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L’oggetto del sindacato della Corte

La questione di legittimità al vaglio della Corte costituzionale investe una norma del decreto-legge 11 luglio 1992 n. 333, in tema di misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 1992 n.

359.

In particolare, mentre la sentenza n. 348 concerne il calcolo dell’indennizzo a seguito di una procedura espropriativa da parte della Pubblica amministrazione, così come previsto dall’art. 5 bis commi 1 e 2 della suddetta legge, la pronuncia n. 349 ha invece ad oggetto la censura del nuovo co. 7 bis24 della medesima disposizione, riguardante il risarcimento conseguente a occupazione illegittima di suoli per causa di pubblica utilità25.

                                                                                                               

21 Decreto-legge 11 luglio 1992 n. 333, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 1992 n. 359.

22 Tali particolarità trovano probabilmente giustificazione anche nel fatto che la sentenza n. 348 è stata redatta dal “costituzionalista” Gaetano Silvestri, mentre la sentenza n. 349 dall’ “internazionalista”

Giuseppe Tesauro.

23 A questo proposito si veda M. LUCIANI, Alcuni interrogativi sul nuovo corso della giurisprudenza costituzionale in ordine ai rapporti tra diritto italiano e diritto internazionale, in Corr. Giur., 2, 2008, pag. 117.

24 Introdotto con l’art. 3, co. 65, della legge 23 dicembre 1996 n. 662 in tema di misure di razionalizzazione della finanza pubblica.

25 Non è chiaro perché la Corte abbia ritenuto di non riunire in un’unica sentenza i rinvii relativi all’art. 5 bis, diversificando gli aspetti relativi all’indennità nei casi di cosiddetta ‘occupazione acquisitiva’ o ‘accessione invertita’ (oggetto della sentenza n. 349) e quelli inerenti l’indennità in tutti

Per quanto riguarda la prima questione, la normativa precedentemente in vigore26, di matrice tipicamente liberale, garantiva al soggetto espropriato di un bene un indennizzo pari al valore venale del bene stesso. Pur avendo tale regola subito alcune modifiche con riguardo a situazioni particolari27, tale criterio era rimasto sostanzialmente invariato sino all’introduzione dell’art. 5 bis della legge impugnata, con la quale veniva stabilito un indennizzo pari al valore medio, ridotto del 40%, tra valore venale del bene e reddito dominicale rivalutato28: ciò comportava un’indennità, notevolmente ridimensionata, fluttuante tra il 30% e il 50%

dell’effettivo valore reale del bene29.

Diverso è il regime imposto per i casi di occupazione illegittima e, più specificamente, nei casi di occupazione acquisitiva, a norma di legge30 ammissibile soltanto in determinati casi d’urgenza, che si verifica quando l’occupazione da parte della Pubblica amministrazione del fondo di un privato per la realizzazione di un’opera pubblica nasce sulla scorta della dichiarazione di pubblica utilità31; tuttavia la Pubblica amministrazione, pur non portando a compimento il procedimento espropriativo con la tempestiva adozione del decreto di esproprio entro i termini dell’occupazione legittima, diviene ugualmente titolare ab origine della proprietà del fondo, a causa dell’irreversibile trasformazione che il bene subisce in conseguenza dell’intervento pubblico (cosiddetta “accessione invertita”).

La Corte di Cassazione32, sottolineando l’illegittimità del ricorso all’occupazione acquisitiva al di fuori dei limitati casi d’urgenza, che sostanzialmente nella prassi si                                                                                                                                                                                                                                                                                                                          

gli altri casi di esproprio (oggetto della sentenza n. 348). Sul punto C. ZANGHÌ, La Corte costituzionale risolve un primo contrasto con la Corte europea dei diritti dell’uomo ed interpreta l’art. 117 della Costituzione: le sentenze del 24 ottobre 2007, in I diritti dell’uomo. Cronache e battaglie, 2007.

26 Legge 25 giugno 1865 n. 2359.

27 La sentenza richiama la legge 15 gennaio 1885 n. 2892 sul risanamento della città di Napoli (cfr.

par. 5.1 e 5.5 della motivazione della sentenza n. 348 del 2009)

28 Tale riduzione non era applicabile nel caso di cessione volontaria del bene, inducendo il proprietario a non opporsi all’espropriazione, limitando di fatto il suo diritto ad agire in giudizio ex artt. 24 e 113 Cost. e 6 CEDU. Tale profilo non viene approfondito nella sentenza in esame, perché già il criterio di calcolo dell’indennizzo sfociava di per sé nell’annullamento della disposizione, come rilevato da D. SCHEFOLD, L’osservanza dei diritti dell’uomo garantiti nei trattati internazionali da parte del giudice italiano, in www.forumcostituzionale.it.

29 Par. 5.7 della motivazione della sentenza n. 348 del 2009.

30 Sempre legge n. 2359, 25 giugno 1865.

31 Dall’occupazione acquisitiva vanno tenute distinte le cd. “occupazioni usurpative”, caratterizzate dalla radicale mancanza di un titolo legittimante. In tal senso Cass. civ. n. 1814/2000 e Cass civ. n.

4451/2001.

32 Cfr. sentenze Cass. SS.UU. n. 1464 del 1983 e Cass. SS.UU. n. 3940 del 1988.

trasformava nella possibilità di realizzare opere pubbliche senza seguire il formale procedimento di espropriazione, ne ha dedotto l’obbligo in capo alla Pubblica amministrazione, non di indennizzare, ma di risarcire l’ex proprietario in conseguenza del danno subito con una somma corrispondente al valore reale del bene.

Dapprima con la legge n. 549 del 199533 e poi con l’introduzione del comma 7 bis all’art. 5 bis del decreto-legge 11 luglio 1992 n. 333 - a norma del quale, in caso di occupazione illegittima di suoli per causa di pubblica utilità intervenuta anteriormente al 30 settembre 1996, si applicano per la liquidazione del danno i criteri di determinazione dell'indennità previsti per l'espropriazione dei suoli edificatori - si equipara di fatto il risarcimento del danno da illecito derivante da occupazione illegittima all’indennizzo dovuto per espropriazioni, pur senza la riduzione del 40% prevista per quest’ultime e con una maggiorazione nella misura del 10%.

La Corte costituzionale si era già confrontata in passato con le norme in questione, verificandone la compatibilità con l’art. 42 Cost. il quale, sebbene affermi la possibilità che la proprietà privata possa essere espropriata, in casi legislativamente previsti e salvo indennizzo34, pone altresì l’accento sulla funzione sociale e sull’interesse generale della proprietà stessa.

Proprio in quest’ottica la Consulta aveva fatto salve tali disposizioni, non dovendo l’indennizzo andare a coprire l’intero valore di mercato del bene, in virtù della funzione sociale che grava sulla proprietà e degli obblighi di solidarietà economica e sociale riconducibili all’art. 2 Cost. I giudici costituzionali avevano, invece, affermato il principio del “serio ristoro”35, quale criterio per l’individuazione di un minimo di indennizzo costituzionalmente garantito, che, sulla base di una valutazione delle caratteristiche essenziali e del valore del bene ablato, non può essere meramente simbolico o irrisorio, ma “congruo, serio e adeguato”36. Tuttavia la stessa Corte aveva ritenuto ammissibili criteri “mediati”, lasciando alla discrezionalità del legislatore l'individuazione di parametri concorrenti con quello del                                                                                                                

33 L’art. 5 bis della legge 28 dicembre 1995 n. 549 verrà censurato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 369 del 1996 per contrasto con gli artt. 3 e 42 Cost.

34 Art. 42, comma 3, Cost.

35 Sentenza Corte cost. n. 5 del 1980.

36 Sentenza Corte cost. n. 283 del 1993.

valore venale, in considerazione del fatto che la “mediazione tra l'interesse generale sotteso all'espropriazione e l'interesse privato, espresso dalla proprietà privata, non può fissarsi in un indefettibile e rigido criterio quantitativo, ma risente sia del contesto complessivo in cui storicamente si colloca, sia dello specifico che connota il procedimento espropriativo, non essendo il legislatore vincolato ad individuare un unico criterio di determinazione dell'indennità, valido in ogni fattispecie espropriativa”37. Sulla scorta di queste premesse la Consulta aveva concluso per il rispetto di tale principio nella disciplina introdotta con il decreto-legge del 1992.

D’altro canto il giudice delle leggi aveva censurato l’equiparazione operata dal legislatore dell’indennizzo per espropriazione e per occupazione acquisitiva, perché confliggente con il principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. nonché in contrasto con l’art. 42 co. 2 Cost. a causa della “perdita di garanzia che al diritto di proprietà deriva da una così affievolita risposta dell’ordinamento all’atto illecito compiuto in sua violazione”38. Tuttavia essa era pervenuta a un dichiarazione di infondatezza delle censure avanzate in relazione al citato comma 7 bis con riferimento ai medesimi parametri costituzionali di cui agli artt. 3 e 42 Cost., “essenzialmente in considerazione della mancanza di copertura costituzionale della regola della integralità della riparazione del danno e della equivalenza della medesima al pregiudizio cagionato, della eccezionalità del caso, giustificata soprattutto dal carattere temporaneo della norma denunziata, nonché di salvaguardare una ineludibile, e limitata nel tempo, manovra di risanamento della finanza pubblica”39. A fronte di questo orientamento della giurisprudenza costituzionale si ponevano le pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo: quest’ultima, dopo una lunga evoluzione giurisprudenziale, attribuiva all’art. 1 del Primo Protocollo40 CEDU, inerente il diritto di proprietà, un contenuto e una portata risultanti incompatibili con la disciplina italiana dell’indennità di espropriazione.

                                                                                                               

37 Ibidem.

38 Sentenza Corte cost. n 369 del 1996.

39 Par. 7.1 della motivazione delle sentenza n. 349 del 2007, che riprende le argomentazioni contenute nella sentenza Corte cost. n 148 del 1999.

40 L’articolo in esame prevede che “Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni.

Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale”.

In particolare la Corte di Strasburgo in un’importante pronuncia41, nella quale si condannava l’Italia per la violazione del principio relativo alla necessità di un indennizzo sufficiente per le espropriazioni in base al citato art. 5 bis, venendosi in questo modo a configurare una violazione strutturale42 del diritto convenzionale da parte dello Stato italiano, aveva fissato alcuni principi generali al riguardo.

Secondo la Corte europea un atto dell’autorità pubblica, che va ad incidere sul diritto di proprietà, deve trovare il giusto equilibrio, pur nel rispetto di un ampio margine di apprezzamento riconosciuto ai singoli Stati, tra le esigenze dell'interesse generale della comunità e le esigenze imperative di salvaguardia dei diritti fondamentali dell'individuo. La norma convenzionale, infatti, non sancisce in maniera assoluta e a prescindere da qualsivoglia contingenza il diritto dell'espropriato ad un risarcimento integrale, posto che “obiettivi legittimi di pubblica utilità, come quelli perseguiti dalle misure di riforma economica o di giustizia sociale, possono giustificare un rimborso inferiore al valore commerciale effettivo”: tale indennizzo deve però in ogni caso porsi “in rapporto ragionevole con il valore del bene”. Inoltre, proprio in riferimento alla disciplina stabilita dal richiamato art. 5 bis, si afferma che, quando si tratta di “esproprio isolato che non si situa in un contesto di riforma economica, sociale o politica e non è legato ad alcun altra circostanza particolare”, non sussiste

“alcun obiettivo legittimo di ‘pubblica utilità’ che possa giustificare un rimborso inferiore al valore commerciale”.

Con specifico riguardo poi ai casi di occupazione acquisitiva, la Corte di Strasburgo si era più volte pronunciata nel senso che la liquidazione del danno derivante da tali attività, anche se stabilita in maniera superiore rispetto all’indennità da espropriazione, non comporta necessariamente l’esclusione della violazione del diritto di proprietà, così come tutelato dalla Convenzione, qualora non se ne discosti

“in una percentuale […] apprezzabilmente significativa”43, in quanto il risarcimento

                                                                                                               

41 Sentenza della Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo, Scordino contro Italia, 29 marzo 2006.

42 Sul concetto di “violazione strutturale” A. BULTRINI, La recente evoluzione del contenzioso

“strutturale” dell’Italia di fronte alla Corte europea dei diritti dell’uomo, in Riv. Dir. Int., 2007, pagg. 430 e ss.

43 Corte europea dei diritti dell’uomo, I Sezione, sentenza 23 febbraio 2006, Immobiliare Cerro s.a.s.;

IV sezione, sentenza 17 maggio 2005, Scordino; IV Sezione, sentenza 17 maggio 2006, Pasculli.

Richiamati nel par. 8 della motivazione della sentenza n. 349 del 2007.

del danno deve essere integrale, nonché comprensivo di rivalutazione monetaria a partire dal provvedimento illegittimo44.

Le diverse soluzioni interpretative adottate dalle Corti apparivano dunque notevolmente simili, in quanto “la differenza tra le due posizioni [era] minore sul piano concettuale piuttosto che nella valutazione dei casi concreti”45, nei quali il giudice costituzionale italiano è apparso più indulgente nel riconoscere come legittima una disciplina normativa che trovava le sue giustificazioni giuridiche nel preciso quadro storico-economico in cui era inserita, nelle eccezionali esigenze finanziarie, nonché in ragione della sua transitorietà e provvisorietà.

A questo proposito appare importante sottolineare che entrambe le pronunce n. 348 e n. 349 contengono espliciti riferimenti ai presupposti circostanzianti che avevano condotto in precedenza la Corte costituzionale a ritenere la norma conforme a Costituzione. Nel momento in cui però la stessa Corte opera nuovamente il suo sindacato, questi medesimi presupposti sono - secondo la Consulta - venuti meno ovvero non soddisfano più quel giusto equilibrio tra interesse pubblico e interesse privato. Ciò induce a ritenere che si sarebbe comunque potuti giungere ad una pronuncia di illegittimità costituzionale delle norme impugnate, a prescindere dalla

“interposizione” delle norme internazionali, con esclusivo riferimento all’art. 42 Cost.

Da un lato46 si afferma, infatti, che il criterio dichiaratamente provvisorio del calcolo per indennità da espropriazione di cui all’art. 5 bis è divenuto definitivo a seguito dell'art. 37 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), che contiene una norma identica; dall’altro lato “la temporaneità del criterio di computo stabilito dalla norma censurata, le congiunturali esigenze finanziarie che la sorreggono e l'astratta ammissibilità di una regola risarcitoria non ispirata al principio della integralità della riparazione del danno non costituiscono elementi sufficienti a far ritenere che, nel quadro dei principi costituzionali, la disposizione

                                                                                                               

44 Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 7 agosto 1996, Zubani.

45 D. SCHEFOLD, L’osservanza dei diritti dell’uomo cit.

46 Par. 5.6 della motivazione delle sentenza n. 348 del 2007.

censurata realizzi un ragionevole componimento degli interessi a confronto, tale da contrastare utilmente la rilevanza della normativa CEDU”47.