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Il cane e l’uomo nelle consuetudini dei barbari

Fissati i termini esplicativi relativi all’incerto status del cane nella cultura romana e in quella enciclopedica altomedievale, cercheremo di far emergere come le Leges dei barbari, pur avendo una loro specificità e unicità in seno all’attenzione giuridica e alla menzione di tipologie canine, abbiano attinto con riscontrabile evidenza a tutte quelle casistiche che i legislatori romani avevano elaborato nella complessa regolamentazione del comportamento lesivo da parte dei canes.

Nel recente libro Storia sociale dei cani1 la studiosa S. McHugh, docente di letteratura inglese all’Università del New England e zooantropologa, riprendeva ciò che era stato sostenuto più di cinquanta anni fa, e cioè che nelle leggi altomedievali del re del Galles Hywel Dda (ca. 880-950, re dal 942 alla sua morte), risalenti al 945 d.C., si individuerebbe «la prima classificazione dettagliata dei cani al mondo»2. Ma la stessa studiosa, nelle sue analisi successive, procede con maggiore cautela evidenziando come questa ipotesi sia effettivamente troppo vaga per designare raggruppamenti gerarchici fra

le specie canine3. Dobbiamo rilevare che nel suo lavoro sulla storia economica e sociale

dei cani, seppur ricco di suggestioni storiche, S. McHugh non prende in considerazione la tradizione classica, soprattutto lo ius romanum e la letteratura rei rusticae, e non fa alcun cenno a quelle che oggi definiamo “leggi” barbariche. Ciò risulta essere un limite rispetto alle deduzioni cui la studiosa giunge. L’autrice, peraltro, sembra non mettere in conto che il Medioevo, come il passato in generale, «non può essere compreso – e ancora meno giudicato – basandosi sulla sensibilità, sui valori e sulle conoscenze del tempo presente»4.

L’antico testo di Hywel Dda5 è una raccolta di leggi che regolamentavano la vita

economica e sociale del Galles. Queste leggi menzionano effettivamente sette tipologie di cani probabilmente diffuse in Galles alla metà del X secolo, e i cani in questione sono identificabili nelle loro caratteristiche d’indole e fisiche tramite un’attenta descrizione del

1

S.MCHUGH, Storia sociale dei cani, (tr. it. di Dog, London 2004), Torino 2008, p. 71.

2

Si tratta del lavoro di B. VESEY-FITZGERALD, The Domestic Dog. An Introduction to Its History, London

1957 a p. 75 (traduzione nostra).

3

S. MCHUGH, Storia sociale dei cani cit., p. 71 che cita E.C. ASH, Dogs. Their History and Development,

London 1927, p. 96.

4

Dall’introduzione al libro di M. PASTOUREAU, L’orso. Storia di un re decaduto, (tr. it. di L’ours. Histoire

d’un roi déchu, Paris 2007), Torino 2008, p. XXI. 5

Sulla legge di Hywel Dda, si vedano: E. GLASSON, Histoire du droit et des institutions politiques, civiles

et judiciares de l’Angleterre, comparés au droit et aux institutions de la France depuis leur origine jusqu’à nos jour, Paris 1881-1883; F.POLLOCK –F.W.MAITLAND, The history of English law before the time of

Edward I, Cambridge 1923; H. POTTER, An historical introduction to English law and its institutions,

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legislatore ma non ne viene specificata in maniera immediatamente comprensibile la condizione economica e sociale. Apprendiamo così che il gellgi, cane rustico e

d’imponente stazza6 che veniva impiegato per la caccia al cervo, era una tipologia molto

diffusa in Galles ed era inconfondibile per il suo manto di colore chiaro tendente al giallo7. Al milgi, un levrieroide appartenente forse all’antica tipologia da cui deriva il

greyhound, pur avendo un valore pecuniario inferiore rispetto al grosso gellgi, veniva

attribuito uno speciale status che poteva perdere se trovato privo del distintivo collare che gli conferiva l’appartenenza “a qualcuno”8. Un’altra varietà canina nominata nelle leggi del re Hywel Dda si riferisce ad una generica tipologia. Ma laddove il termine colwyn è usato in riferimento ad un qualsiasi cucciolo addomesticato, il suo significato rimanda ad una tipologia distinta di cane “da traccia”: si tratta dello spaniel – tipologia di cane riconosciuta come “razza” solo a fine Ottocento –, che nel Medioevo veniva selezionato per la ricerca del selvatico e per levare la selvaggina nella caccia a tiro9. È sicuro, però, che il colwyn di un uchelwr, ottimate o nobile gallese, poteva valere molto più di un gellgi che aveva lo stesso genere di padrone. Questo esempio basterebbe da solo – almeno nel caso del Galles – a fungere da prova dello stretto rapporto che un cane riusciva ad instaurare con il suo padrone di elevato rango sociale. Una testimonianza del fatto che colpire uno status symbol, come il cane di un aristocratico, poteva equivalere a colpire

direttamente lo stesso uchelwr10. La tutela del colwyn, insomma, non derivava

semplicemente da una questione affettiva ma da motivazioni d’ordine sociale.

Continuando nell’analisi dei provvedimenti sui cani delle leggi di Hywel Dda, scopriamo che il bugeilgi era un cane da custodia del gregge che aveva il preciso compito

di «uscire tre volte nella notte per girare attorno al bestiame e controllarlo»11. Dovevano

essere poi molto note, nel Galles del X secolo, le qualità del ci callawedd (o callawfedd) utilizzato per la guardia alle proprietà e per il suo spiccato fiuto nell’arte venatoria. Era un cane che rimaneva solitamente legato ad un guinzaglio – della lunghezza di nove metri, si precisa nella legge –, ed entro il raggio di spostamento consentito aveva il diritto di

6

Cfr. D. JENKINS, The Law of Hywel Dda. Law Texts from Medieval Wales Translated and Edited,

Llandysul 1986, p. 290. Per uno studio sulle tipologie conosciute di cani da caccia del Medioevo gallese, si

veda: W. LINNARD, The Nine Huntings: a re-examination of Y Naw Helwriaeth, «Bulletin of the Board of

Celtic Studies», 31 (1984), pp. 119-132.

7

Cfr. D. JENKINS, The Law of Hywel Dda. Law Texts from Medieval Wales Translated and Edited cit., p.

290: «[…] gell probably means ‘yellow’ […]».

8

Ibidem.

9

Cfr. J. BUGNION, Les chasses médiévales cit., passim.

10

D. JENKINS, The Law of Hywel Dda. Law Texts from Medieval Wales Translated and Edited cit., p. 290.

11

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mordere l’eventuale malcapitato o il furfante che si fosse avvicinato troppo al territorio affidatogli12. Compare, nella legge, il bytheiad, che era atto a cacciare prede molto più grandi delle lepri. Se bytheiad risulta un’eco del gallese bytheirio il suo significato (“frastuono”) suggerisce che l’appellativo conferito a questo esemplare traeva origine dal suo caratteristico latrato, inconfondibile e insistente segnale di avvertimento durante le

venationes o durante la guardia13. Le leggi di Hywel Dda citano infine un’ultima varietà canina e si tratta del ci cynefodig, cane da difesa personale e addestrato a mordere a vista14.

La zooantropologa S. McHugh ha incidentalmente avuto un merito, ossia di aver evidenziato quanto un documento giuridico che tratta di animali possa essere, per uno storico, una potenziale fonte da valutare e allo stesso tempo da maneggiare con grande cura nell’arduo tentativo di intercettare aspetti di mentalità, economie e culture, di antiche società. In questo caso, anche grazie alle vicende storiche di un animale come il canis. Tuttavia un documento come le leggi di Hywel Dda non sono certo riuscite a superare l’istanza classificatrice dei giureconsulti dello ius romanum e dei legislatori delle Leges barbariche rispetto al mondo delle cose, degli uomini e, come vedremo nei prossimi capitoli, degli animali. All’alba del Medioevo (secc. IV-VI), i barbari che si affacciavano sul mondo europeo dell’Occidente e del Mediterraneo, trascinati dalla spinta dei nomadi, non rappresentavano un’unica grande nazione. Essi erano una costellazione «di culture guerriere, differenti per origine, storia e cultura, lentamente ma inesorabilmente attirate verso le terre dell’Impero romano e i suoi tanti e diversi popoli»15.

Vediamo di chiarire. Tra V e VIII secolo dobbiamo distinguere una prima fase di bipartizione culturale, nella quale, nei vari regni, si fronteggiarono lo ius romanum della popolazione autoctona e le leggi barbariche. Così è nella Spagna dei Visigoti, nella Francia burgunda e franca, nell’Italia dei Goti e dei Longobardi16. Già in questa prima fase giuridica vennero emanate delle leggi che dovevano regolamentare i rapporti tra le due popolazioni nelle questioni che le coinvolgevano. È in questo modo che nascono le

Leges, come quella del re burgundo Gundobado (513), il Breviario di Alarico e l’editto di

Teodorico II (entrambi del VI secolo), come pure la legge romano-visigota dell’inizio del VII secolo che, nell’ambito di un impianto «misto romano-barbarico, regolano le

12 Ivi, p. 291. 13 Ibidem. 14 Ibidem. 15

S. GASPARRI, Prima delle nazioni. Popoli, etnie e regni fra Antichità e Medioevo cit., p. 80.

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questioni più spinose e importanti, scardinando i due sistemi giuridici chiusi e mettendoli in comunicazione l’uno con l’altro»17. Dal II secolo in poi, da quando aumentò il fenomeno di arruolamento dei barbari nelle file dell’esercito romano, il fenomeno di reciproca compenetrazione tra Roma e la “barbarie” crebbe moltissimo. Gli stessi capi barbari, entrando in contatto e in alleanza con Roma, trassero lo spunto per aumentare la loro autorità. Fu questa una delle strade attraverso cui si sviluppò il potere monarchico dei barbari, e gli stessi Romani favorirono il crearsi di forti monarchie militari18.

I rapporti politici e sociali fra i barbari venuti a contatto con le genti romane sul Reno, così come i quadri gerarchici in cui si organizzavano i contingenti di mercenari al soldo di Roma vengono descritti nella Notitia dignitatum et administrationum omnium

tam civilium quam militarium in partibus occidentis19 (opera composta agli inizi del V secolo). Si tratta di una raccolta disordinata di notizie disparate, che gettano, a volte, qualche luce sui rapporti reciproci fra i barbari. Cronologicamente, siamo in quella fase confusa e agitata che accompagna i grandi movimenti migratori: un’epoca che presenta molti lati oscuri.

Anche se non è stato ancora valutato in tutto il suo peso, come afferma S. Gasparri

in Prima delle nazioni. Popoli, etnie e regni fra Antichità e Medioevo20, i Romani hanno

avuto un ruolo evidente nel causare trasformazioni profonde nell’ambito del mondo barbarico. Gli studi più recenti sono giunti ad intendere i barbari come parte integrante del sistema mondiale romano di età tardoantica. La cultura barbarica, infatti, a partire dal I sec. a.C. fu raggiunta filtrando «dal sud» e fu influenzata sempre più dalla cultura mediterranea21. 17 Ibidem. 18 Ivi, p. 76. 19

Opera edita da E. BÖCKING, Notitia dignitatum et administrationum omnium tam civilium quam

militarium in partibus occidentis, Add. Codd. MSS. monachiensium, romani, parisiensium, ac vindobonensis editorumque fidem recensuit, Bonnae 1887.

20

S. GASPARRI, Prima delle nazioni. Popoli, etnie e regni fra Antichità e Medioevo cit., p. 73.

21

Ibidem. Mentre H.K. Schulze e poi S.L. Guterman avevano sostenuto l’ipotesi di un pluralismo etnico-

giuridico in ambito barbarico, cfr. H.K. SCHULZE, Die frühmittelalterliche Stammesrechte als Quellen für

die Sozialgeschichte des Frankenreiches, «Waseda Hogaku (The Waseda Law Review)», 58 (1983).

Secondo alcuni studi ormai superati, con il crollo dell’apparato pubblico romano e l’inserimento nella civiltà mediterranea di stirpi del nord come Visigoti, Burgundi, Franchi e Longobardi, il vuoto politico creatosi venne ad essere colmato dal trionfo del pluralismo giuridico, dall’introduzione del principio della personalità del diritto e da ordinamenti giuridici prodotti da diversi gruppi sociali anche se in un territorio sottoposto alla medesima autorità politica. Questo principio, secondo cui ciascun uomo libero doveva essere giudicato e vivere secondo la legge d’appartenenza, è stato ampiamente dibattuto nella storiografia del XX secolo ed è attualmente contestato. La tradizione storiografica tedesca fino agli anni quaranta – cioè O. Brunner, H. Dannenbauer, T. Mayer – è stata orientata verso la constatazione dell’applicazione del principio alle sole comunità tribali; mentre negli anni settanta, K. Bösl sosteneva la non caratterizzazione etnica e personale delle Leges dei barbari le quali sarebbero state una mutazione in volgare del diritto

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Con la nuova realtà sociale dei regni sorti sulle rovine dell’impero d’Occidente – regni in minoranza numerica rispetto alla popolazione romana con cui convivevano – veniva a costituirsi, dal V secolo, sul piano della codificazione giuridica, una civiltà che avrebbe dato evidente primato alla genuinità di fatti naturali ed economici. Tempo, terra e sangue sono i tre elementi che alcuni studiosi come P. Grossi hanno utilizzato per richiamare il concetto di un “particolare” diritto, quello dei barbari22; certo un mondo lontano dall’eleganza classica di quei Digesta tanto legati alle speculazioni di uomini di scienza quali furono i giureconsulti. Allo stesso tempo, però, se di “sangue” barbaro trattiamo, non dobbiamo dimenticare che l’etnogenesi dei popoli altomedievali non era una questione di sangue, ma di tradizioni e istituzioni condivise ed il «credere in origini comuni poteva dare forza di coesione a queste comunità eterogenee. I regni altomedievali rappresentarono, per un periodo, un modo efficace per fare di tali comunità etniche l’asse attorno a cui si formavano gli stati nei territori dell’impero»23. Sul territorio dell’ex- impero vigevano dunque due diritti, quello che vennero a costituire i barbari e quello della maggior parte della popolazione autoctona di origine romana. Anche se la cultura classica continuava ad esercitare un sotteso influsso, con le codificazioni delle leggi barbariche costituitesi dalla fine del V al IX secolo, lo ius naturale romano cedette il posto alle mores, all’evidenza di un naturalismo imperante che scaturiva dal basso: un “reicentrismo” cui era affidata la vita quotidiana con la natura, le campagne, i boschi, gli uomini e gli animali. I regni dei barbari furono abbastanza flessibili da integrare modi di vita tardo romani e barbarici in un unico sistema, per lo più romano24. Reperti archeologici attestano che tra II e III secolo un grande influsso commerciale proveniente dall’area dell’impero e fatto di armi, vasellame, oggetti di lusso e di vino raggiungeva le aree dell’Europa del nord.

Rintracciare nelle codificazioni delle Leggi dei barbari il cane, come compagno della vita quotidiana del villico, dell’allevatore, inteso come elemento fondante di un mos

romano adattato alle nuove realtà territoriali, cfr. T. MAYER, Die Entstehung des modernen Staates im

Mittelalter und die freinen Bauern, «ZRG GA», 57 (1937), pp. 210-288; ID., Die Ausbildung der

Grundlagen des modernen deutschen Staates im hohen Mittelalter, «Historische Zeitschrift», 159 (1939),

pp. 457-487; H. DANNENBAUER, Adel, Burg und Herrschaft bei den Germanen. Grundlagen der deutschen

Verfassungsentwicklung, «Historisches Jahrbuch», 61 (1941), pp. 1-50; ID., Adelsherrschaft bei den germanischen Völkern, «Forschungen und Fortschritte», 20 (1944); O. BRUNNER, Land und Herrschaft. Grundfragen der territorialen Verfassungsgeschichte Südostdeutschlands im Mittelalter, Wien 1965. 22

Per una più intensa riflessione riguardo la specificità di questi termini, si rimanda ancora al lavoro di P. GROSSI, L’Europa del diritto, Roma-Bari 2007, pp. 11-36.

23

W. POHL, Le origini etniche dell’Europa. Barbari e Romani tra antichità e medioevo cit., p. 56.

24

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regis pueris25 o animale rappresentativo di quella cultura altomedievale barbarica tanto dedita alla pastorizia, e alla caccia, non risulta essere impresa difficile. Sì, in questi documenti, i cani e la caccia li troviamo spesso associati, e il teatro della caccia altro non era che lo spazio incolto, e i boschi. I prodotti dei boschi interagivano, contribuendo chiaramente all’economia rurale e, come ha scritto M. Montanari, nell’Alto Medioevo la selva non era intesa come un territorio alieno ma veniva frequentato con una certa regolarità:

Terra et silva: in questo binomio, quasi un’endiadi, si compendia il carattere di fondo

del paesaggio e dell’economia altomedioevale: la compresenza di spazi coltivati e incolti, affiancati, mescolati, compenetrati gli uni negli altri, in un mosaico di forme

ambientali cui corrispondeva un insieme vario e composito di attività produttive.26

I barbari portarono con sé una cultura sbilanciata orientata verso un’economia silvo-pastorale, che si addiceva allo stato in cui versavano i territori dell’impero romano. Le cause di questa situazione furono il disgregarsi delle istituzioni, il peggioramento del clima, il calo della popolazione27. Attraverso l’esegesi delle fonti barbariche, ciò che si dischiude alla vista non è una mera stima delle ricorrenze, rilevate in esse, del lemma

canis quanto il panorama delle consuetudini di una cultura altomedievale, che sentì a un

certo punto la necessità di vincolare tutti gli animalia alla codificazione di un complesso sistema normativo.

Del termine canis, nelle sue forme declinate – tra i documenti altomedievali da noi esaminati solo nel Capitulare de Villis si trova la variante catellus –, si riscontrano occorrenze in sette norme del Pactus Legis Salicae, in due della Lex Romana

Burgundionum, in tre delle Leges Burgundionum, in due del Pactus Alamannorum, in

undici delle Leges Langobardorum, in tre norme delle Leges Visigothorum, in sette delle

Leges Alamannorum, in dodici delle Leges Baiwariorum, in undici della Lex Salica, in sei

della Lex Frisionum. E, come vedremo nella seconda parte della ricerca, persino in venticinque capitoli dei capitularia del periodo carolingio28.

25

Vita Trudonis confessoris hasbaniensis, a cura di B. Krusch – W. Levison, MGH, Scriptores Rerum Merovingicarum, vol. VI, Passiones vitaeque sanctorum aevi Merovingici, Hannover-Leipzig 1911, pp.

273-298, a p. 278.

26

M. MONTANARI, Agricoltura e attività silvopastorali nell’alto Medioevo. Un paesaggio adriatico, in ID.,

Campagne medievali: strutture produttive, rapporti di lavoro, sistemi alimentari cit., p. 5. 27

P. GALLONI, Il cervo e il lupo. Caccia e cultura nobiliare nel Medioevo cit., p. 26.

28

Il computo non fa riferimento alle eventuali ripetizioni dell’occorrenza nell’ambito di un singolo provvedimento.

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