CAPITOLO 3. Colonia Vela ovvero l’Argentina
3.5. Tirando le somme
Se è vero che il pueblo di Colonia Vela attraversa le varie fasi storiche vissute
dall'Argentina soffrendo fra proprie strade, nelle proprie case e sulla propria gente le tragedie patite dagli argentini nell'ultimo scorcio del Novecento, altrettanto vero è che la Storia attraversa il pueblo di Colonia Vela lasciando il proprio segno, indelebilmente.
All'inizio di No habrá más penas ni olvido, ambientato fra il 1973 e il 1974,
l'immagine che l'autore offre del villaggio è tutto sommato positiva: alla descrizione dell’ambiente viene concesso ben poco spazio, eppure quello che si delinea sulla pagina è un paese ordinato e operoso, in cui il delegato municipale, Ignacio Fuentes, ha realizzato un buon lavoro, ma dove le carenze e le contraddizioni sono comunque evidenti. Le vie del paese sono adornate con vasi di fiori e ai lati vi crescono alberi, come le magnolie. Senza dubbio, c'è in questo anche un riflesso dell'annosa opposizione fra la città e la provincia, rappresentata proprio da Colonia Vela: la serenità della periferia, simboleggiata da Fuentes che si muove all'interno delle vie paesane in bicicletta, è turbata prima da Suprino, agrandado dopo il viaggio a Tandil, e poi dai crudeli muchachos provenienti da Tandil e da Buenos Aires. La tranquillità, riflessa anche dalla
pacifica e cordiale convivenza degli abitanti “prima” della congiura contro Fuentes, è infine sconvolta, e al termine della vicenda Colonia Vela rimane parzialmente distrutto.
Se in questo romanzo Soriano offriva un'immagine comunque positiva di Colonia Vela, inerme teatro degli scontri fra peronisti, e dei suoi abitanti, semplici spettatori incapaci di intervenire nel conflitto, ben diversa abbiamo visto essere la situazione nel romanzo successivo, Cuarteles de invierno. Sono passati alcuni anni dagli eventi del precedente
“capitolo” (siamo adesso nel 1979), e in questo lasso di tempo il pueblo è stato
ricostruito, verosimilmente sotto la spinta dei militari, responsabili della cappa di terrore che lo avvolge, ma anche protagonisti della realizzazione di una scuola e di una caserma. Ecco la descrizione che ne dà Galván all'inizio del libro:
Era un pueblo chato, de calles anchas, como casi todos de la provincia de Buenos Aires. El edificio más alto tenía tres pisos y trataba de ser una galería a la moda frente a la plaza. La gente caminaba en familia y los altoparlantes gruñían una música pop ligera que de pronto se interrumpió para indicar, quizá, que la misa iba a comenzar. Lentamente la
gente fue desapareciendo, como si las campanas de la iglesia anunciaran el comienzo de un toque de queda matinal.1
La tranquillità provinciale sembra, dunque, esser stata ristabilita; eppure, già da questo sguardo furtivo del cantante emergono lo squallore del luogo e l'ansia della popolazione, terrorizzata e del tutto assoggettata al controllo militare.
Lungo il viale che conduce dalla stazione dei treni al centro del villaggio ci sono alberi in fiore, in altre viuzze ci sono cespugli fioriti, nei giardini delle case ci sono alberi di pesche anch'essi in fiore e nella pensione in cui alloggiano i due protagonisti alcune stanze danno su “un patio amplio, lleno de flores, al que rodeaba una galería abierta”. Ci sono edifici lussuosi, alcuni bar e ristoranti. Altrettanto importante è l'infrastruttura culturale del paese: c'è il Teatro Avenida, dove avrebbe dovuto svolgersi il concerto di Galván e dove alla fine ha luogo soltanto la serata di gala; c'è il Club Unión y Progreso, nel quale si svolge l'incontro fra Rocha e Sepúlveda; inoltre, vengono citati un edificio dedicato alla Sociedad Española, un monumento a San Martín e il “quilombo”, il bordello, situato nella periferia del pueblo. Abbiamo già detto della scuola e del quartier
generale dell'esercito -di cui Galván viene a conoscenza grazie ai racconti di Romero- ma a questi va aggiunto l'ospedale in cui viene ricoverato Rocha dopo il match di pugilato.
Sembra evidente l'intento dei militari di offrire -ai due protagonisti, provenienti da Buenos Aires, e indirettamente al Lettore- un'immagine di normalità che non esisteva nella realtà quotidiana di Colonia Vela. La quotidianità era intrisa di paura, di ansia, di piccole ribellioni -come quella di Mingo- e di pronta repressione da parte dei vertici paesani. In questo è netta la differenza con il romanzo precedente: ora la popolazione non è più spettatrice indifesa e neutrale, ma -lasciando campo alle angherie del potere senza protestare- diventa essa stessa complice silenziosa della tragedia vissuta dall'Argentina. Galván e Rocha lo sperimenteranno sulla propria pelle, finendo per abbandonare il paese nell'indifferenza generale.
L'immagine di apparente benessere che offriva Colonia Vela in Cuarteles de invierno è
scomparsa completamente nel terzo romanzo di quella che a tutti gli effetti si presenta come una trilogia. La vicenda raccontata da Una sombra ya pronto serás si situa, infatti,
1 Cuarteles, pp. 41-42.
dopo la restaurazione della democrazia in Argentina, quindi a cavallo fra gli anni ’80 e '90.
Lo scarto fra i due romanzi è evidente: se prima l'unico povero “dichiarato” del villaggio era Mingo, adesso la povertà si è estesa a tutti i livelli della popolazione; se prima Rocha aveva discusso con la padrona della pensione perché la stanza che gli aveva preparato non aveva la finestra, ed era riuscito a farsela cambiare, adesso la pensione in cui alloggia il protagonista ha finestre senza i vetri, che sono stati rubati da gente affamata che rivendendoli cerca di fare un po' di soldi e comprarsi da mangiare; se prima la Chiesa spalleggiava gli oppressori, i militari e la polizia, adesso essa si adopera per i poveri, ai quali offre cibo e lavoro; se prima i militari occupavano le posizioni di spicco della società e vivevano nel lusso (per esempio il capitano Suárez faceva mostra di splendidi stivali), adesso essi vivono le stesse miserie della maggior parte della popolazione, e perfino le loro auto, in passato lussuose, sono ormai ferri vecchi; se prima mancavano i giovani perché (come testimonia Mingo) molti erano morti o se ne erano andati per ragioni politiche, adesso la gente se ne vuole andare dal paese per motivi principalmente economici (il maggior simbolo della decadenza economica è rappresentato dalla dismissione della linea ferroviaria).
Non sembrano, invece, esserci differenze tra Colonia Vela e gli altri pueblos
attraversati dal protagonista, tutti immersi come sono nella stessa desolante miseria. Triumvirato “tenía una sola calle y una plaza idéntica a la de Colonia Vela. Había un farol encendido a la entrada y eso era todo”; nella pensione in cui pernottano il protagonista e Lem tutto è in rovina (non a caso Lem la definisce “pocilga”), alle finestre mancano i vetri e una fila di formiche trasporta zollette erbose percorrendo il pavimento e le pareti. Junta Grande è invece totalmente abbandonata, come se una bomba fosse caduta in quel luogo uccidendo tutti le persone ma risparmiando gli edifici. D'altra parte, l'aspetto di alcune bottiglie e bicchieri suggerisce al protagonista l'idea che gli abitanti del villaggio se ne siano andati in tutta fretta.
Colonia Vela è anche qui il pueblo maggiormente caratterizzato: al tappeto dopo
gli avvenimenti degli anni precedenti, ha una popolazione che vive di carità; una delle persone più benestanti del paese è il padrone del bar, che è “gallego” (spagnolo, e pronuncia frasi del tipo “Lo que pasa es que en este país nadie quiere trabajar”). I semafori e l'illuminazione pubblica non funzionano, le strade sono piene di buche e i terreni pieni di spazzatura. Il Club Unión y Progreso che avevamo conosciuto nel
romanzo precedente è adesso “una cancha pelada, casi sin marcas, con el alambrado roto y unos vestuarios de madera”. Per ragioni economiche, inoltre, la linea ferroviaria non funziona più, la stazione è abbandonata e occupata dai senzatetto; a riguardo, il narratore commenta: “Alguna vez debió ser un lindo edificio, con columnas de hierro forjado y marquesinas labradas... En el andén habían arrancado los bancos y ni siquiera quedaba la campana”2. Altrettanto si potrebbe dire della stazione di servizio: “Vista de lejos la estación de servicio parecía haber sido próspera alguna vez, pero ahora tenía nada más que un surtidor de gasoil para los tractores y otro de nafta súper por si pasaba alguien en apuros. El aceite que anunciaba la propaganda hacía años que no se fabricaba más. La gomería y el comedor estaban cerrados y empezaban a caerse a pedazos”3
L'intento di Soriano è ora totalmente diverso: non c'è più la volontà di redimere una popolazione incolpevole (come in No habrá más penas ni olvido), né il bisogno di
puntare il dito contro l'omertà dei cittadini (come in Cuarteles de invierno). Una sombra ya pronto serás muove dalla consapevolezza della desolazione e della disperazione che hanno
colpito il paese e i suoi abitanti, e prende atto che la fuga all'estero è diventata la principale (l'unica?) soluzione ai problemi argentini; ma mettendo in scena un personaggio che dall'Europa ritorna in Argentina (come aveva fatto lo stesso Soriano in quegli anni) intende forse riscattare la propria nazione, immaginare un possibile futuro in patria, un'utopica rinascita del paese a cui, in fin dei conti, è ancora possibile offrire una seconda opportunità, nell'attesa che esso -come la locomotiva al termine del libro- si rimetta in moto.
.
2 Sombra, p. 35.
CONCLUSIONI
L'obiettivo primario del nostro lavoro è stato infine raggiunto: abbiamo descritto il procedimento letterario adottato da Osvaldo Soriano nei tre romanzi centrali della sua produzione, mettendo in evidenza quanto tale meccanismo di riduzione sia coerente, legittimo e radicato in una lunga tradizione latinoamericana di “rilettura” della storia. Certo, ci sono evidenti differenze fra il matadero, Comala, Macondo e Colonia Vela: il
primo è anzitutto un luogo reale, “storico”, utilizzato come simbolo del potere politico, per metterne a nudo i difetti, le storture, le crudeltà, provando al contempo a combatterlo; Comala alterna storia e mito, in uno dei primi esempi di “realismo magico”, e ricostruisce un microcosmo che è anzitutto villaggio mentale dell'autore, dove Paradiso (il racconto della madre), Purgatorio (il racconto di Pedro Páramo) e Inferno (il racconto di Juan Preciado) segnano le tappe della storia messicana recente; García Márquez ingloba ogni cosa, e nella sua Macondo c'è la storia dell'uomo sudamericano e dell'Uomo in generale, che riletta in chiave biblica (genesi: fondazione del villaggio e invenzione del linguaggio; esodo: la fuga a cui si deve il viaggio di ricerca di José Arcadio; piaghe d'Egitto: insonnia collettiva e perdita della memoria, guerre civili, invasione dei bananieri; diluvio: la pioggia di quasi cinque anni che avvia la rovina di Macondo; apocalisse: la caduta di uccelli morti dal cielo e la nascita di una Bestia, l'ultimo discendente mostruoso dei Buendía) apre nuove possibilità interpretative del processo ciclico della Civilizzazione.
In ogni modo Colonia Vela raccoglie l'eredità di questa tradizione, riprendendone stilemi ed espedienti letterari, eppure mantenendo una propria originalità: pueblo-sintesi per eccellenza (potrebbe chiamarsi in qualsiasi altro modo ed
essere situato in qualsiasi punto sperduto di qualsiasi altra provincia argentina, ma la sostanza non cambierebbe affatto, e non ci accorgeremmo della differenza1
1 Così la pensa anche Adriana Spahr, che afferma: “El paisaje de cualquier ciudad argentina - especialmente entre los años 76 y 82- se corresponde en buena medida al paisaje que comentamos” (Adriana Spahr, La sonrisa de la amargura (2006), op. cit., p. 111).
), esso vive le tappe storiche salienti dell'Argentina contemporanea, mostrandone i segni sulla propria “pelle”, ispirando riflessioni automatiche per il Lettore (di qualunque livello esso sia), che ritrova in Colonia Vela il suo stesso villaggio, o la sua stessa città, i personaggi e le dinamiche socio-politiche che ne hanno segnato gli ultimi trent'anni. Tutto questo con
una punta di riso amaro disegnata sulle labbra, per alleviare il dolore e guardare con ottimismo a un futuro possibile.
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