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Un riferimento costituzionale per la Cedu: l’art. 117, comma 1, Cost

applicare la norma convenzionale.

Analizziamo ora più da vicino la ricostruzione operata dalla Corte costituzionale nelle due pronunce.

1.4 UN RIFERIMENTO COSTITUZIONALE PER LA CEDU: LART. 117, COMMA 1, COST.

Nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 bis (commi 1, 2 e 7 bis) per violazione dell’art. 117 comma 1, Cost. in relazione all’art. 1 Primo Protocollo addizionale CEDU, il giudice delle leggi stabilisce contemporaneamente due importanti principi: l’ubicazione della CEDU tra “gli obblighi internazionali” indicati dall’art. 117 Cost.; l’affermazione per cui la collocazione della CEDU all’interno del sistema italiano delle fonti prescinde dal formale atto di recezione dell’accordo nell’ordinamento in quanto, attraverso il rimando dell’art. 117 Cost., esso si pone in ogni caso quale fonte di rango sub-costituzionale e super-legislativa.

Una sentenza72, di poco precedente a quelle in esame, sembrava preludere a quello che sarebbe stato l’orientamento accolto dai giudici costituzionali. In un passaggio di questa pronuncia, in cui si fa riferimento al Patto internazionale sui diritti civili e politici73, viene infatti messa in evidenza la “forza giuridica [riconosciuta dalla stessa Corte] alle norme internazionali relative ai diritti fondamentali della persona”, alle quali va attribuita “grande importanza nella stessa interpretazione delle corrispondenti, ma non sempre coincidenti, norme contenute nella Costituzione”;

tuttavia le disposizioni del trattato non possono essere assunte “in quanto tali come                                                                                                                

72 Sentenza Corte cost. n. 393 del 2006, in cui il Tribunale di Bari aveva sollevato, in relazione all’art.

3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 3, l. 5 dicembre 2005, n. 251 (cd.

ex Cirielli), nella parte in cui subordinava l’applicazione delle norme contenute nell’art. 6 della medesima legge (che modificava in senso favorevole il disposto degli artt. 157 e 160 c.p. in tema di prescrizione dei reati) ai soli procedimenti penali in cui non fosse stata ancora dichiarata l’apertura del dibattimento.

73 Autorizzazione alla ratifica e ordine di esecuzione in Italia dati con legge 25 ottobre 1977, n. 881.

parametri nel giudizio di costituzionalità delle leggi”, cosicché “una loro eventuale contraddizione da parte di norme legislative interne non determinerebbe di per sé - cioè indipendentemente da una mediazione di una norma della Costituzione - un vizio di incostituzionalità”74.

Qual è, dunque, il riferimento normativo costituzionale idoneo ad operare questa mediazione?

Le pronunce n. 348 e n. 349 identificano tale appiglio normativo nell’art. 117 Cost., il quale “ha colmato una lacuna”75 e non opera esclusivamente nell’ambito dei rapporti tra Stato e Regioni, ma condiziona “globalmente e univocamente” il contenuto della legge statale al rispetto degli obblighi internazionali; esso, inoltre, “si collega, a prescindere dalla sua collocazione sistematica nella Carta costituzionale, al quadro dei principi che espressamente già garantivano a livello primario l’osservanza di determinati obblighi internazionali assunti dallo Stato”76, dovendosi perciò escludere l’operatività di diverse ulteriori disposizioni della Carta fondamentale che richiamano le norme internazionali.

L'art. 10 comma 1 Cost., infatti, sancisce l'adeguamento automatico dell'ordinamento interno alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute e concerne esclusivamente i principi generali e le norme di carattere consuetudinario77, senza comprendere le norme contenute in accordi internazionali che non riproducano principi o norme consuetudinarie del diritto internazionale78: le norme pattizie, ancorché generali, contenute in trattati internazionali multilaterali, categoria nella quale rientra la CEDU, esulano pertanto dalla portata normativa del suddetto articolo, con la conseguente inidoneità a porsi quali norme interposte in relazione all’art. 10 Cost. in un ipotetico giudizio di legittimità costituzionale79.

Del resto, “l'art. 10, secondo comma, e l'art. 7 Cost. fanno riferimento a ben identificati accordi, concernenti rispettivamente la condizione giuridica dello                                                                                                                

74 La pronuncia riprende testualmente quanto affermato nella precedente sentenza Corte cost. n. 15 del 1996.

75 Par. 6.2 della motivazione delle sentenza n. 349 del 2007.

76 Ibidem.

77 Si vedano le sentenze della Corte cost, n. 73 del 2001, n. 15 del 1996, n. 168 del 1994.

78 Par. 6.1 della motivazione delle sentenza n. 349 del 2007.

79 Par. 3.4 della motivazione delle sentenza n. 348 2007, dove vengono richiamate come precedenti:

ordinanze Corte cost. nn. 464 del 2005 e 143 del 1993; le sentenze Corte cost. n. 153 del 1987, n. 168 del 1994, n. 288 del 1997, n. 32 del 1999.

straniero e i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica e pertanto non possono essere riferiti a norme convenzionali diverse da quelle espressamente menzionate”80.

Allo stesso modo va escluso l’art. 11 Cost., nella parte in cui consente le limitazioni della sovranità nazionale necessarie per promuovere e favorire le organizzazioni internazionali rivolte ad assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni.

La disposizione in esame rappresenta, invero, il fondamento costituzionale sulla base del quale, a partire da un determinato momento e non senza difficoltà81, la Corte costituzionale ha riconosciuto alle norme comunitarie piena efficacia obbligatoria e diretta applicazione nell’ordinamento italiano, senza necessità di leggi di recezione e adattamento.

Analogo discorso non sembra poter essere esteso nei confronti della CEDU, “non essendo individuabile […] alcuna limitazione della sovranità nazionale”, posto inoltre che “i diritti fondamentali non possono considerarsi una ‘materia’ in relazione alla quale sia allo stato ipotizzabile […] una cessione di sovranità”82.

Mentre, infatti, con l’adesione dell’Italia ai Trattati comunitari, lo Stato ha rinunciato a una parte della propria sovranità - anche con riferimento al potere legislativo - entro i limiti delle materie oggetto dei Trattati stessi, cedendole a un ordinamento sopranazionale, tale caratteristica non è riscontrabile nella Convenzione europea:

quest’ultima non crea un ordinamento giuridico sovranazionale, essendo configurabile piuttosto come “un trattato internazionale multilaterale […] da cui derivano ‘obblighi’ per gli Stati contraenti, ma non l'incorporazione dell'ordinamento giuridico italiano in un sistema più vasto, dai cui organi deliberativi possano promanare norme vincolanti, omisso medio, per tutte le autorità interne degli Stati membri”83. Questa impostazione è confermata, inoltre, dalla stessa formulazione letterale dell’art. 117 Cost., che distingue - distinzione “non soltanto terminologica, ma anche sostanziale”84 - i vincoli derivanti dall’“ordinamento comunitario” da quelli riconducibili agli “obblighi internazionali”.

                                                                                                               

80 Par. 6.1 della motivazione delle sentenza n. 349 del 2007.

81 Si allude al lungo “dialogo” avvenuto tra Corte costituzionale e Corte di Giustizia europea, che ha portato alla storica sentenza Corte cost. n. 170 del 1984, in cui viene affermato il principio della diretta applicabilità delle norme comunitarie e della prevalenza di queste sulla normativa interna.

82 Par. 6.1 della motivazione delle sentenza n. 349 del 2007.

83 Par. 3.3 della motivazione delle sentenza n. 348 del 2007.

84 Ibidem.

La rilevanza del parametro di cui all’art. 11 Cost., secondo la Corte85, non può parimenti essere riconosciuta nemmeno sotto un profilo - per così dire - indiretto, ossia invocando i diritti fondamentali oggetto delle disposizioni della CEDU come principi generali del diritto comunitario, così come accolto dalla Corte di giustizia dell’Unione europea: questi, infatti, possono venire in rilievo “esclusivamente rispetto a fattispecie alle quali tale diritto [comunitario] sia applicabile: in primis gli atti comunitari, poi gli atti nazionali di attuazione di normative comunitarie, infine le deroghe nazionali a norme comunitarie asseritamente giustificate dal rispetto dei diritti fondamentali”. Da ciò si evince che allo stato attuale “il rapporto tra la CEDU e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri, non essendovi in questa materia una competenza comune attribuita alle (né esercitata dalle) istituzioni comunitarie, è un rapporto variamente ma saldamente disciplinato da ciascun ordinamento nazionale”.

In sintesi, la Convenzione europea non produce in alcun modo norme direttamente applicabili dai giudici nazionali, in quanto non sorretta dalla previsione costituzionale dell’art. 11 Cost., il quale legittima tale meccanismo di produzione normativa, suscettibile di immediata e diretta applicazione, solo in relazione al diritto comunitario.

1.5 UN FRENO PER I GIUDICI ALLA DISAPPLICAZIONE DELLE DISPOSIZIONI INTERNE