• Non ci sono risultati.

La collocazione (del diritto internazionale pattizio e) delle norme Cedu nel

CEDU NEL SISTEMA DELLE FONTI DEL DIRITTO ITALIANO E IL VALORE DELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EUROPEA SECONDO IL GIUDICE COSTITUZIONALE

Una volta identificato nell’art. 117 il riferimento normativo costituzionale della CEDU (nello specifico) e del diritto internazionale pattizio (in generale), la Consulta procede nel valutare la conseguenza di un simile inquadramento.

Come già accennato, la costante giurisprudenza costituzionale si era in passato assestata su posizioni che risentivano di una lettura inflessibilmente formale: un trattato, in quanto atto-fonte dell’ordinamento internazionale, dispiega i suoi effetti esclusivamente all’interno dell’ordinamento cui appartiene, non potendo produrre effetti diretti all’interno degli Stati che l’hanno ratificato, senza la presenza di un atto-fonte dell’ordinamento interno, dovendosi da ciò far derivare che le norme internazionali così introdotte nell’ordinamento italiano avranno anch’esse il medesimo grado gerarchico.

Questo approccio emerge esplicitamente dalla disamina della giurisprudenza costituzionale anche con specifico riferimento alle norme della CEDU, le quali “non si collocano, come tali, a livello costituzionale, non potendosi loro attribuire un rango diverso da quello dell’atto – legge ordinaria – che ne ha autorizzato la ratifica e le ha rese esecutive nel nostro ordinamento”96.

Ciò avrebbe dovuto comportare la soggezione della CEDU ai criteri generali della lex posterior derogat priori97 e della lex specialis derogat generali, ammettendo dunque che questa fosse abrogabile da leggi successive disciplinanti la stessa materia ai sensi dell’art. 15 delle “Disposizioni sulla legge in generale”98.

Pur dovendosi apprezzare lo sforzo della Corte per risolvere un simile inconveniente, cercando di realizzare molto spesso un’armonizzazione delle disposizioni interne con quelle di matrice convenzionale attraverso una normale operazione di interpretazione                                                                                                                

96 Si vedano le sentenze Corte cost. n. 288 del 1997 e n. 315 del 1990 richiamate nel par. 6.1.1 motivazione della sentenza n. 349 del 2007.

97 Viceversa nessuna difficoltà poteva porsi nel garantire la prevalenza della CEDU sulle leggi ordinarie precedenti, le quali avrebbero lasciato il passo alle regole pattizie, almeno a condizione che quest’ultime fossero dotate delle caratteristiche di precisione e completezza necessarie per la loro diretta applicabilità. Cfr. Cass, pen. SS.UU. 10 luglio 1991, n. 7662.

98 Esso dispone che “Le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore, o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti, o perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore”.

e coordinamento di testi normativi99, come se fossero di pari grado, ed escludendo altresì la prospettabilità di una questione di legittimità costituzionale “tanto più quando le disposizioni convenzionali vengono poste, di per sé sole, quali parametri di giudizio”100, tuttavia le esplicite dichiarazioni della Consulta non smentivano mai l’approccio ricostruttivo formale costantemente ribadito101.

L’assenza nell’ordinamento italiano di una esplicita previsione costituzionale, o quantomeno di un meccanismo riconosciuto anche solo a livello giurisprudenziale, idoneo a garantire la prevalenza della Convenzione sulle leggi nazionali posteriori, era stata posta in evidenza dalla stessa Corte europea già nella sentenza Ciulla c.

Italia102.

Un unica eccezione era rappresentata da una pronuncia103, limite estremo di apertura della Corte nei confronti del sistema normativo CEDU, che in termini giuridicamente assai ambigui104 considerava le norme convenzionali “derivanti da una fonte riconducibile a una competenza atipica e, come tali, insuscettibili di abrogazione o di modificazione da parte di disposizioni di legge ordinaria”. In questo modo, senza andare ad intaccare in concreto le certezze dogmatiche inerenti al sistema delle fonti, la Consulta, forse con un’eccessiva stringatezza argomentativa, metteva al riparo la Convenzione dai meccanismi generali della successione delle leggi nel tempo che, in considerazione dell’indirizzo seguito, questa avrebbe dovuto subire.

                                                                                                               

99 Ad esempio cfr. sentenze Corte cost. n. 231 del 2004, n. 376 del 2000 e n. 310 del 1996, sentenze n.

299 del 2005 e n. 29 del 2003, n. 299 del 2005; n. 299 del 1998.

100 Sentenza Corte cost. n.188 del 1980.

101 Si vedano le sentenze Corte cost. nn. 388 del 1999 e 399 del 1998.

102 Ciulla c. Italia, sentenza del 22 febbraio 1989, in Rivista di diritto internazionale, 1989, pagg. 664 e ss., nella quale la Corte di Strasburgo affermava che, in virtù dell’incertezza evidente circa la possibilità di prevalenza della normativa convenzionale rispetto alla normativa interna, non vi fosse la prova che nell’ordinamento italiano l’effettivo godimento del diritto garantito dall’art. 5, par. 5, sulla riparazione per ingiusta detenzione, si trovasse nella specie assicurato in presenza di una legge successiva in materia di misure di prevenzione, e cioè la legge n. 1423 del 27 dicembre 1956, sulla base della quale era stato ordinato l’arresto del ricorrente in vista di una misura di prevenzione In dottrina v. le osservazioni di G. RAIMONDI, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo nella gerarchia delle fonti dell’ordinamento italiano. Nota minima in margine alla sentenza Ciulla, in Riv.

Int. Dir. uomo, 1990, pagg. 36 e ss.

103 Sentenza n. 10 del 1993, in cui la Corte costituzionale utilizza il riferimento tanto alla CEDU quanto al Patto internazionale sui diritti civili e politici per interpretare l’art. 143 c.p.p. in modo da assicurare all’imputato straniero il diritto a conoscere gli atti processuali nella propria lingua.

104 Non è chiaro se l’atipicità attenga a tutte le norme esecutive di accordi internazionali o piuttosto riguardi esclusivamente le convenzioni internazionali sui diritti umani, come rilevato da E. LUPO, Il diritto dell’imputato straniero all’assistenza dell’interprete tra codice e convenzioni internazionali, in Giur. Cost., 1993, pag. 73.

Anche volendo enfatizzare in termini entusiastici una simile affermazione a dimostrazione di un parziale ripensamento alla totale chiusura della Corte, si era comunque ben lontani dall’offrire una ricostruzione che, in termini di sistema, individuasse l’esatta collocazione della CEDU tra le fonti dell’ordinamento e, proprio in quest’ottica, le sentenze “gemelle” appaiono in qualche modo “rivoluzionarie”, sebbene possano dare adito a diverse incertezze.

L’inquadramento accolto non comporta, invero, la “costituzionalizzazione” di tutte le norme contenute negli accordi internazionali, non potendosi a queste attribuire un rango diverso da quello dell’atto che le recepisce nell’ordinamento (nel caso di specie la Convenzione europea si pone e resta formalmente allo stesso livello di una legge ordinaria); tuttavia l’art. 117, comma 1, Cost., che al pari di altre disposizioni costituzionali “sviluppano la loro concreta operatività solo se poste in stretto collegamento con altre norme”105, consente “un rinvio mobile alla norma convenzionale di volta in volta conferente”106, concretizzando il puntuale contenuto dell’obbligo internazionale che identifica il parametro di costituzionalità. Ne consegue che gli “obblighi internazionali” dello Stato assurgono a “norme interposte”107 ex art. 117 Cost. e, come tali, si pongono ad un livello subordinato rispetto alla Costituzione, ma intermedio tra questa e la legge ordinaria.

Va osservato che la decisione di conferire parametricità a una norma internazionale sembra costituire un ulteriore passo consapevolmente più strutturato rispetto a quanto stabilito dalla Corte costituzionale in una precedente pronuncia108, considerata la massima manifestazione di una reale apertura internazionalistica della Corte stessa.

In essa, pur negandosi ancora una volta la forza costituzionale delle norme pattizie, viene posto l’accento sulla tematica dei diritti umani, oggetto di diverse convenzioni sia universali che regionali sottoscritte dall’Italia. Vero è che, anche in questo caso,

                                                                                                               

105 Par. 4.5 della motivazione delle sentenza n. 348 del 2007.

106 Par. 6.2 della motivazione delle sentenza n. 349 del 2007.

107 Soltanto la sentenza n. 349, in verità, pone la questione in termini così netti (par. 6.2). Con un inciso più prudente la sentenza n. 348 afferma: “A prescindere dall'utilizzazione, per indicare tale tipo di norme, dell'espressione ‘fonti interposte’, ricorrente in dottrina ed in una nutrita serie di pronunce di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 101 del 1989, n. 85 del 1990, n. 4 del 2000, n. 533 del 2002, n. 108 del 2005, n. 12 del 2006, n. 269 del 2007), ma di cui viene talvolta contestata l'idoneità a designare una categoria unitaria”(Par. 4.5).

108 Sentenza Corte cost. n. 388 del 1999.

la Consulta ribadisce il suo atteggiamento “autarchico”109, affermando che i diritti fondamentali dell’uomo trovano espressione e “non meno intensa garanzia” rispetto alle suddette Carte dei diritti in virtù dell’art. 2 Cost.; tuttavia “al di là della coincidenza nel catalogo di tali diritti, le diverse formule che li esprimono si integrano, completandosi reciprocamente nell’interpretazione”.

Tornando all’analisi delle sentenze “gemelle”, con specifico riguardo alla CEDU i giudici costituzionali svolgono un’ulteriore fondamentale considerazione.

Una rilevante peculiarità della Convenzione deriva dalla previsione di un organo giurisdizionale, ossia la Corte di Strasburgo, cui è demandato il compito di interpretare le disposizioni della Convenzione stessa110 (interpretazione che per la maggior parte degli accordi internazionali è rimessa alle Parti contraenti), alla quale va affiancata la forza vincolante delle sue pronunce cui gli Stati si impegnano a conformarsi111.

Ne deriva che “tra gli obblighi internazionali assunti dall'Italia con la sottoscrizione e la ratifica della CEDU vi è quello di adeguare la propria legislazione alle norme di tale trattato, nel significato attribuito dalla Corte specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione”112, contribuendo con ciò a precisare gli obblighi internazionali nella specifica materia.

La Consulta sottolinea inoltre che la “funzione interpretativa eminente” della Corte europea, garante dell’applicazione del livello uniforme di tutela dei diritti fondamentali all’interno dei singoli Paesi membri, non si traduce in una “competenza giurisdizionale che si sovrappone a quella degli organi giudiziari dello Stato italiano”113.

Infatti al giudice ordinario, in qualità di giudice comune nell’applicazione della Convenzione, spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme; “qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale «interposta», egli deve investire questa                                                                                                                

109 L’espressione è di A. COLELLA, Verso un diritto comune delle libertà in Europa. Riflessioni sul tema dell’integrazione della Cedu nell’ordinamento italiano, su www.forumcostituzionale.it

110 Art. 32, par.1 CEDU.

111 Art. 46 CEDU.

112 Par. 4.6 della motivazione delle sentenza n. 348 del 2007.

113 Ibidem.

Corte della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell'art. 117, primo comma”114.

Questo importante riconoscimento del ruolo della giurisprudenza di Strasburgo, apparentemente scontato, acquista invece un valore differente se confrontato con alcuni orientamenti giurisprudenziali della Suprema Corte di Cassazione. In tema di diritto all’equa riparazione per irragionevole durata del processo, ad esempio, la norma interna presa in esame115, pur richiamandosi esplicitamente all’art. 6 CEDU e recependo i parametri elaborati dalla giurisprudenza europea, veniva interpretata dai giudici di legittimità - almeno fino al differente orientamento accolto a seguito della già citata vicenda Scordino - a prescindere dal dictat della Corte europea, organo giurisdizionale considerato senz’altro autorevole, ma la cui interpretazione non era provvista di alcun effetto vincolante per i giudici interni116.

1.7 L’OBBLIGO DI INTERPRETAZIONE CONFORME A CONVENZIONE E LEVENTUALE