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Per completare la rivista della normativa attualmente in vigore risulta necessario fornire alcuni cenni sulla classificazione dei porti18, in quanto la disciplina

dell’art.5 della Legge n.84/1994 prevede che solo “i porti di cui alla categoria II, classi I e II” si debbano dotare in via obbligatoria di un Piano regolatore portuale. Invece il legislatore novella la classificazione degli scali marittimi all’interno dell’art. 4. La classificazione contenuta all’interno dell’art.4 della legge 84/94 è fondata sul criterio della “specializzazione”, riferita sia alla vocazione del porto sia all’ampiezza dell’interesse territoriale coinvolto ed è orientata a soddisfare le esigenze di professionalità nella gestione dei porti e di funzionalità dello scalo inteso come bene giuridico.

Tuttavia la disciplina in esame non trascura le implicazioni discendenti dalla natura di bene demaniale del porto, la cui gestione deve essere conforme alle scelte di programmazione nazionale , sia per quanto concerne la vocazione e la destinazione dello scalo marittimo, sia per quel che concerne l’attuazione dei Piani regolatori portuali.19

Nello specifico l’art.4 comma 1 distingue tra i porti di prima e seconda categoria, quest’ultima a sua volta ripartita in tre distinte classi.

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L’ordinamento di base risale al R.D. 28 aprile 1885 n.3095 recante il Testo unico delle disposizioni inerenti ai porti, le spiagge ed i fare ed al R.D. 26 novembre 1904, n.713 recante il relativo regolamento di esecuzione approvato. La rilevanza di questa originaria classificazione risiedeva nella ripartizione, che veniva operata in base ad essa, delle spese per la costruzione e la manutenzione delle opere portuali.

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La prima categoria riguarda i porti, o specifiche aree portuali, finalizzati alla difesa militare e alla sicurezza dello Stato. La seconda categoria include, nella prima classe, i porti di rilevanza economica internazionale, nella seconda i porti di rilevanza economica nazionale e nella terza classe quelli di rilevanza economica regionale ed interregionale. Ai fini della chiarezza espositiva di questo elaborato è doveroso evidenziare che l’art.2 del Decreto Legge 21 ottobre 1996 n.535 ha introdotto la precisazione secondo la quale gli scali sede di Autorità Portuale appartengono ad una delle prime due classi della seconda categoria e di conseguenza le funzioni di programmazione ex art.5, comma 3 spettano ad essa. Il 3° comma dell’art.4 specifica le funzioni ( non esclusive) che i porti della seconda categoria hanno la possibilità di svolgere: funzioni commerciali, industriali, petrolifere, di servizio passeggeri, di pesca e di turistica da diporto. È da rilevare come i porti di maggior rilievo possiedano carattere polifunzionale, per cui in tali scali si registra l’esercizio di tutte le funzioni precedentemente elencate, rendendo così centrale una razionale suddivisione degli spazi, delle attrezzature e dei servizi tecnico-nautici al fine di garantire a tutti gli operatori un corretto espletamento di tali attività ed un’organizzazione dello scalo più efficiente.

La nuova normativa di classificazione contenuta nella legge 28 gennaio 1994, n.84 recepisce in parte quell’orientamento evolutivo che considera il porto, in un’ottica economica e di programmazione, come bene produttivo e quindi necessitante di una disciplina che tenga conto della sua centralità all’interno del sistema dei trasporti, ma anche di una normativa che ne regoli gli aspetti legati

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alla sicurezza, alla tutela urbanistica e infine alla fondamentale tutela dell’ambiente.

2.4 Problematiche connesse al territorio portuale e bilanciamento di interessi tra enti coinvolti nella sua gestione.

La pluralità di prospettive che caratterizzano il “bene porto” derivano dalla molteplicità di interessi che in esso si incontrano e si scontrano, in quanto il territorio portuale comprende numerosi aspetti sia di natura giuridica sia di natura economica. Infatti è corretto affermare che sotto il profilo statico il porto è un complesso di elementi naturali ed artificiali, entrambi destinati ad offrire protezione e riparo ai natanti.

Ma dal punto di vista dinamico, e questo è l’aspetto attualmente più rilevante, il porto rappresenta il punto di incontro tra il trasporto terrestre e quello via mare: in esso, trovano sede servizi di ogni genere, diretti ad organizzare il traffico marittimo e a compiere tutte le operazioni connesse a questa modalità di trasporto. In questa complessa ed articolata nozione si mette in luce la centralità degli orientamenti dottrinali precedentemente ricordati, che evidenziano le connessioni tra le esigenze del sistema portuale e la pianificazione urbanistica.

Per prima cosa è necessario considerare “il governo” delle aree portuali, che si compone di quelle funzioni di regia del porto, le quali comprendono funzioni di natura amministrativa in senso proprio, che si concretano in compiti di programmazione, di pianificazione dell’area portuale, di creazione di regole per l’ordinato svolgimento di attività all’interno del porto, di funzioni volte al

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controllo del rispetto di tali regole, di funzioni connesse alla gestione del demanio e di funzioni volte a garantire l’indispensabile sicurezza all’interno dell’area. Un secondo punto di vista è quello che considera il porto come azienda produttiva di servizi, intesa come impresa pubblica in cui predomina non l’aspetto del mero guadagno, ma quella della produzione del servizio e quindi strettamente connessa al momento della gestione. Il porto da un ulteriore punto di vista, viene in considerazione come parte del territorio, laddove per esso si presentano esigenze di pianificazione territoriale sia dell’area portuale in sé considerata, sia in quanto raccordata al territorio circostante. Inoltre è sempre necessario la prospettiva iniziale da cui ha preso via questo lavoro, per cui il territorio portuale è parte integrante del sistema dei trasporti, come articolazione differenziata di esso, in quanto esso si compone di un complesso di particolari infrastrutture che ne costituiscono la particolarità.

Queste ultime connotazioni in particolare mettono in rilievo come il porto sia divenuto sempre più un punto di riferimento degli insediamenti industriali e delle attività produttive in genere, esaltandone il ruolo di “polo di sviluppo economico”.20

Questi profili di rilevanza giuridica ed economica dei porti mettono in luce la necessità di integrazione fra i vari scali, integrazione necessaria sia per creare sinergie tra più porti sia per creare l’infrastrutturazione necessaria di un sistema economico di area vasta, proprio come è avvenuta per la vincente portualità del Nord Europa, ma soprattutto mettono in luce la necessaria integrazione tra porto, città ed area territoriale.

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Tale ruolo è stato messo in luce per primo da DE MARTINO G., “Quali società miste per i porti”

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Questo insieme di riflessioni non può che culminare ancora con un’invocazione all’unione delle varie realtà portuali esistenti, prima di tutto per quanto concerne il sistema di infrastrutture che le deve sostenere.

Tuttavia far divenire realtà queste impellenti necessità organizzative incontra una serie di ostacoli, il primo tra tutti discende dal fatto che il modello dell’integrazione comporta inevitabilmente delle interferenze tra diversi ambiti: diversi quanto agli interessi coinvolti e diversi quanto ai territori e agli ambiti spaziali, ciascuno esprimente problematiche peculiari.

Tutte queste difficoltà si possono riassumere in un unico problema: quello del riparto delle competenze tra le varie amministrazioni, che nell’attuale assetto normativo molto spesso si vanno a sovrapporre, senza che siano rinvenibili con semplicità dei meccanismi adeguati ed efficienti di coordinamento e di composizione dei conflitti che spesso insorgono tra di esse.

Infatti l’ordinamento giuridico statale individua soggetti pubblici deputati alla cura di interessi generali, i quali dispongono di una vasta ed articolata serie di poteri – programmatori, pianificatori, gestionale- per soddisfarli; tuttavia accanto a tali soggetti ne individua altri deputati alla cura di interessi settoriali, i quali dispongono di poteri – anch’essi di programmatori, pianificatori e gestionali – funzionali alla cura di tali interessi settoriali.

Inoltre un altro aspetto che complica ulteriormente il quadro generale in cui l’azione amministrativa si deve esplicare è che non si possono tralasciare alcuni valori “trasversali”, individuati dalla Costituzione al cui rispetto devono essere improntate sia le attività volte al perseguimento degli interessi generali, sia quelle volte alla cura degli altri interessi settoriali.

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Tali valori costituiscono un limite esterno ed invalicabile per l’azione amministrativa e pertanto con essi devono confrontarsi tutti gli atti di esercizio del potere pubblico e tutti i soggetti competenti alla loro adozione.

Possiamo identificare questi valori “supremi” dell’ordinamento giuridico nella tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e della salute delle popolazioni delle aree interessate.

Quindi il nodo centrale per risolvere i problemi è quello di creare raccordo tra interessi degli enti che curano interessi generali e quelli volte alla promozione di quelli settoriali, di creare raccordo tra i poteri e fra gli atti programmatori, pianificatori e gestori degli uni e degli altri, al fine di assicurare che tali interventi siano attuati nel rispetto dei valori “trasversali” e dei principi fondamentali della Carta Costituzionale.21

2.5 Le scelte condivise di pianificazione come strumento di armonizzazione