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5.1. L’Antigone di Hegel; 5.2. L’Antigone di Kirkegaard; 5.3. L’Antigone di Goethe; 5.4. L’Antigone di Brecht; 6. Antigone e Creonte

1. Edipo re

La vicenda di Edipo nell’Edipo re, fin dal principio non nasconde il tipo di realtà con cui si devono confrontare i personaggi rispetto alla tematica del libero arbitrio e della colpevolezza.

La città di Tebe è dilaniata da un’atroce pestilenza.

L’intera popolazione è raccolta davanti al palazzo del re per trovare conforto e avere delle risposte sulle modalità con cui affrontare il problema.

In questa occasione si verifica il primo episodio di “ironia tragica”, ossia il «processo di comunicazione teatrale per cui a un solo significante ineriscono due significati di portata semantica ed emotiva opposta, in relazione a due diversi campi informazionali, uno pertinente all’ottica ristretta di un personaggio, e uno all’onniscienza propria dell’autore ma anche, in una società imbevuta di cultura mitica, dello spettatore.»264

Figli sventurati…so quanto soffrite tutti, eppure, per quanto soffriate, non c’è nessuno che soffra al pari di me. Ognuno di voi è colpito soltanto nel proprio, esclusivo dolore; ma il mio cuore geme per la città, per me, per te.265

Edipo in realtà soffre più degli altri non solo in quanto sovrano, di conseguenza responsabile del suo popolo, ma anche perché la causa

264

G. PADUANO, Edipo, storia di un mito, Carocci editore, Roma, 2012, p.45

265

SOFOCLE, Edipo re, trad. it. Di F. FERRARI, BUR Classici greci e latini, Milano, 2013, vv.58-64

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del suo dolore ricade in prima persona su di lui, essendo, ad insaputa di tutti, la fonte della contaminazione che ha provocato la pestilenza. Edipo, non riuscendo a trovare una soluzione, si rivolge a Creonte che si è recato a Delfi per interrogare l'oracolo.

Questi emette il suo responso, rivelando che il male causa della pestilenza è determinato dalla contaminazione della città per l’uccisione impunita del re Laio.

È necessario, dunque, per purificare la città, che il colpevole venga identificato ed allontanato.

La seconda occasione in cui Sofocle adopera la tecnica dell’ironia tragica, per enfatizzare la distanza esistente tra il mondo della soggettività, cioè la sfera interiore delle credenze e della percezione della realtà da parte del personaggio e la verità fattuale è la formulazione da parte di Edipo del bando contro l’assassino di Laio266

:

Chiunque di voi sappia chi uccise Laio, figlio di Labdaco, riveli a me tutta la verità. […] Non dovrà patire altra pena se non andarsene via, ma incolume, in esilio. […] Ordino ai cittadini di questa terra, dove detengo il potere regale, che nessuno dia ricetto o rivolga la parola a questo assassino, chiunque egli sia, […] ma tutti lo caccino via dalle proprie case, perché è lui la macchia che pesa su noi tutti. […] E prego ancora che se venisse, col mio consenso, alla mia casa, presso il mio focolare, mi tocchi la stessa sorte che ho augurato agli altri. […] Un uomo giusto, un re è stato ucciso, […] e dunque per lui, come fosse mio padre, combatterò questa battaglia, e farò ricorso a qualsiasi mezzo pur di stanare chi ha versato il sangue del figlio di Labdaco, del discendente di Polidoro e di Cadmo e dell’antico Agenore.267

Il re di Tebe, a sua insaputa, destina se stesso all’emarginazione, imponendo alla città di allontanare il colpevole e si impegna in prima persona a fare giustizia in nome di Laio, che egli paragona, in termini

266

G. PADUANO, Edipo, p.49

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di rispetto ed onore, a suo padre, non sapendo del legame di parentela intercorrente davvero tra lui ed il sovrano ucciso.

La crisi incombente si manifesta attraverso questa sequenza di scene che portano a compimento il “gioco crudele della divinità”, in cui il poeta “si fa interprete, fino alla distruzione del protagonista”268

.

Creonte offre ulteriori delucidazioni sulla vicenda, raccontando che Laio fu ucciso assalito da briganti mentre si stava recando a Delfi e che all’omicidio aveva assistito un testimone.

È l'indovino Tiresia, condotto a palazzo, ad accusare formalmente Edipo dell'omicidio del re e di aver giaciuto con sua madre, mettendo anche alla luce dei figli.

Il sovrano, indignato, gli ordina di andarsene e sospetta che ci sia un complotto contro di lui ordito da Creonte e Tiresia,.

Le due scene potrebbero indurre a ritenere che l’indole di Edipo sia tirannica e che la sua preoccupazione principale sia, in realtà, solo la conservazione del suo potere, al quale Tiresia si oppone rammentandogli il dovere di obbedienza nei confronti degli dei, di cui egli è rappresentante.

In realtà a smentire la teoria della celata malvagità di Edipo è la voce dei sudditi che, in più occasioni, qualificano Edipo come fonte di salvezza e lo stesso sovrano che, al cospetto di Tiresia, in segno di umiltà, si inchina “supplice”269

.

L’indovino è, nella vicenda di Edipo come nell’Antigone, il portavoce degli dei e il depositario di verità tragicamente risolutrici.

Egli rappresenta il limite non superabile che impone la divinità e l’impotenza dell’uomo al suo cospetto.

“L’intelligenza laica”270

di cui è portatore Edipo non è in grado di imporsi su una realtà che si manifesta come il prodotto di un disegno precostituito.

268

Ibidem.

269

SOFOCLE, Edipo re, v. 327, p.169

108

Edipo, come sostiene giustamente Dodds, «anni prima che cominci l’azione del dramma è già parricida e incestuoso»271

L’ordine cosmico, in questa tragedia, non si dispiega razionalmente, cioè in base ad una catena di cause ed effetti272, bensì secondo verità indimostrabili determinate dalla volontà arbitraria degli dei; questi ultimi rappresentano l’unica sfera di stabilità e certezza.

Nulla può opporsi all’eternità dell’ordinamento divino; al potere temporale di Edipo, Tiresia contrappone la fonte sovrannaturale del suo potere, che proviene direttamente da Apollo:

Anche se tu sei un re, mi spetta il diritto di risponderti da pari a pari. Non schiavo tuo, ma del Lossia, né mi si potrà catalogare tra i protetti di Creonte.273

A chiarire definitivamente la vicenda è Giocasta, vedova di Laio ed ora moglie di Edipo: ella, cercando di tranquillizzare il marito, scosso dalle parole di Tiresia, svela la profezia che era stata fatta a Laio, in base alla quale egli sarebbe stato ucciso dal figlio, mentre l'unico figlio nato era morto da piccolo, esposto sul monte Citerone.

Laio, infatti, non era stato ucciso da suo figlio, ma da banditi sulla strada per Delfi.

Edipo viene turbato dalle affermazioni di Giocasta e, dopo aver richiesto la presenza del testimone dell’assassinio di Laio, racconta alla moglie e agli anziani il motivo del suo turbamento:

Edipo riporta alla moglie e agli anziani che, in gioventù, gli fu predetto da un oracolo a Delfi che avrebbe ucciso suo padre e sposato sua madre e che, per tale ragione, decise di abbandonare la sua casa.

Sulla via di Tebe incontrò un uomo e, nel mezzo di un litigio lo uccise.

271 DODDS, On Misunderstanding the Oedipus Rex,in Greece and Rome, 13, 1966, p.

39. Cfr. G.PADUANO, Edipo, p.55

272

G. PADUANO, Edipo, p.65

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Nel frattempo giunge a palazzo uno straniero che gli annuncia che Polibio, re di Corinto e padre di Edipo, è morto, l’oracolo ha dunque fallito, Edipo non potrà più uccidere il padre e ritroverà la pace.

Lo straniero, però, rivela anche che Polibo e Merope non erano i suoi genitori naturali e che Edipo era stato adottato.

Arriva anche l'uomo che il re attende con tanta impazienza e lo svolgimento dei fatti vieni definitivamente chiarito. Il bambino adottato dai sovrani di Corinto proviene dalla casa di Laio ed era stato abbandonato perché a Tebe si temeva una profezia: il piccolo avrebbe ucciso il padre.

Edipo si precipita nel palazzo e si trafigge gli occhi con la fibbia della sua tunica, mentre Giocasta si toglie la vita.

Creonte, piangendo il destino tragico della sorella, viene eletto reggente.

Il salvatore della città, colui che aveva risolto l’enigma della sfinge e che era stato acclamato dalla popolazione, è ora la fonte della contaminazione che ha generato la pestilenza.

Il ribaltamento del suo ruolo avviene senza che lui abbia contribuito, in termini di intenzione ed attraverso un dispiegarsi di eventi completamente indipendenti dalla sua volontà.

1.1. Il capro espiatorio.

Il miasma, è causato sia da un atto volontario che da un atto involontario, perché è concepito semplicemente come un effetto dell’atto, un’estensione della relazione causale che ha innescato l’evento, prescindendo completamente dall’intenzionalità nel determinarlo.274

La punizione che Edipo sconta risponde a leggi divine per le quali colpevolezza e responsabilità non si parametrano in termini di

274

R. GIRARD La violence et le sacré, Editions Grasset, Parigi, 1972, trad. it. di O. Fatica e E. Czerkl, La violenza e il sacro, Adelphi, Milano, 1980. 102

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“volere”, bensì in termini di “necessità oggettiva della purezza quale condizione indispensabile a garantire la prosperità naturale e civile.”275

Ciò che conta è che un evento ha determinato un male per la comunità; per ristabilire la pace e l’armonia è necessario che si individui chi debba sobbarcarsi il peso dell’espiazione, concentrando su di se la forza negativa che ha contaminato la società.

Edipo è dunque il capro espiatorio della pestilenza a Tebe: egli non è colpevole, bensì una vittima e la collettività polarizza contro di lui la sua violenza con un intento persecutorio funzionale a convertire la potenza malefica della vittima stessa in uno strumento di liberazione della comunità dal male che l’affligge.276

Il sacrificio è offerto a tutti i membri della società, è infatti l’intera comunità che il sacrificio protegge, catalizzando sulla vittima il dissenso e placando la sete di violenza collettiva.277

La vittima viene perseguitata ed il suo annientamento corrisponde al superamento della crisi che affligge la comunità.

In Edipo, inoltre, confluiscono tutti gli elementi che Girard definisce “stereotipi della persecuzione”278

e le dinamiche tipiche del capro espiatorio legate alla sacralizzazione della violenza.

L’eroe tragico in questione è connotato dalla mostruosità fisica e morale (è zoppo, ha commesso parricidio ed incesto) che giustifica la sua persecuzione, è dunque lo strumento tipico di proiezione della crisi sul designato capro espiatorio.

Il legame causale tra la crisi collettiva (la peste) ed il suo crimine è indissolubile, perché legato ad una dimensione sacra, scevra da ricostruzioni razionali in senso stretto.

275

F. FERRARI, introduzione in ivi, p.15

276 R. GIRARD, Il capro espiatorio, trad. Chrstine Leverd e F. Bovoli,Adelphi Edizioni

s.p.a, Milano, 1987, p.74

277

R. GIRARD, La violenza e il sacro, trad. Ottavio Fatica e Eva Czerkl, Adelphi , Milano, 1980, p.22

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Il capro espiatorio infatti agisce solamente sui rapporti umani sconvolti dalla crisi, ma darà l’impressione di agire ugualmente sulle cause esterne, le pestilenze e le altre calamità naturali279.

Dopo aver portato discordia nella città, la vittima espiatoria allontanandosi ripristina ordine e pace.

Essa è quindi l’ultima vittima, quella che subisce la violenza senza generarne di ulteriori, essa sublima il male per restituire pace alla comunità.

Si può individuare dunque nel capro espiatorio una funzione di contenimento della violenza.

Esso è la valvola di sfogo di cui si serve la comunità per evitare il dilagare di episodi delittuosi in periodi particolarmente difficili per il corpo sociale.

Essendo una figura legata alla crisi potrebbe essere assimilata in un certo senso alle misure d’urgenza adottate per fronteggiare situazioni di emergenza e, allo stesso tempo, costituisce l’illusione che l’uomo possa attivarsi per risolvere i problemi in cui s’imbatte durante la propria vita e che riesca a cambiare il corso degli eventi.

Alla città di Tebe serve credere che l’allontanamento di Edipo sia causalmente legato al ritorno dell’armonia in città, ma è chiaro che l’intera vicenda, rispondendo alle logiche imperscrutabili degli dei, non ha nulla a che vedere con le disposizioni umane.

2. L’umanità secondo Sofocle.

La società sofoclea ha dunque bisogno di contrastare la fatalità della sua condizione esistenziale con l’illusione di una libertà che si concretizza nel “poter fare qualcosa”, ma che in realtà si rivela, come la felicità, “un’illusione che balugina e rapida declina.”280

279

Ibidem pag.76

112

Il coro infatti sembra aver bisogno di una colpa per “motivare un destino non altrimenti sostenibile”281.

Sofocle mette in scena la lotta dell’umanità contro la sofferenza imposta dagli dei che, per ragioni incomprensibili, probabilmente legate ad una forma di controllo fondato sulla paura, colpiscono tanto l’uomo moralmente colpevole, quanto “l’ignaro portatore di una macchia che deve essere comunque cancellata.”282

In un contesto del genere la caccia alla colpa di Edipo risulta a dir poco infruttuosa283 e di ciò se ne ravvede lo stesso protagonista, che successivamente affermerà “non si tratta certamente del mio corpo o delle mie azioni, dal momento che le mie azioni io non le ho decise, ma le ho patite.”284

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