2. Agamennone
2.3. Oreste
Non sembra migliore la condizione del figlio Oreste, al quale viene profetizzata la persecuzione da parte delle Erinni per l’uccisione della madre o, qualora lasciasse invendicata la morte del padre, la dannazione eterna a causa di atroci patimenti.
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Di questo, in comune con me, ha colpa il Lossia, che mi predicava dolori acuti come pungoli al mio cuore, se io quest’ordine non avessi eseguito contro i colpevoli.183
Egli, come suo padre, non solo adempie ad un ordine, ma viene minacciato di atroci conseguenze qualora desistesse.
Certo, non mi tradirà l’oracolo molto possente del Lossia, che mi ordina di attraversare questo rischio, alto gridando e preannunciando gelidi tormenti al caldo mio cuore, se non perseguo gli uccisori di mio padre allo stesso modo, ricambiandoli di morte, inferocito come un toro per il danno della mia eredità. E diceva che con la vita avrei scontato la trasgressione, in molti ingrati tormenti.184
La vicenda di Oreste dunque è contrassegnata dal medesimo out out che ha segnato inesorabilmente la vita del padre.
Un oracolo gli profetizza di dover uccidere sua madre per volere di Apollo e gli predice eterni dolori qualora decida di non compiere il matricidio.
Anche la vendetta del padre non è, però, senza conseguenze: egli infatti subirà la persecuzione delle Erinni, dee vendicatrici dei delitti di sangue tra consanguinei.
Degno di attenzione, tuttavia, è che il figlio dell’Atride, differentemente dal genitore, non accetti passivamente di subire un male in virtù di eventi che trascendono la sua volontà, ma ricerchi continuamente assoluzione per ciò che ha fatto, proprio in virtù della totale indipendenza degli avvenimenti dal suo volere.
Agamennone sa perfettamente di aver agito dietro costrizione, tuttavia non si oppone in nessun modo al suo “destino”, neanche dialetticamente.
183
ESCHILO, Eumenidi, trad. it. R. Cantarella, Mondadori, Milano, 1981, vv.460-465, p.233.
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In un certo senso accetta e dà per scontato che si possa subire una punizione per un comportamento che non si poteva non tenere.
Oreste, al contrario, non si limita a lamentarsi della sua condizione “tragica”, ma sostiene che, in virtù del fatto che è stato Apollo ad imporgli di uccidere sua madre, egli non è colpevole, e di conseguenza, non merita nessuna punizione.
[…] Autore di questo ardimento io ebbi per primo il Lossia, il vate di Pito: a me vaticinò che, compiendo quest’azione, io sarei fuori di ogni dannosa colpa; ma, se l’avessi trascurata, la pena non dirò: nessuno, con l’arco, raggiungerà tali dolori.185
La condotta di Oreste è senz’altro volontaria, ma la minaccia esplicita da parte del dio costituisce una ragione valida per reputare non esigibile dal matricida un comportamento diverso.
La novità è che la condizione di costrizione del giovane viene sostenuta dallo stesso Apollo durante il processo nelle Eumenidi, terza ed ultima tragedia della trilogia dell’Orestea.
Il dio infatti, che assume il ruolo di difensore dell’accusato, non stenta ad attribuirsi la responsabilità del matricidio e lo dichiara apertamente ad Atena, giudice della contesa.
«Dell’uccisione della madre sua, io ho la responsabilità»186.
Il Lossia sembrerebbe dunque esprimere l’importante principio in base al quale non è punibile chi commette un fatto «per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona», come recita l’art. 54 del codice penale. Le Erinni definiscono il dio panaitios, letteralmente “causa”, dunque “colpevole di ogni cosa”.
Signore Apollo, ascolta a tua volta. Di questo non complice tu sei, ma tu solo, interamente responsabile, tutto hai compiuto.187
185
Ivi p. 195, vv.1029-1033.
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Sembrerebbe di essere approdati non solo ad una «nascente responsabilità personale»188, bensì ad una vera e propria responsabilità colpevole189; essa infatti non parrebbe attribuita al soggetto solo in ragione del materiale compimento dell’atto, o del fatto che egli abbia causato l’evento, bensì in base ad una valutazione di esigibilità della condotta in base alle circostanze concomitanti.
In questo caso l’incapacità da parte del soggetto di poter assumere un atteggiamento diverso della volontà è un elemento tenuto in considerazione per formulare nei suoi confronti un giudizio di colpevolezza.
Nella sistematica della trilogia emerge dunque la colpevolezza di Clitemnestra, sia alla luce della volontarietà dell’azione, sia in base ad uno dei criteri che fonda la colpevolezza moderna, cioè il possesso di una volontà libera in quanto autodeterminata190.
Agamennone invece subirà le conseguenze di un atto causato e voluto ma posto in essere in circostanze tali da non poter essere esigibile da parte sua una condotta differente.
La regola che si può dedurre è che l’unico requisito necessario per fondare la colpevolezza di un agente sia l’attribuibilità al medesimo della condotta in termini psichici.
L’atteggiamento della volontà non sembra essere rilevante fino al processo delle Eumenidi, di conseguenza non è oggetto di valutazione l’esigibilità, da parte dell’agente, di una condotta diversa.
Non vige dunque il principio in base al quale non può essere prescritto un comportamento che non si può non tenere.
187 Ivi, vv.198-200, p.213.
188 F. OST, Mosè, Eschilo, Sofocle All’origine dell’immaginario giuridico, trad.it. di G.
Viano Marogna, il Mulino, Bologna, 2007, p.99.
189
Cfr. cap.1 par.5.1.
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Il nostro sistema, al contrario, assume come una verità necessaria la massima «dovere implica potere», ovverosia il «principio di possibilità dell’obbligatorio»191
.
Tale principio è fondante del discorso prescrittivo: ove lo si accolga, bisognerà ritenere che una persona non possa venire biasimata per non avere fatto qualcosa che non era in grado di fare; se una persona non può venire biasimata per non aver fatto una certa cosa non può aver l’obbligo di farla. In questo senso: «l’avere un obbligo implica la possibilità di adempierlo»192.
In termini di punibilità, ciò comporta che:
Data una norma, condizione necessaria affinché si possa affermare, in caso di mancato adempimento, che il suo destinatario viene punito è che egli vi disobbedisca […] Affinché vi sia disobbedienza, però, è condizione necessaria che sia possibile obbedienza, ed è possibile obbedire solo se si ha l’abilità di compiere l’azione prescritta…E’ solo quando assumiamo che una persona avrebbe potuto compiere l’azione prescritta e dunque, in caso di mancato adempimento, avrebbe potuto agire altrimenti da come ha agito, che le nozioni di biasimo, punizione, rimprovero ecc., e dunque la nozione di obbligo appaiono appropriate.193
L’apparente banalità del principio si fonda sull’idea che nessuno può aver l’obbligo di compiere un’azione se non è in grado di compierla effettivamente; sarebbe inutile cercare di far accadere quel che è impossibile che accada, così come sarebbe altrettanto inutile prescrivere come obbligatorio ciò che è necessario che accada194. Probabilmente l’eroe tragico non si trova in una condizione molto differente dall’uomo comune e non solo le volte in cui si imbatte in un
191 B. CELANO, Dialettica della giustificazione pratica Saggio sulla legge di Hume,
Giappichelli, Torino, 1991-1992, p.457. 192 Ivi, p.459. 193 Ibidem. 194 Ivi, p. 460-461.
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conflitto di valori, cioè in una situazione tale per cui ottemperare ad un precetto etico significa disattenderne un altro.
Zanone, ascrivendo la libertà all’essere umano, insiste molto sul suo carattere “tragico”, descrivendola come un peso, un fardello, perché porta con sé «l’assunzione di un’etica»195
, cioè la presa di posizione circa il binomio “bene/male”.
La scelta del singolo è il sintomo della sua libertà individuale e reca in sé l’incertezza, il rischio dell’errore.
La libertà non promette né salvezza né benessere, non offre ripari contro l’angoscia esistenziale. Ogni suo atto è equivoco e ambiguo perché contiene in sé anche la facoltà di negarsi: la libertà è una scelta che contiene sempre in sé la possibilità del suo contrario.196