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L’attuale disciplina del Piano regolatore portuale

L’evoluzione dei traffici marittimi e la sempre maggiore importanza del settore portuale all’interno della rete nazionale delle logistica e dei trasporti, hanno spinto il legislatore a disciplinare con maggiore precisione lo strumento di pianificazione portuale, in quanto ritenuto di centrale importanza per l’efficiente sviluppo del bene porto.

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La Legge n.84/1994 assegna espressamente al Piano regolatore dell’Autorità portuale, il compito di determinare ambito ed assetto complessivo dello scalo, comprese le aree destinate alla produzione industriale, all’attività cantieristica ed alle infrastrutture stradali e ferroviarie, nonché le caratteristiche e la destinazione funzionale delle aree interessate, tentando un’adeguata armonizzazione del Piano regolatore portuale con gli altri strumenti di pianificazione urbanistica.

La nuova normativa prevede l’emanazione obbligatoria dei Piani regolatori portuali per i soli porti “di cui alla categoria II, classi I,II,III”, aventi rispettivamente rilevanza economica internazionale, nazionale, regionale o interregionale, con esclusione degli scali che svolgono solo funzioni turistiche e da diporto. La normativa di riferimento all’art.5, 1° comma attribuisce ai Piani regolatori portuali innanzitutto una funzione di delimitazione “dell’ambito e dell’assetto portuale”, che dovrà tenere conto e rispettare i limiti della circoscrizione territoriale di ciascuna Autorità portuale, così come stabilito dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti con decreto emesso ai sensi dell’art.6,7° comma della L. n.84/1994.59

Nella determinazione dell’ambito portuale, il rispettivo Piano regolatore deve per prima cosa relazionarsi con i vincoli di natura geografica, rappresentati dai confini della circoscrizione territoriale dell’Autorità portuale, i quali generalmente combaciano sul versante della costa con le aree del demanio marittimo.

Un altro limite che definisce l’area oggetto del Piano regolatore portuale è costituito da limitazioni di ordine funzionale, relativamente agli spazi terrestri

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esterni al porto: si tratta di aree demaniali che non presentano significative connessioni con le attività portuali o con aree facenti parte del demanio marittimo. Alcune riflessioni dottrinali si sono interrogate su questi limiti e hanno criticato la normativa di riferimento, nella parte in cui permette all’Autorità portuale di regolamentare l’uso di aree estranee al demanio marittimo e ricadenti sotto la competenza del Piano regolatore comunale.60

Per fare chiarezza è opportuno analizzare la normativa contenuta all’interno delle “linee guida per la redazione dei piani regolatori portuali”61

,le quali prevedono espressamente che l’ambito portuale non coincida pienamente con la circoscrizione territoriale dell’Autorità portuale; infatti da tale ambito possono restare escluse aree demaniali ritenute non necessarie al funzionamento dello scalo. Ma non solo, secondo la normativa attualmente in vigore è perfettamente legittimo che siano incluse nell’ambito portuale aree non strettamente appartenenti al demanio marittimo, ma connesse in via funzionale al porto, ovviamente previo raggiungimento di una specifica intesa con l’amministrazione comunale.

Dopo aver svolto l’attività preliminare di delimitazione dello spazio fisico e dell’assetto dello scalo, è compito del Piano regolatore portuale individuare per ciascuna area delle caratteristiche specifiche e la loro destinazione funzionale. Questo comporta che per tali aree sia impossibile prevedere una destinazione diversa, senza previa approvazione di una specifica variante al piano regolatore dall’Autorità portuale.

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FALZEA G. op. prec. Cit; CITRIGNO A.M. “L’Autorità portuale”.

61 Questo atto normativo è stato elaborato da una commissione istituita presso il Ministero delle

Infrastrutture e dei trasporti con D.M. 19 maggio 2003, n.115/CD ed il cui compito è la costituzione di un approccio procedimentale uniforme per la redazione dei piani regolatori portuali.

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Al contrario l’adozione di una specifica variante al Piano regolatore dell’Autorità portuale non risulta necessaria ai fini dell’esecuzione dei c.d. adeguamenti tecnico-funzionali; tuttavia è necessario che tali interventi siano coerenti con gli obiettivi e le scelte di programmazione del medesimo strumento di programmazione e non vadano ad apportare modifiche sostanziali inerenti alla conformazione ed alle dimensioni degli impianti da localizzare nello scalo.

Secondo autorevole dottrina62l’attuale normativa contenuta all’interno della Legge n.84/94: “rappresenta un chiaro strumento di zoning territoriale e di destinazione delle varie attività portuali, marittime ed industriali, con il quale deve necessariamente raccordarsi il Piano operativo triennale, ulteriore strumento di programmazione generale del porto, previsto dalla Legge n.84/94, al quale spetta la definizione delle strategie di sviluppo delle attività portuali e degli interventi necessari al perseguimento degli obiettivi prefissati”.

Anche se è doveroso segnalare che negli ultimi anni i sistemi di “zonizzazione classica” sono andati incontro ad un progressivo abbandono da parte delle amministrazioni procedenti, le quale hanno preferito adottare una tendenza di pianificazione territoriale volta ad esaltare e sostenere le esigenze connesse allo sviluppo economico. Queste nuove tendenze perseguite dalle pubbliche amministrazioni sono volte a privilegiare i c.d. “piani per obiettivi”, caratterizzati da un notevole grado di flessibilità ed adattabilità alle esigenze emergenti in ambito locale e spesso attuati attraverso accordi tra amministrazioni.63

Pertanto i Piani regolatori portuali si vanno ad inscrivere nella più ampia categoria dei piani per obiettivi, essendo volti a favorire la migliore regolamentazione della

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CARBONE S.M – MUNARI.F., op.cit.,prec.

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regolamentazione portuale, ma senza trascurare le esigenze di carattere ambientale e di sicurezza, tutelate dalla valutazione ambientale e dai piani di sicurezza. Tuttavia in questo quadro normativo il Piano regolatore portuale mantiene un significativo livello di originalità rispetto agli altri strumenti di pianificazione di carattere generale, pur non potendo discostarsene del tutto.

Le principali finalità del Piano regolatore di competenza dell’Autorità portuale dovrebbe sempre essere quello di garantire un assetto ordinato ed efficiente dell’ambito portuale, al fine di garantire lo svolgimento delle operazioni portuali in prospettiva di una crescita delle stesse.

Quindi la suddivisione in zone dell’ambito portuale dovrebbe avvenire attraverso l’individuazione di aree e specchi acquei sui quali possa essere esercitata non già una singola attività, ma una serie di iniziative tra loro compatibili.

Per ottenere questi obiettivi ed al fine di esercitare con ordine l’attività di programmazione le “le linee guida” indicano una partizione principe dell’ambito portuale in due distinti sottoambiti, all’interno dei quali è possibile svolgere la centrale zonizzazione: il c.d. “porto operativo” ed la zona di “interazione tra porto e città”64

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