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PARAMETRI DI RIFERIMENTO

7.2. Le costanti ambientali e i parametri della Sardegna nuragica

7.2.1. Le costanti ambientali

Le costanti, o indicatori, sono tutti quei dati considerati come pietra di paragone e base di partenza per le analisi che producono la risposta relativa ai singoli parametri, quali ad esempio le varie caratteristiche geomorfologiche considerate le costanti che vengono attribuite ad un raggruppamento territoriale. Un altro esempio di costante è la portata del bacino demografico. Un primo dato, coerente con quanto noto dalle tendenze dell’insediamento umano in tutti i tempi e in tutti i luoghi, ma confermato dal campione statistico è la natura delle variabili importanti nel rapporto fra comunità umane e territorio: altimetria, distanza dai fiumi e dal mare, litologia e pedologia. Quasi tutte le pubblicazioni analizzate mostrano una relazione statisticamente rilevante fra queste variabili e l’insediamento umano, rendendo indispensabile un’analisi quantitativa di questa relazione (cfr. infra cap.9). La tendenza ad una precisa scelta insediativa legata alle caratteristiche ambientali sembra, inoltre, confermata dall’evoluzione diacronica di questo dato sin dagli inizi del BM, nel corso del quale la collocazione dei siti nuragici appare sempre più direttamente connessa con alcune, importanti caratteristiche geomorfologiche (Manca Demurtas e Demurtas 1991).

In relazione a queste variabili è possibile evidenziare alcune tendenze generali che sembrano ripetersi costantemente, indipendentemente dalla natura e dalle caratteristiche ambientali specifiche. La prima riguarda la collocazione geomorfologica dei nuraghi che per il 69% dei dati disponibili, tendono a collocarsi in zone di altipiano, raramente al centro, più frequentemente ai bordi, sui

versanti e i pendii. Tale collocazione viene in genere affiancata ad alcuni siti posti in altura, più o

meno isolati e gli altipiani possono essere circondati o da aree montuose a delimitare l’area o possono invece essere prospicienti ad aree pianeggianti. In soli due casi (Spanedda e Cámara Serrano 2009; Tore e Stiglitz 1987) non è stato rilevata alcuna relazione fra i siti e la morfologia del territorio. Il dato numerico, in linea di massima, può essere definito in una quota preferenziale di circa 200-500m di quota s.l.m.; un’ulteriore linea preferenziale si trova a bassa quota (0 a 100 m) anche in zone molto diverse fra loro, come nel caso della Gallura (Castia 2003; Manconi 1996), della Nurra (Alba 1998) e del Sinis (Depalmas 2008; Sebis 1987). Seppure non vengano evitate le zone pianeggianti esse sono sempre poste in posizione di controllo (altipiani) dal momento che, tranne in rarissimi casi (Foddai 1998), non si trovano nuraghi nei terreni e nelle pianure alluvionali in posizioni infossate. Questo probabilmente si ricollega allo sfruttamento economico del suolo, dal momento che i terreni alluvionali sono anche i più fertili e non vengono quindi destinati a funzioni abitative (Antona e Puggioni 2009:291).

Per quanto riguarda le distanze dalle fonti di approvvigionamento idrico si può notare una generale tendenza a collocarsi su distanze medio-basse dai corsi d’acqua (150 – 250 m), per lo più evitando uno stretto contatto con gli impluvi dei principali corsi d’acqua (Brandis 1980; Tanda e Depalmas 1991), probabilmente per la paura di esondazioni. Ancora si nota una certa costanza nella presenza di una o più sorgenti nelle vicinanze dei siti nuragici, siano essi nuraghi o villaggi.

Sempre in relazione all’elemento idrico sembra di potersi rilevare una certa tendenza delle comunità nuragiche a collocarsi in vicinanza di approdi, siano essi marittimi o fluviali, e soprattutto l’esistenza di vari siti a breve distanza dal mare (Antona e Puggioni 2009; Brandis 1980; Castia 2003; Depalmas 2002; Vacca et al. 1999), in contraddizione con quanto più volte affermato sull’isolamento e sulla ‘paura del mare’ delle comunità nuragiche.

Un’altra tendenza riscontrabile nelle conclusioni dei diversi lavori analizzati è l’aumento della

variabilità delle scelte locazionali nuragiche nel passaggio dal BM al BR (Depalmas 1990, 1995,

1998, 2005b; Moravetti 1992, 2000b), unito ad un complessivo aumento del numero degli

insediamenti e dei nuraghi. Questo può essere dovuto alla necessità di occupare spazi più estesi,

senza poter quindi effettuare precise scelte ma adattandosi alle geomorfologie disponibili, ma anche una maggiore capacità di adattamento e l’esigenza di sfruttare tutte le nicchie ecologiche per un avanzamento delle attività economiche e produttive. Inoltre tale evoluzione potrebbe essere legata

“non solo all’esigenza di usare il territorio, ma soprattutto di possederlo” (Moravetti 1992:192), presupponendo diverse organizzazioni sociali e politiche rispetto al BM.

Un altro dato estremamente rilevante è dato dalla scelta comune di collocare i siti nuragici in vicinanza di materiale litico fratturato e pronto per l’utilizzo nell’edilizia, preferibilmente ma non necessariamente su suoli di origine vulcanica, come trachiti e basalti. Quando, come in Gallura, questo tipo di materiale non è reperibile la spinta adattativa porta ad utilizzare ciò che rimane a disposizione, in questo caso il granito, con cui è costruita la maggioranza dei siti censiti nel lavoro. Rocce come trachiti e basalti sono privilegiati dal momento che presentano densità elevate e si ritrovano dispersi sul terreno per fenomeni di assestamento, successivi alle intense fatturazioni subite durante la fase di raffreddamento. Questo accade anche per i calcari che offrono spesso blocchi adatti alla costruzione direttamente in superficie, sebbene la percentuale di nuraghi collocati su terreni calcarei sia inferiore, a causa della totale assenza di acque superficiali in queste aree. Infine la maggioranza degli studi territoriali ricostruisce uno schema insediativo raggruppato (clustered pattern) per la maggior parte delle aree indagate, con raggruppamenti evidenti di siti, spesso collocati vicino a zone pianeggianti solcate da uno o più corsi d’acqua. Spesso questi raggruppamenti assumono delle forme precise, quali allineamenti, lungo direttrici viarie o fluviali o confini, e linee curve, aperte o chiuse a seconda della morfologia del territorio.

7.2.2. I parametri

In questo lavoro vengono considerati parametri quelle caratteristiche strutturali richieste per poter confermare o smentire l’ipotesi comunemente accettata per la civiltà nuragica. I parametri ottenuti in questa sezione sono strettamente collegati e complementari ai parametri ottenuti nel capitolo precedente, sulla base dell’analisi dei modelli sociali esistenti e realizzati nell’ambito degli studi di antropologia e archeologia sociale e sulla base dei dati relativi all’età del Bronzo in Europa e soprattutto in Italia. I parametri così ottenuti sono quindi i criteri che devono essere rispettati per poter ipotizzare, seppur sempre in via preliminare, una società complessa e organizzata e gerarchicamente strutturata, così come comunemente accettato per la società nuragica. Esempi di parametri sono la gerarchia insediativa, la stratificazione sociale, l’economia di sussistenza o la produzione specializzata.

Questi parametri generali possono essere confermati o smentiti in seguito ad una serie di analisi basate su alcuni assunti. Ogni parametro sarà quindi accompagnato da una ipotesi sperimentale di partenza e necessita delle formule parametriche utilizzate per ottenere i risultati.

Le ipotesi sono state esplicitate in questa sezione, mentre le formule parametriche accompagnano l’esposizione di dettaglio delle singole analisi effettuate, indicate quindi di volta in volta nei capitoli

relativi. Esse sono in parte ricavate dalla letteratura di riferimento, in parte modificate sulla base di specifici assunti che verranno di volta in volta esplicitati.

Vengono considerate variabili i diversi risultati ottenuti dalla letteratura e dalle analisi qui effettuate, dati numerici e grandezze adimensionali al variare delle quali cambia la risposta del modello realizzato, anche se in questa fase del lavoro ci si limiterà alla creazione del modello analogico e difficilmente si potrà costruire un sistema di variabili per poterlo testare ed eventualmente mettere in discussione.

Il primo parametro riguarda l’esigenza di riscontrare una precisa strategia insediativa nel territorio e nel periodo indagati, ossia una interdipendenza tra gli insediamenti e l’ambiente circostante, con l’eventuale presenza di localizzazioni preferenziali o di esclusioni insediamentali. La presenza di una strategia insediativa costante e di precise scelte locative, legate alle attività produttive ed economiche è collegata ad una volontà di possesso e gestione del territorio. Tutto ciò risulta essere un parametro necessario per poter definire una società articolata e consapevole, caratteristiche senza le quali non può esistere una società complessa.

L’ipotesi di partenza risulta quindi essere la seguente: l’assenza di una correlazione statisticamente valida fra le caratteristiche ambientali e i siti archeologici dimostra che le scelte locazionali delle comunità nuragiche avvenivano casualmente e senza una precisa logica insediativa. Le costanti utilizzate per poter definire questo parametro sono quindi le caratteristiche geomorfologiche e ambientali (altimetria, pendenza, morfologia, idrografia, litologia, pedologia). Le analisi utilizzate per testare l’ipotesi sono analisi di statistica spaziale effettuate con la sovrapposizione del dato archeologico ai diversi tematismi territoriali relativi alle singole costanti prese in considerazione (cfr. infra cap.9).

Il secondo parametro è relativo alla possibilità di individuare l’esistenza di sistemi territoriali all’interno della distribuzione dei siti nuragici sul territorio e se questi sistemi sono o non sono suddivisi in unità territoriali più piccole. In sostanza si tratta di capire se l’ipotesi di una suddivisione in territori tribali, a loro volta suddivisi in cantoni può essere o meno confermata dal dato territoriale. La presenza di tale suddivisione è premessa necessaria alla possibilità dell’esistenza di gruppi umani organizzati in comunità, con precisi confini e quindi, di conseguenza, con un’eventuale strategia di controllo e un’organizzazione politica ben definita, qualunque sia la sua natura.

L’ipotesi di partenza risulta quindi la seguente: l’assenza di una ricorrenza costante di caratteri ambientali, di associazioni di siti archeologici e di una precisa distribuzione spaziale degli stessi nel territorio dimostra che i gruppi umani di epoca nuragica non erano raggruppati in sistemi territoriali e non avevano una visione comunitaria del territorio e delle sue risorse. Le costanti da considerare

in questo caso sono di diversa natura: i dati estrapolati dalla letteratura analizzata precedentemente che mostrano la ricorrenza di alcune caratteristiche per definire un sistema territoriale (confini naturali precisi; buffer zones; visibilità reciproca; distribuzione e distanza reciproca dei siti) 104. Le analisi utilizzate per testare l’ipotesi sono la Viewshed Analysis, i Poligoni di Thiessen e la Nearest

Neighbour Analysis, per l’individuazione di pattern territoriali e la definizione dei rapporti

reciproci fra i siti archeologici censiti (cfr. infra cap.10).

Un altro parametro è dato dalla portata demografica del territorio, estrapolata dalla carrying

capacity. Questo proxy datum permette una visione immediata del possibile modello sociale (cfr. infra cap.6), e risulta fondamentale nell’interpretazione della natura dell’organizzazione

socio-politica delle comunità analizzate. L’ipotesi di partenza è la seguente: se la portata demografica ipotizzabile per un dato territorio non è sufficiente a supportare un’organizzazione socio-politica complessa, ciò dimostra la mancanza di autorità centrali e forme di organizzazione statali o para-statali. L’analisi utilizzata per testare l’ipotesi è la Site Catchment Analysis, ossia il calcolo delle aree di approvvigionamento di un sito (cfr. infra cap.11).

All’interno di questo parametro viene anche tenuta in considerazione la possibilità di ricostruire l’economia del territorio indagato, fornendo una visione più chiara e precisa non solo delle eventuali suddivisioni territoriali, ma anche della tipologia di attività produttive presenti nell’area indagata.

L’ultimo parametro è definito come la possibilità dell’esistenza o meno di una gerarchia fra i siti e gli insediamenti. Se è individuabile una organizzazione gerarchica relativa ai siti nuragici esaminati, ciò potrebbe essere una testimonianza della gerarchizzazione sociale e dell’esistenza di livelli diversi di potere, in genere associati a precisi status symbol, fra i quali possono essere annoverati edifici monumentali o maggiori estensioni di terreno controllato e/o posseduto. L’ipotesi di partenza può essere quindi formulata in questi termini: se non è riscontrabile una precisa gerarchia fra singoli siti e fra insediamenti l’organizzazione socio-politica nuragica non può essere definita una società centralizzata e statale.

L’individuazione di livelli gerarchici si basa sulle dimensioni e la standardizzazione delle costruzioni, sulla distanza fra i siti e usando tutta una serie di altri dati archeologici, quali la differenziazione nella distribuzione dei beni di lusso (Hodder e Orton 1976:67)

I dati utilizzati sono quindi relativi soprattutto alle tipologie architettoniche degli edifici: si tratta di un dato altamente significativo, così come risulta dallo studio dei modelli di antropologia sociale (cfr. infra cap.6). D’altro canto, non si hanno ancora dati sufficienti per analizzare le estensioni presunte dei villaggi, per i quali mancano quasi completamente dati di scavo e la cui analisi

104 Cfr. infra questo capitolo e cap.6

riscontra non pochi problemi di ordine interpretativo (Hodder e Orton 1976:73). Questo aspetto verrà messo in luce nelle conclusioni, in considerazione di tutti i dati ricavati dalla ricerca, oltre a mettere in evidenza di volta in volta l’importanza di determinati proxy data per testare questa ipotesi (cfr. infra capp.10 e 11).

7.3. Il confronto etnografico: lo stazzo in Gallura

Una peculiarità della Gallura è l’insediamento rurale, caratterizzato dall’habitat disperso organizzato in fattorie sparse per tutto il territorio gallurese e chiamate ‘stazzi’, nome che probabilmente deriva dal latino statio, ossia luogo di permanenza. Si tratta di case unifamiliari, mono o pluricellulari, che rappresentano il nucleo centrale di una piccola azienda contadino-pastorale e definiti da Maurice Le Lannou “un village sarde en miniature” (Le Lannou 2006:274), trattandosi di unità autonome e indipendenti sotto ogni punto di vista. Il nome identifica sia il fabbricato sia il suo territorio di pertinenza.

L’habitat rurale in Sardegna è il risultato dell’organizzazione agricola delle terre comuni, dal momento che fino all’Editto delle Chiudende emanato nel 1820, la coltivazione delle terre era sotto un regime comunitario e non esisteva la privatizzazione dei campi. Questo significa che ogni villaggio o paese possedeva un territorio ad uso comunitario, suddiviso in viddazzone, paberile e

salto. Il ‘viddazzone’ era il terreno destinato alla produzione cerealicola che, lasciato a riposo

l’anno seguente secondo la rotazione biennale delle colture e diffusa in tutta Europa, diventava paberile, ossia terreno adibito al pascolo aperto del bestiame domestico. Infine i salti erano i luoghi isolati e lontani dal paese, incolti e dominati dalla vegetazione spontanea boschiva105.

I villaggi con le terre coltivate confinanti spesso si trovavano nella necessità di accordarsi per poter dare continuità d’uso ai campi e evitare di dover realizzare chiusure, mentre sono sempre stati considerati confini quelli dati da elementi naturali come corsi d’acqua e rilievi orografici (Costa 2005).

Numerosi tentativi di privatizzare la terra erano stati fatti già da epoche precedenti all’editto delle Chiudende di epoca piemontese ed è probabile che sia in una prospettiva già ‘di possesso’ che nascano gli stazzi, simili in questo ad altre forme di habitat rurale disperso, quali i chiusi della Nurra e i furridroxius del Sulcis. La sua nascita è però strettamente correlata anche al profondo spopolamento che investi tutta la regione gallurese alla fine del periodo giudicale quando le incursioni piratesche, la malaria e l’inospitalità del suolo, dovuta alla impervietà dei rilievi e alla scarsa fertilità del suolo, avevano scoraggiato l’insediamento umano, soprattutto nelle zone costiere

105

Questo modello di organizzazione spaziale del territorio circostante sembra riprodurre il modello esistente in letteratura realizzato da Von Thunen (Bintliff 1999:507; Evans e Gould 1982:281; Von Thünen 1966).

della Bassa Gallura (Fara 1838b). Esso si sviluppava unicamente in alcune grosse borgate collocate nell’interno. Si trattò quindi di un ripopolamento lento e, appunto, disperso, avvenuto per scissione dalle grandi comunità di gruppi umani che riorganizzarono l’occupazione del territorio nella forma peculiare dello stazzo.

Lo stazzo, la cui storia inizia nel XVII secolo, ha da sempre rappresentato la forma migliore di sfruttamento del territorio gallurese ed è la forma insediativa tipica di tutta la Gallura, tanto da rispettarne precisamente i limiti naturali, confermandoli e quasi trasformandoli in confini culturali (Le Lannou 2006:267). Ad oggi questa forma è quasi scomparsa, lentamente sostituita da forme moderne di insediamento a partire dalla metà del XX secolo.

Le dimensioni dello stazzo variano con le potenzialità d’uso dei terreni di pertinenza. A questo riguardo possono essere divisi in tre classi principali, con stazzi piccoli che hanno un’estensione di 60-100 ha; stazzi medi di 150-200 ha e stazzi grandi di 300-500 ha. Il dato trova una incredibile pertinenza con il dato ricavato da alcune analisi territoriali relative all’estensione degli insediamenti nuragici (Tanda e Depalmas 1991:154). Inoltre, sebbene in epoche più recenti, si sia diffuso lo stazzo di piccole dimensioni viene precisato come, nella distribuzione dei moderni stazzi, sia evidente il raggruppamento che fornisce l’identità degli stazzi più antichi molto più grandi (Le Lannou 2006:271). Ciò conferma uno degli assunti generali di questo lavoro, ossia l’importanza della distanza e del rapporto fra siti, significativo per la ricostruzione di agglomerati interdipendenti.

Anche l’ubicazione generale trova un interessante collegamento con il periodo nuragico, dal momento che lo stazzo veniva per lo più collocato in posizione baricentrica rispetto al fondo e su una collina o un’altura in modo da dominare e controllare il territorio (Brandano 2001:291)

La distribuzione e l’organizzazione del territorio in stazzi potrebbe fornire un interessante confronto con la realtà nuragica qui indagata e sostituire un più generico ‘confronto etnografico’ che, seppur debba essere preso con le dovute cautele, risulta tuttavia di una certa utilità.

L’analisi dell’insediamento tradizionale può rappresentare, quindi, un importante indicatore territoriale delle attività che per secoli sono state praticate in Gallura. È già stata rilevata una comune scelta insediativa dell’insediamento rurale e di quello archeologico sul territorio gallurese. Ciò può aiutare ad inquadrare le esigenze e, in parte, le attività delle genti che in passato hanno frequentato la Gallura e che, nel corso delle varie epoche storiche, sembrano aver avuto le medesime esigenze di occupazione del territorio (Manconi 1996:189).

Si intende pertanto creare un modello spaziale, ricavato dalla distribuzione degli stazzi galluresi, che possa essere messo a confronto con i dati censiti per l’età nuragica e con i risultati ottenuti dalle analisi proposte in questo lavoro. Le costanti e gli indicatori da confrontare sono ovviamente quelli

relativi alla distribuzione spaziale dei singoli siti, alla loro distanza e al rapporto con l’ambiente circostante.

Il problema, che verrà affrontato in sede opportuna (cfr. infra cap.11), è il concetto di spazio rurale, inteso come una modalità di distribuzione della popolazione all’interno di uno specifico spazio agricolo che mostra una specifica maglia distributiva fondata sulla dicotomia fra densità e dispersione (Tore et al. 1988:460). La domanda è se un tale concetto abbia senso per l’età nuragica, cioè se un tale tipo di organizzazione e sfruttamento del territorio fosse già presente durante l’età del Bronzo in Sardegna, come poi sarà invece per le epoche punica e romana.

L’analisi di questi aspetti, legata sempre strettamente all’indagine sulla società nuragica, parte dalla convinzione che tra le caratteristiche del paesaggio e l’organizzazione politica e sociale che ne fa uso ci sia un legame coerente e stretto. E, considerando il paesaggio come un’entità dinamica che fa parte integrante della vita di chi lo abita, raccordare le maglie di una storia così lunga potrebbe essere il primo passo per una comprensione sempre più profonda non solo delle comunità nuragiche, ma anche di coloro che ne hanno ereditato il territorio.

Capitolo 8

METODOLOGIA DELLA RICERCA E