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Si è sempre parlato per la Gallura di un’isola nell’isola, anche dal punto di vista storico e antropico, fino al punto di ipotizzare per questa regione l’esistenza di una distinta facies culturale nel Neolitico Recente, denominata ‘Cultura di Arzachena’ o ‘dei circoli megalitici’, contrapposta alla cultura di Ozieri diffusa nel resto dell’isola e per la quale non si erano trovate tracce nel territorio gallurese (Lilliu 1988:65 ss.). Resta famosa la già citata definizione di “accantonamento” (Puglisi e Castaldi 1966), che porta con sé non soltanto il senso di una diversa evoluzione ma anche, e soprattutto, un ritardo visibile nella creazione di forme “meno evolute” negli aspetti culturali, rispetto al resto dell’isola considerata altrettanto attardata (Lilliu 1942:148). In entrambi i casi la visione è stata rivista.

La Gallura rientra nel quadro più generale della preistoria e protostoria isolana, in modo del tutto coerente non solo dal punto di vista delle evidenze archeologiche, monumentali e di cultura materiale, ma anche in relazione alla scansione cronologica, come hanno evidenziato le ricerche nel corso degli anni. Ma come accade anche in altre zone della Sardegna “la Gallura presenta specialità notevoli” (Lilliu 1942:145), dovute per lo più alle particolari caratteristiche geomorfologiche della regione con manifestazioni peculiari nella cultura materiale e nei monumenti (cfr. infra cap.4). Per i problemi più generali rimando a quanto già detto sopra e alla letteratura già nota sul periodo nuragico (Atzeni 1981; Atzeni et al. 1990; Contu 1974, 2006; Ferrarese Ceruti et al. 1997; Lilliu 1988; Ugas 2005). Passerò qui velocemente in rassegna alcune caratteristiche manifestazioni della civiltà nuragica in Gallura, unitamente ad una rapidissima rassegna del cosiddetto periodo prenuragico, nella considerazione che “la comparsa della civiltà nuragica non avvenne in un deserto antropico ma fu il seguito di un lungo cammino percorso dall’uomo nell’isola, dal Paleolitico ai tempi della prima metallurgia” (Ugas 2005:11).

Al momento è impossibile individuare la data a cui far risalire la prima comparsa dell’uomo nella regione, mancando riscontri in tal senso per quanto riguarda la Gallura, nonostante diverse tracce della presenza umana databili al Paleolitico superiore siano state ritrovate in zone limitrofe, come in Anglona. L’assenza di dati si rileva anche in Corsica, spesso citata spesso come ponte di passaggio per l’arrivo dell’uomo nell’isola, il che fa supporre che si tratti semplicemente di una sfortunata lacuna nelle ricerche.

Le prime sicure tracce, pur nella loro esiguità rispetto al resto dei ritrovamenti nell’isola, risalgono al Neolitico Antico e Medio. Nelle aree costiere sono stati effettuati alcuni ritrovamenti di ceramica cardiale, classe diffusa in tutto il Mediterraneo nello stesso periodo: il sito di Lu Litarroni-San Francesco d’Aglientu (n°143) e il tafone di Cala Corsara nell’isola di Spargi (n°144) hanno restituito industria litica in ossidiana e selce in associazione con ossa umane e frammenti ceramici, testimoniando la presenza umana nel corso del Neolitico Antico anche in Gallura (Antona Ruju e Ferrarese Ceruti 1992:6; Ferrarese Ceruti e Pitzalis 1987; Usai, L. e Pirisinu 1991:8). È ipotizzabile per questo periodo un insediamento in tafoni, utilizzati come ripari e punti di sosta, forse anche per la lavorazione del materiale litico. I ritrovamenti per questo periodo sono da ricollegarsi ai traffici dell’ossidiana proveniente dal Monte Arci (Sardegna sud occidentale) che, passando per la Gallura, raggiungeva le aree europee occidentali (Corsica, Italia settentrionale, Francia e Spagna), alla quale probabilmente si aggiungeva anche la selce, pietra di cui la Sardegna è naturalmente dotata. Sono da ricercarsi qui le cause prime del popolamento dell’area e forse anche lo stretto contatto, non solo geografico e geomorfologico, ma anche culturale che la Gallura mostra con la Corsica, e più in generale con il Mediterraneo occidentale, con quel megalitismo predominante su cui a lungo ci si è interrogati.

Il Neolitico Medio è documentato in Gallura da alcuni ritrovamenti di cultura Bonu Ighinu, facies che caratterizza il periodo in tutta la Sardegna sebbene le tracce si limitino al ritrovamento di alcuni frammenti ceramici e manufatti di ossidiana, quarzo, granito e porfido ad essi associati, nel riparo sotto roccia di Cala Villamarina nell’isola di Santo Stefano (n°145). Mancano invece quasi completamente testimonianze di cultura materiale Bonu Ighinu sulla terra ferma; fa eccezione l’esemplare di dea madre di tipo volumetrico-naturalistico rinvenuta a Santa Mariedda (n°146) nei pressi di Olbia che testimonia la presenza umana in questo periodo nella zona.

È da questo momento che il discorso si complica per quanto riguarda l’interpretazione delle scansioni cronologiche e culturali della Gallura, tanto più che anche nel resto dell’isola i momenti di transizione fra Neolitico Medio e Recente e fra Neolitico ed Eneolitico sono ancora oggetto di dibattito. La cultura che si diffonde capillarmente in tutta l’isola durante il Neolitico Recente è la cultura di Ozieri, con manifestazioni culturali caratteristiche e un tipico marcatore, quale le tombe ipogeiche a grotticella, le cui sepolture sono sempre accompagnate dalle statuine muliebri probabilmente rappresentanti la Dea Madre mediterranea. Ma la scansione cronologica del Neolitico isolano, in tempi abbastanza recenti, ha avuto un’ulteriore revisione, con l’aggiunta di due fasi ‘cerniera’: la facies di San Ciriaco55, che caratterizza il momento transizionale fra il Neolitico

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Questo aspetto culturale del Neolitico superiore è chiamato da Vincenzo Santoni facies di Cuccuru S’Arriu, dal momento che fu individuata dallo studioso anche nel villaggio di Cuccuru Is Arrius (Cabras-OR) (n°148) (Santoni et al. 1982:108).

Medio e quello Recente (Contu 1998:68; Ugas 1990; 1998b:252); la facies di Sub-Ozieri che fa da bretella fra il Neolitico e l’età del Rame (Contu 1998:69; Santoni 1991; Ugas et al. 1985:14 ss.-20; Ugas et al. 1989:239; Ugas 1998b:252; Usai, L. 1986:8).

Per lungo tempo si è parlato di una ‘cultura gallurese’, ‘di Arzachena’ o ‘dei circoli megalitici’, contrapposta alle manifestazioni culturali presenti nel resto della Sardegna e vicina come caratteristiche alle culture megalitiche dell’Europa occidentale, passando per la Corsica. Questa teoria trovava la sua motivazione nell’esistenza dei circoli funerari di tipo A databili al Neolitico e di tipo B databili all’età del Bronzo, completamente diversi da quanto ritrovato in Sardegna fino a quel momento in relazione ai costumi funerari dell’epoca, prevalentemente ipogeici. Si tratta di sepolture in cista litica quadrata, posta al centro di un circolo di pietre infitte verticalmente nel terreno, dal gusto tipicamente trilitico-megalitico (Puglisi e Castaldi 1966:97 ss.).

La cultura di Ozieri è stata poi riconosciuta anche in Gallura intorno agli anni Settanta e definitivamente affermata alla fine del secolo scorso, grazie al ritrovamento di testimonianze di cultura materiale associabili a questa facies (Antona 1999). Successivamente gli studi e le ricerche hanno evidenziato come la manifestazione megalitica rientrasse negli schemi funerari e culturali della cultura di Ozieri, in seguito al confronto con simili strutture ritrovate in altre aree, fra le quali si ricorda la necropoli megalitica di Pranu Mutteddu-Goni (n°147) (Atzeni e Cocco 1988). L’aspetto culturale ‘dei circoli megalitici’ è stato quindi considerato semplicemente una variante regionale con una più spiccata tendenza al megalitismo, visto anche lo sporadico utilizzo della tipologia funeraria delle domus de janas, tipologia tipica del periodo ed estremamente diffusa, non solo a livello isolano ma anche considerando l’intero bacino del Mediterraneo centro orientale. Ultimamente i circoli di tipo A sono stati retrodatati al Neolitico Medio (Antona 2001:68-9; 2003:367) o alla fase di transizione San Ciriaco (Mancini 2010:14; Ugas 1999:7; 2005:14)56. Si tratterebbe quindi delle prime manifestazioni megalitiche in Sardegna, all’interno della cultura di San Ciriaco che segna un momento di cambiamento nella cultura neolitica sarda e anticipa la articolata e fastosa cultura di Ozieri. Questo sembra testimoniato anche dai numerosi oggetti di prestigio trovati nei circoli che trovano diversi confronti con altre sepolture nell’area continentale europea e segnatamente in tutte zone caratterizzate da una precoce comparsa del megalitismo (Corsica, Francia e area pirenaica). Confronti di questo tipo erano d’altro canto già stati richiamati negli anni Quaranta per la stessa tipologia tombale (Puglisi 1941:133). A partire quindi dalle fasi finali del Neolitico il megalitismo si diffonde in modo capillare con la comparsa e la diffusione di manifestazioni megalitiche tipiche, quali dolmen e allineamenti di menhir: in perfetta coerenza con

56 L’attribuzione alla cultura di San Ciriaco e quindi alla fine del Neolitico sembra motivata anche dal puntuale confronto della cultura materiale, soprattutto relativa ad elementi di pregio quali il vasetto in steatite con anse a rocchetto dalla necropoli di Li Muri (Arzachena) (n°43) che trova confronti con materiale San Ciriaco rinvenuto nel villaggio di Cuccuru Is Arrius (Cabras-OR) (n°148) (Santoni et al. 1982:109)

le direttrici geografiche di diffusione del fenomeno megalitico, tali monumenti sono, non a caso, estremamente diffusi in Gallura, sebbene molti di essi non siano oggi più visibili per lo più a causa delle bonifiche agrarie.

In un certo senso la Gallura rappresenta una testa di ponte fra l’Oriente e l’Occidente del Mediterraneo e svolge una funzione di cerniera fra quelle realtà considerate per lungo tempo antitetiche e rivali, quella megalitico-dolmenica di ispirazione occidentale e quella ciclopica di ispirazione orientale. La tendenza megalitica continuerà poi ininterrottamente durante l’età del Rame, in Gallura come nel resto della Sardegna, rappresentando il punto di partenza di un lungo percorso che, passando per le allées couvertes si concluderà con la creazione delle tombe di giganti, le tipiche sepolture dell’età del Bronzo sarda: le culture strettamente connesse a queste manifestazioni megalitiche sono le facies Sub Ozieri, in continuità con le manifestazioni culturali del periodo precedente, le facies di Filigosa e Abealzu e infine la facies di Monte Claro, quest’ultima probabilmente sviluppatasi prima nella parte meridionale della Sardegna, e successivamente diffusasi nel resto della Sardegna.

Forse per questa preponderanza della cultura megalitica, in Gallura sono rarissime le domus de

janas, o forse per la presenza di numerosi anfratti naturali. Sia che si cerchi una spiegazione

ideologica (Mancini 2010:15) sia che si voglia attribuire a circostanze ambientali (Usai, L. e Pirisinu 1991:11), resta l’evidente assenza di questa tipologia funeraria, attestata soltanto in modo sporadico e limitato alle aree marginali, che hanno forse subito l’influenza culturale delle regioni limitrofe, come l’Anglona o il Logudoro57.

Sono numerosi i siti di cultura Ozieri, che mostrano un sistema insediativo basato sulla scelta di siti adatti ad una economia agro-pastorale integrata con lo sfruttamento delle risorse naturali; non sono rimasti i villaggi, ad esclusione dell’esempio di Pilastru-Arzachena (n°149), ma la raccolta di numeroso materiale di superficie permette di testimoniare l’esistenza degli insediamenti e di documentare la vita quotidiana.

La vitalità e la consistenza dell’insediamento in Gallura sembrano rarefarsi con il passaggio all’Eneolitico, forse a causa della incipiente metallurgia che fece perdere alla Gallura il suo ruolo di testa di ponte in connessione alle rotte di selce e ossidiana. L’Eneolitico rimane una fase ancora molto poco conosciuta nella regione gallurese, dal momento che allo stato attuale delle ricerche sono state ritrovate pochissime testimonianze delle facies Abealzu e Filigosa, mentre è notizia recentissima il ritrovamento di un insediamento databile presumibilmente fra il 2500 e il 2000 a.C. nell’isola di Spalmatore e attribuibile a genti di cultura Monte Claro grazie al ritrovamento di

57 Non è forse un caso che si tratti per lo più di domus de janas spoglie e disadorne, come nei casi dell’ipogeo dell’Isola Rossa o La Conchedda di La Fita-Bortigiadas; l’unico caso di tomba decorata è dato dalla domus di Lu Turrinu in località Tisiennari, sempre a Bortigiadas, che presenta i tipici motivi decorativi di cultura Ozieri, quali falsa porta e corna taurine (Salis 1996:39; Tanda 1977, 1988).

ceramiche che presentano le stesse fattezze e decorazioni di questa facies culturale (Sardegna24 2011). Allo stato attuale delle conoscenze non sembra invece esserci traccia alcuna della cultura campaniforme in Gallura, in perfetta coerenza con la scarsità di evidenze archeologiche riferibili a questa cultura.

È attribuita alle fasi finali dell’Eneolitico la costruzione delle cosiddette muraglie megalitiche (Moravetti 1998b), diffuse anche nel resto dell’isola ma particolarmente frequenti in Gallura (vedi

infra cap.4.3:99-100). Si tratta probabilmente di un altro tratto peculiare di questa regione e più in

generale della Sardegna settentrionale, in relazione a particolari caratteristiche geomorfologiche dell’area. Le muraglie, infatti, si impostano generalmente in vicinanza o in stretta relazione con gli

inselberg (cfr. infra cap.2.2.4:47 ss.) completandone e ampliandone le funzioni difensive58.

In tutta l’isola il passaggio dall’età del Rame all’età del Bronzo è accompagnato dalle ultime manifestazioni della cultura campaniforme che si mescolano con la cultura di Bonnannaro fino a che entrambe non lasceranno il posto alla facies di Sant’Iroxi, momento di apertura verso la vera e propria età nuragica. Questo passaggio è però difficile da cogliere in Gallura proprio per l’assenza di evidenze archeologiche attribuibili alla cultura campaniforme. Si trovano però tracce della facies di Bonnannaro, soprattutto nella zona di Arzachena (Usai, L. e Pirisinu 1991:13) e nelle tombe a galleria, successivamente ristrutturate in tombe di giganti. È il caso del sepolcro di Li Lolghi

(n°38), di Coddu Vecchiu (n°39) e di Moru (n°37) in comune di Arzachena (Antona 2008:714),

oltre che probabilmente della tomba di Su Monte de S’Abe-Olbia (n°135) (Castaldi 1968, 1969). Anche qui, infatti, intorno alla metà del II millennio, in contemporaneità con il resto dell’isola, prende l’avvio la civiltà nuragica, sebbene ancora ci sia chi si interroga sulla possibilità di una retrodatazione della costruzione dei nuraghi in quest’area (Usai, L. e Pirisinu 1991:13).

Nel BM, con l’inizio della civiltà nuragica, le evidenze archeologiche, sia architettoniche sia della cultura materiale si mostrano perfettamente coerenti con quanto ritrovato nelle altre aree isolane, con un’evoluzione dai protonuraghi ai nuraghi a tholos, accompagnati anche in questo caso, da abitati con capanne circolari: “la Gallura è, sempre, anch’essa Sardegna: con i molti nuraghi, le tombe di gigante, le fonti costruite, le sue fonderie ecc.” (Lilliu 1942:146). E difatti anche in questa regione è possibile osservare la stessa varietà di edifici architettonici sebbene nella maggior parte dei casi le architetture si mostrino meno monumentali e imponenti. Anche in Gallura esistono monumenti differenziati a seconda delle funzioni, come si intuisce dalla presenza accanto all’architettura civile di quella religiosa e funeraria, con modalità e tipologie già riscontrate nel resto del territorio isolano.

58 Tali strutture, di grande importanza per lo studio dell’assetto territoriale e dell’organizzazione insediativa, sono parte integrante di questo lavoro: il loro utilizzo non si ferma con la fine dell’Eneolitico ma perdura per tutta l’età del Bronzo, periodo in cui anche le muraglie di epoche precedenti vengono ampliate e recuperate, con la costruzione di strutture turrite a completamento dell’opera difensiva.

È a partire dal BM che inizia a verificarsi anche in Gallura la creazione di importanti nuclei insediativi, spesso caratterizzati da una forte integrazione spaziale dei vari elementi che li compongono, dettaglio che si mostra di grande interesse in una ricerca in cui il dato spaziale viene considerato altamente informativo: il nuraghe Albucciu (n°36) con annesso villaggio (n°53) e tomba di giganti (Antona Ruju e Ferrarese Ceruti 1992; Ferrarese Ceruti 1962) e il sito di Malchittu (Ferrarese Ceruti 1964) che comprende un protonuraghe (n°46), un’area cultuale (n°28), una muraglia (n°42), una grande capanna (n°27) e delle sepolture in tafone (n°23) sono solo due esempi particolarmente significativi, entrambi in territorio di Arzchena.

In Gallura si registra nel complesso una prevalenza della tipologia del nuraghe a corridoio o protonuraghe. Questo, associato all’esistenza dei nuraghi misti (cfr. infra cap. 4.1.2:98), inizialmente è stato collegato con l’attardamento culturale gallurese e ancora oggi viene considerato un aspetto peculiare della regione, ipotizzando una contemporaneità dei nuraghi evoluti e dei nuraghi a corridoio e ritenendo che “la scelta della pianta fosse dettata da criteri di opportunità di uso e di gusto di cui non cogliamo appieno il significato” (Usai, L. e Pirisinu 1991:14).

Il nuraghe misto, monumento che presenta caratteristiche miste fra i protonuraghi e i nuraghi evoluti, è il risultato del riutilizzo dei primi e della conseguente ristrutturazione con le forme architettoniche dei secondi. Più che all’accantonamento gallurese sembra legato ad una precocità nella creazione di una fitta maglia insediativa strategicamente organizzata e ben inserita nell’ambiente naturale, come sembra potersi evincere dalla stretta connessione spaziale di monumenti con funzionalità così diverse, sin dalla media età del Bronzo, a seguito di dinamiche e meccanismi che al momento sembrano purtroppo sfuggire.

È caratteristico della Gallura, ancora, il riutilizzo in funzione architettonica di banchi di roccia naturale a sorreggere le murature, con un evidente risparmio di tempo e di energie, oltre che di materiale da costruzione, come accade per numerosissimi nuraghi, ad esempio il nuraghe Albucciu-Arzachena o il nuraghe Agnu-Tempio Pausania; tale sistema viene utilizzato in Gallura anche per la costruzione delle capanne di abitazione, come testimoniato nel villaggio di Lu Brandali-Santa Teresa di Gallura che mostra capanne costruite inserendo nelle murature gli speroni rocciosi granitici (Antona 2005:51).

È poi una costante del territorio gallurese la convivenza dei villaggi con i ripari sotto roccia, anche nell’ambito dello stesso insediamento, a volte difesi da poderose opere di fortificazione (cfr. infra cap. 4.3). L’uso dei tafoni, a proposito dei quali si è fatto un breve accenno dal punto di vista geologico nel capitolo dedicato a questo argomento (cfr. infra cap. 2.2:52-3), e di cui si spiegherà qui l’importanza e l’utilizzo dal punto di vista archeologico e antropico, è un’altra delle caratteristiche peculiarità della Gallura. Tali cavità, utilizzate sia per uso abitativo, in concomitanza

con i villaggi appunto, sia per uso funerario, in concomitanza con le tombe di giganti, mostrano una lunghissima continuità d’uso che inizia nel Neolitico, perdura con una connotazione anche più ampia nell’età del Bronzo e arriva fino ai giorni nostri, rendendo spesso peraltro estremamente difficile individuare la loro sicura cronologia di utilizzo. È come se, in un certo senso, la civiltà nuragica in Gallura si sia piegata alle caratteristiche ambientali, non rinunciando alle sue espressioni più caratteristiche ma nello stesso tempo plasmandole e arricchendole con ciò che il territorio offriva.

Altra peculiarità, a cui si è già accennato precedentemente, è data dall’alta frequenza di strutture fortificate di grandi dimensioni che sfruttano cavità e cunicoli naturali con l’aggiunta di tratti più o meno consistenti di muratura. Queste strutture, evidentemente legate ad esigenze di controllo e di difesa del territorio, a volte appaiono isolate sulle tipiche formazioni a cupola e sugli inselberg, mentre altre volte sono poste al culmine di alture lungo le cui pendici si aprono i villaggi sotto roccia, costituiti da abitazioni in tafone. Di grande interesse e importanza tra queste strutture difensive sono le muraglie megalitiche che, correndo da una punta all’altra delle formazioni granitiche più alte, impedivano l’accesso nei punti non difesi naturalmente59.

Unica eccezione alla generale coerenza monumentale della Gallura è l’esistenza dei già citati circoli di tipo B, ossia strutture circolari con diametri variabili dai 4 agli 8 metri circa, realizzati a secco con doppio paramento murario e accurata tecnica costruttiva, il cui utilizzo è ancora oggetto di discussione (Ferrarese Ceruti 1968; Puglisi e Castaldi 1966). Si tratta di una manifestazione architettonica nuragica presente esclusivamente in Gallura e per la quale non si hanno confronti nel resto dell’isola, a cui si aggiunge la varietà di tipologie funerarie, assente nel resto dell’isola (Oggiano 1996). Ciò porta ad interrogarsi sui motivi che, in questa regione, hanno portato alla creazione di una tipologia architettonica, di cui ancora sfuggono le funzioni ma che sembra presupporre differenti modalità di vita e di ideologia.

Se per i monumenti si può quindi parlare di alcune caratteristiche peculiari, legate a doppio filo alla geomorfologia gallurese, ciò non si può dire invece per la cultura materiale, che rispecchia in linea generale esperienza e modi di vita comuni a tutta la Sardegna60. Anche in questo caso esistono però elementi di dettaglio che, ad una attenta analisi aumentano la sensazione che la Gallura si discosti dalle linee generali della civiltà nuragica: è il caso ad esempio della produzione di ceramica a pettine che, in tutta la Sardegna viene attribuita, come si è visto, alle fasi finali del BM (Fadda 1984; Ferrarese Ceruti e Lo Schiavo 1992; Lo Schiavo e Vilani 2002), sembra diffondersi in

59 Esempi si trovano a Sarra di L’Aglientu-Sant’Antonio di Gallura, Monte Mazzolu-Arzachena (Solinas 1996) o Cabu Abbas-Olbia (Contu 1981; Lilliu 1982:55; Panedda 1954:71-77).

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Si rimanda per la descrizione e l’elenco accurato dei monumenti e dei ritrovamenti di cultura materiale in Gallura a pubblicazioni più specifiche (Caprara et al. 1996; Castia 2003; Mancini 2010; Usai, L. e Pirisinu 1991) e ivi bibliografia.

Gallura nel corso del BR, in concomitanza peraltro con ristrutturazioni consistenti di nuraghi e villaggi (Antona 2008). Questo fenomeno, evidente nel nuraghe Belveghile-Olbia (n°134) (Sanciu 1990), nel nuraghe La Prisjona-Arzachena (n°31) (Contu 1966) e nel sito di Lu Brandali (n°32) (Antona 2008:716), testimonia una fase di transizione turbolenta fra BM e BR che non sembra evidente in altre parti dell’isola e aumenta la sensazione che le dinamiche di occupazione della