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La Lex Romana Burgundionum: de cane et bipede

La Lex Romana Burgundionum del 515-516 non era un ordinamento regio ma una compilazione di leggi, probabilmente utilizzata dai giudici burgundi che si occupavano di cause romane, costituita da frammenti scelti di varie codificazioni e trattati giuridici risalenti all’epoca tardoimperiale1. Riguardo i danni compiuti da animali (c. 13, par. 1), questa legge romana dei Burgundi prescrive che se un animale di un non specifico individuo arrecava un danno, il proprietario era obbligato, dopo una stima dei danni, ad un risarcimento o a cedere l’animale stesso. Secondo tali dettami, leggiamo, si decretò dunque che venisse osservato anche de cane et bipede, seguendo quanto era già stato previsto nel primo libro delle Sententiae del giurista Paolo (inizi II-fine III secolo)2:

Si animal cuiuscumque damnum intulerit, aut estimationem damni dominus solvat, aut animal cedat; quod etiam de cane et bipede placuit observari, secundum speciem Pauli

sententiarum libro primo sub titulo: Si quadrupes pauperiem fecerit.3

Il verbo della frase principale (placuit observari) è in terza persona e potrebbe significare che non si trattava per i bugundi di leges nostrae, ma di una direttiva riservata

alla popolazione romana assoggettata, che viveva entro i confini del regno burgundo4. Il

collegamento diretto, per ciò che concerne la regolamentazione del comportamento animale, è con la pauperies romana, ma si potrebbe trattare di un ulteriore riferimento alla

Lex Pesolania de cane, visto il riferimento de cane et bipede, dimostrando che il

legislatore barbarico potesse essere a conoscenza di questo provvedimento. Ma che cosa è la Lex Pesolania de cane e come si arrivò alla sua formulazione? Data la non chiarezza risolutiva di alcune circostanze con protagonisti i cani, i giureconsulti romani si preoccuparono di individuare ulteriori azioni in cui rientrassero i comportamenti lesivi dei

canes. Si decise che sarebbe stato il popolo con un plebiscito specifico, appunto la Lex Pesolania de cane, a decidere sui provvedimenti da prendere nei casi come l’aggressione

a terzi da parte di un cane feroce:

1

Cfr. H. NEHLSEN, Lex Romana Burgundionum, HRG, vol. II, Berlin 1978, coll. 1927-1930.

2

Cfr. PAUL. Sent., 1, 15, 1: «Si quadrupes pauperiem fecerit […]», dove c’è un riferimento alla Lex Pesolania de cane.

3

Leges Burgundionum cit., p. 137.

4

F. CASAVOLA, Studi sulle azioni popolari romane. Le “actiones populares” cit., p. 160. Cfr. Anche A.

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Si quadrupes pauperiem fecerit damnumve dederit quidve depasta sit, in dominum actio datur, ut aut damni aestimationem subeat aut quadrupedem dedat: quod etiam

lege Pesolania de cane cavetur.5

A questo punto, ci interessa mettere in luce quanto emerge dalle fonti in merito alle precauzioni che il conduttore del cane avrebbe dovuto tenere, per evitare i danni e le conseguenti sanzioni, nel frequentare luoghi in cui vi fossero altre persone. Pochi passi sono pervenuti da fonti “tecniche” a darci un’idea di quale dovesse essere il limite di queste attenzioni e, purtroppo, nulla di certo dicono sul periodo classico, poiché tratti appunto dalla Lex Romana Burgundionum che menziona le Pauli Sententiae (un’opera forse riconducibile al pensiero del giurista Paolo, ma di origine quasi sicuramente postclassica). Con riferimento alle sentenze di Paolo, la Lex Romana Burgundionum stabiliva (c. 13, par. 2) che nel caso in cui il possessore di un saevum canem, un cane feroce e potenzialmente reattivo, non aveva debitamente legato l’animale nelle ore diurne, qualunque danno il cane avesse arrecato, in un luogo pubblico come una piazza o una via, sarebbe stata piena responsabilità del proprietario risarcire i danni:

De canem etiam sub eodem titulo conprehensum, ut, si quis saevum canem habens in plateis vel in viis publicis in legamen diurnis oris non redegerit, quidquid damni fecerit, a domino solvatur.6

Qualora, poi, un cavallo o un altro animale (c. 13, par. 3) fosse stato portatore del morbo della rabbia e fosse andato tranquillamente in giro, con il rischio di contagiare altri animali, sarebbe stata sempre responsabilità del padrone concilare per gli eventuali danneggiamenti inflitti:

His illud adiectum, ut si quis cavallum quod vel alium animal habens scabidum, ita ambulare permiserit, ut vicinorum gregibus permixtus proprium inferat morbum,

quidquid damni per eum datum fuerat, similiter a domino sarciatur.7

Notiamo, effettivamente, che il provvedimento burgundo sul saevum canem è similare a quello tratto delle Sentenze di Paolo cui fa riferimento. Ma secondo la nostra

5

PAUL., Sent. 1, 15, 1. Su questa legge, nel capitolo, faremo riferimento allo studio di E. CAIAZZO, Lex

Pesolania de cane, «Index», 28 (2000). 6

Leges Burgundionum cit., p. 137.

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opinione – lo ipotizziamo anche grazie al successivo caso (c. 13, par. 3) relativo ad un animale libero affetto dalla rabbia – potrebbe fare riferimento all’edictum de feris:

De canem etiam sub eodem titulo conprehensum, ut, si quis saevum canem habens in plateis vel in viis publicis in legamen diurnis oris non redegerit, quidquid damni fecerit, a domino solvatur.8

Si quis saevum canem habens in plateis vel in viis publicis in ligamen diurnis horis

non redegerit, quidquid damni fecerit, a domino solvatur.9

Deinde aiunt aediles: ‘ne quis canem, verrem [vel minorem], aprum, lupum, ursum, pantheram, leonem qua vulgo iter fiet, ita habuisse velit, ut cuiquam nocere damnumve dare possit. Si adversus ea factum erit et homo liber ex ea re perierit, sesteriorum ducentorum milium, si nocitum homini libero esse dicetur, quanti bonum aequum iudici videbitur, condemnetur ceterarum rerum, quanti damnum datum factumve sit, dupli’.10

Il passo (c. 13, par. 2) sul saevum canem della Lex Romana Burgundionum e quello delle Sententiae paoline (1, 15, 1a) sono, comunque, ampiamente coincidenti, oltre ad essere entrambi inseriti nel contesto della trattazione dell’actio de pauperie contemplando la responsabilità univoca del dominus di un saevum canem che abbia causato un danno11. Purtroppo anche in questo caso l’esegesi dei frammenti conduce a numerosi dubbi sulla loro autenticità ed effettiva applicazione nel caso di un animale condotto in una via o in una piazza, a causa di un elemento (saevum) contenuto nell’incipit di entrambi i passi. Se devono essere infatti ritenuti validi i presupposti di

8

Lex Romana Burgundionum cit., p. 137.

9

PAUL., Sent. 1, 15, 1a.

10

O. LENEL, Das Edictum Perpetuum, in Versuch zu seiner Wiederherstellung, vol. III, Leipzig 1927, p.

566 nota 13.

11

Lex Romana Burgundionum cit., p. 137: «Si animal cuiuscumque damnum intulerit, aut estimationem damni dominus solvat, aut animal cedat; quod etiam de cane et bipede placuit, observari, secundum speciem Pauli sententiarum libro primo sub titulo: si quadrupes pauperiem fecerit». Cfr. PAUL., Sent. (Interpretatio) 1, 15, 1: «Si alienum animal cuicumque damnum intulerit aut alicuius fructus laeserit, dominus eius aut aestimationem damni reddat aut ipsum animal tradat. Quod etiam de cane similiter est statutum». Il secondo passo, forse tratto dal pensiero di Paolo, è stato spesso commentato in riferimento alla menzione di una fantomatica legge Pesolania, riguardante la disciplina sancita in merito al cane. Purtroppo, non vi sono riscontri definitivi riguardo ad una sua effettiva esistenza, fatto che ha condotto diversi studiosi ad ipotizzare che, in realtà, essa fosse una citazione di una altrettanto ignota Lex Solonia de cane. Ma difficilmente pare sostenibile l’ipotesi di una influenza greca su quella latina. Circa l’esistenza della legge

in discussione si veda: J. MACQUERON, Les dommages causés par des chiens das la jurisprudence romaine

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applicabilità dell’azione contro la pauperies, non si comprende, come sia possibile riferire la soluzione giuridica ad un cane definito come feroce o “terribile”12.

L’imprudenza del conduttore nello scegliere il luogo dove condurre il canis feroce non poteva essere bilanciata, ai fini di evitare una condanna, dalla predisposizione di misure di sicurezza che alla prova dei fatti13 fossero risultate comunque insufficienti. In merito alla prassi, o forse all’obbligo, di tenere legati gli animali potenzialmente pericolosi, potremmo citare un ulteriore passo estrapolato sempre dalle Sententiae di Paolo:

Feram bestiam in ea parte qua populo iter est, colligari praetor prohibet. Et ideo, sive ab ipsa sive propter eam ab alio alteri damnum datum sit, pro modo admissi extra

ordinem actio in dominum vel custodem datur, maxime si ex eo homo perierit.14

Tale divieto concerne la condotta – colligari – che il responsabile dell’animale avrebbe dovuto evitare nel caso in cui l’animale, oggetto di questa azione, fosse stato qualificabile come feroce o potenzialmente reattivo. La seconda parte del passo, et ideo -

datum sit, indicato il comportamento proibito, prosegue riportando il parere interpretativo

del giurista – et ideo – su quali fossero le situazioni concrete per ottenere l’intervento del pretore che avrebbe giudicato il caso. La terza parte del frammento, invece, espone le modalità attraverso le quali sarebbe stato possibile ottenere la composizione della lite15. Non solo non viene vietata la presenza di animali feroci in luoghi di pubblico passaggio, ma parrebbe che venga esplicitamente fatto divieto di tenere al guinzaglio il proprio animale. Non solo l’improbabilità di questa disposizione mette in allarme il lettore, ma anche l’evidente correzione della carica ricoperta dal magistrato che ha emanato questa legge pare essere il sintomo di un intervento di modificazione del tenore originale del testo16.

12

Solo incidentalmente, a dimostrazione di quanto l’actio de pauperie e l’azione derivante dall’edictum de

feris fossero ritenute collegate dal punto di vista sostanziale, interessa – in questa sede – il passo delle Institutiones giustinianee in cui, trattando dell’actio de pauperie, viene citato in modo strettamente legato il

contenuto della seconda disposizione Inst. 4, 9, pr.-1: «Animalium [...] pauperiem fecerint, noxalis actio lege duodecim tabularum prodita est [...] Ceterum sciendum est aedilitio edicto prohiberi nos canem, [...] ibi habere qua vulgo iter fit».

13

Si tratta, dunque, di una valutazione a posteriori.

14

PAUL., Sent. 1, 15, 2.

15

J. MACQUERON, Les dommages causés par des chiens dans la jurisprudence romaine, in Flores legum

H.J. Scheltema oblati, Groningen 1971, p. 144. 16

Cfr. E. CAIAZZO, Lex Pesolania de cane cit., p. 291. La studiosa si pone in contrapposizione con la tesi –

di tenore esattamente opposto – sostenuta da M.V. GIANGRIECO PESSI, Ricerche sull’actio de pauperie. Dalle XII tavole ad Ulpiano cit., pp. 155-157: «La dottrina, in genere ha dubitato dell’esistenza della legge

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Pesolania, o ha tentato, modificandone il nome (ad es. Pesolania in Soloniana), di spostarne il significato da citazione di un precedente normativo dell’ordinamento romano a richiamo di diritto comparato di un precedente normativo dell’ordinamento greco. A noi sembra questa la via da percorrere. Concordiamo, infatti, con chi sostiene che il passo sia autentico e che la legge sia attribuibile all’ordinamento romano – probabilmente posteriore alla Lex Aquilia ed antecedente all’editto de feris – anche se deformata, in quanto

al nome, dai copisti». Cfr. A. GUARINO, Actiones in aequum conceptae, «Labeo», 8 (1962), pp. 10-11; C.A.

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12. Il danno cagionato dall’irrazionalità canina: l’actio de pauperie romana