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Un freno per i giudici alla disapplicazione delle disposizioni interne in contrasto

Rinviando al seguente capitolo la trattazione delle varie considerazioni critiche della dottrina avanzate in merito, pare opportuno a questo punto brevemente ricordare che, sino a questa definitiva cesura operata dai giudici della Consulta, si era progressivamente fatta strada una diversa prassi giurisprudenziale, su impulso in primo luogo della Corte di Cassazione, la quale, pur senza riferirsi precisamente al parametro di cui all’art. 11 Cost., optava per la diretta applicabilità del diritto convenzionale a fronte della contestuale “disapplicazione”86 delle disposizioni interne eventualmente in contrasto con questo.

                                                                                                               

85 Par. 6.1 della motivazione delle sentenza n. 349 del 2007.

86 Con il termine “disapplicazione” - o, per meglio dire, “non applicazione” come puntualizzato dalla Consulta con la pronuncia n. 168 del 1991 - si intende la possibilità (ed in taluni casi l’obbligo) di non applicare un atto normativo, al fine di risolvere il problema dell’invalidità di un atto contrastante con una norma sovraordinata o comunque prevalente, secondo il criterio della competenza (cfr. Così G.

La sentenza n. 34887, in particolare, richiama delle pronunce dei giudici di legittimità88 che, sulla base di un “asserito carattere sovraordinato” e di una conseguente “maggiore forza passiva” della fonte CEDU, giustificavano l’inefficacia e la non applicazione da parte del giudice comune di una disposizione interna successiva, modificativa o abrogativa di una norma prodotta da tale fonte.

Va sottolineato, però, che le posizioni accolte dalla Corte di Cassazione si fondavano anche su argomentazioni differenti e più ardite.

Già nella sentenza Polo Castro89, infatti, il giudice di legittimità aveva riconosciuto la diretta applicabilità delle norme della Convenzione, facendo leva sulla natura

“precettiva” di queste, che “consegue dal principio di adattamento del diritto italiano al diritto internazionale convenzionale”. A parere della Suprema Corte occorre tuttavia distinguere: “ove l’atto o il fatto normativo internazionale contenga il modello di un atto interno completo nei suoi elementi essenziali, tale cioè da poter senz’altro creare obblighi e diritti, l’adozione interna del modello di origine internazionale è automatica (adattamento automatico), ove invece l’atto internazionale non contenga detto modello le situazioni giuridiche interne da esso imposte abbisognano, per realizzarsi, di una specifica attività normativa dello Stato”.

Il Giudice di legittimità, probabilmente sulla scia della “sfuggente” sentenza della Corte costituzionale di pochi mesi prima90, si era spinto ancora oltre nella sentenza Medrano91.

In essa la I Sezione, oltre a mostrarsi particolarmente attenta nel recepire gli indirizzi offerti dalla giurisprudenza della Corte europea e pur negando alle norme

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         

TULUMELLO, voce Disapplicazione, in Dizionario di Diritto Pubblico, diretto da S. CASSESE, III, Milano, 2006. La disapplicazione delle leggi statali e regionali rappresenta il meccanismo in base al quale la Corte costituzionale, a partire dalla citata sentenza n. 170 del 1984, ha risolto il problema delle antinomie tra norme comunitarie e norme statali, imponendo, sia al giudice ordinario, sia alle Pubbliche Amministrazioni, di dare preferenza ai regolamenti ed alle direttive autoapplicative comunitarie, nonché alle sentenze interpretative o di condanna della Corte di Lussemburgo.

87 Par. 4.3 della motivazione delle sentenza n. 348 del 2007.

88 Cass. SS. UU., sentenza n. 28507 del 2005; Cass., sez. I, sentenza n. 6672 del 1998.

89 Cass. SS. UU. penali 23 novembre 1988 n. 15, in Cass. Pen. 1989, pag. 1418. In essa si afferma che

“le norme della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, salvo quelle il cui contenuto sia da considerarsi così generico da non delineare specie sufficientemente puntualizzate, sono di immediata applicazione nel nostro Paese e vanno concretamente valutate nella loro incidenza sul più ampio complesso normativo che si è venuto a determinare in conseguenza del loro inserimento nell’ordinamento italiano”.

90 Sentenza Corte cost. n. 10 del 1993, di cui si parlerà nel par. successivo.

91 Cass. pen., sez. I, 10 luglio 1993, n. 2194, in Cass. Pen. 1994, pag. 439.

convenzionali (nella fattispecie concreta l’art. 8 CEDU92) il criterio della prevalenza elaborato in riferimento alla normativa comunitaria, affermava che le disposizioni CEDU hanno natura di principi generali dell’ordinamento ex art. 2 Cost., anche alla luce di quanto enunciato dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee, secondo cui le norme CEDU sono da considerarsi alla stregua di principi generali del diritto comunitario, quindi vincolanti per il giudice nazionale.

Con riguardo poi all’eventualità di una norma in conflitto con una disposizione CEDU, quest’ultima dotata di immediata precettività rispetto al caso concreto, veniva riconosciuta93 l’applicazione diretta da parte del giudice nazionale, il quale “è tenuto a dare prevalenza alla norma pattizia […] anche ove ciò comporti una disapplicazione della norma interna”, dunque - a quanto sembra desumersi – anche a prescindere dal rapporto cronologico esistente tra le norme. E ancora: “per quanto è rimesso al potere giurisdizionale, l’applicazione della Convenzione, ove incorporata nel diritto interno, può comportare la disapplicazione delle norme interne ritenute incompatibili, senza attendere l’intervento adeguatore del potere legislativo”94. Con le pronunce “gemelle” la Corte costituzionale si propone di arginare questa tendenza, statuendo l’impossibilità per il giudice ordinario di disapplicare una norma legislativa ordinaria ritenuta in contrasto con la norma CEDU, posto che tale conflitto si risolve in una questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 117, comma 1, Cost., di competenza esclusiva della Corte stessa.

L’art. 117 Cost., infatti, “se da una parte rende inconfutabile la maggior forza di resistenza delle norme CEDU rispetto a leggi ordinarie successive, dall'altra attrae le stesse nella sfera di competenza di questa Corte, poiché gli eventuali contrasti non generano problemi di successione delle leggi nel tempo o valutazioni sulla rispettiva collocazione gerarchica delle norme in contrasto, ma questioni di legittimità costituzionale”95.

                                                                                                               

92 Ciò è ancor più significativo se si confronta il dettato di tale norma (in cui figurano espressioni piuttosto generiche, quali quelle di “rispetto”, “vita privata” e “vita familiare”) con quello dell’art. 5 CEDU - il cui carattere self-executing era stato affermato nel caso Polo Castro - che in tutta evidenza detta una serie di garanzie ben definite, suscettibili di trovare applicazione immediata nell’ordinamento interno.

93 Cass. civ., sez. I, 19 luglio 2002, n. 10542, in Corriere giur., 2003, pag. 769.

94 Cass. civ., sez. I, 11 giugno 2004, n. 11096, in Corriere giur., 2004, pag. 1467.

95 Par. 4.3 della motivazione delle sentenza n. 348 del 2007.