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Lo ius naturale: il diritto comune a tutti gli animalia

Come si è potuto constatare, il concetto di affinità tra tutti gli animali e del rispetto verso di essi deriva dalla filosofia greca e da questa si trasmette alla tradizione culturale romana. È attraverso due vie che, nello specifico, si trasmette dalla cultura filosofica greca a quella romana questa idea di affinità, ossia tramite il rifiuto dei sacrifici di animali e l’individuazione di uno ius naturale comune, appunto, agli uomini e agli animali.

Varrone e Seneca (4 a.C-65 d.C.) – soprattutto il primo – trattano del rifiuto dei sacrifici degli animali. Grazie alla testimonianza di Arnobio (255-327), sappiamo che Varrone avrebbe affermato che pure gli dei erano contrari ai sacrifici degli animali1. Seneca, così riporta Lattanzio (250-327 ca.), rifiutava assolutamente il sangue derivato da sacrifici2. Sull’affinità tra l’uomo e gli animali si fonda la concezione di ius naturale elaborata da Ulpiano:

Ius naturale est, quod natura omnia animalia docuit: nam ius istud non humani generis proprium, sed omnium animalium, quae in terra, quae in mari nascuntur, avium quoque commune est. hinc descendit maris atque feminae coniunctio, quam nos matrimonium appellamus, hinc liberorum procreatio, hinc educatio: videmus etenim cetera quoque animalia, feras etiam istius iuris peritia censeri. 3

Lo ius viene dunque inteso come diritto comune a tutti gli animali, uomo compreso: per questo motivo bisogna riconoscere l’importanza dell’uso del termine

animal in senso generico, in quanto indica, a livello tassonomico, tutti gli esseri dotati di

un’anima4. Inoltre, la nozione ulpianea di diritto naturale presuppone l’ipotesi di affinità

tra tutti gli animali e l’idea del rispetto che si trasmettono alla cultura romana dalla filosofia greca. Tutta la la storiografia relativa allo ius naturale è concorde nell’affermare

1

Per questo capitolo si è fatto ampio riferimento al lavoro di P.P. ONIDA, Studi sulla condizione degli

animali non umani nel sistema giuridico romano cit. Cfr. ARNOBIUS, Adversus nationes, 7, 1, in Adversus

nationes libri septem, a cura di C. Marchesi, Torino 1953: «Quid ergo, dixerit quispiam, sacrificia censetis

nulla esse omnino facienda? Ut vobis non nostra, sed Varronis vestri sententia respondeamus, nulla. Quid ita? quia, inquit, dii veri neque desiderant ea neque deposcunt, ex aere autem facti, testa, gypso vel marmore multo minus haec curant: carent enim sensu; neque ulla contrahitur, si ea non feceris, culpa, neque ulla, si feceris, gratia».

2

LACTANTIUS [d’ora in poiLACT.]., Divinae institutiones, 6, 25, 3, in Divinae institutiones, a cura di U. Boella, Firenze 1973: «Quanto melius et verius Seneca vultisne vos inquit deum cogitare magnum et placidum et maiestate leni verendum, amicum et semper in proximo, non immolationibus nec sanguine multo colendum – quae enim ex trucidatione immerentium voluptas est?».

3

Cfr. D. 1, 1, 1, 3 (ULP. 1 inst.).

4

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che nel frammento ulpianeo si possano identificare i prodromi di un diritto comune a tutti gli esseri viventi5.

In alcuni autori antichi è possibile trovare parallelismi e, dunque, affinità

concettuali, rispetto alla nozione ulpianea di ius naturale6. In Epicarpo (530-440 a.C.) si

riscontra la possibilità per gli animali di sviluppare conoscenza, soprattutto attraverso la procreazione7. Che gli animali siano dotati di un intelligenza è il parere di Apollonio (295-215 a.C.) riportato in una testimonianza di Filostrato di Lemno (150-200 ca.). L’autore delle Argonautiche osserva degli elefanti durante la traversata dell’Indo e si rende conto che gli esemplari più grandi aiutano i più piccoli, rilevando che gli elefanti lo fanno spontaneamente, proprio in base alla loro intelligenza8. Questa è la riflessione di Apollonio in riferimento anche ad altri animali, tra cui i volatili, i delfini, il lupo, l’orso e i cani9. I parallelismi tra la concezione di Ulpiano e quella di Filostrato sull’intelligenza degli animali si fonda, dunque, su di una communio che considera la procreazione, così come l’educazione dei figli, il presupposto dell’affinità tra l’essere umano e gli animali10.

Cicerone, nel De republica, testimonia che per Pitagora ed Empedocle unam

omnium animantium condicionem iuris esse denuntiant, ossia i due ritenevano che lo

status di tutti gli esseri dotati di un’anima è uno solo e che un danno arrecato volontariamente ad un animale era da considerare criminoso:

Esse enim hoc boni viri et iusti, tribuere id cuique quod sit quoque dignum. Ecquid ergo primum mutis tribuemus beluis? Non enim mediocres viri sed maximi et docti, Pythagoras et Empedocles, unam omnium animantium condicionem iuris esse denuntiant, clamantique inexpiabilis poenas impendere iis a quibus violatum sit animal. Scelus est igitur nocere bestiae, quod scelus qui velit [...]11.

Il termine scelus, nel passo di Cicerone, viene impiegato per indicare l’azione di colui che danneggia l’animale attribuendo un senso non meramente etico all’idea di uno

5

Cfr. C. LONGO, Note critiche a proposito della tricotomia ius naturale, gentium, civile, «Rendiconti del

Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere», 40 (1907), passim.

6

Cfr. A. MANTELLO, Il sogno, la parola, il diritto. Appunti sulle concezioni giuridiche di Paolo, «Bullettino dell’Istituto di Diritto Romano», 33 (1991), p. 401.

7

Cfr. P.P. ONIDA, Studi sulla condizione degli animali non umani nel sistema giuridico romano cit., p. 102;

M.V. BACIGALUPO, Il problema degli animali nel pensiero antico cit., p. 36.

8

Cfr. PHILOSTRATUS, Vita Apollonii, 2, 14, in Vita di Apollonio di Tiana, a cura di D. Del Corno, Milano

1978. Cfr. A. MANTELLO, Il sogno, la parola, il diritto. Appunti sulle concezioni giuridiche di Paolo cit., p. 402.

9

Cfr. A. MANTELLO, Il sogno, la parola, il diritto. Appunti sulle concezioni giuridiche di Paolo cit., p. 403.

10

Ibidem.

11

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ius naturale comune a tutti gli esseri viventi. Per non smentirsi, è ancora Cicerone, nel De officiis, a richiamare l’idea di una condicio iuris comune a tutti gli esseri viventi:

Gradus autem plures sunt societatis hominum. Ut enim ab illa infinita discedatur, proprior est eiusdem gentis, nationis, linguae qua maxime homines coniunguntur; interius etiam est eiusdem esse civitatis: multa enim sunt civibus inter se communia, forum, fana, porticus, viae, leges, iura, iudicia, suffragia, consuetudines, praeterea et familiaritates multisque cum multis res rationesque contractae. Artior vero colligatio est societatis propinquorum; ab illa enim immensa societate humani generis in exiguum angustumque concluditur. 54 Nam cum sit hoc natura commune animantium, ut habeant libidinem procreandi, prima societas in ipso coniugio est, proxima in liberis, deinde una domus, communia omnia; id autem est principium urbis et quasi

seminarium rei publicae.12

In questo passo Cicerone elabora, in maniera sintetica, dopo aver cercato di distinguere i vari gradi della società umana, la caratteristica principale alla base della stessa società umana, ossia la civitas13. Nel De officiis è proprio la naturalità del comportamento umano che porta lo stesso essere umano ad unirsi con i suoi simili attraverso la prospettiva del concetto di parentela. Giustificando in questo modo l’affinità tra uomo e resto degli animali, Cicerone individua che la societas umana è legata a quella degli altri esseri viventi e che tale legame si esprime nel richiamo all’istinto della procreazione. Questo elemento che accomuna gli uomini e il resto degli animali è talmente importante, per Cicerone, da rappresentare il fattore di altre società, come quella del coniugium, dei liberi, della domus e delle altre res communes. L’elemento che unisce tali società è, a sua volta, il fondamentale principium urbis e il seminarium rei publicae14. Il prospetto ciceroniano non è molto differente da quello ulpianeo nella definizione di ius

naturale inteso come diritto comune a uomini e ad animali, specialmente nei punti relativi

12

ID., De officiis, 1, 17, 53-54, in Dei doveri, a cura di D. Arfelli, Milano 1994.

13

Cfr. P.P. ONIDA, Studi sulla condizione degli animali non umani nel sistema giuridico romano cit., pp.

108-109. Sull’idea di civitas in Cicerone, si veda: P. CATALANO, Una civitatis communis deorum atque

hominum: Cicerone tra temperatio reipublicae e rivoluzioni, «Studia et Documenta Historiae et Iuris», 61

(1995).

14

Cfr. G. HAMZA, Bemerkungen über den Begriff des Naturrechts bei Cicero, in Nozione, formazione e

interpretazione del diritto. Dall’età romana alle esperienze moderne. Ricerche dedicate al professor Filippo Gallo, vol. II, Napoli 1997, pp. 349 sgg.

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alla procreazione e all’educazione nei confronti dei figli15. Seneca, nel De clementia,

dedica un brano al commune ius animantium16:

Servis ad statuam licet confugere! Cum in servum omnia liceant, est aliquid, quod in

hominem licere commune ius animantium vetet.17

Con l’espressione iniziale, servis ad statuam licet confugere, Seneca pone i limiti del potere del dominus sul servus18 ed evidenzia l’esistenza dei limiti a ciò che si presenta come lecito non solo nei confronti degli esseri umani, ma anche nei confronti degli animali. Il termine animantia, infatti, secondo A. Mantello deve ritenersi comprensivo anche degli animali non umani come da lui stesso espresso, mentre il termine commune richiama il concetto di ius comune a tutti gli esseri viventi19.

La storiografia ha anche valutato l’importanza di un valore metagiuridico dello ius

naturale, dimostrando un certo scetticismo nella sua concezione di diritto comune a tutti

gli esseri viventi relegando la nozione ulpianea nell’ambito dell’etologia e della sociologia. La storiografia che fa capo a questa corrente della romanistica non riconosce, appunto, un’unica condicio iuris che vincoli l’uomo al resto degli animali20. La tesi che nega la condivisione di un medesimo diritto si potrebbe riassumere in questo assunto. La qualifica di ius naturale data ad un istituto o a una norma avrebbe, per i giuristi classici, il significato «di ritenere quell’istituto o quella norma conforme all’ordine naturale delle cose, alle esigenze della vita, senza che a tale qualifica sia attribuito alcun rilievo

giuridico»21. Anche il parere di M. Talamanca si colloca su questa posizione e, nel fare

riferimento alla tripartizione tra ius civile, ius gentium e ius naturale del giurista Ulpiano,

15

Cfr. M. DUCOS, Les romains et la loi. Recherches sur les rapports de la philosophie grecque et de la

tradition romain à la fin de la République, Paris 1984 p. 225; S. QUERZOLI, Il sapere di Fiorentino. Etica,

natura e logica nelle Institutiones, Napoli 1996, p. 75 nota 1. 16

P.P. ONIDA, Studi sulla condizione degli animali non umani nel sistema giuridico romano cit., pp. 109-

111. Per approfondire Seneca come “giureconsulto”: A. MANTELLO, Seneca: dalla ragione alla volontà,

«Labeo», 26 (1980); G. GILBERTI, Beneficium e iniuria nei rapporti col servo. Etica e prassi giuridica in

Seneca, in Sodalitas. Scritti in onore di Antonio Guarino, vol. IV, Napoli 1984; C. MANNING, Actio ingrati

(Seneca, De benef. 3, 6-17: a contribution to contemporary debate?), «Studia et Documenta Historiae et

Iuris», 52 (1986), pp. 61 sgg.

17

Cfr. SEN., De clementia, 1, 18, 2, in La clemenza, a cura di L. De Blasi [et al.], Torino 2009.

18

Cfr. K.R. BRADLEY, Seneca and Slavery, «Class and Mediaevalia», 37 (1986), p. 160.

19

Cfr. A. MANTELLO, Beneficium servile – debitum naturale. Sen., de ben. 3. 18. 1 ss. – D. 35. 1. 40. 3 (Iav., 2 ex post. Lab.), Milano 1979, p. 165. Si veda anche: P.A. MILANI, La schiavitù nel pensiero politico.

Dai Greci al Basso Medioevo, Milano 1972, passim. 20

Non è questo il caso in cui approfondire la serie di tesi che attribuiscono allo ius naturale un valore metagiuridico per ciò che concerne la questione degli animali, in quanto si rischierebbe di uscire dal tracciato della ricerca.

21

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ritiene che il concetto di ius naturale sia più facilmente collegabile ad un contesto etologico che di diritto22. M. Talamanca, tuttavia, ritiene che l’uso del concetto di sistema giuridico permette di considerare lo ius naturale come parte rilevante del sistema stesso e, inoltre, di approfondire lo studio delle relazioni tra aree giuridiche e aree culturali, e di «chiarire le relazioni tra il sistema “ideale” dello ius Romanum e i diversi ordinamenti giuridici “effettivi” attraverso i quali esso via via si estende, in Europa, durante le età medioevale e moderna»23. In questa sede, però, si vogliono avvalorare la tesi e gli studi che promuovono la relazione tra essere umano e animali, o, meglio, ci si prefigge di superare il limite di uno ius naturale che non comprenda gli animali: tale legame, infatti, sarebbe insito nello stesso enunciato ulpianeo di ius naturale. L’uomo, attraverso l’affermazione dell’esistenza di un unico diritto comune a tutti gli animali, ha il dovere di tutelare la vita degli altri animali. Questo è il concetto espresso e condiviso anche da Lucrezio, per il quale la relazione di tutela, che si instaura da parte dell’uomo nei

confronti del resto degli animali, può avere rilevanza giuridica24. Virgilio arriva persino

ad elaborare la cura che l’essere umano deve avere – un vero obbligo – nei confronti degli altri animali25.

È l’attenzione verso gli animali, ma soprattutto lo studio del loro comportamento l’elemento principale che porta la cultura romana ad elaborare il concetto stesso di ius

naturale che sarà destinato a diventare uno dei più alti momenti di riflessione della scientia iuris. La nozione di ius naturale è un traguardo della giurisprudenza romana, per

il quale la considerazione filosofica e giuridica dello status animale si presenta come percorso unico e decisivo. Ulpiano utilizza una teriminologia differente per la designazione di istituti riservati agli uomini, e poi per i corrispondenti istituti comuni a uomini e animali. Se da una parte l’impiego di tale terminologia consente di distinguere il piano dello ius naturale da quello dello ius gentium e dello ius civile – in un quadro dal quale sembra emergere l’unità del sistema giuridico –, dall’altra parte esso giunge ad accomunare tutti gli esseri viventi26:

22

Cfr. M. TALAMANCA, Istituzioni di diritto romano cit., pp. 51 sgg.

23

P. CATALANO, Diritto e persone. Studi su origine e attualità del sistema romano cit., p. 99.

24

Cfr. LUCR., De rerum natura, 5, 855-77. Si veda anche: C.F. SAYLOR, Man, animal and the bestial in Lucretius, «Classical Journal», 67 (1971-1972), pp. 306-310 e passim.

25

Cfr. VERG., Georgica, 3, 295-310; 3, 394-408.

26

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Ius gentium est, quo gentes humanae utuntur. quod a naturali recedere facile intellegere licet, quia illud omnibus animalibus, hoc solis hominibus inter se commune sit.27

Questa unità sembra presente anche nell’ambito della religione romana, se si fa riferimento al fatto che in essa il sistema religioso è caratterizzato da una comunanza di diritti tra dèi, uomini e animali28. Tutto interviene ad avallare la tesi che promuove l’importanza del comportamento degli animali nella fondazione di alcuni istituti giuridici29.

27

D. 1, 1, 1, 4 (ULP. 1 inst.).

28

Cfr. P.P. ONIDA, Studi sulla condizione degli animali non umani nel sistema giuridico romano cit., pp.

120-158; F. SINI, Sua cuique civitati religio. Religione e diritto pubblico in Roma antica cit., p. 202.

29

Cfr. D. 21, 1, 48, 6 (POMP. 23 ad Sab.): «Non solum de mancipiis, sed de omni animali hae actiones

competunt, ita ut etiam, si usum fructum in homine emerim, competere debeant». Cfr. PL., Politicus, 289B

sgg., in Politicus, a cura di G. Giorgini, Milano 2005; ID., Leges, 808D; ID., Respublica, V 470 B; ARIST., Politica, 1284a3; XEN., Oeconomicus, 13, 9, in Oeconomicus, a cura di S.B. Pomeroy, Oxford 1994. Cfr. E. STOLFI, Studi sui “libri ad edictum” di Pomponio, vol. II, Contesti e pensiero, Napoli 2002.

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