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Classificazione dei quadrupedes nella cultura romana

Le fonti letterarie si riferiscono al termine quadrupedes indicando l’insieme degli animali che hanno quattro zampe1 come boves2, equi3 e porci4 ma anche animali esotici5. Varrone e Columella, che si sono occupati de re rustica, hanno inteso quadrupedes non come termine indicante animali a quattro zampe ma come termine relativo a tutte quelle specie che vivono a stretto contatto con l’uomo e da cui quest’ultimo trae un’utilità

economica6. Ma se per Varrone i quadrupedes sono tutti gli animali idonei alla

collaborazione lavorativa con l’uomo e alla funzione di custodia del pecus, Columella entra più nello specifico e preferisce inserire i quadrupedi in due generi di specie animali e cioè un primo gruppo cui appartengono gli animali dediti alla produzione diretta di alimenti o al lavoro, buoi, muli, cavalli e asini, e un secondo gruppo – non certamente secondario – formato da pecore, capre, maiali e cani che sono comunque legati ad un’attività utile all’uomo, come la custodia dei beni:

Relinquitur, inquit Atticus, de quadripedibus quod ad canes attinet, <quod pertinet> maxime ad nos, qui pecus pascimus lanare […] canis enim [ita] custos pecoris [et] eius

quod eo comite indiget ad se defendendum.7

[…] igitur que cum sint duo genera quadripedum, quorum alterum paramus in consortium operum sicut bovem, mulam, equum, asinum, alterum voluptatis ac reditus

et custodiae causa ut ovem, capellam, suem, canem […].8

Columella, con uno sforzo sistematico più ampio rispetto a Varrone che impiega il termine quadrupes in funzione della idoneità degli animali dediti al lavoro e alla custodia

1

Per questo capitolo si è fatto ampio riferimento al lavoro di P.P. ONIDA, Studi sulla condizione degli animali non umani nel sistema giuridico romano cit. Cfr. ISID., Etymologie sive origines, 12, 1, 4: «Quadrupedia vocata, quia quattuor pedibus gradiuntur: quae dum sint similia pecoribus, tamen sub cura humana non sunt, ut cervi, dammae, onagri, et cetera. Sed neque bestiae sunt, ut leones neque iumenta, ut usus hominum iuvare possint».

2

CAT., De agri cultura, 102; VARR., Rerum rusticarum de agri cultura, 1, 20, 1; VARR., De lingua latina,

7, 3, 39; COLUM., De re rustica libri XII, 6 praef.

3

QUINT., Institutiones oratorie, 8, 6, 20; GELLIUS, Noctes atticae, 18, 5, 4-5, in Le notti attiche, a cura di G. Bernardi Perini, Torino 1992; MACR., Saturnalia, 6, 9.

4

COLUM., De re rustica libri XII, 7, 10, 5.

5

Ad esempio, coccodrilli ed elefanti: ivi, 7, 10, 5. Cfr. P.P. ONIDA, Studi sulla condizione degli animali non

umani nel sistema giuridico romano cit., pp. 213-233. 6

Cfr. VARR., Rerum rusticarum de agri cultura, 1, 20, 1: «igitur de omnibus quadripedibus prima est

probatio, qui idonei sint boves, qui arandi causa emuntur».

7

Ivi, 2, 9, 1.

8

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del pecus, osserva che ci sono due generi di quadrupedi. Per Columella buoi, muli, cavalli e asini appartengono al primo gruppo e sono quegli animali che l’uomo utilizza per il lavoro; mentre pecore, capre, maiali e cani – animali utili, per il reddito e per la custodia dei beni – rientrano nel secondo insieme. Il tutto trova conferma in Sant’Agostino (354- 430) che, con un salto temporale di circa tre secoli, nel De genesi ad litteram imperfectus

liber e nel De genesi ad litteram liber conferma la precisazione dei confini della presente

classificazione relativa a gli animali impiegati come ausilio dall’uomo9:

Cum autem in latina lingua nomine bestiarum omne irrationale animal generaliter significetur, hic tamen distinguendae sunt species, ut quadrupedes accipiamus omnia iumenta, serpentes omnia repentia, bestias vel feras omnia quadrupedia indomita, pecora vero quadrupedia, quae non operando adiuvant, sed dant aliquem fructum pascentibus.10

Secondo Agostino, dunque, l’assenza di razionalità è alla base del termine bestia ma, con riferimento ad altre classificazioni11. Agostino precisa che è necessaria una distinzione. Tale differenziazione non è insita tra il dato naturale della struttura fisica dell’animale e il dato del possesso delle quattro zampe, ma attinge al rapporto di utilità che lega l’uomo al quadrupede. Non manca la constatazione, da parte di Agostino, dell’importanza della struttura fisica dell’animale. I serpenti, ad esempio, non hanno vincoli di utilità con l’uomo nel lavoro e per questa ragione è naturale che l’eccezione – ossia l’obiettiva importanza del dato fisico – non può non essere presa in considerazione. L’elemento principale della distinzione dei quadrupedes, da un punto di vista tassonomico, si realizza, per Agostino, nella capacità dell’animale di aiutare l’uomo nell’attività lavorativa e di procurargli alimenti. Il riferimento diretto è dunque a iumenta e pecora che – rispetto ad altre specie dotate di quattro zampe, come le bestiae vel ferae, non caratterizzate dalla propensione al rapporto lavorativo con l’uomo – sono funzionali all’uomo dal punto di vista lavorativo e per i frutti naturali da essi prodotti. Il cane viene compreso, da parte del vescovo di Ippona, tra bestiae come leoni, leopardi, tigri, lupi, volpi e scimmie e dunque non è annoverato tra i quadrupedi che potenzialmente adducono una qualche utilità all’uomo:

9

P.P. ONIDA, Studi sulla condizione degli animali non umani nel sistema giuridico romano cit., p. 216.

10

AUG., De genesi ad litteram imperfectus liber, 15, 53; cfr. ID., De genesi ad litteram liber, 3, 11, 16.

11

Agostino, nel brano appena citato, commenta il passo biblico tratto dal Liber Genesis, 1, 24. Ciò non va ad inficiare la caratterizzazione tassonomica del discorso.

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Rursus leonibus et pardis et tigridibus et lupis et vulpibus, canibus etiam et simiis

atque id genus ceteris usitate convenit vocabulum bestiarum.12

Nel secondo brano di Columella, buoi e cavalli, che forniscono ausilio nel lavoro, e pecore e maiali per i loro frutti naturali, sembrano indicati in maniera più specifica come animali funzionali agli uomini. In Agostino i quadrupedes considerati in qualità di

pecudes sono dunque quelle specie che sono necessarie all’uomo per il lavoro e il

nutrimento13. Il termine quadrupedes, in confronto alle fonti di tipo letterario è utilizzato

in maniera marcatamente limitativa nelle fonti giuridiche romane14. I quadrupedi vengono

presi in considerazione, dal punto di vista giuridico, esclusivamente in relazione all’actio

de pauperie: come vedremo meglio nel prosieguo della ricerca, si tratta di una particolare

azione esperibile da chi fosse stato danneggiato, in generale, da un qualunque comportamento animale o, nel caso specifico, da parte degli animali da tiro e da soma ossia gli animalia quae collo dorsove domantur15. Il limes della classificazione dei

quadrupedi, in ambito giuridico romano, è stato identificato grazie alla concezione di

familia, intesa come nucleo politico e di lavoro16. L’unità dell’organizzazione familiare si concretizzava nel ruolo e nel potere che il pater familias gestiva sia internamente che esternamente alla familia stessa. Nella cultura romana il potere del pater familias o, meglio, l’esercizio della titolarità relativa a quel soggetto giuridico costituiva la

piattaforma e la forza della collaborazione tra specie umana e animale17. Gli animali che

rientravano in questa organizzazione collaborativa erano chiaramente sottoposti alla

potestas del pater familias allo stesso livello di servi e liberi homines. Più che di

“sovranità” converrebbe parlare dell’esercizio del mancipium – diritto di proprietà e di possesso – intendendolo come una sorta di imperium domestico. Gli animali da tiro e da soma, appunto gli animalia quae collo dorsove domantur, insieme con servi e persone libere rappresentano gli elementi personali, mentre fondi e servitù prediali l’ambito territoriale che viene sottoposto all’esercizio del potere.

12

AUG., De genesi ad litteram liber, 3, 11, 16.

13

Si veda infatti ivi,3, 11, 17: «Praedixi enim et quadrupedum nomen quam late pateat, ipso pedum numero

facile agnosci et nomine pecorum vel bestiarum omne irrazionale animal aliquando comprehendi».

14

P.P. ONIDA, Studi sulla condizione degli animali non umani nel sistema giuridico romano cit., p. 219.

15

Per i quadrupedes, quae dorso collove domantur, si veda: TAC., Tituli ex corpore ulpiani, 19, 1, in Tituli

ex corpore ulpiani. Storia di un testo, a cura di F. Mercogliano, Napoli 1997. 16

La tesi più esemplificativa della nozione di familia è stata elaborata da P. BONFANTE, Teorie vecchie e

nuove sulle formazioni sociali primitive, in ID., Scritti giuridici varii, vol. II, Famiglia e successione, Torino

1925, pp. 57 sgg. Si veda pure: G. GROSSO, Lezioni di Storia del diritto romano, Torino 1965, p. 131.

17

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Il termine quadrupedes, ai tempi delle duodecim tabularum leges, era vincolato a tutti gli animali da lavoro membri della familia e – implicando una connotazione funzionale – non alludeva a tassonomie fondate solo sul dato naturale della struttura fisica degli animali. È necessario sottolineare che nel periodo della legislazione decemvirale del V secolo a.C., il diritto romano non prende in considerazione le specie animali a quattro zampe per ciò che concerne le responsabilità derivanti da pauperies in quanto atto contra

naturam. Ma seguendo l’ordinamento stesso delle XII Tavole (V sec. a.C.), il valore

funzionale dei quadrupedi fu successivamente esteso ai fini di riconoscere una garanzia a salvaguardia dell’individuo che avesse subito un danno da parte di animali non annoverati nella tassonomia dei quadrupedes. La precisazione dei limiti del termine quadrupedes è definita, in età arcaica, attraverso l’analisi della legislazione decemvirale e dell’actio de

pauperie. Ma la questione relativa all’identificazione della nozione di quadrupede

appartiene, in verità, ad una fase più matura della cultura romana18. Nel caso di pauperies

il Digesto interviene formulando che il proprietario dell’animale reo aveva il diritto di appellarsi alla noxae deditio che, in questo caso, consisteva nella consegna del quadrupede alla persona offesa implicando la deresponsabilizzazione del proprietario stesso:

Si quadrupes pauperiem fecisse dicetur, actio ex lege duodecim tabularum descendit: quae lex voluit aut dari id quod nocuit, id est id animal quod noxiam commisit, aut

aestimationem noxiae offerre.19

Ulpiano aveva ripreso il concetto espresso in precedenza da Festo che definisce la

pauperies come damnum quod quadrupes facit20. Si deduce una certa continuità di definizione, da parte del giurista romano, esemplificata dall’utilizzo del verbo facere21 che racchiude il vero senso dell’azione dannosa compiuta da quadrupedi.

18

Cfr. M. V. GIANGRIECO PESSI, Ricerche sull’actio de pauperie dalle XII Tavole a Ulpiano cit., pp. 117.

19

D. 9, 1, 1 pr. (ULP. 18 ad ed.).

20

FESTUS [d’ora in poi FEST.], De verborum significatu, s.v. Pauperies, in Sexti Pompei Festi De verborum

significatu quae supersunt cum Pauli Epitome, a cura di W.M. Lindsay, Stutgardiae – Lipsiae, 1913, 19972, p. 346 L.

21

Cfr. D. 9, 1, 1, 3 (ULP. 18 ad ed.): «Ait praetor ‘pauperiem fecisse’. pauperies est damnum sine iniuria

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La legislazione decemvirale racchiude una compagine di azioni volte a tutelare dai danni compiuti da animali22. Come ha sottolineato M. Talamanca23 tali ipotesi di danno non erano regolate in maniera unitaria ma organizzate in forza di svariate azioni contemplate, tra cui la stessa actio de pauperie, l’actio de pastu pecoris24 e l’actio relativa a chi avesse fatto pascolare, furtivamente e di notte, il proprio gregge su terreni altrui e cioè il frugem patisse ac seguisse25. L’actio de pauperie, forse voluta per difendere la proprietà dell’instrumentum fundi, era stata elaborata in età arcaica e cioè in un arco temporale che precede la stesura delle XII Tavole26. Nello specifico l’actio de pastu

pecoris e l’azione pertinente il frugem patisse ac seguisse, andando a sanzionare il

pascolo abusivo nei terreni di proprietà altrui in un contesto tipicamente agro-pastorale, implicavano di certo una funzione significativa nel contenere le divergenze fra la proprietà contadina e la pratica della pastorizia. La diversificazione delle specie animali, per le quali furono elaborate queste azioni giuridiche, era il reale elemento da cui dipendeva il ricorso a tali provvedimenti piuttosto che l’isolato comportamento che portava al danno il singolo animale. Questa organizzazione differenziata, poi, non scaturiva solo da elementi di tipo economico e sociale – al di fuori dell’indole del singolo animale – e da un’esigenza tecnica, ma dal bisogno di assicurare, nelle relazioni umane, quella risoluzione giuridica il più possibile corrispondente alla diversa natura degli animali coinvolti nel danno.

La questione relativa al danneggiamento da parte di animali risulta essere dunque una questione attinente all’esigenza della differenziazione delle specie animali. Si può affermare che sono fondamentali l’analisi e il rilievo economico e sociale dei singoli animali compresi nella tassonomia dei quadrupedes e lo studio degli strumenti adottati dalla cultura romana in riferimento ai danni causati da animali. Provvedimenti diversi dall’actio de pauperie, in cui la responsabilità del danno inflitto non dipende dalla condotta dell’animale, verranno ad essere contemplati – dopo un lungo processo storico –

22

Cfr. M.V. GIANGRIECO PESSI, L’interpretatio prudentium nell’evoluzione dell’actio de pauperie: res

mancipi e res nec mancipi, in Nozione, formazione e interpretazione del diritto. Dall’età romana alle esperienze moderne. Ricerche dedicate al professor Filippo Gallo, vol. I, Napoli 1997, p. 291.

23

Cfr. M. TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano cit., p. 625. Si veda pure: M.V. GIANGRIECO PESSI,

L’interpretatio prudentium nell’evoluzione dell’actio de pauperie: res mancipi e res nec mancipi cit., pp.

209 e 291.

24

Esercitabile per ottenere il risarcimento del danneggiamento subito dal dominus di un fondo, per effetto del pascolo abusivo del bestiame di terzi.

25

Quest’ultima ipotesi di danno contemplava anche i casi di coltivazione illecita, e di devastazione di messi altrui.

26

Cfr. M.V. GIANGRIECO PESSI, Ricerche sull’actio de pauperie. Dalle XII Tavole ad Ulpiano cit., pp. 4 sgg.

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nell’actio legis Aquiliae. Per questo motivo, tentare di ricostruire e di comprendere al meglio la specificità della nozione di tassonomia animale nella cultura romana è, dal punto di vista della ricerca, inevitabile.

Comunque hanno tutti lo status di mancipi gli animalia da tiro e da soma che,

collo dorsove domantur, vengono designati sotto il nome di quadrupedes nelle XII

Tavole27. Proprio in relazione a questi animali che forniscono ausilio e che sono dotati di

quattro zampe si era presentata l’esigenza di definire la “tutela”, un’actio, a fronte dei danni che tali specie potevano arrecare all’uomo e a tutto ciò che era assoggettato alla sua

potestas28. La principale discriminante tra uomo e animale era, per la filosofia greca, equiparabile all’assenza della ragione. Mentre l’elemento che nella cultura romana pone sullo stesso piano gli uomini – se servi – e gli animali è la condizione di res mancipi. Questa analogia di status tra l’uomo e l’animale non può fondarsi sulla caratteristica fisica ma sulla presupposizione funzionale dell’ausilio lavorativo. Tale formulazione implica necessariamente l’esclusione delle specie d’indole feroce dall’impostazione originaria dell’actio de pauperie, in quanto alle origini gli animali feroci o selvaggi non erano in cattività29. Anche se non si può escludere un atto di efferatezza da parte di un animale feroce successivamente addomesticato, l’azione violenta non poteva essere ritenuta contra

naturam come se fosse stata compiuta da un animale domestico30.

È anche importante valutare quale ruolo avessero gli animali all’interno del nucleo della familia romana31. In età arcaica gli animali quae collo dorsove domantur erano elementi costitutivi del nucleo familiare: l’espressione più significativa di questa concezione è nel valore della noxae deditio che, essendo relativa a tutti gli esseri animati sotto la custodia del pater familias, si presenta – come teorizzato da F. Gallo – in qualità di «signoria indifferenziata» dello stesso pater familias su uomini e animali32.

27

Cfr. J. KERR WYLIE, Actio de pauperie, Dig. 1. IX tit. 1, «Studi Riccobono», 4 (1936), p. 465; B.S.

JACKSON, Liability for Animals in Roman Law: an Historical Sketch, «The Cambridge Law Journal», 37 (1978), pp. 122 sgg.

28

Cfr. J. KERR WYLIE, Actio de pauperie, Dig. 1. IX tit. 1 cit., p. 465; S.PEROZZI, Istituzioni di diritto

romano vol I cit., Roma 1928, p. 369. Si veda pure, anche se in posizione contraddittoria con il resto della

bibliografia sull’argomento: M.V. GIANGRIECO PESSI, Ricerche sull’actio de pauperie. Dalle XII Tavole ad

Ulpiano cit., pp. 138 sgg. 29

Cfr. M.V. GIANGRIECO PESSI, Ricerche sull’actio de pauperie cit., pp. 352 e passim.

30

Cfr. U. ROBBE, L’actio de pauperie cit., passim.

31

Cfr. P.P. ONIDA, Studi sulla condizione degli animali non umani nel sistema giuridico romano cit., pp.

226 sgg.

32

Cfr. F. GALLO, Osservazioni sulla signoria del pater familias in epoca arcaica, in Studi De Francisci,

vol. II, Milano 1956, p. 221 e passim; ID., Potestas e dominium nell’esperienza giuridica romana, «Labeo»,

16 (1970), pp. 1 sgg. Si veda pure: L. CAPOGROSSI COLOGNESI, La struttura della proprietà e la formazione

dei iura praediorum nell’età repubblicana, vol. I, Milano 1969, pp. 147 sgg.; ID., Ancora sui poteri del

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È necessario sottolineare, poi, l’importanza della tassonomia degli animali da lavoro nella familia pecuniaque. Questa tassonomia chiarisce il quadro d’insieme in cui le specie che forniscono ausilio fanno parte a tutto tondo della comunità familare. Secondo M. Wlassak, in particolare, era possibile distinguere i quadrupedes tra i buoi, che facevano parte direttamente della familia, e muli, cavalli e asini che erano pecunia33. L’unitarietà della familia appare vincolata anche al comportamento di un soggetto giuridico come i quadrupedes i cui atteggiamenti venivano sanzionati se accaduti contra

naturam34.

Nell’età arcaica le attività principali erano l’agricoltura e la pastorizia. Per questo motivo, il fenomeno del danneggiamento da parte di animali da lavoro doveva essere una situazione ordinaria. Gruppi gentilizi diversi l’uno dall’atro gestivano il controllo sulla transumanza delle greggi, le quali si trovavano dunque ad essere assoggettate ora a una padronanza ora a un altra in base ai terreni che venivano occupati. L’actio de pauperie, vincolata fin dalle sue origini all’esame della naturalità del comportamento animale – come parametro di valutazione della sussitenza del danno arrecato – spesso non forniva una varietà di strumenti giuridici tale da poter ovviare a casi come il danneggiamento alle messi o ai pascoli altrui. In questo ultimo caso il comportamento animale non era contra

naturam ma lecito, in quanto insito nella natura stessa dell’animale che aveva compiuto il

danno. Da questa esigenza il diritto romano elaborò l’actio de pastu pecoris35 e l’actio per il frugem patisse ac seguisse36 che si riferivano a quelle specie che per alimentarsi

necessitano anche di pascoli itineranti. A questo punto dell’evoluzione della cultura romana, la classificazione dei quadrupedes si estese fino a comprendere anche quelle specie che hanno la capacità di produrre dei frutti naturali e quindi, non solo gli animali

romano) cit., pp. 164 sgg. Sull’unitarietà del potere del pater familias: A.M. RABELLO, Effetti personali della “patria potestas”, vol. I, Dalle origini all’età degli Antonini, Milano 1979, pp. 63 sgg. Sulla patria potestas: G. LOBRANO, Pater et filius eadem persona. Per lo studio della patria potestas, Milano 1984, pp. 2, 5 e 152 sgg.

33

Cfr. F. GNOLI, Di una recente ipotesi sui rapporti tra “pecus”, “pecunia”, “peculium”, «Studia et Documenta Historiae et Iuris», 44 (1978), pp. 204 sgg.; M. TAGLIALATELA SCAFATI, Il cavallo e la cavallinità. In margine ad una “storia di parole”, «Labeo», 25 (1979), pp. 185 sgg.

34

Cfr. D. 9, 1, 1, 7 (ULP. 18 ad ed.) e Institutiones [d’ora in poi Inst.], 4, 9pr., in Corpus iuris civilis cit. Si

veda pure: J. TRIANTAPHYLLOPOULOS, Contra naturam, in Sodalitas. Scritti in onore di Antonio Guarino,

vol. III, Napoli 1984, p. 1415.

35

Cfr. D. 19, 5, 14, 3 (ULP. 41 ad Sab.); D. 10, 4, 9, 1 (ULP. 24 ad ed.); D. 9, 2, 39 (POMP. 17 ad Q. Muc.). Per l’actio de pastu, si vedano: A. FLINIAUX, Une vieille action du droit romain: l’“actio de pastu”, in

Mélanges de droit romain dédiés a Georges Cornil, vol. I, Paris 1926, pp. 245 sgg.; M.V. GIANGRIECO

PESSI, Ricerche sull’actio de pauperie dalle XII Tavole ad Ulpiano cit., pp. 171 sgg.

36

Cfr. PLIN. Naturalis historia, 18, 3, 12. Si veda poi: M. V. GIANGRIECO PESSI, Ricerche sull’actio de

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che erano stati intesi sino a quel momento esclusivamente come res mancipi per il loro valore funzionale.

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