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Colonia Vela in No habrá más penas ni olvido

CAPITOLO 3. Colonia Vela ovvero l’Argentina

3.1. Colonia Vela in No habrá más penas ni olvido

Incontriamo per la prima volta il pueblo di Colonia Vela nel secondo romanzo pubblicato

da Osvaldo Soriano, No habrá más penas ni olvido1.

Il paratesto

Una delle caratteristiche principali della poetica di Soriano è l'intertestualità: testo e paratesto sono ricchi di rimandi ad altre opere, che in tal modo vengono risignificate e offrono anche al testo attuale un'ulteriore possibile chiave di lettura. Per dirla con Gérard Genette, citazioni ed epigrafi acquisiscono una significazione doppia e paratestuale: significano in relazione con il testo di cui fanno parte e stabiliscono un dialogo con il testo nel quale vengono incorporati.

È quanto succede, ad esempio, con il tango Mi Buenos Aires querido da cui è tratto

il titolo del romanzo che stiamo analizzando2. Secondo Raúl Soumerou

al utilizar este verso para titular su novela, Soriano lo carga de sentidos que no tiene el tango. En esto el protagonista habla de nostalgia, de recuerdos, de tiempo transcurrido y de proximidad de reencuentro con Buenos Aires. Se trata de un tema asiduo en el tango. En el contexto de la anécdota de la novela, en cambio, sugiere otras cosas: 1) la «desaparición» de la ciudad de Buenos Aires y del país, ahogados por la violencia; y 2) la esperanza de una pródiga próxima reaparición. Además deja en el aire otra significación. Cuando no haya más Penas (es decir cuando la situación histórica en la que se inspira la novela haya desaparecido) no habrá tampoco Olvido. Las penas causadas deberán ser pagadas por quienes las causaron. Este remite a un «slogan» político de la Argentina de los últimos

1 Il romanzo venne pubblicato, prima che in originale, in traduzione italiana da Einaudi nel 1979 con il titolo Mai più pene né oblio; Soriano all'epoca si trovava in esilio a Parigi, dove conobbe Italo Calvino che lo mise in contatto con l'editore torinese. L'anno seguente apparve la prima edizione in castigliano, pubblicata a Barcellona da Bruguera. Soltanto nel 1982, infine, No habrá más penas ni olvido venne edito in Argentina, ancora da Bruguera, ma senza l'autorizzazione dello scrittore.

D’ora in avanti tutte le citazioni si riferiranno all’edizione Seix Barral 2004 menzionata in bibliografia.

2 Il tango fu composto espressamente per il film Cuesta abajo, diretto a New York nel 1934 dal francese Louis Gasnier per la Paramount Pictures e interpretato da Carlos Gardel. Le parole del tango, composte da Alfredo Le Pera su musica di Gardel, recitano “Mi Buenos Aires querido, / cuando yo te vuelva a ver, / no habrá más penas ni olvido”.

tiempos («Ni olvido ni perdón») utilizado contra las dictaduras militares.3

La dedica recita “A la memoria de mi padre”: la figura di José Vicente Soriano ha sempre rivestito un ruolo di primo piano, apparendo talvolta quasi un'ossessione all'interno della produzione del figlio Osvaldo. Secondo quanto afferma Marcela Croce

En la serie de las dedicatorias, entre las múltiples a Pasquini Durán4, la cautelosa a Roberto Cossa5, la nostálgica a Chandler, Laurel y Hardy6, la que recibe el padre es la más emotiva en su parquedad. Es la única que se enfoca hacia la familia y no hacia las elecciones estilísticas, genéricas o amistosas. El padre saldrá después de las dedicatorias para abundar en las crónicas breves7 con su vida peregrina y recalar en La hora sin sombra con los pormenores de su muerte.8

Il romanzo non è suddiviso in capitoli, ma sono ben identificabili -anche grazie alle scelte tipografiche- 35 “scene” ripartite in due parti, o forse sarebbe meglio dire in due “atti”9

3 Raul Soumerou, “Crónica de la derrota con honra” (1990), op. cit., nota 2, p. 94.

. Il secondo atto si apre con un'epigrafe tratta da Cesare Pavese, che in italiano recita “Con amore o con odio, / però sempre con violenza”. In questo caso le motivazioni sono chiare: per tutto il romanzo, e in particolare nel finale, si vuole dimostrare come la violenza reggesse i rapporti umani e i rapporti di potere in Argentina durante l'ultimo governo Perón. Un'escalation che, purtroppo, non si sarebbe fermata con

la morte del generale, anzi avrebbe se possibile acquisito evidenze maggiori negli anni successivi con il Proceso de Reorganización Nacional.

4 Ad esempio, la dedica di A sus plantas rendido un león recita “A José María Pasquini Durán, por el cónsul, por la amistad”.

5 Cui Soriano dedicò Artistas, locos y criminales, sottolineando “en el reencuentro”. In questo senso la dedica è “cautelosa”, cioè perché nel 1983 il ritorno della democrazia non garantiva ancora la certezza del ritorno alla normalità.

6 Soriano dedicò Triste, solitario y final agli stessi protagonisti del romanzo e allo scrittore americano che l'aveva ispirato: “En memoria de Raymond Chandler, Stan Laurel, Oliver Hardy”.

7 Un’intera sezione della raccolta Cuentos de los años felices è dedicata alla figura del padre. La prima parte della silloge si intitola, infatti, En nombre del padre e contiene piccole narrazioni in cui il padre è protagonista. In Aquel peronismo de juguete (pp. 11-13), Soriano racconta di essere stato peronista da bambino, quando il peronismo significava un pallone, una barchetta ad alcol o una bambola per le bambine, cioè mero populismo. Sia in questo racconto che in un altro della stessa raccolta, Gorilas (pp. 25- 28), il padre è ricordato come un “contrera”, uno strenuo oppositore di Perón e di tutto quello che il líder significava per la gente comune. Tutti i racconti di questa sezione citano, più o meno direttamente, la figura di José Vicente Soriano, rivelando la nostalgia dell'autore verso il padre (che era morto nel 1974, paradossalmente proprio nel momento del ritorno di Perón al governo) e verso un mondo, quello della propria infanzia, quello degli “anni felici”, irrimediabilmente perduto.

8 Marcela Croce, Osvaldo Soriano. El mercado complaciente (1998), op. cit., p. 44.

9 Come spiegherò più avanti, l'impostazione marcatamente dialogica avvicina l'opera a un dramma teatrale piuttosto che a un romanzo tradizionale.

Il testo

L'azione si svolge durante l'ultimo periodo di governo del generale Juan Domingo Perón, fra l'ottobre del 1973 e il luglio del 197410. L'argomento è dato dallo scontro di opposte fazioni politiche peroniste: l'elemento scatenante è la richiesta della destra, che esige la destituzione di un funzionario municipale di basso grado, Mateo Guastavino, accusato di essere un infiltrato11 comunista. Rifiutandosi di licenziare il proprio collaboratore e amico, il delegato municipale Ignacio Fuentes, un peronista di sinistra, viene accusato dal commissario di polizia Rubén Llanos di essere “ladrón comunista con la camiseta peronista”12

Soriano basa il suo romanzo su un fatto storico che si verificò nella provincia di Córdoba nel 1974, quando il capo della polizia locale ricevette l'ordine di destituire il governatore in carica, un peronista della prima ora, che venne poi sostituito con un membro della destra peronista

e condannato a una strenua lotta all'ultimo sangue per la difesa del potere, dell'onestà sua e di Mateo e dell'ideale peronista.

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10 È quello che emerge anche dal prologo (non firmato) che probabilmente lo stesso Osvaldo Soriano chiese di anteporre all'edizione spagnola per aiutare i lettori non argentini a comprendere meglio le motivazioni e il significato della storia. Nel prologo (che si compone di un riassunto della recente storia argentina, di un'interpretazione degli eventi e di un'esposizione del programma narrativo) si spiega che “luego de una larga lucha popular, Perón regresó al país en medio de una grave conmoción a la que él mismo había contribuido. Su movimiento estaba dividido por lo menos en dos grandes facciones: aquella que lo veía como un líder revolucionario y otra que se aferraba a su ascendiente sobre las masas para impedir la victoria popular. […] Electo presidente, Perón iniciaría una implacable depuración de elementos «izquierdistas» de su movimiento. La juventud, cada día más golpeada y maltrecha, siguió reivindicando hasta el final su adhesión al líder. […] Hasta su muerte, el 1° de julio de 1974, Perón utilizó una curiosa estrategia de gobierno: descalificó como «infiltrados» a aquellos a quienes todo el país conocía como peronistas, incluso a viejos militantes de la primera hora (representados en esta novela por el delegado municipal Ignacio Fuentes) y bendijo como peronistas a muchos advenedizos que habían contribuido a su caída en 1955 y se batieron contra él hasta poco antes de su regreso (el personaje del martillero Guzmán los ejemplifica en el relato)” (Penas, pp. 146-147).

. Altri antecedenti storici importanti, che indubbiamente l'autore dovette tenere in conto, furono la destituzione dello stesso Juan Domingo

11 Adriana Spahr evidenzia che: “La adjetivación del verbo «infiltrar» era de uso corriente en la jerga política de los años 70. Este término no sólo discurría entre las reuniones internas del partido peronista sino que se incluía en discursos oficiales” (Adriana Spahr, La sonrisa de la amargura (2006), op. cit., p. 51). Lo stesso Perón, nel discorso tenuto da uno dei balconi della Casa Rosada il 21 giugno del 1973, affermava: “deseo advertir a los que tratan de infiltrarse (corsivo mio) en los estamentos populares o estatales que por ese camino andan mal” (ivi, p. 52). Anche Soriano sottolinea come “en aquel tiempo había una frase que estaba todo el tiempo en el aire, y que es la que abre el libro. Se decía: «es un infiltrado»” (Susanna Regazzoni, Osvaldo Soriano. La nostalgia dell'avventura, Roma, Bulzoni, 1996, p. 64).

12 Penas, p. 35.

13 Come attesta Susanna Regazzoni, Osvaldo Soriano. La nostalgia dell'avventura (1996), op. cit., pp. 66-67, fu lo stesso Osvaldo Soriano a mettere in evidenza questa filiazione:

A principios de 1974, se empieza a producir en la Argentina la «desperonización» del peronismo por parte del mismo Perón. Este hace echar al gobernador de Córdoba por medio del jefe de policía: es el momento en que la derecha peronista desplaza a la izquierda y no sólo a la izquierda sino al peronismo histórico. Eso me da de inmediato no la idea de la novela sino la de poner papel en máquina de escribir e intentar la parodía del jefe de policía echando al gobernador.

Perón, che il 16 settembre 1955 venne privato del potere in seguito a un sollevamento militare che consegnò il comando della nazione al generale Lonardi; il golpe cileno del 1973, che portò al governo il dittatore Augusto Pinochet, in particolare l'episodio dell'assedio al Palacio de la Moneda, dove si trovava il presidente Salvador Allende, che preferì morire piuttosto che arrendersi; infine, è lo stesso protagonista Ignacio Fuentes a inserirsi nel solco storico, quando afferma che “Nunca pensó que tendría que enfrentar un golpe de Estado, como Perón, como Frondizi, como Illia”14

Il romanzo fu scritto nel 1974, quando Soriano si trovava ancora in Argentina .

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“Quiero intentar un modesto fresco de este clima atroz que negamos cada día”, spiega in una lettera a Félix Samoilovich; “Yo estaba muy sensibilizado por lo que ocurría en el país. […] De pronto vuelve Perón, y los peronistas viejos pasan a ser no peronistas por razones políticas. Todo esto, que tiene explicaciones políticas, a mí me parecía poéticamente siniestro”

. Nessuno voleva però pubblicarlo, così l'autore dovette attendere il 1979, quando durante l'esilio europeo -grazie ai contatti intavolati con Italo Calvino- ebbe la possibilità di far uscire No habrá más penas ni olvido in traduzione italiana presso la casa editrice Einaudi.

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Dal punto di vista della tecnica compositiva, No habrá más penas ni olvido prosegue

nel solco tracciato dal romanzo precedente, Triste, solitario y final. Il testo si struttura,

infatti, intorno a una scarna descrizione dei fatti, presentati da un narratore eterodiegetico

.

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14 Penas, p. 24. Arturo Frondizi, líder de la Unión Cívica Radical Intransigente (UCRI), fu eletto presidente dell'Argentina nel 1958 e destituito nel 1962 da un colpo di stato militare; il radicale Arturo Illia vinse invece le elezioni nel 1963, ma governò fra mille difficoltà e fu anch'egli bersaglio di un golpe, la cosiddetta “Rivoluzione Argentina”, il 28 giugno 1966.

, che racconta in terza persona una vicenda accaduta in un passato prossimo facilmente riconoscibile. Il racconto cerca di essere il più possibile oggettivo: la focalizzazione esterna del punto di vista narrativo, unita alla preponderanza dei dialoghi, concorre a mantenere la neutralità rispetto agli eventi rappresentati.

15 A lungo ed erroneamente si è pensato che il romanzo fosse stato scritto durante l'esilio europeo, e lo stesso Osvaldo Soriano sorrideva del fatto che molti ritenessero il libro “un análisis de cómo se veían desde Europa los problemas argentinos” (Intervista con Daniel García Molt del 1987, citata in Génesis y escritura de No habrá más penas ni olvido, in Penas, p. 140).

16 Félix Samoilovoch, “Homenaje a Osvaldo Soriano”, in La Maga, settembre 1997 (ivi, p. 141). 17 Secondo Adriana Spahr, la struttura del romanzo mantiene la voce narrante su un piano molto vicino alla vicenda, tanto che essa potrebbe definirsi quasi omodiegetica (interna alla storia): se, da un lato, “El narrador, con pretensiones de historiador, intenta darle a lo que escribe un sentido de «objetividad», en que los hechos hablen por sí mismos ya que no interviene sino que da libertad para que los personajes hablen con su propia voz. No juzga los hechos, no da su opinión”; dall'altro, “Sin embargo, excede las atribuciones del pretendido historiador, porque no construye la historia desde los documentos sino que está presente en las acciones” (Adriana Spahr, La sonrisa de la amargura (2006), op. cit., p. 70).

Ciò che colpisce maggiormente è l'uso spregiudicato che l'autore fa dello spagnolo d'argentina: No habrá más penas ni olvido è senza dubbio il romanzo di Soriano in

cui si incontra il maggior numero di forme di “voseo”18, accompagnate da parecchi argentinismi19. Inoltre, i personaggi non risparmiano insulti, parolacce e imprecazioni varie20, così che alla crudezza delle scene rappresentate fa eco una scrittura marcata, di pancia, che concorre a impressionare fortemente il lettore. Ovvio che sia la forma dialogica a mettere maggiormente in risalto questi tratti diciamo “dialettali”, e infatti nei romanzi successivi essi andranno diminuendo di pari passo con la riduzione dello spazio concesso al puro dialogo21

Due sono i caratteri principali della scrittura di Soriano, evidenti già da queste prime prove letterarie e affinati nelle opere successive: da una parte, il montaggio di scene frammentate e accuratamente “tagliate”, che rimanda chiaramente al modello cinematografico

.

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18 Solo per citare la prima scena del romanzo, descritta in appena due pagine: “Tenés infiltrados”, “Vos me concocés bien”, “Estás leyendo muchos diarios vos”, “vos estás jodiendo”.

-come è stato messo in luce dalla maggior parte dei critici- soprattutto

19 Solo per fare alcuni esempi tratti dalle prime pagine di Penas, sono parole di uso strettamente argentino (o il cui significato argentino è diverso da quello castigliano): plata (“Hace un mes le vendí la camioneta y todavía me debe plata”, p. 21), cagar (“Nos cagamos a golpes por eso en el 66”, p. 23), parlantes (“Fuera de la plaza, los parlantes empezaron a vocear propaganda”, p. 24), milicos (“Adentro, con el oficial Rossi y los seis milicos”, p. 26), pibe (“Los pibes terminan esta noche y la mañana se van a Mar del Plata”, p. 43) .

20 Anche in questo caso, soltanto alcuni esempi: carajo (“Los voy a meter a todos presos, carajo”, p. 25), marica (“¿Qué son, maricas?”, p. 45), puta (“Váyase a la reputa que lo parió”, p. 52), pendejo (“Pendejos de mierda”, p. 54).

21 David Prieto Polo suggerisce un'altra possibile spiegazione: “Soriano redujo el número de registros voseantes y de argentinismos, a medida que sus novelas tenían éxito y se editaban en Europa”.

22 David Prieto Polo (La subversión de la historia, op. cit., p. 51) riporta in proposito una riflessione di Umberto Eco:

[romanzo e cinema] sono «arti d'azione». […] Che poi quest'azione nel romanzo sia «narrata» e nel cinema «rappresentata» non cambia il fatto che in entrambi i casi si struttura un'«azione» (anche se con mezzi diversi). […] La differenza pare essere la seguente: il romanzo ci dice che «succede questo e quello etc.» mentre il film ci mette davanti a una successione di «questo+questo etc», una successione di rappresentazioni di un presente gerarchizzabile solo in fase di montaggio.

Per quanto riguarda il “taglio” narrativo, l'alternanza delle scene, sempre più sincopata man mano che ci si avvicina allo scioglimento (già in No habrá más penas ni olvido, riproposta in Cuarteles de invierno e poi sviluppata al massimo grado in A sus plantas rendido un león), potrebbe far pensare al “montaggio alternato”, o “montaggio alla Griffith”, secondo la definizione che ne dà Lucia Cardone: “[Il montaggio] permette infatti di rendere lo sviluppo di un'azione nello spazio e nel tempo, unendo momenti diversi della stessa azione, che si svolgono in spazi diversi, e offrendone una rappresentazione continua, che rispetta l'unità d'azione. Inoltre, è grazie a questo procedimento che si possono intrecciare -nel cosiddetto montaggio alla Griffith- due linee d'azione diverse, alternando ad esempio le immagini degli inseguitori e quelle degli inseguiti, ottenendo l'effetto della simultaneità, di due azioni correlate” (Maurizio Ambrosini, Lucia Cardone e Lorenzo Cuccu, Introduzione al linguaggio del film, Roma, Carocci Editore, 2003, p. 85).

Altre volte, secondo il criterio della focalizzazione multipla, accade che certi episodi vengano raccontati da diversi punti di vista, ovvero dalla prospettiva dei diversi personaggi che vi prendono parte ( si veda la scena di Cerviño che scarica escrementi sugli assedianti, narrata prima dalla prospettiva aerea di

per la rapidità e l'agilità dello stile e per la successione violenta dei piani23

E il romanzo si apre proprio con un dialogo, che avviene in medias res, fra il

delegato municipale Ignacio Fuentes e il commissario Rubén Llanos. La discussione (l'accusa di “infiltrado” per Mateo Guastavino, cui risponde la presa di posizione di Ignacio) ha conseguenze immediate sul piano dei rapporti di potere e Fuentes ha bisogno di fare chiarezza, ripassando mentalmente la situazione:

; dall'altra, l'insistente presenza dei dialoghi, che produce una quasi totale coincidenza fra tempo della storia e tempo del racconto e serve all'autore per drammatizzare l'azione: le scene escono fuori dalla pagina e si proiettano su un immaginario palcoscenico in cui si recita il dramma dell'Argentina degli anni di piombo. Lo stile rapido, le frasi brevi e graffianti, sono invece chiara eredità della pratica giornalistica di Soriano, e sembrano avere la funzione di fornire o negare credibilità ai discorsi pronunciati dai protagonisti. Il risultato è una scrittura piana, ma non piatta, scorrevole, ma non neutra e semplicistica, tutta incentrata sull'azione, all'interno della quale i dialoghi fra i personaggi danno brio alla narrazione grazie al continuo spostamento del punto di vista.

Trató de repasar la situación. Suprino era secretario del partido. Ignacio lo había mandado el día anterior a Tandil a pedir al intendente que votara la partida para ampliar la sala de primeros auxilios. Volvió agrandado y consiguió meter en algún asunto al comisario y a Guzmán. […] “Pero el pueblo me eligió a mí. Seiscientos cuarenta votos. ¿Qué es eso de que Mateo es comunista? Cuando lo echaron a Perón, en el 55, ya estaba en la municipalidad. Estuvo después, estuvo siempre. Nunca le pregunté si era comunista. Bolche es Gandolfo. De siempre fue, pero lo saben todos […]. Y yo soy infiltrado de qué!24

Suprino, il rappresentante del partito, inviato a Tandil nei giorni precedenti proprio da Fuentes -dal quale, quindi, riceveva ordini- per chiedere all'intendente Guglielmini l'appoggio per ampliare la sala di primo soccorso del paese, era ritornato “agrandado”, cioè investito del potere necessario per allearsi con la polizia (coinvolgendo il banditore, Cerviño, poi -in chiave comica- da quella dei bersagli, infine da quella “laterale” di Juan).

23 In un'intervista rilasciata a Paolo D'Agostini e apparsa su «Repubblica» il 28 agosto 1994, Soriano afferma: “Il fatto della «scrittura cinematografica» mi fa ridere. Lo chieda a Olivera quanto è difficile trasferire al cinema reale ciò che nei miei romanzi è cinema immaginario. Ma devo ugualmente ammettere che il cinema mi ha molto influenzato. I film di serie B norteamericanos, la commedia all'italiana (ho appena rivisto, ammirato, La grande guerra, I compagni e L'armata Brancaleone) e tutto Fellini. Porto Amarcord nel cuore. Le dico di più, ora che torno a vedere con mio figlio di quattro anni i cartoni animati di Hanna & Barbera sono convinto che i miei primi eroi sono stati Tom & Jerry” (Paolo D’Agostini, “Noi, sconfitti irriducibili”, intervista a Osvaldo Soriano, «Repubblica», 28 agosto 1994).

Guzmán) e muovere accuse verso il delegato municipale e i suoi impiegati. Queste dinamiche rispecchiavano perfettamente l'Argentina dei primi anni '70, quando molti dei funzionari del governo di Héctor J. Cámpora erano arrivati a occupare una carica politica per essere stati -come il protagonista Ignacio- “peronista y […] buena persona”.

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