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Natura giuridica

Nel documento I comitati (bio)etici: strutture e funzioni (pagine 101-105)

Il quadro normativo esaminato nei capitoli precedenti, da un lato, suscita non poche perplessità e critiche, e, dall’altro, fa emergere alcune questioni che non sono state invece (sufficientemente) affrontate dal legislatore (primario o secondario).

Rientra nella seconda categoria il profilo relativo alla natura giuridica dei “comitati” (bio)etici, il quale peraltro è suscettibile di incidere su altre problematiche (come ad esempio quella relativa alla responsabilità dei membri dei c.e.63).

Ed infatti, come è noto, dal punto di vista civilistico, i comitati rientrano tra le istituzioni, e possono essere definiti come quegli enti, disciplinati dagli artt. 39 ss. c.c., costituiti per la raccolta di fondi (tramite offerte) vincolati ad una finalità determinata, tra cui opere di beneficenza, mostre artistiche, feste cittadine etc., nei quali dunque prevale l’elemento patrimoniale.

62 F. Giunta, Lo statuto giuridico della sperimentazione clinica e il ruolo dei comitati etici, cit., p. 635. 63 Sul punto cfr. p. 111ss.

Ora, tale definizione civilistica non si addice certamente né ai comitati bioetici né a quelli etici, dal momento che entrambe le tipologie non hanno come scopo la raccolta di fondi destinati ad una finalità determinati, bensì la formulazione di pareri latu sensu intesi. Inoltre, ambedue si caratterizzano proprio per l’elemento personale e non materiale.

In particolare, con riguardo ai primi, si osserva che essi sono veri e propri organi consultivi delle istituzioni presso le quali operano; e cioè, rispettivamente, la Presidenza del Consiglio dei Ministri (Comitato Nazionale di Bioetica), il Dipartimento per la valutazione dei medicinali e la farmacovigilanza (Comitato etico nazionale per la ricerca e per le sperimentazioni cliniche dei medicinali), e Giunte e Consigli Regionali (comitati regionali). A conferma di ciò, si ricorda, a titolo di esempio, che i membri del Comitato Nazionale di Bioetica sono nominati dal Presidente del Consiglio dei Ministri, mentre i componenti Comitato etico nazionale per la ricerca e per le sperimentazioni cliniche dei medicinali sono nominati dal Ministro della Salute.

Più problematica invece appare la configurazione giuridica dei secondi.

Questo profilo ha formato oggetto del parere del 27.02.92 redatto dal Comitato Nazionale di Bioetica64.

In esso, il C.N.B. sosteneva che “in via di principio i c.e. appartengono alla categoria delle associazioni, e, più precisamente, in mancanza di riconoscimento come persone giuridiche, alle associazioni non riconosciute, regolate dagli artt. 36-38 c.c…. E’ pienamente compatibile con lo schema la natura etica dei giudizi che il c.e. esprime in piena autonomia di coscienza dei singoli e del gruppo, in ragione dell’estrema latitudine degli scopi e delle 64 In argomento, a commento di tale parere del C.N.B., si vedano A. Loreti Beghè e L. Marini, La tutela

della persona umana nella sperimentazione clinica e il ruolo dei comitati etici tra regole internazionali, disciplina comunitaria e normativa italiana, cit., e L. Marini, Il diritto internazionale e comunitario della bioetica, Giappichelli, Torino 2006.

attività che le associazioni di fatto perseguono e svolgono, col solo limite negativo della estraneità di finalità di profitto… La qualifica di associazioni non riconosciute che corrisponde puntualmente all’ipotesi di un c.e. che prenda vita dalla spontanea iniziativa di soggetti individuali e di formazioni sociali non viene meno se una legge (statale o regionale) contemplerà il parere del Comitato come obbligatorio nell’ambito del giudizio di fattibilità di una procedura diagnostica e terapeutica”65.

In realtà, lo stesso C.N.B. si rendeva conto che i termini della questione fossero diversi a seconda che si attribuisse al c.e. il mero compito di esprimere una valutazione etica, come tale non obbligatoria e men che meno vincolante, o si definisse invece necessario per legge il ricorso al parere del c.e. quale elemento integrante di un giudizio di fattibilità di una procedura di sperimentazione clinica.

Tuttavia, lo stesso rilevava che anche nell’ipotesi di un c.e. che esprima un parere in merito alla fattibilità di una sperimentazione clinica, “non si ha tuttavia un inserimento del Comitato nella struttura organizzativa dell’ente che richiede e si avvale del parere, e non sarebbe quindi corretta la configurazione civilista del c.e. come di un soggetto ausiliario di cui l’ente (in primo luogo il presidio ospedaliero) si serve per l’adempimento dell’obbligazione verso l’assistito… Non sembra in verità ineludibile la scelta tra i due contrapposti modelli della struttura privata associativa (e senza personalità giuridica, almeno in linea di massima) e dell’organo collegiale amministrativo operante presso la direziona sanitaria o la direzione scientifica dell’istituzione ospedaliera o di ricerca”66.

In sostanza, il C.N.B affermava che i c.e. potessero essere qualificati sia come associazioni non riconosciute che come organi amministrativi.

65 Comitato Nazionale di Bioetica, I comitati etici, cit., p. 9. 66 Ivi, p. 24.

E però, tale parere, datato come detto 27.02.92, è stato emesso in epoca anteriore all’intervento, stratificato nel tempo, del legislatore nazionale e regionale in materia di comitati etici locali.

A seguito di tale intervento, analizzato nei capitoli precedenti, non solo è stata prevista normativamente la costituzione di un c.e. nei centri che effettuano sperimentazioni cliniche, ma inoltre allo stesso è stato affidato il compito cogente (non facoltativo come invece auspicato dal C.N.B.) di emettere un parere addirittura vincolante in ordine alla fattibilità ed al protocollo della sperimentazione stessa.

Tuttavia, il legislatore, parallelamente alle competenze affidate ai c.e., non ha affrontato in modo coerente e consequenziale il problema relativo alla loro natura giuridica.

Pertanto, allo stato, in attesa di un intervento normativo sul punto, è difficile considerare associazioni non riconosciute degli enti che devono essere istituiti sulla base di fonti di diritto pubblico, chiamati a svolgere funzioni previste dalla legge, ed i cui membri peraltro sono nominati dall’organo di amministrazione del centro che intende effettuare la ricerca; ed appare dunque preferibile qualificare i comitati etici locali come organi amministrativi interni al centro di ricerca stesso che li ha istituiti: “Già le laconiche e frammentarie previsioni del d.m. danno quindi al c.e. di struttura… poteri ben precisi, che sostanzialmente trasformano il parere in delibera di approvazione, trascinando in senso amministrativo il ruolo, la fisionomia e lo status dei componenti”67.

Nel documento I comitati (bio)etici: strutture e funzioni (pagine 101-105)