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I comitati (bio)etici dicono il vero?

Nel documento I comitati (bio)etici: strutture e funzioni (pagine 122-126)

L’analisi della normativa, sia nazionale che regionale, le perplessità ed i dubbi sollevati dalla dottrina specialistica in materia di comitati (bio)etici offrono lo spunto per alcune riflessioni.

In primo luogo, la prima (e forse più ovvia) domanda che ci si potrebbe porre è se delle proposizioni contenute nei pareri emessi da questi esperti o “saggi” si possa o meno predicare la verità (o falsità).

Tale quesito, come appare subito chiaro, rimanda al più generale problema che concerne la possibilità o meno di predicare la verità delle proposizioni che appartengono al cosiddetto linguaggio direttivo.

In questo contesto, l’organizzazione ed il funzionamento dei comitati etici potrebbero offrire l’occasione per tornare a riflettere sul rapporto tra etica e verità, o, più in generale, tra proposizioni direttive (ivi comprese quelle giuridiche) e verità.

Le domande da porsi, allora, potrebbero essere, tra le altre, le seguenti: le proposizioni direttive sono suscettibili di esser dette vere? Se si, in base a quali criteri? Ed ancora, l’etica è una scienza, come tale in mano ai suoi custodi, e cioè agli eticisti?

Così, a scopo puramente esemplificativo, per rispondere alle domande sopra poste, si dovrebbero analizzare le teorie della verità come corrispondenza, secondo le quali si deve predicare la verità di quelle proposizioni direttive che appunto corrispondano ad una realtà extralinguistica empirica (riduzionismo) o ad una realtà fatta di valori o, ciò che già è più discusso, di fatti morali.

In questo senso la verità sarebbe intesa come una relazione tra linguaggio e realtà empirica o morale (in quest’ultimo caso secondo alcuni creata e secondo altri dichiarata dalle proposizioni stesse).

Proseguendo, si potrebbero analizzare le teorie della verità come coerenza (intesa come assenza di contraddizioni e/o connessione delle parti di un tutto) e come consenso (inteso come accettabilità giustificata), al fine di verificare innanzitutto se coerenza e consenso debbano essere intesi come “significati” o solo come “criteri”, prove, di verità.

In questi casi, la verità verrebbe intesa come una relazione reciproca tra discorsi, come tale completamente interna al linguaggio, dal momento che

essa perderebbe ogni riferimento alla realtà (empirica o morale) proprio della teoria della corrispondenza.

Da ultimo, andrebbe analizzata la posizione di coloro che ritengono che le norme non abbiano il carattere della verità in qualunque modo intesa: “La divisione è grande e insuperabile (salto logico) proprio perché solo i discorsi indicativi possono essere veri o falsi e qualificabili come tali con l’ausilio di procedure intersoggettive; viceversa i discorsi direttivi non possono essere né veri né falsi ma sono al più qualificabili in base ad altri valori, diversi dalla verità, che gli individui liberamente ascrivono ad essi e che sono in ultima analisi il frutto di scelte soggettive”.89

Insomma, una trattazione esaustiva dell’argomento richiederebbe di ripercorrere l’intera storia dell’etica almeno dalla Grecia sino ai nostri gironi. Anzi, allo stato delle cose, ed in considerazione dell’infinita letteratura in materia, sarebbe complessa, già da un punto di vista terminologico oltre che concettuale, la stessa impostazione della questione. Significative sono al riguardo le parole di Anna Pintore: “Non solo non vi sono argomenti che possano decidere la sostanza della questione, ma è altresì difficile persino immaginare un modo neutrale di presentare il problema che possa raccogliere il consenso di tutte le posizioni in conflitto”.90

Tuttavia si ritiene che una tale impresa non sia necessaria, ed anzi sarebbe in questa sede fuorviante, e ciò per due (si crede validi) ordini di ragioni.

La prima è data dal fatto che se è vero che la struttura, l’organizzazione e le modalità di funzionamento dei comitati etici potrebbero offrire allo studioso l’occasione per riflettere sul rapporto tra etica e verità, o, più in generale, tra proposizioni direttive e verità, è anche vero che esse fornirebbero solo, 89 Anna Pintore, Il diritto senza verità, Giappichelli Torino 1996, p. 6

90 Ivi, p. 84. A tale proposito si chiarisce che i cenni sulle teorie della verità supra riportati non hanno

l’obiettivo di impostare la questione, né tanto meno quello di impostare la questione correttamente. Essi servono solo ad indicare alcuni profili con i quali si potrebbe confrontare uno studioso dell’argomento.

appunto, lo spunto, ma nulla di nuovo aggiungerebbero in sé ai fini della composizione dell’annosa questione.

In altre parole, le domande relative al rapporto tra etica e diritto che nascerebbero da una riflessione sui comitati etici non sarebbero in nulla diverse da quelle che i filosofi (e non solo) si pongono in relazione a tale rapporto da epoca ben anteriore rispetto alla istituzione di tali organi.

Così come in nulla diverse sarebbero le risposte: ed infatti, esse dipenderebbero meramente dalle impostazioni di pensiero dalle quali si parte.

Questa è la ragione per la quale una tale impresa non è, a parere di chi scrive, necessaria.

La seconda ragione invece, la quale è chiamata a giustificare il perché una riflessione sul rapporto tra etica e verità a partire dai comitati etici potrebbe essere fuorviante, è data dal fatto che tornare sul rapporto tra etica e verità a partire dai comitati etici, potrebbe essere il risultato di un’impostazione errata della questione: ed infatti, detta riflessione metterebbe in primo piano il problema riassumibile nella frase “se delle proposizioni contenute nei pareri emessi dai comitati etici si possa o meno predicare la verità (o falsità)”, ma lascerebbe in secondo piano la questione -questa sì specifica e del tutto peculiare rispetto al tema dei comitati etici- relativa al modo in cui vengono concepiti tali organi dal legislatore che ne ha previsto l’istituzione, ed alle conseguenze che deriverebbero dalla risposta ad una simile domanda.

In particolare, essa lascerebbe in secondo piano i seguenti profili: secondo il legislatore che ha previsto e disciplinato l’istituzione di tali organi, l’etica è una scienza? Come tale, essa è oggetto di uno studio tecnico? E dunque i comitati etici, per le competenze specialistiche possedute dai membri, svolgono un ruolo che questi ultimi non sono in grado di svolgere?

A tali ultime questioni sono dedicate le pagine che seguono.

Nel documento I comitati (bio)etici: strutture e funzioni (pagine 122-126)