale processo di degrado urbano. I Longobardi si inserirono dunque in un processo di decadenza in atto già da tempo, come si è visto, a partire dall’invasione di Alarico e poi per tutta la durata della guerra greco-gotica.

Come si accennava più sopra, costituisce oggetto di dibattito tuttora aperto la questione dell’istituzione delle diocesi e dell’eventuale rapporto di causa/effetto tra la presenza della diocesi e la sopravvivenza del centro e viceversa tra l’assenza della diocesi e la fine della città antica.307

Fermo restando che alcune città che nel V secolo sono sede di diocesi scompaiono ugualmente nei secoli successivi (ad esempio Ostra), l’assenza di diocesi (che può essere dovuta anche ad una lacuna documentaria) non implica meccanicamente la fine della città, anche se spesso viene letta come spia di un processo di declino già avviato nel V secolo.

Dal punto di vista del dato archeologico, le stratigrafie relative al periodo tardoantico mostrano per tutte le città situazioni analoghe di abbandono di aree più o meno estese e centrali, di riutilizzo di antichi edifici, sia privati che pubblici, con defunzionalizzazione di essi e rioccupazione parassitaria, di impoverimento dei materiali e delle tecniche di costruzione, di reimpiego di materiali edilizi e architettonici tratti da preesistenti edifici. Questo carattere è riscontrabile sia nei centri a continuità di vita che in quelli abbandonati, da Nord a Sud, dalla costa all’interno delle attuali Marche e dell’Umbria.

Da questa prima analisi, condotta su una base piuttosto ampia, si è stretto il campo ad una realtà territoriale più limitata, per vedere se si possano cogliere delle tendenze riassumibili in un modello ipotetico che sia applicabile anche per Sentinum. Di Sentinum, infatti, non si conosce con certezza né il momento del definitivo abbandono, né le cause. In assenza di dati certi, perciò, il confronto con le realtà vicine è senz’altro il più utile a indirizzare la ricerca.

306 BERNACCHIA 2004, p. 295. R. Bernacchia traccia un efficace quadro del processo di penetrazione dei Longobardi nel territorio umbro e marchigiano.

307

139 La ricerca si è dunque rivolta all’area geografica delle Marche interne Settentrionali, corrispondenti alla parte settentrionale dell’Umbria augustea, alla Flaminia et Picenum in età tetrarchica e al settore nord del Picenum Annonarium in età tardoantica. In particolare si è guardato alle città abbandonate, dato che Sentinum rientra in questa categoria. Lo spoglio dell’edito porta a individuare in molti centri una continuità di vita almeno fino al VI secolo se non oltre, e non esiste caso di città abbandonata già nel IV o V secolo. Per quanto è possibile leggere dai dati archeologici, per la maggior parte delle città romane che scomparvero si verificò un abbandono graduale, non dovuto a distruzione violenta, che non risulta compiuto prima del VI secolo e che in alcuni casi sembra essere posteriore, da collocare nel corso del VII-VIII secolo. Sono abbandonati i centri che sorgevano in aree non difese naturalmente, dunque nei fondovalle, e spesso sprovvisti di mura: non è un caso che nelle Marche interne settentrionali siano sopravvissuti i centri di Urbino e di Osimo, posti in altura e provvisti di mura, dunque ben difesi da attacchi esterni. Il fattore insicurezza può quindi essere considerato uno tra i principali motivi della fine delle città romane di fondovalle, dato il succedersi nel VI secolo della guerra greco-gotica e dei conflitti tra Bizantini e Longobardi; tuttavia, non vi è nessuna attestazione archeologica nelle Marche Settentrionali di vere e proprie distruzioni di città. Le cause dell’abbandono allora vanno cercate in quel generale declino delle realtà urbane, di crisi generalizzata che si è individuato su ampio raggio per tutta la regione, cui certamente il ventennale conflitto greco-gotico ha contribuito, non essendone però la causa diretta.

140 Anche nella scala più ridotta delle Marche Settentrionali il dato archeologico mostra un degrado nella qualità delle strutture, un impoverimento dei materiali, la defunzionalizzazione di edifici, pubblici o privati, la loro rioccupazione parassitaria, il riutilizzo quindi di materiali e di strutture di età imperiale, l’installazione di aree sepolcrali in zone centrali della città: gli esempi che si possono portare sono il già citato caso della domus dei Coiedii di Suasa, la domus di via Gavardini a Pesaro, la domus dei Mosaici di Tifernum Mataurense, le tombe sul basolato stradale di Pitinum Pisaurense e la tomba rinvenuta nel foro di Pesaro.

Alla luce di quanto emerso fin qui, il confronto tra i dati archeologici provenienti da Sentinum e quelli raccolti in questa rassegna sull’edito delle città romane delle Marche e dell’Umbria suscita delle riflessioni piuttosto interessanti.

Innanzitutto la morfologia del territorio e la posizione in relazione alla viabilità: la città si trova in una valle, la valle del Sentino, a ridosso dell’Appennino Umbro-Marchigiano, da sempre punto di snodo per i percorsi di valico. Da qui passava, lungo una direttrice che dal retrostante Appennino correva lungo la valle del fiume Misa, un asse viario preromano, che fu inizialmente sfruttato per collegare Roma con Sena Gallica (Senigallia) e che sarebbe stato poi soppiantato dall’apertura della via Flaminia, ma che avrebbe comunque mantenuto una certa importanza, essendo trasformato in un diverticolo che dalla via consolare, e attraverso Sentinum e Ostra, giungeva fino al mare a Sena Gallica e, passando da Suasa nella valle del Cesano, giungeva sulla costa alla Statio Ad Pirum. Dunque, pur se su un tracciato viario minore, Sentinum era comunque in un’ottima posizione lungo la viabilità, il che la rese una città fiorente in età imperiale. Come si è visto per i centri di fondovalle delle Marche interne settentrionali, Sentinum è in posizione non difesa naturalmente, e le sue mura di cinta di età tardo repubblicana, in disuso a seguito della pax augusta, non presentano segni di qualche restauro né di ripresa in epoca tardoantica.

Già negli scavi degli anni ‘50 erano state individuate tracce di una fase di abbandono, riscontrabile sia lungo il cardine massimo308 che nei mosaici delle terme urbane, che mostrano, come altrove