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2. Agamennone

2.1. Clitemnestra

3.2. Verso un nuovo diritto; 4. Elettra; 4.1. La morte di Clitemnestra; 4.2. L’influenza degli dei e di Necessità; 4.3. L’umanità dei personaggi; 4.4. La colpa di Oreste; 4.5. La condotta di Elettra; 5. Oreste. Il tipo di colpevolezza; 5.1. Il finale; 5.2. Il daimon di Oreste; 5.3. Oreste in Eschilo ed Euripide: due eroi a confronti.

1. Premessa. La società “tragica”.

Dopo aver esaminato il dibattito filosofico e penalistico sul libero arbitrio, ci si appresta ad analizzare i testi tragici utilizzando i parametri interpretativi forniti nel precedente capitolo.

Prima, però, sarà opportuno presentare sommariamente la società del V sec a.C., per comprendere, attraverso il complesso di valori e credenze del tempo, con che tipo di realtà ci si debba confrontare.

Innanzitutto è opportuno ricordare che quando si fa riferimento alla società del V sec. a.C., si utilizza l’espressione “società della colpa”. Con tale espressione si indica un tipo di società in cui «i comportamenti vengono determinati attraverso l’imposizione di divieti ed in cui chi tiene un comportamento vietato si sente oppresso da un senso misto di angoscia, di colpa e di rimorso.»160

La colpa costituisce la forma di annientamento della dignità del singolo per eccellenza, in ragione del fatto che l’uomo descritto nelle tragedie greche vive in simbiosi con il corpo sociale.

La percezione che ha di sé è, in un certo senso, irrilevante, o di secondaria importanza rispetto all’immagine che i consociati hanno di lui. «Essere detti equivale ad essere»161.

160

E. CANTARELLA, ITACA. Eroi, donne, potere tra vendetta e diritto, Feltrinelli, Milano, 2014, p.32.

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Il soggetto vive completamente immerso nelle dinamiche sociali ed in esse esaurisce la sua ragion d’essere: «le virtù, in sé, le azioni lodevoli, se sconosciute, non hanno importanza, si potrebbe dire che non hanno esistenza»162.

Una volta innescatosi, il senso di colpa, domina il pensiero in maniera tale per cui anche se il soggetto scomparisse, esso lo perseguiterebbe163.

Ciò che innesca il senso di colpa in un agente è un comportamento attivo o omissivo che in genere provoca negli altri rabbia, risentimento o indignazione.

Il senso di colpa non necessariamente deve riguardare un’azione volontaria: ci si può sentire in colpa nei confronti di chi è stato danneggiato e chiede una riparazione in ragione di ciò che ha subito, ma la colpa non è il ponte di comunicazione tra quegli avvenimenti e il soggetto che ha compiuto l’azione lesiva.

Il senso di colpa, infatti, affligge anche l’uomo in ragione di un comportamento assunto da qualcun altro.

Le ripercussioni della commissione di un delitto si tramandano per via ereditaria e la colpa viene espiata indirettamente tramite la punizione della discendenza.

Gli effetti della colpa non sono personali neanche dal lato di chi subisce la lesione: Paride, principe di troia, rapendo Elena, moglie di Menelao, ha offeso l’intero ghenos degli Atridi, per questo Agamennone si schiera nella battaglia di fianco al fratello, pur non avendo dal figlio di Priamo subito nessuna offesa personalmente. Agamennone è costretto a pagare le colpe di suo padre Atreo e per le stesse vicende Egisto agirà per vendicare il padre Tieste, come viene esposto nell’Agamennone di Eschilo.

162

Ibidem.

65

Atreo infatti, signore di questa terra e padre di costui, scacciò dalla città e dal palazzo il padre mio Tieste, per parlar chiaro e suo proprio fratello, contendendo per il regno. […] Atreo con premura più che con affetto fingendo di celebrare lietamente un giorno ospitale, al padre mio offrì convito le carni dei figli, […] e Tieste per ignoranza, di esse subito prendendo ne mangiò, cibo funesto, come vedi, per la stirpe. […] E un calcio alla mensa scaglia insieme con la giusta maledizione, che così perisca tutta la stirpe di Plistene. […] Ma quando crebbi, Dike mi ricondusse in patria. […] Così, dolce mi è anche morire, dopo aver visto costui nelle reti di Dike.164

Sarà Oreste, figlio di Agamennone, a vendicarne la morte per mano della moglie Clitemnestra e del suo amante Egisto, proseguendo la catena di sangue che terminerà solo con il terzo episodio tragico della trilogia, le Eumenidi, con l’assoluzione di Oreste da parte del tribunale dell’areopago e della dea Atena.

Le vicende narrate nell’Orestea sono il più lampante esempio di come sia l’intero ghenos (gruppo familiare di appartenenza) a risentire della colpa e della conseguente punizione.

Lo strumento afflittivo principale nella società descritta dalle tragedie è la vendetta.

Essa si qualifica come un istituto giuridico a tutti gli effetti in quanto ben lontana da forme di violenza “cieca ed indifferenziata” e regolata da rigidi criteri commisurativi.

L’antipeponthos è la base di misura della pena: La giustizia nell’eguale moltiplicato per l’eguale165.

Infrangere l’antipeponhtos e commettere una violenza sproporzionata delegittima la violenza stessa; il superamento del contrappasso nell’offesa, dunque la violazione del criterio proporzionale nell’inflizione della pena, si qualifica come un vero e proprio reato.

164

ESCHILO,” Agamennone”, trad. it di R. Cantarella, Mondadori, Milano, 1981, vv.1583-1610, p.111.

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2. Agamennone.

Le tragedie di Eschilo che hanno ad oggetto le vicende del ghenos di Agamennone, contengono numerosi spunti di riflessione sulle tematiche di libero arbitrio e colpevolezza.

L’Agamennone, nonostante il titolo lasci indurre che sia dedicato al re di Argo, è il componimento che vede protagonista Clitemnestra, sua moglie e regina della polis.

In assenza del marito, valoroso guerriero e capo dell’esercito in guerra a Troia, Clitemnestra amministra la città e governa sugli argivi insieme ad Egisto, con il quale intrattiene una relazione sentimentale.

Agamennone, tornato dalla guerra in compagnia di Cassandra, resa schiava e destinata a giacere con lui, troverà la morte per mano della moglie e con lui anche la principessa troiana, come da lei stessa profetizzato.

L’omicidio del re è senza dubbio la vicenda centrale della trilogia, poiché innesca un meccanismo di vendetta che, nelle altre tragedie della trilogia, mieterà molte vittime, tra cui la stessa Clitemnestra.

Ahi ahi! Dimora odiosa agli dei, consapevole di molte stragi consanguinee, macello d’uomini, suolo bagnato di sangue!166

La morte dell’Atride non è, però, che un anello della catena di sangue che lega la sua intera stirpe e che si concluderà con l’espiazione conclusiva di Oreste nelle Eumenidi.

Agamennone infatti, paga le colpe del padre Atreo per l’offesa arrecata al fratello Tieste, al quale diede, in pasto le carni dei figli a sua insaputa, durante un banchetto di riconciliazione.

Anche il movente di Clitemnestra ha origine nel passato: ella vendicherà col sangue del marito il sacrificio che questi ha compiuto

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immolando la figlia Ifigenia agli dei per assicurarsi la vittoria della guerra e la conquista di Troia.

È interessante dunque comprendere, alla luce del quadro prospettato, che ruolo assume il volere dell’individuo e come si relaziona il suo agire alle leggi di Necessità che determinano il contesto tragico.

Esiste una certa distanza tra la colpevolezza che emerge in questi testi e qualsivoglia teoria contemporanea della colpevolezza; per tale ragione non è semplice metterle a confronto, poiché il quadro che emerge dalla lettura dei tre testi è tutt’altro che omogeneo.

2.1. Clitemnestra.

Analizzando il personaggio di Clitemnestra, emerge sin da subito una certa ambiguità nella sua descrizione degli eventi.

O Zeus, Zeus che tutto adempi, questo mio voto adempi: e sia tua cura quanto stai per adempiere.167

La regina, in questi versi, si rivolge a Zeus: ella si appresta ad uccidere il marito, chiedendo al dio di adempiere ad un suo voto.

Clitemnestra è solo uno strumento, il corpo per mezzo del quale si esaudisce il volere di Zeus.

Ella non agisce, ma “è agita” dal dio, infatti non si attribuisce neanche la condotta materiale né, tantomeno, sembrerebbe esserci un collegamento psichico tra le sue intenzioni e le mani che hanno posto fine ai giorni di Agamennone.

Se tu vincendomi con la forza comanderai su di me, io sono pronta, alle stesse condizioni. Ma se un dio compie il contrario, imparerai ad essere saggio, pur avendo appreso più tardi.168

167

ESCHILO, Agamennone, cit. p.65, vv.973-974.

68

Rivolgendosi al popolo di Argo, adopera il verbo “compiere” per indicare l’azione del dio; infatti che la città decida di punirla o che avvenga il contrario, a porre in essere l’azione, è il dio.

Poco oltre è ancora Clitemnestra che definisce Zeus «causa e autore di tutto»169.

Che ruolo assume allora l’influenza del dio nella sua condotta?

Si potrebbero azzardare due ipotesi: Zeus esercita il suo potere su Clitemnestra determinandone il volere, dunque insinuandosi nel processo di decisione, o come forza motivante in opposizione alla regola di “non uccidere”.

La condotta di Clitemnestra, in altri termini, o non è “cosciente e volontaria”, o è “scusabile” in ragione delle circostanze connesse al suo agire.

Se Clitemnestra ha agito per eseguire un ordine divino, forse non era da lei esigibile un comportamento diverso.

La regina agisce in base ad una gerarchia di valori condivisa dalla società in cui si trova; di conseguenza appartiene al comune sentire giudicare preponderante un precetto, un’imposizione proveniente dal dio piuttosto che dagli uomini.

Il corpo sociale con cui si relaziona, il popolo di Argo che la giudica una crudele sanguinaria, sa qual è il rischio che si corre non obbedendo agli dei e sa che le conseguenze di una violazione di un precetto divino sono ancor maggiori delle punizioni per le infrazioni terrene.

Questa argomentazione viene sostenuta anche da Antigone nell’omonima tragedia sofoclea.

La figlia di Edipo rivendicherà il gesto della sepoltura del fratello nonostante il divieto di Creonte, proprio in ottemperanza di una legge eterna ed immutabile proveniente dagli dei170.

Nella formulazione di un giudizio di colpevolezza nei confronti di Clitemnestra si dovrebbe tener conto, in base a tale ricostruzione, del

169

Ivi p. 105, vv.1485-1486.

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sistema di valori di riferimento e si dovrebbe riconoscere la scarsa efficacia motivante della regola violata rispetto a quella seguita.

A giudicare dalle sue parole, però, la regina non sembra abbia ucciso il marito sostenendo di aver ottemperato ad un ordine del dio; quando descrive la sua condotta parla di Zeus come dell’agente della condotta stessa.

L’influenza divina deve, dunque, essere indagata “dal di dentro”, nella formulazione degli intenti di Clitemnestra, non come circostanza concomitante dell’agire.

Se è stato Zeus ad uccidere Agamennone allora non è stata Clitemnestra; se il dio si è servito di lei per compiere l’atto, quest’ultimo non può esserle imputato.

Il fatto che le conseguenze morali della morte del marito si abbattano su di lei, con il disprezzo del popolo e l’uccisione da parte del figlio, non ha altra spiegazione se non quella di inserire la regina in un contesto in cui l’essere umano è sottoposto al giogo di leggi divine, e paga le conseguenze di comportamenti che non avrebbe potuto non assumere. Nei versi in cui rivela al coro il suo odio nei confronti del marito, Clitemnestra si attribuisce con orgoglio la condotta omicida, vantandosene e non temendone le conseguenze.

Infatti, quando uno medita azioni ostili contro un nemico, che solo in apparenza è caro, in qual modo potrebbe circondarlo in una rete di sventura, per un’altezza superiore a qualsiasi salto? Per me questa lotta della contesa antica, da tempo meditata, è giunta, se pur col tempo. E io sto qui, dove ho colpito, presso la mia opera. Così ho fatto, e non o negherò, in modo che egli non potesse fuggire né difendersi contro la morte: una rete senza uscita, come per i pesci, gli avvolgo intorno, sinistra veste faticosa. […] Io, mi vanto! E se mai fosse lecito fare libagioni su un cadavere, questo sarebbe giusto, e più che giusto invero, tanti sono gli orribili crimini onde costui ha colmato il cratere in questo palazzo: e ora, tornato, se lo beve lui, tutto.171

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Ricorre qui frequentemente il verbo “meditare”, che esprime a chiare lettere la presenza pregnante di un nesso psicologico tra agente e azione, una deliberata volizione riconducibile all’elemento soggettivo del dolo.

Stando alla descrizione accurata e lucida dei suoi intenti, non vi sono ragioni per non ritenere Clitemnestra colpevole.

Emerge chiaramente la volontà di porre in essere l’azione, la cosiddetta

suitas172 della condotta, cioè l’appartenenza di quest’ultima alla sfera

psichica dell’agente.

La regina, infatti, sostiene di aver compiuto il gesto in prima persona. Al coro che le dice «ti addossasti questo delitto»173, attribuendole la responsabilità morale del gesto, ella risponde «ascoltando la mia azione, aspro giudice sei».174

È indubbio, dunque, che Clitemnestra abbia agito con coscienza e volontà, mentre, qualche remora rimane sulla capacità della sua volontà di atteggiarsi diversamente.

La sua volontà avrebbe potuto subire l’influenza del dio impedendole di autodeterminarsi.

Non ha dubbi sulla condizione della madre suo figlio Oreste che, interrogandosi sul movente che ha spinto la regina ad inviare libagioni presso la sepoltura del marito, morto per mano sua, pronuncia la parola

colpa (amartia)175.

L’ambiguità dell’agire di Clitemnestra sembrerebbe, dunque, solo apparente.

La base concettuale sottesa alle sue parole, potrebbe sostanziarsi nell’implicita corrispondenza tra “atto volontario” ed “atto libero”.

172 Cfr. cap.1 par.4. 173

ESCHILO, Agamennone, cit. vv.1409, p.99

174

Ivi, vv.1420-1421, pag.99

71

In linea con il compatibilismo dei filosofi volontaristi176 Zeus costituirebbe, quella forma di determinismo necessaria per l’esistenza del libero arbitrio.

La libertà, secondo Hobbes, secondo Hume, non si spinge oltre la sfera delle azioni; un uomo, è libero nella misura in cui non incontra ostacoli nel fare ciò che vuole fare177.

È libero, in altri termini, colui al quale non è impedito materialmente di agire come desidera; la libertà dunque permea solo la dimensione dell’agire, non della volontà, la quale per sua natura è determinata da tutta una serie di fattori che ne influenzano il dispiegarsi.

Ma Clitemnestra può essere considerata anche dotata di “capacità di autodeterminarsi”.

Zeus, nel processo deliberativo, potrebbe corrispondere a quel fiat di cui parlava James178, ossia a quell’assenso della volontà che porta alla determinazione della condotta.

La volontà divina potrebbe anche corrispondere a quel motivo dell’agire sul quale la volontà del singolo esercita la sua forza per indirizzarsi verso la decisione.

Se, dunque, si intende l’influsso divino come un ingranaggio del processo di deliberazione dell’agente, in base alle moderne teorie sulla colpevolezza, la sua volontà può essere giudicata libera e la sua responsabilità colpevole.

Se invece si ritiene che un atto per essere libero non è sufficiente che sia volontario e che il dio costituisca una forma di determinazione del volere tale da escluderne la libertà, allora Clitemnestra non può essere giudicata colpevole.

176 I filosofi volontaristi collocano al centro della loro indagine la volontà e, nella fase

estrema dell’epoca moderna, arrivano a sostituire la Ragione con la Volontà, considerata la facoltà spirituale più alta dell’uomo.

177 Cfr. cap.1 par.13. 178

W. JAMES, The principles of psychology, Harvard University Press, Cambridge- Londra, paperback ed. 1983 p. 224, cfr. FLAVIA STARA, Passione azione e ragione, Armando, Roma, 2004, p.91.

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Si potrebbe non accettare l’idea che la libertà del volere sia compatibile con le circostanze ed i condizionamenti che l’uomo subisce quotidianamente e ritenere che sia in grado di autodeterminarsi solo la volontà che agisce senza subire l’influenza di nessuna realtà con cui entra in contatto.

In base a questi tesi, però, nessuna volontà può essere considerata libera.

Che sia dunque Zeus, il caso, il vissuto o il carattere di ciascuno a determinare la volontà è davvero poco rilevante; l’eroe tragico non sarebbe affatto diverso dall’essere umano di ogni epoca.

Ammessa la sua colpevolezza, Clitemnestra sostiene di dover essere risparmiata dal biasimo della città di Argo perché ha compiuto un gesto non giusto, ma giustificato dalla deprecabilità delle azioni della vittima.

2.2. Agamennone.

Agamennone viene punito dalla moglie principalmente per aver sacrificato la figlia Ifigenia, consentendo alle navi della sua flotta, bloccate dai venti per volere di Artemide, di riprendere il largo e continuare a navigare.

Il signore di Argo, in alternativa all’uccisione della figlia, avrebbe potuto destinare i suoi uomini alla disfatta perdendo ovviamente, oltre alla guerra, l’onore e la dignità del suo nome per sempre.

La condizione di Agamennone è quella tipica dell’eroe tragico, mai combattuto tra bene e male, ma dilaniato da alternative portatrici di disgrazie.

Quale di queste cose è senza sventura? Come abbandonare le navi e tradire l’alleanza? Sacrificio che i venti rattenga e sangue verginale furiosamente bramare con sdegno occorre: e sia bene.179

73

Nel caso di specie egli è costretto a decidere tra la sua figura di padre e quella di re in una società, come quella descritta dalle tragedie, in cui il bene pubblico ed il bene dello Stato sono prioritari rispetto alla sfera privata degli affetti180.

Un altro elemento da tenere in considerazione è il responso dell’indovino Calcante, il quale consiglia ad Agamennone di sacrificare la figlia per ripagare l’offesa arrecata ad Artemide, causa dei venti contrari.

Ci sono, dunque, due fattori che esercitano la loro forza sulla scelta di Agamennone: il suo condizionamento socio-ambientale, che lo porta a ritenere che la polis sia prioritaria rispetto alla famiglia e il volere del dio, dunque il sacrificio da fare in onore di Artemide, alla quale l’Atride ha arrecato offesa.

Agamennone vive una condizione senza dubbio difficile, perché subisce l’influenza del suo contesto sociale e il “ricatto di Artemide”. Il responso dell’indovino Calcante, infatti, è ben lungi dal poter essere qualificato come generatore di quella “possibilità di fare altrimenti”181

che concorre a comporre la libertà del volere.

Certo, una scelta limitata non è necessariamente una scelta non libera; Agamennone ha infatti deciso di sacrificare sua figlia con coscienza e volontà.

Se si adotta quella visione del compatibilsmo che fa coincidere volontà e libertà si può affermare che, come Clitemnestra, suo marito abbia agito liberamente.

Il suo dilemma esistenziale non metterebbe in dubbio la sua volontà, sembrerebbe invece postularla.

Egli si trova nelle condizioni di poter fare ciò che vuole, ma, come per Clitemnestra, sorge qualche dubbio circa la possibilità della sua volontà di atteggiarsi diversamente.

180

Doveroso è il richiamo alla figura di Antigone, di cui, come detto in par.1.1., si rimanda la trattazione al capitolo seguente.

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Bisogna dunque domandarsi se Agamennone abbia desiderato uccidere sua figlia liberamente, potendo, la sua volontà, in base alle circostanze in cui si trovava, assumere un atteggiamento diverso.

Il problema della colpa di Agamennone è da indagarsi nella sfera dell’imputabilità, non del nesso psichico della volontà.

L’Atride ha ucciso sua figlia con la presenza dell’elemento psicologico di connessione tra autore e fatto, ma era esigibile l’assunzione da parte sua di un comportamento diverso?

Nel prendere la decisione di uccidere la figlia immolandola ad Artemide, la sua volontà non si è autodeterminata, perché l’ordine divino, in questo caso, non viene interiorizzato e reso parte del processo di deliberazione, ma rimane un monito portatore di sventure e sofferenze.

La regina infatti, dopo aver definito Zeus “autore” dell’atto, rivendica la responsabilità dell’omicidio, non solo da un punto di vista materiale, ma anche moralmente, ritenendolo un atto giusto e psicologicamente, ammettendo di star meditando sulla morte del re da molto tempo. Agamennone invece invoca pietà per l’atto compiuto e prova dolore e vergogna per la costrizione a cui è stato sottoposto.

Grave sorte invero, non obbedire; ma pur grave se la figlia ucciderò,

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