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L’interpretazione tradizionale dell’art. 10 della Costituzione: un riferimento per il

RICONOSCIUTO

L’art. 10, comma 1, Cost. recita: “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”.

Secondo risalente dottrina162 tale norma sarebbe da qualificarsi come “norma di produzione”163, ossia in grado di determinare essa stessa, per forza propria, la creazione di norme interne corrispondenti al diritto internazionale, a prescindere dunque da un atto-fonte interno, che ne (ri)produca gli effetti. Esso, inoltre, rappresenterebbe “un limite alla produzione giuridica nel senso che non potrebbero essere emanate norme contrarie alle esigenze ed ai fini dell’adattamento del diritto interno al diritto internazionale”164.

                                                                                                               

162 Cfr. M. MIELE, La Costituzione italiana e il diritto internazionale, 1951, pagg. 15 ss.

163 Per una lettura dell’art. 10 Cost. quale “norma sulla produzione” si vedano invece E.

CANNIZZARO, Trattato (adattamento al), in Enc. Dir., vol XLIV, 1992, pagg. 1403 ss.; C. FABOZZI, L’attuazione dei trattati internazionali mediante ordine di esecuzione, 1961, pagg. 36 ss.

164 A. LA PERGOLA, Costituzione e adattamento del diritto interno al diritto internazionale, Milano, 1961, pag. 367.

Tuttavia questa disposizione, secondo copiosa dottrina165 e costante giurisprudenza costituzionale166, è da riferirsi alle sole norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, ossia al diritto internazionale consuetudinario, nonché ai principi generali dell’ordinamento internazionale, risultando conseguentemente inapplicabile alla CEDU nel suo complesso, in quanto diritto pattizio167.

Nonostante ciò, diversi autori sono giunti a conclusioni differenti.

Si è infatti affermato168 che il “trasformatore permanente”169 di cui all’art. 10 Cost.

opererebbe non soltanto nei confronti del diritto internazionale generale, ma anche - in via indiretta - per il diritto pattizio in virtù del principio di diritto internazionale generale pacta sunt servanda (o, per meglio dire, pacta recepta sunt servanda).

Detto principio si ritrova anche nella Convenzione sul diritto dei trattati170, opera di codificazione del diritto consuetudinario in materia di trattati internazionali, applicabile alle Parti contraenti nella misura in cui non se ne dimostri il contrasto con il diritto consuetudinario ivi consolidato. Ne deriva che il canale “costituzionale”

attraverso il quale tale Convenzione dispiega i suoi effetti all’interno dell’ordinamento italiano deve intendersi direttamente l’art. 10 co. 1 Cost171 e, in particolare, le previsioni di cui agli artt. 26 (“ogni trattato in vigore vincola le parti e queste devono applicarlo secondo buona fede”: pacta sunt servanda) e 27 (“una parte non può invocare le disposizioni della propria legislazione interna per giustificare la mancata esecuzione di un trattato”).

                                                                                                               

165 Si vedano, tra i tanti, B. CONFORTI, Diritto internazionale, Napoli, 1987, pagg. 281 e ss.; T.

MARTINES, Diritto costituzionale, Milano, 1988, pagg. 102 e ss.; M. GIULIANO, T. SCOVAZZI, T.

TREVES, Diritto internazionale, Milano, 1983, pagg. 631 e ss.; CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, Vol. I (Introduzione al diritto costituzionale italiano), Padova, 1970, pagg. 69 e ss.; A.

AMORTH, La Costituzione italiana. Commento sistematico, Milano, 1948, pag. 46.

166 Sul punto si rimanda alla giurisprudenza richiamata nel capitolo I.

167 Può creare dubbi, a questo proposito, la pronuncia della Corte Cost., 30 luglio 2008, n. 306, in cui espressamente si rileva che rientrano tra le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute di cui all’art. 10 Cost. quelle che garantiscono i diritti fondamentali della persona indipendentemente dall’appartenenza a determinate entità politiche. Sul punto si veda R. DICKMANN, Corte costituzionale e diritto internazionale, cit., pag. 3606.

168 Si fa riferimento a R. QUADRI, Diritto internazionale pubblico, 1956, pagg. 62 ss.; P. BARILE, Rapporti tra norme primarie comunitarie e norme costituzionali e primarie italiane, in Com. int., 1966, pagg. 15 ss.; A. D’ATENA, Problemi relativi al controllo di costituzionalità delle norme di adattamento ai trattati internazionali, in Giur. Cost., 1967, pagg. 614 e ss.

169 L’espressione si deve a L. CONDORELLI, Il “riconoscimento generale” delle consuetudini internazionali nella Costituzione italiana, in Riv. dir. int., 1979, pag. 16.

170 Adottata a Vienna il 23 maggio 1969 e ratificata dall’Italia con legge 12 febbraio 1974, n. 12.

171 R. DICKMANN, Corte costituzionale e diritto internazionale nel sindacato delle leggi per contrasto con l’art. 117, primo comma, della Costituzione, su www.federalismi.it, 2007.

L’art. 10 Cost. sarebbe, dunque, un riferimento normativo idoneo a immettere automaticamente nel diritto italiano tanto il diritto internazionale consuetudinario, quanto il diritto internazionale convenzionale, con la conseguenza che, se l’ordinamento interno non si adattasse tempestivamente alle norme pattizie, lo Stato violerebbe il suddetto principio.

Diverse e ineludibili argomentazioni tendono a smentire una simile tesi.

In primo luogo, il tenore letterale dell’art. 10 Cost. appare indubbio nell’escludere dall’applicazione automatica e immediata il diritto dei trattati tout court, poiché in esso si fa esplicito riferimento alle sole norme del diritto internazionale generalmente riconosciute172, mentre i trattati, per non essere produttivi di effetti esclusivamente sul versante internazionale, necessitano di un atto-fonte interno, il quale, secondo un’ottica formale, ne definisce la collocazione nel sistema delle fonti.

Inoltre, tale interpretazione non collima con la tutela “rinforzata” prevista per gli accordi che disciplinano la condizione giuridica dello straniero di cui al secondo comma173, nel quale si opera una distinzione tra norme e trattati internazionali.

Il medesimo dato è ulteriormente confermato dalla volontà del legislatore costituente, che emerge dall’esame dei lavori preparatori della Costituzione, nei quali si legge “l’espressione «generalmente riconosciute» vuole indicare questo: il diritto internazionale generale, indipendentemente da quei segmenti di diritto internazionale che sono costituiti dai trattati tra i vari Stati”174.

Se, dunque, è pacifico che il principio del pacta sunt servanda, in qualità di norma internazionale generale, viene introiettato nel nostro ordinamento attraverso l’art. 10 Cost., non appare tuttavia convincente da ciò dedurre l’ingresso automatico di ogni singola disposizione dei diversi pacta contratti dallo Stato italiano, senza forzare la lettera della norma e l’espressa volontà del Costituente, nonché dilatando                                                                                                                

172 Sintetizza così M. SICLARI: “Non è casuale l’inserimento dell’aggettivo «generale», utilizzato proprio in contrapposizione a «particolare»: aggettivo, quest’ultimo, che suole essere affiancato al sintagma «diritto internazionale» per alludere sia al diritto internazionale «pattizio», «convenzionale»

(scaturente dai trattati bi- o plurilaterali) sia alle consuetudini «particolari» (che vengono a prodursi e assumono efficacia solo fra alcuni dei soggetti dell’ordinamento internazionale). Sia l’intento dei costituenti, sia il tenore letterale dell’art. 10, primo comma, Cost., porterebbero dunque a concludere che la Costituzione imponga l’adattamento automatico dell’ordinamento giuridico alle sole consuetudini internazionali «generali» e non al diritto pattizio ed a quello consuetudinario

«particolare»”, Le “norme interposte” nel giudizio di costituzionalità, 1992, pag. 27.

173 A. CASSESE, Commento all’art. 10, in G. BRANCA, Commentario della Costituzione, 1977, pag.

495.

174 Assemblea costituente: Presidente della Commissione nella seduta 24 marzo 1947, pag. 2428.

potenzialmente all’infinito le maglie normative della stessa disposizione costituzionale. Volendo fare un esempio, si potrebbe pensare ad Aladino che, di fronte alla possibilità offerta dal genio della lampada di esprimere solo tre desideri, chiedesse, come primo desiderio, la facoltà di poter esprimere un numero infinito di desideri.

E’ stato altresì osservato che, da un lato, il principio pacta sunt servanda è una norma strumentale sulla produzione giuridica dell’ordinamento internazionale e, come tale, insuscettibile di tradursi in una norma di diritto interno statale175; dall’altro che, anche ammettendo che tale principio obblighi lo Stato a conformare il proprio ordinamento alle norme internazionali pattizie, di certo esso non comporta l’ulteriore obbligo di adottare un dispositivo di adattamento automatico176.

2.2 UNA LIMITATA INVOCABILITÀ DELLART. 10 COST. ANCHE PER IL DIRITTO PATTIZIO: LE DISPOSIZIONI CEDU COME RIPRODUZIONIDI NORME DI DIRITTO INTERNAZIONALE CONSUETUDINARIO

Come già precedentemente emerso, questa è anche l’impostazione generale accolta dalla Consulta nelle sentenze oggetto di analisi, secondo cui “l’adeguamento automatico dell’ordinamento interno alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute [di cui all’art. 10 Cost.] concerne esclusivamente i principi generali e le norme di carattere consuetudinario […], mentre non comprende le norme contenute in accordi internazionali che non riproducano principi o norme consuetudinarie del diritto internazionale”177: “le norme pattizie, ancorchè generali, contenute in trattati internazionali bilaterali o multilaterali, esulano pertanto dalla portata normativa del suddetto art. 10”178.

Da quest’ultima osservazione della Consulta si potrebbe dunque ricavare che, se per

“norme internazionali generalmente riconosciute” dobbiamo intendere le norme consuetudinarie internazionali e i principi generali che ne derivano per successive                                                                                                                

175 A. LA PERGOLA, Costituzione e adattamento, cit, pagg. 305 ss.; F. SORRENTINO, Corte Costituzionale e Corte di giustizia delle Comunità europee, vol. I, Milano, 1970, pagg. 59 e ss.; A.

CASSESE, Art. 10, cit, pagg 493 ss.

176 A. LA PERGOLA, Costituzione e adattamento, cit, pag. 307; V. CRISAFULLI, Lezioni, cit, pagg. 69 ss. 177 Par. 6.1 della motivazione della sentenza n. 349 del 2007.

178 Par. 3.4 della motivazione della sentenza n. 348 del 2007.

generalizzazioni ed astrazioni179, allora ricadranno fuori dall’ambito dell’art. 10 Cost.

quei trattati che, qualunque sia il numero degli Stati contraenti, creano pur sempre norme particolari; viceversa, se un trattato recepisse, come nel caso della Convenzione di Vienna sopra richiamata, norme di diritto internazionale generale, sarebbe allora legittimo desumere la copertura costituzionale di queste ai sensi dell’art. 10 Cost.

Si afferma, in proposito, che esistono dei diritti contenuti nella CEDU - ma tale discorso può essere esteso anche ad altre Carte - cui va riconosciuto “un fondamento anche (e in primo luogo) consuetudinario, gli enunciati di patti internazionali che ne danno la rappresentazione costituendo in realtà la fedele trascrizione di norme radicate nel tessuto internazionale non scritto. Ed è bensì vero che la dimostrazione della «vera» natura delle norme può non di rado rivelarsi particolarmente disagevole, costituendo quindi oggetto di controverse valutazioni. Una volta, però, che essa si abbia attraverso il riconoscimento diffuso degli operatori […], il trattamento complessivo dovrà essere riferito […] al primo comma dell’art. 10”180.

In effetti, questa sembra essere anche la soluzione fatta propria dalla Consulta in una recente pronuncia, nella quale si stabilisce che il giudice, rilevato un contrasto insanabile in via interpretativa tra norma interna e norma CEDU, “deve sollevare la questione di costituzionalità, con riferimento al parametro dell’art. 117, primo comma, Cost., ovvero anche dell’art. 10, primo comma, Cost., ove si tratti di una norma convenzionale ricognitiva di una norma del diritto internazionale generalmente riconosciuta”181.

Di tale assunto, in verità, già possono scorgersi i prodromi nella citata sentenza n.

349, dove il giudice costituzionale, a proposito dell’art. 10 Cost., sibillinamente sottolinea che questo “non comprende le norme contenute in accordi internazionali che non riproducano princìpi o norme consuetudinarie del diritto internazionale”182.                                                                                                                

179 G. VEDOVATO, I rapporti internazionali dello Stato, in Commentario sistematico della Costituzione italiana diretto da P. CALAMANDREI e A. LEVI, Vol. I, Firenze, 1950, pagg. 90 e ss.

180 A. RUGGERI, Ancora in tema di rapporti tra Cedu e Costituzione: profili teorici e questioni pratiche, 2008, su www.associazionedeicostituzionalisti.it.

181 Corte Cost., sentenza 26 novembre 2009, n. 311. Corsivo aggiunto. Si vedano i commenti di R.

DICKMANN, La legge d’interpretazione autentica viola il diritto al giusto processo di cui all’art. 6 della Cedu? (Nota a Corte cost., 26 novembre 2009, n.311), su www.federalismi.it, n. 24/2009; A.

RUGGERI, Conferme e novità di fine anno in tema di rapporti tra diritto interno e CEDU (a prima lettura di Corte cost. nn. 311 e 317 del 2009), su www.forumcostituzionale.it.

182 Par. 6.2 della motivazione delle sentenza n. 349 del 2007. Corsivo aggiunto.

Del resto, ben prima della possibilità di ricorrere all’enunciato del “nuovo” art. 117 Cost., si era sostenuto183 che le disposizioni della CEDU - o perlomeno alcune di esse - fossero tutelate dall’art. 10 Cost., proprio in quanto riproducenti norme internazionali universalmente riconosciute.

Si obiettava, però, - e tale obiezione resta tuttora fondata - che il carattere specifico di molte norme della Convenzione impedisse che queste potessero essere incluse tout court nella categoria delle consuetudini internazionali, considerato inoltre che nella prassi internazionale solo la riprovazione per le cd. gross violations (genocidio, discriminazione razziale, tortura, schiavitù) ha acquistato validità universale, delineando norme consuetudinarie in grado di vincolare – indistintamente – tutti i membri della comunità internazionale184.

Un interessante dubbio è stato sollevato185, invece, in merito alla possibilità di ricondurre sotto la sfera di operatività dell’art. 10 Cost. non soltanto il diritto internazionale globalmente riconosciuto, ma anche il diritto consuetudinario regionale, equiparati già in una risalente decisione dalla Corte internazionale di giustizia186.

Tuttavia, per le ragioni sopra esposte, sembra difficile pensare che la Corte costituzionale possa riconoscere la copertura dell’art. 10 Cost. a norme di trattati internazionali non vincolanti per l’universalità degli Stati187, ma soltanto per una - seppur notevole - parte di questi, proprio in ragione delle motivazioni, anche solo inerenti il dato testuale, precedentemente esposte.

In definitiva, l’attuale invocabilità dell’art. 10, comma 1, Cost. con riguardo alla CEDU, in qualità di ulteriore parametro costituzionale rispetto all’art. 117 Cost., come                                                                                                                

183 P. PUSTORINO, Sull’applicabilità diretta e la prevalenza della Convenzione europea dei diritti dell’uomo nell’ordinamento italiano, in Riv. int. dir. uomo, 1995, pag. 34 e ss.

184 G. SORRENTI, Le Carte internazionali sui diritti umani: un’ipotesi di “copertura” costituzionale

“a più facce”, in Pol. dir. 1997, pag. 376.

185 O. POLLICINO, Margine di apprezzamento, art 10, c.1, Cost. e bilanciamento “bidirezionale”:

evoluzione o svolta nei rapporti tra diritto interno e diritto convenzionale nelle due decisioni nn. 311 e 317 del 2009 della Corte costituzionale?, in Quaderni costituzionali, 2009.

186 Decisione Colombia c. Perù, 20 novembre 1950.

187 Della medesima opinione G. SORRENTI, La Cedu tra vecchie (sostanziali) e nuove (formali) ipotesi di copertura, in All’incrocio tra Cosituzione e Cedu, Il rango delle norme della Convenzione e l’efficacia interna delle sentenze di Strasburgo, R. BIN, G. BRUNELLI, A. PUGIOTTO, P. VERONESI (a cura di), Torino, 2007, secondo cui l’art. 10 Cost. “sembrerebbe deporre nel senso che si siano voluti prendere in considerazione, come termini soggettivi del comportamento integrante il versante materiale della consuetudine, tutti gli Stati membri dell’ordinamento internazionale, non solo quelli appartenenti ad una certa regione geografica”.

esplicitamente riconosciuto nella sentenza n. 311 del 2009, rappresenta di certo un elemento inedito, andando a precisare, seppur all’apparenza in modo impercettibile, lo schema già accolto nelle “sentenze gemelle” relativo alla collocazione delle norme convenzionali nel sistema delle fonti.

Se però, in astratto, l’affermazione di questa nuova copertura costituzionale può apparire un parziale cambiamento di rotta, tuttavia non bisogna abbandonarsi a facili entusiasmi.

Vero è che, per la prima volta, la Corte costituzionale ammette espressamente la possibilità che una disposizione CEDU, qualora sia ricognitiva di una norma internazionale generalmente riconosciuta, possa ricadere sotto l’ambito di cui all’art.

10 Cost.; e ciò appare in particolar modo interessante, dal momento che implicitamente la Corte ammette che esistono delle norme della Convenzione riproduttive di norme di diritto internazionale consuetudinario universale. Vero è, inoltre, che tale attestazione comporterebbe, alla luce della stessa giurisprudenza costituzionale188, un differente trattamento da attribuire a queste “peculiari”

disposizioni: mentre, infatti, in quanto norme interposte ex art. 117, comma 1, Cost., le disposizioni CEDU devono sottostare al controllo di legittimità costituzionale rispetto a tutti gli articoli della Carta fondamentale189, invece, in veste di parametro per violazione dell’art. 10 co. 1 Cost., se riproduttive di norme internazionali generalmente riconosciute, sarebbero tenute a rispettare solo i “principi supremi”

desumibili dalla Costituzione, al pari del diritto comunitario. Va, tuttavia, rilevato che la concreta utilizzabilità del suddetto parametro, verosimilmente, sarà circoscritto a rarissimi casi, anche alla luce del fatto che la maggioranza della dottrina internazionalistica ritiene che siano ben poche, come si è precedentemente evidenziato, le norme pattizie in grado di assurgere al ruolo di diritto internazionale generalmente riconosciuto190.

Ma, anche prescindendo da questa considerazione, si sottolinea che le norme veicolate dall’art. 10 Cost., pur occupando sicuramente una posizione sovraordinata

                                                                                                               

188 Corte cost., 18 giugno 1979, n. 48.

189 Par. 4.7 della motivazione della sentenza n. 348 del 2007.

190 Cfr. O. POLLICINO, Margine di apprezzamento, art 10, c.1, Cost. cit.

rispetto alle fonti legislative ordinarie, non sono univocamente considerate idonee a derogare a norme formalmente costituzionali191.

Il ruolo centrale nel determinare la portata della normativa CEDU, già riconosciuto nelle sentenze del 2007 e qui ulteriormente ribadito, resta saldamente affidato alla sensibile valutazione della Consulta sotto un duplice profilo: in primo luogo ad essa spetterà il compito - in sede di scrutinio di costituzionalità – di verificare, caso per caso, se effettivamente la disposizione CEDU impugnata riproduca una norma internazionale universalmente riconosciuta o meno; in caso di esito positivo, bisognerà poi vedere se la stessa Corte accorderà a tale norma interposta, attraverso la tutela dell’art. 10 Cost., un valore - o, se si preferisce, un trattamento192 - differente rispetto a una qualsiasi norma CEDU che sia coperta esclusivamente dall’art. 117, comma 1, Cost.

Un ulteriore dubbio può essere a questo punto sollevato: in quanto riproduzione di una norma internazionale consuetudinaria, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo sarà ugualmente vincolante per il giudice costituzionale oppure questi sarà libero di discostarsene parzialmente, dovendo piuttosto confrontarsi, ad esempio, con la giurisprudenza della Corte internazionale di Giustizia, organo giurisdizionale principale nell’interpretazione del diritto internazionale?

Per completezza espositiva, è infine opportuno sinteticamente accennare a una tesi minoritaria193 secondo cui non il primo, bensì il secondo comma194 dell’art. 10 Cost., costituisce un ulteriore spiraglio costituzionale alla normativa CEDU.

In realtà la Corte costituzionale, nella sua più recente giurisprudenza195, esclude a chiare lettere che le norme del sistema CEDU possano ricadere, in quanto tali, sia                                                                                                                

191 Cfr., ad esempio, S. M. CICCONETTI, La creazione indiretta del diritto nell’ordinamento giuridico italiano, in Dir. Soc., 4, 2008.

192 A favore della “non applicazione” della norma di diritto interno in contrasto con il diritto internazionale consuetudinario, senza ricorrere all’incidente di cosituzionalità, A. RUGGERI, Ancora in tema di rapporti tra Cedu e Costituzione, cit., in quanto “quale senso potrebbe mai avere, infatti, ragionare dell’attitudine delle norme generalmente riconosciute a prendere subito il posto di anteriori (e con esse incompatibili) norme interne (persino costituzionali!), laddove nel caso inverso, di sopravvenienza di queste ultime norme dovrebbe farsi comunque ricorso al sindacato di costituzionalità?”.

193 M. CHIAVARIO, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo nel sistema delle fonti normative in materia penale, Milano, 1969, pag. 49, e – più di recente – A. PACE, Costituzionalismo e metodi interpretativi dei diritti fondamentali, in G. ROLLA (a cura di), Tecniche di garanzia dei diritti fondamentali, Torino, 2001, pag. 42.

194 “La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”.

sotto l’ambito dell’art. 7 Cost., sia sotto l’ambito delle norme internazionali che regolano la condizione giuridica dello straniero ex secondo comma, in entrambi i casi facendosi riferimento a “ben identificati accordi”.

Tuttavia, secondo parte della dottrina, è possibile asserire che la Convenzione concorra a determinare la condizione giuridica degli stranieri, ricadendo dunque nell’ambito di applicazione dell’art. 10, comma 2 Cost., posto che l’art. 1 della stessa CEDU impone agli Stati firmatari il riconoscimento dei diritti e delle libertà in essa sanciti nei confronti di ogni persona, e non solo dei rispettivi cittadini.

Ciò comporterebbe un onere di conformità della legislazione interna in materia alle norme internazionali - tanto consuetudinarie, quanto pattizie – per cui, in caso di contrasto tra l’una e le altre, sarebbero quest’ultime a prevalere.

In ossequio al principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost., poi, le disposizioni convenzionali che si mostrassero più garantiste rispetto alle corrispondenti norme della Costituzione andrebbero applicate anche ai cittadini italiani, pena l’ingiustificata disparità di trattamento dei primi rispetto ai secondi, onde evitare una discriminazione “al rovescio”.

La tesi esposta, pur presentandosi alquanto contorta, nel pieno rispetto del dato testuale offre la facoltà all’interprete di accordare alle norme CEDU la prevalenza su disposizioni interne meno garantiste. Ma da questo pregio scaturisce anche il suo punto debole: l’apporto della CEDU sarebbe, infatti, poco incisivo, laddove essa si limitasse a garantire a un diritto o a una libertà una protezione (non più accentuata, ma soltanto) equivalente a quella assicurata dal testo costituzionale196.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         

195 Par. 6.1 della motivazione della sentenza n. 349 del 2007. Tuttavia, in oramai risalenti pronunce del giudice delle leggi, in cui questi sembra riconoscere alla Convenzione un rango diverso rispetto alle fonti legislative, si fa riferimento proprio alla condizione dello straniero per giustificare una simile atipicità (si vedano, ad esempio, le decisioni della Corte cost. nn. 10 del 1967, 104 del 1969 e 144 del 1970). In realtà la Consulta non si pronunciava specificamente sul valore da conferire alla Convenzione, ma operava un ragionamento generale sul trattamento dello straniero e sull’efficacia del principio costituzionale di eguaglianza nel riconoscimento dei diritti fondamentali in capo a questo, garantiti anche alla luce della Cedu, collegando gli artt. 2, 3 e 10, comma 2, Cost.

196 A. COLELLA, Verso un diritto comune, cit., pag. 71.

2.3 L’ESTENSIONE APPLICATIVA DELLART. 11 COST. ANCHE IN RELAZIONE ALLA

CONVENZIONE EUROPEA

La Corte costituzionale, come già rilevato nel precedente capitolo, ha negato il riconoscimento diretto alla Convenzione europea per il tramite dell’art. 11 Cost.197, applicabile invece per il diritto comunitario, non essendo ravvisabile quella

La Corte costituzionale, come già rilevato nel precedente capitolo, ha negato il riconoscimento diretto alla Convenzione europea per il tramite dell’art. 11 Cost.197, applicabile invece per il diritto comunitario, non essendo ravvisabile quella