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Le problematiche generali con cui si confronta la Corte

Le ordinanze48 che hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale invocavano, quali parametri di giudizio, gli artt. 111, commi 1 e 2, e 117 Cost., entrambi in combinato con l’art. 6 CEDU e con l’art. 1 Primo Protocollo addizionale49 della Convenzione stessa; conseguentemente le questioni andavano esaminate con riferimento ai parametri costituzionali richiamati dai giudici a quibus50.

È proprio l’art. 11751 Cost., così come modificato dalla legge costituzionale n. 3 del 200152, in rinvio all’art. 1 Primo Protocollo, la norma di cui si serve la Consulta per dichiarare l’illegittimità costituzionale delle disposizioni impugnate53, offrendo altresì alla stessa la possibilità di dare una “nuova” e puntuale collocazione nel sistema delle fonti al diritto internazionale pattizio, ampio genus di cui fa parte la stessa Convenzione europea per i diritti dell’uomo.

Giova a questo punto rapidamente rammentare che, secondo costante giurisprudenza costituzionale54, il diritto internazionale dei trattati (eccezion fatta per il diritto comunitario, cui viene riconosciuto un “trattamento privilegiato” e che trova una                                                                                                                

47 Par. 8 della motivazione delle sentenza n. 349 del 2007.

48 Corte di Cassazione 29 maggio e 19 ottobre 2006, nella sentenza n. 348; Corte di Cassazione 20 maggio 2006 e Corte d’Appello di Palermo 29 giugno 2006, nella sentenza n. 349.

49 Ratificato e cui è stata data esecuzione con la legge 4 agosto 1955 n. 848.

50 Ex plurimis sentenze Corte Cost. nn. 234 e 310 del 2006.

51 Di conseguenza la Corte non valuta, essendo assorbita la questione dall’illegittimità in relazione all’art. 117 Cost., la compatibilità delle norme impugnate con l’art.111 Cost.

52 Art. 2 della legge cost. 18 ottobre 2001 n. 3. Per un primo commento a tale articolo si vedano M.

LUCIANI, Camicia di forza federale, in La Stampa del 3 marzo 2001 e la risposta fornita da L. ELIA in Senato, rinvenibile nel Resoconto Stenografico della seduta dell’8 marzo 2001, pag. 49, nonché ancora M. LUCIANI, Le nuove competenze legislative delle Regioni a Statuto ordinario. Prime osservazioni sui principali nodi problematici della legge cost. n. 3 del 2001, in www.associazionedeicostituzionalisti.it.

53 A seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme impugnate, dopo due mesi il legislatore è intervenuto in materia attraverso la legge finanziaria per il 2008, dettando nuovi criteri di riferimento. Tuttavia nel “periodo transitorio”, che va dalla dichiarazione di illegittimità all’entrata in vigore della citata legge (avvenuta il 1° gennaio 2008), la Cassazione ha ritenuto applicabile il criterio del valore venale sia per l’indennizzo da espropriazione sia per il risarcimento da occupazione acquisitiva. Per un approfondimento in merito I. CARLOTTO, I giudici comuni e gli obblighi internazionali dopo le sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 della Corte costituzionale: un’analisi sul seguito giurisprudenziale, in www.associazionedeicostituzionalisti.it.

54 Si vedano le sentenze Corte cost. n. 288 del 1997 e n. 315 del 1990 richiamate nel par. 6.1.1 della motivazione della sentenza n. 349 del 2007.

duplice copertura costituzionale negli artt. 11 e 117 Cost.) produce effetti giuridici all’interno del nostro ordinamento solo in virtù di una specifica norma interna che dia esecuzione alle disposizioni contenute nel trattato stesso, conferendo a queste il medesimo rango gerarchico dell’atto normativo che le recepisce.

Ciò scaturisce dalla premessa concettuale, largamente condivisa da dottrina costituzionalistica e internazionalistica, di una ricostruzione rigorosamente dualista di stampo kelseniano del rapporto intercorrente tra gli ordinamenti statali e l’ordinamento internazionale55.

Un aspetto problematico che deriva da tale approccio formale è legato al fatto che, nella maggioranza dei casi, le norme riproduttive delle disposizioni pattizie e che danno esecuzione ai trattati si pongono a livello di legislazione ordinaria, potendo in tal modo subire, almeno in teoria, il fenomeno dell’abrogazione o della modificazione a seguito di una normazione successiva di pari livello56.

Il riformato testo dell’art. 117, comma 1, Cost. sembrava offrire una soluzione al problema, individuando tra i limiti alla potestà legislativa statale e regionale il rispetto degli obblighi internazionali, nonostante parte della dottrina, anche in ragione della collocazione sistematica - invero non ottimale -, negasse che la modifica costituzionale avesse alterato in alcun modo il sistema delle fonti57.

Le pronunce della Corte definiscono, invece, il rapporto tra Convenzione europea e ordinamento italiano proprio alla luce del “nuovo” art. 117, comma 1, Cost.

La necessità di fare chiarezza sul punto trae origine da diversi presupposti.

Innanzitutto, l’evoluzione del complesso normativo CEDU, in seguito alle modifiche al sistema di controllo apportate con i Protocolli 1158 e 1459, che conferiscono alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo un rilievo sempre maggiore, comportava l’opportunità di una sistemazione definitiva, o quanto meno più chiara,

                                                                                                               

55 L’art. 10 Cost. infatti, come si vedrà più oltre, riguarda esclusivamente il diritto internazionale consuetudinario. Sull’analisi del rapporto tra ordinamenti differenti si rinvia a G. GUIGLIA, Le relazioni internazionali, in V. ONIDA, M. PEDRAZZA GORLERO (a cura di), Compendio di diritto costituzionale, Milano, 2008.

56 Si rammenta che la stessa CEDU è stata ratificata dall'Italia e resa esecutiva con legge ordinaria ai sensi della legge 4 agosto 1955 n. 848.

57 Si veda, ad esempio, C. PINELLI, Effetti orizzontali di direttive comunitarie e rispetto degli obblighi comunitari e internazionali ex art. 117, comma 1, Cost., in Giur. Cost., 2006, pagg. 3515 e ss.

58 Ratificato e reso esecutivo con la legge 28 agosto 1997, n. 296

59 Ratificato dall’Italia con legge n. 280, 15 dicembre 2005.

nell’ordinamento interno delle disposizioni CEDU e, parallelamente, del valore da assegnare alle pronunce della stessa Corte europea60.

In virtù dell’art. 46 CEDU, infatti, gli Stati contraenti hanno l’obbligo di conformarsi, sotto il controllo del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, alle sentenze definitive della Corte di Strasburgo, dal valore puramente dichiarativo, nelle controversie di cui sono parti61: si tratta, in verità, di un’obbligazione “di risultato”, essendo comunque libera l’Alta parte contraente di identificare i mezzi idonei a conseguire l’obiettivo fissato dalla Corte62.

Se però, in passato, la Corte aveva dimostrato un atteggiamento piuttosto self-restraint nell’interpretare i vincoli scaturenti dall’art. 46, concedendo ampio margine di discrezionalità agli Stati in tema di determinazione delle modalità con le quali provvedere all’esecuzione delle sentenze - margine che, di fatto, comportava troppo spesso la mancata rimozione negli ordinamenti interni delle cause di violazioni                                                                                                                

60 Ciò anche alla luce della legge 9 gennaio 2006, n. 12 (c.d. legge Azzolini, “Disposizioni in materia di esecuzione delle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo”), che ha introdotto nella legge 23 agosto 1988, n. 400, che elenca i compiti del Presidente del Consiglio, la seguente previsione: il Presidente (art. 5, comma 3, lett. a-bis) “Promuove gli adempimenti di competenza governativa conseguenti alle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo emanate nei confronti dello Stato italiano; comunica tempestivamente alle Camere le medesime pronunce ai fini dell’esame da parte delle competenti Commissioni parlamentari permanenti e presenta annualmente al Parlamento una relazione sullo stato di esecuzione delle suddette pronunce”. Successivamente (d.P.C.M. 1 febbraio 2007) sono state adottate le misure per l’esecuzione della legge n. 12 del 2006, individuando nel Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio la struttura competente ad informare l’Amministrazione interessata e il Ministero dell’economia dell’avvenuta pronuncia di sentenze di condanna, invitando i predetti a conformarsi, e suggerendo le misure necessarie. Il Dipartimento può anche assumere le iniziative opportune per definire le controversie pendenti sentito il parere dell’Avvocatura dello Stato, ma soprattutto predispone la relazione annuale al Parlamento, di cui si è detto, provvedendo peraltro a trasmettere, mensilmente, alle Camere le comunicazioni della Corte inerenti al passaggio in giudicato delle sentenze di condanna

61 L’attuale art. 46 CEDU, “Forza vincolante ed esecuzione delle sentenze”, dispone che: “1. Le Alte Parti contraenti s’impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte per le controversie di cui sono parte. 2. La sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri che ne sorveglia l’esecuzione. 3. Ove il Comitato dei Ministri ritenga che la sorveglianza di una sentenza definitiva è intralciata dalla difficoltà d’interpretare tale sentenza, essa può investire la Corte affinché si pronunzi su tale questione d’interpretazione. La decisione di investire la Corte è presa con un voto a maggioranza di due terzi dei rappresentanti aventi diritto ad un seggio nel Comitato. 4. Ove il Comitato dei Ministri ritenga che un’Alta Parte contraente rifiuti di attenersi ad una sentenza definitiva in una controversia di cui è parte, esso può, dopo aver messo in mora questa Parte e mediante una decisione adottata con un voto a maggioranza dei due terzi dei rappresentanti aventi diritto ad un seggio nel Comitato, investire la Corte della questione dell’osservanza di questa Parte degli obblighi relativi al paragrafo 1. 5. Se la Corte accerta una violazione del paragrafo 1, essa rinvia il caso al Comitato dei Ministri affinché esamini i provvedimenti da adottare. Qualora la Corte accerti che non vi è stata violazione del paragrafo 1, essa rinvia il caso al Comitato dei Ministri, il quale decide di porre fine al suo esame”.

62 Cfr., tra i tanti, A. GARDINO CARLI, Stati e Corte europea di Strasburgo nel sistema di protezione dei diritti dell’uomo. Profili processuali, Milano, 2005, pagg. 108 e ss.

sistematiche della Convenzione -, in tempi più recenti la Corte ha mutato il proprio indirizzo proprio per andare comprimere tale discrezionalità, affermando che la violazione della CEDU comporta in generale per lo Stato inadempiente, non soltanto l’eventuale corresponsione di una somma a titolo di riparazione pecuniaria ex art.

4163, bensì l’adozione di “general and/or, if appropriate, individual measures to be adopted in their domestic legal order to put an end to the violation found by the Court and to redress so far as possible the effects”64, e che la scelta degli strumenti con i quali eseguire la sentenza della Corte deve risultare “compatible with the conclusions set out in the Court’s judgment”, soprattutto nei casi di accertamento, nell’ambito degli ordinamenti nazionali, di disfunzioni gravi e strutturali tali da comportare reiterate violazioni della Convenzione65.

Da ciò nasceva la necessità di stabilire con precisione il rapporto tra ordinamento interno e giurisprudenza CEDU, sempre più audace nei confronti delle singole Corti costituzionali nazionali, non solo nello spingersi a criticare orientamenti consolidatesi in seno alle stesse66, ma anche nel dimostrare una certa propensione a valorizzare l’«effetto conformativo» delle proprie sentenze attraverso l’indicazione delle misure che lo Stato è tenuto ad adottare per ripristinare la situazione antecedente alla violazione, nonché per evitare che in futuro si verifichino lesioni dei diritti fondamentali analoghi a quelle riscontrate67.

A ciò si aggiunga che il Protocollo 1468 aveva introdotto una procedura d’infrazione attivabile dal Comitato di fronte alla Corte di Strasburgo quando lo Stato condannato rifiutasse, nonostante le ammonizioni, di conformarsi alla sentenza definitiva pronunciata nei suoi confronti, nonché la possibilità che la Corte stessa fornisse una                                                                                                                

63 L’art. 46 va, infatti, letto congiuntamente con l’art. 41 Cedu, il quale dispone che, nel caso di accertamento della violazione delle norme della Convenzione e dei suoi Protocolli addizionali e (solo) qualora il diritto interno non permetta di rimuovere integralmente gli effetti di tale violazione, la Corte possa accordare un’equa soddisfazione alla parte lesa.

64 Si veda la sentenza della Corte, resa il 13 luglio 2000, nel caso Scozzari e Giunta c. Italia, in Reports of Judgments and Decisions, 2000-VIII, 471 ss., in particolare par. 249.

65 È questa la situazione specifica accertata nella sentenza del 22 giugno 2004, nel caso Broniowski c.

Polonia, in Reports of Judgments and Decisions, 2004-V, 1 ss., in particolare par. 188 e ss.

66 Per quanto riguarda la Corte costituzionale italiana si veda ad esempio la sentenza Ielo c. Italia del dicembre 2005.

67 Si legga, ad esempio, la sentenza Sejdovic c. Italia, 10 novembre 2004.

68 Peraltro, senza attendere l’entrata in vigore del Protocollo 14, avvenuta il 1 giugno 2010, il Comitato aveva fatto proprio il contenuto delle disposizioni del Protocollo, approvando, con risoluzione del 10 maggio 2006, le nuove regole concernenti il controllo sull’esecuzione delle sentenze della Corte e degli atti stragiudiziali di soluzione amichevole delle controversie.

sorta di “interpretazione autentica” delle proprie pronunce quando queste presentassero margini di ambiguità.

Un’altra difficile questione con cui la Corte costituzionale doveva fare i conti scaturiva, come già accennato, dalla collocazione della CEDU nel sistema delle fonti, che soffriva in maniera eccessiva di un ingabbiamento formale a dispetto del contenuto “materialmente” costituzionale.

Il limitante rango legislativo della Convenzione aveva, infatti, portato i giudici italiani - in primo luogo la Corte di Cassazione69, peraltro seguita da diversi giudici di merito70 - ad imitare il meccanismo riconosciuto per il diritto comunitario, disapplicando la normativa interna che si ponesse in contrasto con le disposizioni CEDU nell’interpretazione offerta dalla Corte di Strasburgo, sino ad arrivare in un caso limite a ledere il principio dell’intangibilità del giudicato penale71.

Su queste problematiche si inseriscono le pronunce nn. 348 e 349 che, pur essendo state accolte con sentimenti differenti da parte della dottrina, sicuramente possiedono il pregio di fugare diversi dubbi, fornendo un’indicazione dogmatica sull’assetto del sistema CEDU nel nostro ordinamento, nonché sul ruolo del giudice comune nell’applicazione del diritto internazionale pattizio in generale.

Sinteticamente le statuizioni di principio affermate dalla Consulta nelle due sentenze sono:

- l’identificazione nell’art. 117, comma 1, Cost. del riferimento normativo per la copertura costituzionale delle norme CEDU, quali risultano dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo;

- la funzione “parametrica”, in quanto “norme interposte”, delle norme CEDU

(nonché, da quanto è evidente supporre, di tutto il diritto internazionale pattizio), in quanto rientranti tra gli “obblighi internazionali” di cui all’art.

117 Cost.;

                                                                                                               

69 Vedi par. successivo.

70 Trib. Genova, sent. 30 novembre 2000 n. 4114; Corte d’Appello di Firenze, sent. 20 gennaio 2005, n.111; Corte d’Appello di Firenze, sez.I, 14 luglio 2006 n. 1403; Trib. Roma, 9 novembre 2006.

71 È il celebre caso Dorigo: sentenza Cass. Pen. SS. UU, 25 gennaio 2007 n. 2800. In essa si afferma il principio per cui “il giudice dell’esecuzione deve dichiarare, a norma dell’art. 670 c.p.p., l’inesiguibilità del giudicato quando la Corte europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali abbia accertato che la condanna è stata pronunciata per effetto della violazione delle regole sul processo equo sancite dall’art. 6 della Convenzione europea ed abbia riconosciuto il diritto del condannato alla rinnovazione del giudizio, anche se il legislatore abbia omesso di introdurre nell’ordinamento il mezzo idoneo ad instaurare il nuovo processo”.

- la subordinazione della legge ai vincoli internazionali, che comporta il dovere per il giudice, in caso di contrasto insanabile in via interpretativa tra disposizione interna e disposizione internazionale, di adire (sempre) la Corte