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Il danno cagionato dall’irrazionalità canina: l’actio de pauperie romana nel Liber

petrunculus

I Burgundi discesero dal Baltico sull’alto e medio Reno al seguito degli Alamanni e fecero la loro prima apparizione in Gallia nel 406. Dopo aver ottenuto dall’impero di stanziarsi sul medio Reno nel 413, attorno agli anni trenta del secolo V, sconfitti da Ezio e dagli Unni, ripiegarono nella regione del lago di Ginevra, estendendosi verso ovest e verso nord. Con la conquista franca del regno burgundo la regione venne trasformata in un subregno franco, ma non vennero eliminate né le aristocrazie locali, né le tradizioni giuridiche burgunde1. Resi tributari dai Franchi guidati da Clodoveo attorno al 500, furono inglobati nello stato merovingio nel 5342. Divenuti foederati dei Romani, i Burgundi si trovarono nella contingenza di ricevere da un re illuminato un codice di leggi destinato ad una fortuna impensata: è la Lex Gundobada, voluta dal re Gundobado/Gondebaldo († 516), in cui, nonostante le varie esperienze compiute dai Burgundi, si mantiene pressocchè intatto lo spirito genuino delle consuetudini. Anzi, fra i diritti orientali, le leggi burgunde sembrano le più conservative. Esse danno grande importanza alla concezione naturalistica della società e della famiglia. Le divisioni per casta non sono, a quanto pare, molto profonde e hanno tutta l’aria di essere dovute ad un’innovazione posteriore, introdotta secondo il modello dei diritti occidentali, che, evidentemente, riuscirono ad influenzare la società descritta dal Liber Constitutionum burgundo. Nel 517, il re dei Burgundi Sigismondo (516-524) aveva pubblicato un codice di leggi che porta proprio questo nome3. Domina ancora, qua e là, in questo codice burgundo, la concezione dell’uguaglianza che unisce tutti gli individui discendenti da un unico ceppo.

I Burgundi ci hanno dunque lasciato un’importante compilazione legislativa quale il Liber Constitutionum, divisa in 105 titoli. Il Liber raccoglieva alcuni editti reali, delle consuetudini burgunde e testi di diritto romano volgare4. Sempre attorno al 517 la compilazione fu arricchita con le Novellae Constitutiones, ancora del re Sigismondo, che constano di 21 titoli. Quasi contemporanea al Liber Constitutionum fu la Lex Romana

1

P.J. GEARY, Il mito della nazioni. Le origini medievali dell’Europa cit., p. 138.

2

Sui Burgundi si vedano anche: O. PERRIN, Les Burgondes, Neuchatel 1968; L. MUSSET, Le invasioni

barbariche. Le ondate germaniche cit. 3

P.J. GEARY, Il mito della nazioni. Le origini medievali dell’Europa cit., p. 138.

4

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Burgundionum (VI secolo, attribuita al re Gundobado). Questa legge è un accurato

mosaico dei precetti desunti dal diritto romano teodosiano e contribuì non poco alla conservazione delle norme burgunde, in quanto impedì confusioni fra ius romanum e consuetudini burgunde. È infatti una delle “leggi romane dei barbari”, divisa in 47 titoli. Il testo è costituito in gran parte dall’epitome di costituzioni romane, e da disposizioni regie introdotte per colmare lacune della stessa legge romana per le nuove realtà che si erano formate5.

La legislazione burgunda ci testimonia l’estrema varietà di forme che assumeva il paesaggio: selve e orti, frutteti e pascoli, vigne e prati. Si tratta di una economia silvo- pastorale che si sta gradatamente orientando verso l’agricoltura. Sono presenti infatti diverse norme volte a regolamentare il dissodamento della foresta con il metodo dell’exartum, segno della presenza di una intensa attività colonizzatrice. La selva, però, rimane sempre molto importante come riserva di materie primarie6. Uno degli obiettivi del Liber Constitutionum potrebbe essere stato quello di regolamentare i rapporti tra barbari e Romani del regno, e allo stesso tempo di modificare e approfondire il diritto

romano per le questioni di esclusiva pertinenza romana7. In questo modo, il Liber riuscì a

riunire insieme la popolazione non romana in un solo «“popolo”, costituendo esso stesso a un tempo una testimonianza e un elemento attivo della continua etnogenesi dei Burgundi»8.

Nel Liber Constitutionum risulta molto significativa una norma relativa ai danni inferti da animali (De his, quae casu contigerint, tit. 18, c. 1). Questa norma sostituì una vecchia consuetudine burgunda – definita, nel passo, antiqua calumnia – con una disposizione più funzionale, già prevista dal diritto romano. Così, riguardo il morso inferto da un animale e che aveva portato un uomo alla morte, precisamente il morso di un cane, il Liber notifica che le ripercussioni non sarebbero state ascritte al padrone del cane, come invece era in uso inter Burgundiones. D’ora in poi, se l’animale avesse commesso il danno al di fuori della responsabilità del proprietario – è un riferimento diretto all’actio de pauperie romana –, la lesione sarebbe stata ascrivibile alla sola

5

Sulla legislazione burgunda si vedano anche: R. DE HUBE’, Histoire de la formation de la loi

bourguignonne, Paris 1867; F. BEYERLE, Gesetze der Burgunden, Weimar 1936; O. PERRIN, Les Burgondes

cit., pp. 465-502; C. SCHOTT, Recht und Gesetzgebung bei der Alamannen, Burgunden und Langobarden,

Basel 1979.

6

Leges Burgundionum cit., c. XIII, p. 52; c. XLI, p. 72; c. LXVII, p. 95.

7

P.J. GEARY, Il mito delle nazioni. Le origini medievali dell’Europa cit., p. 138.

8

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irrazionalità animale in quanto commessa sine iniuria9. E quando all’improvviso un cavallo o un bue avessero condotto alla morte un loro simile, o un cane avesse morso un altro cane lontano dagli occhi del proprio padrone, secondo la legge burgunda si sarebbe agito nel medesimo modo:

Si quodcumque animal quolibet casu aut morsus canis homini mortem intulerit, iubemus etiam inter Burgundiones antiquam exinde calumniam removeri, quia quod casus operatur non debet ad damnum aut inquietudinem hominis pertinere. Ita ut si de animalibus subito caballus caballum occiderit aut bos bovem percusserit aut canis momorderit, ut debilitetur, ipsum animal aut canem, per quem damnum videtur admissum, tradat illi, qui damnum pertulit.10

Ait praetor ‘pauperiem fecisse’. Pauperies est damnum sine iniuria facientis datum: nec enim potest animal iniuria fecisse, quod sensu caret.11

Tuttavia, per la norma burgunda – come per l’actio de pauperie – il dominus del cane sarebbe comparso come responsabile oggettivo del danno commesso dall’animale. Ci sembra ora necessario, a questo punto, approfondire il discorso legato alla pauperies e all’actio de pauperie cui la norma burgunda fa riferimento. Procediamo per gradi, partendo dall’antico concetto di dazione nossale, ossia la noxae deditio. In contrapposizione con il termine mors, che può indicare lo stato di un individuo o di un animale, il termine noxa proviene dalla radice *nek’- (quindi dal greco νέκες; νεκροί;

νέκας; νεκρός) da cui trae origine nex che indica la morte nel senso di fine violenta e non,

dunque, di stato. Questa specificazione rimanda al significato dell’istituto primordiale della noxae deditio. Tale dazione permetteva, ai parenti della vittima o a coloro che appartenevano al medesimo gruppo della vittima, di riscattare dal reo che aveva inflitto il danno una ricompensa che poteva avere un valore tale da arrivare alla richiesta di morte dello stesso colpevole. Infatti, noxa e noxia rimandano a noceo-neco che, a loro volta, dipendono dalla radice *nek’-. I termini noxa e noxia hanno – seppure con delle varianti –

un significato specifico che richiama il concetto di danno12. Questa accezione è attestata

9

Leges Burgundionum cit., p. 56. Il riferimento è a D. 9, 1, 1, 3 (ULP. 18 ad ed.) e cioè al concetto romano

– pauperies – del danno provocato senza ingiuria da un animale.

10

Leges Burgundionum cit., p. 56.

11

D. 9, 1, 1, 3 (ULP. 18 ad ed.).

12

Su questa tematica, nel capitolo, si farà ampio riferimento all’analisi condotta da P.P. ONIDA, Studi sulla

condizione degli animali non umani nel sistema giuridico romano cit. Cfr. A. ERNOUT – A.MEILLET, Dictionnaire étymologique de la langue latine. Histoire des mots cit., s.v. noxa; D. 50, 16, 238: «noxae

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dal grammatico romano Festo, il quale, nel riferire l’opinione del giurista Servo Sulpicio Rufo (ca. 106 a.C.-43 a.C.), ne attribuisce una correlazione con le XII Tavole. Festo, inoltre, osserva che, fra poeti e oratori, noxia era impiegato al posto di peccatum e dell’espressione poena pro peccato13.

Il termine pauperies, invece, deriva da pauper, a sua volta da *pau-per-os, ossia dalla formula qui produit peu14. Esso indica, dunque, l’impoverimento conseguente al comportamento dell’animale15. Tutto ciò trova conferma nelle fonti. Festo intende la

pauperies come il damnum quod quadrupes facit16; speculare a questa affermazione è la definizione che Ulpiano attribuisce all’azione animale, attraverso l’utilizzo del verbo

facere:

Ait praetor ‘pauperiem fecisse’. pauperies est damnum sine niuria facientis datum: nec enim potest animal iniuria fecisse, quod sensu caret.17

Esistono delle analogie tra il danneggiamento causato da animali e il sistema delle azioni nossali. Tali analogie non devono essere localizzate nella disciplina, ma nella funzione politica che i due istituti svolgevano nel quadro delle relazioni fra le antiche

appellatione omne delictum continetur». Si vedano pure: C.A. CANNATA, Delitto e obbligazione, in Illecito

e pena privata in età repubblicana (Atti del convegno internazionale di diritto romano, Copanello 4-7

giugno 1990), Napoli 1992, pp. 31 sgg.; M.V. GIANGRIECO PESSI, Ricerche sull’actio de pauperie. Dalle

XII tavole ad Ulpiano cit., pp. 97 sgg.; G. VALDITARA, Sulle origini del concetto di damnum, Torino 1998, pp. 32 sgg.

13

Sull’uso del termine noxia nelle XII Tavole, si veda B. BIONDI, Actiones noxales cit., p. 8 nota 4. Ma si

veda soprattutto P.P. ONIDA, Studi sulla condizione degli animali non umani nel sistema giuridico romano

cit.

14

Cfr. E.ERNOUT –A.MEILLET, Dictionnaire étymologique de la langue latine. Histoire des mots cit., s.v.

pauper: «dommage causé par un animal». Secondo il Lateinisches etymologisches Wörterbuch cit., s.v. pauper, il termine deriverebbe da pauco-pars (ossia, «wenig erwerbend, wenig sich schaffend») e pauperies

da paue(ro)-pars. Si vedano, inoltre: U. ROBBE, L’actio de pauperie cit., pp. 330 sgg. nota 3; A. WATSON,

The original meaning of pauperies, «Revue internationale des droits de l’antiquité», 17 (1970), pp. 101

sgg.; M.V. GIANGRIECO PESSI, Ricerche sull’actio de pauperie. Dalle XII Tavole ad Ulpiano cit., passim.

15

Cfr. M.V. GIANGRIECO PESSI, Ricerche sull’actio de pauperie. Dalle XII Tavole ad Ulpiano cit., pp. 97-

104. M.V. Giangrieco Pessi precisa che pauperies starebbe a significare l’impoverimento derivante dal danno medesimo. Pauperies – sempre secondo M.V. Giangrieco Pessi – indicherebbe il danneggiamento operato da parte di un animale di proprietà e sarebbe, quindi, l’impoverimento causato da un animale per il quale il proprietario dell’animale deve rispondere «dando a noxa l’animale che ha provocato il danno». Cfr. anche TH.MOMMSEN, Römisches Strafrecht, Leipzig 1889, p. 834 nota 4, il quale ritiene che pauperies

abbia tratto origine da opi-parus, ossia il «lasciare pascolare». Al contrario, U. Robbe sostiene che il danneggiamento non è conseguente al pascolo in genere delle greggi, ma a specifici comportamenti, quali un calcio inferto da un cavallo o la cornata di un bue.

16

FEST., De verborum significatu, s.v. Pauperies, p. 246 L.

17

128

gentes18. Si deve partire dall’analisi dell’ambiente economico e sociale, per comprendere l’assimilazione dell’actio de pauperie al sistema delle azioni nossali. Anche perché è proprio in tale ambiente che, con ogni probabilità, nacque lo stesso istituto dell’actio de

pauperie. L’origine di questa azione è da riconnettere alle esigenze tipiche di

un’economia agro-pastorale qual era quella romana dell’età arcaica19. L’azione deve quindi essere ricondotta a quelle stesse necessità alle quali dovevano sopperire tutti quegli istituti o rimedi processuali che, nelle XII Tavole, si giustificano in relazione alla rilevanza economica della pastorizia e dell’agricoltura. Basti pensare all’azione relativa al taglio di alberi altrui, all’actio de pastu pecoris per il pascolo abusivo, o a quello contro la distruzione delle messi. La funzione originaria della nossalità non doveva essere quella di garantire alla vittima del danneggiamento un risarcimento dei danni subiti, ma di assicurare al gruppo di appartenenza dell’animale – in un sistema di gestione collettiva dei beni fondamentali per una società agro-pastorale –, la possibilità di evitare uno scontro con il gruppo parentale della vittima stessa. Anche ai tempi dei Franchi ripuari e degli Alamanni furono previste risoluzioni per evitare la vendetta familiare ma in forma diversa dalla noxae deditio: intendiamo riferirci al cosiddetto wergeld o guidrigildo.

Nell’epoca “precivica”, quando ancora la gens si presentava come il gruppo parentale entro il quale si risolveva la dimensione stessa della società, la vita del singolo dipendeva dalla forza del gruppo di appartenenza, del quale anche gli animali erano parte costitutiva come i servi e i filii familias. La solidarietà è un valore così pregnante all’interno del gruppo, al tal punto che l’offesa ricevuta da un componente del medesimo gruppo è percepita, in ultima analisi, come una offesa a tutta la collettività. Come ha rilevato F. De Visscher, si potrebbe discutere se il valore della solidarietà si spingesse, o no, fino al punto di determinare una sorta di colpevolezza in capo ai membri del gruppo di chi commetteva l’offesa20. È sicuro, tuttavia, che nell’età arcaica, il valore della coesione del gruppo doveva risultare fondamentale, sia dal punto di vista del mantenimento del rapporto con gli dei, sia nella conservazione dell’identità e della difesa del gruppo da minacce esterne. Sembra che tali aspetti arcaici dello ius romanum si siano ben adattati ad un insieme di leggi, come furono quelle barbariche.

18

Cfr. P.P. ONIDA, Studi sulla condizione degli animali non umani nel sistema giuridico romano cit. Si

veda pure: U. ROBBE, L’actio de pauperie cit., pp. 329 sgg.; M.V. GIANGRIECO PESSI, Ricerche sull’actio

de pauperie. Dalle XII Tavole ad Ulpiano cit., pp. 97 sgg. 19

È stato sostenuto da M.V. Giangrieco Pessi che l’actio de pauperie sia nata prima ancora delle XII Tavole, probabilmente, per tutelare la proprietà dell’instrumentum fundi, cfr. M.V. GIANGRIECO PESSI,

Ricerche sull’actio de pauperie. Dalle XII Tavole ad Ulpiano cit., pp. 4 sgg. 20

129

La ricerca dei pascoli nella pratica arcaica della transumanza – la quale per lungo tempo costituì un obiettivo primario di garanzia di sopravvivenza del gruppo –, poi la stessa difesa del valore e della integrità dei beni di produzione, dunque le res mancipi – tra le quali, ricordiamo, vi erano anche i quadrupedes da tiro e da soma –, spingevano i membri delle varie gentes romane a concepire l’unità del quadro militare e politico nella pluralità di beni e di persone. Via via che le relazioni fra le gentes romane andavano rinsaldandosi contestualmente alle esigenze religiose, politiche, commerciali, e soprattutto di difesa verso i pericoli esterni, la nossalità doveva favorire il sorgere di una responsabilità individuale. Ma, nella fase originaria della civitas, il valore della solidarietà tra i membri del gruppo doveva esprimersi, dal punto di vista economico e sociale, nell’assunzione collettiva del rischio di una soccombenza nei riguardi di un altro gruppo. Mentre, dal punto di vista esclusivamente politico, l’abbandono nossale, esteso a tutti gli esseri animati posti sotto la potestas di un capofamiglia, si accompagnava alla concezione di un potere di natura indifferenziata sopra uomini e animali appartenenti al nucleo familiare. Tale potere, la cui esatta identificazione è molto discussa dalla storiografia, sarebbe stato quello di un re21. Esso si presentava in una forma unitaria sopra tutti gli esseri animati facenti parte del gruppo: persone soggette, liberi, servi e animalia quae

collo dorsove domantur – gli animali da giogo, da tiro e da soma – per estendersi anche ai

beni inerti annoverati tra le res mancipi.

Probabilmente, fu proprio con riguardo agli animali da tiro e da soma che si pose il problema di come disciplinare le conseguenze del danneggiamento da animali, poiché in relazione a tali specie doveva presentarsi maggiore il rischio di un evento dannoso. Tale congettura trova conferma sia nella circostanza che nella formula della pauperies, dove ricorre il termine quadrupes, con cui si indicavano, tra gli altri, i pecudes che collo

dorsove domantur, sia nel fatto che gli esempi di danneggiamento riportati nel relativo

titolo edittale si riferiscono ad animali mancipi22.

Quando allora, nell’età arcaica, l’economia e lo sfruttamento collettivo dei mezzi di produzione giustificarono una socializzazione del rischio del danno tra tutti i membri della comunità, la pauperies, come il sistema della nossalità, doveva consentire al gruppo la possibilità di sottrarsi all’assunzione della responsabilità rimettendo l’animale nocivo

21

F. Gallo ha sostenuto la tesi di una «signoria indifferenziata» del pater familias, cfr. F. GALLO,

Osservazioni sulla signoria del pater familias in epoca arcaica cit., pp. 211 sgg.; ID., Potestas e dominium

nell’esperienza giuridica romana cit., pp. 1 sgg. 22

Sull’applicazione dell’actio de pauperie ai quadrupedi, si veda: J. KERR WYLIE, Actio de pauperie, Dig.

130

alla disponibilità del gruppo offeso23. In un tale momento storico, la pauperies svolgeva

nei confronti del gruppo di appartenenza dell’animale una funzione analoga a quella della

noxa per il sottoposto al potere del pater familias. Essa giustificava l’atto con il quale il

gruppo familiare ripudiava un suo membro, rifiutando, da un lato, di proteggerlo, dall’altro, di continuare a percepire i benefici del suo lavoro. L’estromissione – una sorta di ripudio collettivo – consentiva al gruppo familiare del colpevole di tentare l’ultima possibilità per evitare un conflitto con un altro gruppo, ponendo quest’ultimo in condizione di accettare un atto di resa onorevole.

Per evitare la vendetta, la noxae deditio dell’animale doveva essere incondizionata. Il gruppo non si erge a giudice dell’azione del suo membro, ma lo rifiuta attraverso un gesto simbolico di totale abbandono. La nossalità non pone l’animale in una condizione analoga alla sacertà. È sacer quell’esemplare che la comunità ha sottratto al suo destino naturale per estrometterlo dalla comunità umana e rimetterlo alla volontà divina, ed è soggetto a noxae colui che il gruppo familiare di appartenenza ha messo al bando, rifiutandone la difesa davanti ad un altro gruppo sociale24. Se proviamo a riflettere sul significato dell’espressione noxae deditio, ricaviamo una conferma ulteriore della possibilità di accostare la funzione della pauperies a quella della responsabilità nossale. Come abbiamo notato precedentemente, il termine noxa deriva dalla radice *nek’, dalla quale a sua volta trae origine il segno nex, cioè la morte – la fine violenta, in antico – da intendersi come attività piuttosto che come stato. A questo ordine di idee doveva corrispondere l’antica funzione della noxae deditio. La noxa sarebbe, infatti, la condanna a morte del colpevole e deditio l’atto di “estradizione”, del soggetto nocivo, dal gruppo di appartenenza25. Con il suddetto atto il gruppo familiare della vittima acquistava la facoltà di condannare a morte il colpevole, sia che fosse un uomo che un animale. Accanto al significato di condemnatio, in relazione alle trasformazioni dei rapporti tra i gruppi sociali, il termine noxa assunse, sin dall’antichità, quello di danneggiamento. Infatti, via via che queste relazioni andavano trasformandosi verso rapporti pacifici dominati dalla

fides, anche la responsabilità nossale si conformava allo spirito di questo valore. La

composizione pecuniaria, poi, andava acquisendo nella noxae deditio una funzione preminente alla originaria vendetta, in modo che la nossalità non si presentasse come ultima possibilità, per il gruppo del colpevole, di evitare un conflitto, ma come

23

Cfr. F. DE VISSCHER, Il sistema romano della nossalità cit., p. 14; P.P. ONIDA, Studi sulla condizione

degli animali non umani nel sistema giuridico romano cit. 24

Ibidem.

25

131

opportunità per la vittima di fare affidamento su di un sistema di congrua riparazione al danno subito. Emergeva, così, la funzione di pena pecuniaria, funzione che fino ad allora era rimasta in penombra26.

Nel quadro delle fonti romane che ci sembra attestino la responsabilità dell’animale, un posto molto importante è occupato da quelle disposizioni che subordinano l’esonero della responsabilità – a carico del pater familias / dominus – all’onere di compiere la noxae deditio dell’animale quando esso sia ancora vivo27. L’insieme delle affinità tra il sistema della nossalità e della pauperies risulta tanto più evidente quanto più si risalga indietro nel tempo. La ragione di tale fenomeno dipende in larga misura dalla circostanza che le affinità tra uomini e animali sono maggiori nell’età arcaica, quando, come abbiamo osservato, erano più forti quei presupposti culturali e filosofici che consentivano agli uomini di identificarsi nel regno degli animali. La medesima considerazione reputiamo di poterla adattare, per certi versi, alle Leggi dei barbari dove l’affinità fondamentale tra il sistema della nossalità e della pauperies può