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Il contrasto tra la Cedu e una legge ordinaria precedente: la sentenza n. 39 del

A parziale integrazione - e contraddizione - di quanto stabilito dalla Corte costituzionale in merito al rapporto tra ordinamento interno e sistema CEDU va presa in considerazione la sentenza 27 febbraio 2008, n. 39.

                                                                                                               

131 Secondo alcuni autori questa ipotesi non può verificarsi. Si veda ad esempio V. SCIARABBA, Nuovi punti fermi (e questioni aperte) nei rapporti tra fonti e corti nazionali ed internazionali, in Giur.

Cost., 2007, secondo il quale il giudice avrebbe il dovere di “non sottoporre alla Corte una ‘questione di convenzionalità’, o in genere di conformità ai vincoli internazionali, tutte le volte in cui egli ritenga che la norma sospettata o addirittura ritenuta non conforme a tali vincoli sia l’unica (sicuramente) conforme a Costituzione”.

132 Queste le ipotesi suggerite da I. CARLOTTO, I giudici comuni e gli obblighi internazionali dopo le sentenze n. 348 e n. 349, cit.

In essa infatti i giudici costituzionali, più che fare i conti con una questione lasciata in ombra133 dalle sentenze “gemelle”, sembrano parzialmente smentire i capisaldi giuridico-formali su cui si fonda l’intero iter argomentativo e motivazionale delle pronunce nn. 348 e 349.

La sentenza in esame sancisce l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art.

117, comma 1, Cost., degli artt. 50 e 142 del regio decreto 15 marzo 1942, n. 267, nel testo anteriore alle modifiche operate dal decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, in quanto stabiliscono che le incapacità personali derivanti al fallito dalla dichiarazione del fallimento perdurano oltre la chiusura della procedura concorsuale.

Tale testo di legge era già stato censurato dalla Corte di Straburgo134, ritenendo che le disposizioni in esso contenute fossero lesive dell’art. 8 CEDU in tema di tutela della vita privata.

La peculiarità della pronuncia n. 39 risiede nel fatto che oggetto della dichiarazione di incostituzionalità è una legge ordinaria precedente all’entrata in vigore della legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione europea: in questo modo la Corte costituzionale definisce implicitamente un aspetto non approfondito dalle precedenti sentenze, ovvero le conseguenze di un eventuale contrasto tra una legge di esecuzione di un trattato internazionale e una legge cronologicamente anteriore.

Storicamente, come già in precedenza evidenziato, il problema dell’inquadramento della CEDU si è posto in relazione alle norme di legge successive che, nella prospettiva formale accolta dalla Consulta, potevano abrogare le disposizioni convenzionali, in quanto fonti di pari grado, in base al criterio della successione delle leggi nel tempo. Il medesimo approccio formale legittimava, dunque, l’applicazione della norma CEDU in presenza di una norma cronologicamente anteriore incompatibile135, in virtù dell’abrogazione tacita che questa subisce ex art. 15 delle cd. Preleggi.

                                                                                                               

133 V. SCIARABBA, Il problema dei rapporti tra (leggi di esecuzione di) vincoli internazionali e leggi precedenti nel quadro della recente giurisprudenza costituzionale, in www.forumcostituzionale.it

134 Ex plurimis sentenza Vitiello c. Italia, 23 marzo 2006. In essa si afferma che “a causa della natura automatica dell’iscrizione del nome del fallito nel registro e dell’assenza di una valutazione e di un controllo giurisdizionale sull’applicazione delle incapacità discendenti dalla suddetta iscrizione e del lasso di tempo previsto per ottenere la riabilitazione, l’ingerenza prevista dall’art. 50 della legge fallimentare nel diritto al rispetto della vita privata dei ricorrenti non è necessaria in una società democratica, ai sensi dell’art. 8, § 2, della Convenzione”.

135 Cass. pen. SS. UU. 10 luglio 1991, n. 7662.

Tale criterio generale oggi non vale più per il diritto CEDU (e, sembra potersi desumere, per il diritto internazionale pattizio in generale), in quanto un ipotetico conflitto insanabile per via interpretativa tra questo e una norma interna pare dover in ogni caso, secondo quanto stabilito dalla pronuncia in questione, sfociare in un giudizio di legittimità costituzionale a prescindere dal loro rapporto cronologico.

Vero è che il giudice delle leggi ha escluso l’operatività dell’art. 11 Cost. in riferimento alla normativa CEDU, negando a questa le stesse caratteristiche riconosciute al diritto comunitario, ossia prevalenza e diretta applicabilità; altrettanto vero è che la Corte smentisce esplicitamente che l’antinomia tra norma CEDU e norma interna possa “essere eliminata con i normali criteri di composizione in sistema delle fonti del diritto”136, ma tale affermazione è condivisibile se si correla all’eventuale conflitto con una norma interna “successiva”.

Qui, invece, la questione si pone in termini differenti.

Se si parte, infatti, dalla premessa ricostruttiva logico-formale che alle norme della Convenzione “non può attribuirsi un rango diverso da quello dell’atto che […] le ha rese esecutive nell’ordinamento”, si deve allora necessariamente concludere che queste sono da considerarsi al pari di una legge ordinaria.

Un dubbio, tutt’al più, può sorgere qualora si cerchi di optare per una natura sovraordinata della CEDU, nel senso di annoverarla tra le fonti di grado gerarchicamente superiore; ma anche ignorando la particolare forza passiva in quanto

“fonte atipica” riconosciuta dalla Consulta137 e prescindendo dalla nuova qualificazione di “fonte interposta”, che la collocherebbe su un piano super-legislativo attraverso il rimando dell’art. 117, comma 1, Cost., alla Convenzione non sembra potersi negare la forza di abrogazione propria dell’intervento di una legge di pari grado138.

Questa, invece, appare la conclusione cui giunge la Corte costituzionale nella sentenza analizzata poiché, entrando nel merito della questione, implicitamente riconosce un obbligo in capo al giudice ordinario di sollevare un giudizio di

                                                                                                               

136 Par. 4.3 della motivazione della sentenza n. 348 del 2007.

137 Sentenza Corte cost. n. 10 del 1993.

138 R. MASTROIANNI, La sentenza della Corte cost. n. 39 del 2008 in tema di rapporti tra leggi ordinarie e CEDU: anche le leggi cronologicamente precedenti vanno rimosse dalla Corte costituzionale?, in Forum di Quaderni costituzionali, 2008.

legittimità costituzionale per violazione degli obblighi internazionali anche nel caso di leggi ordinarie preesistenti a questi.

Dato, inoltre, che la natura “precettiva” della Convenzione - o almeno di alcune sue disposizioni - è stata più volte apertamente sostenuta sia dai giudici della Suprema Corte di Cassazione139, sia dalla Corte europea, e considerato che le sentenze

“gemelle” mettono in risalto la funzione “interpretativa eminente” della stessa Corte di Strasburgo, stabilendo che la sua giurisprudenza - anche se non in maniera del tutto incondizionata - è vincolante per la corretta valutazione del testo convenzionale, l’imposizione tout court di un sindacato accentrato della Corte, ogniqualvolta venga in rilievo una disposizione CEDU, desta senza dubbio qualche perplessità140.

Come è stato giustamente osservato141, il medesimo modus procedendi era stato affermato dalla Consulta all’inizio della sua attività con riguardo alle ipotesi di conflitto tra Costituzione e leggi ad essa precedenti, impedendo ai giudici di risolvere i contrasti tra norme ricorrendo al metodo abrogativo attraverso un “sindacato diffuso” di costituzionalità. Tuttavia si osserva che, mentre Costituzione e leggi anteriori sono fonti del tutto diverse e, soprattutto, di rango differente, leggi ordinarie e leggi esecutive di trattati internazionali sono identiche sotto un profilo formale, potendosi dunque correttamente ricorrere all’abrogazione tacita delle seconde sulle prime, qualora queste siano cronologicamente precedenti e ove ricorrano i presupposti ai sensi delle “Disposizioni sulla legge in generale”.

Abbandonando una giustificazione di tipo puramente giuridico-formale, la scelta operata dai giudici costituzionali va, dunque, letta nella differente ottica di una

“giurisprudenza di interessi”142.

Una sentenza che dichiara l’illegittimità costituzionale di una disposizione ne provoca l’annullamento ex tunc, mentre l’abrogazione tacita, che si fonda su una valutazione di incompatibilità operata dal giudice con effetti esclusivamente inter partes, determina la cessazione dell’efficacia delle norme di legge ex nunc; inoltre, proprio perché l'abrogazione tacita opera sulle norme, e non sulle disposizioni che le                                                                                                                

139 Vedi par. 5 di questo capitolo.

140 A favore dell’abrogazione in conseguenza di un’applicazione diretta di una norma convenzionale successiva nel tempo si veda S. BARTOLE, Integrazione e separazione della tutela costituzionale e convenzionale dei diritti umani, in Dir. um. e dir. int., 2008, fascicolo 2.

141 V. SCIARABBA, Il problema dei rapporti tra (leggi di esecuzione di) vincoli internazionali cit.

142 Si riporta a quanto esposto in Premessa.

contengono, ne consegue che esse possono trovare applicazione anche per il futuro, purché non siano interpretate in modo contrastante con la norma successiva.

Il ricorso a tale istituto in caso di contrasto tra norma interna e norma CEDU

successiva, quindi, non solo non appare conforme all’art. 117 Cost., secondo la lettura della giurisprudenza costituzionale, quale norma di produzione giuridica143; non solo comporterebbe una disparità nel trattamento di leggi ordinarie pregresse alla normativa convenzionale, per le quali il giudice dovrebbe dichiarare nell’ambito del giudizio l’intervenuta abrogazione, e di leggi successive, nei confronti delle quali lo stesso giudice dovrebbe invece promuovere un incidente di costituzionalità; ma impedirebbe, inoltre, alla Corte costituzionale di verificare, attraverso il proprio sindacato, la permanente vigenza di norme interne contrastanti con il diritto pattizio, esigenza fondamentale che si pone inderogabilmente a seguito della riconosciuta necessità - di tenore costituzionale - del rispetto dei vincoli imposti dall’ordinamento internazionale alla legge ordinaria.