Secondo quanto detto precedentemente, i comitati (bio)etici sono chiamati a svolgere essenzialmente tre funzioni, e cioè a emettere tre tipologie di pareri, volti, rispettivamente, ad affrontare i problemi di natura etica e giuridica che possano emergere a seguito del progresso della ricerca scientifica, anche ai fini della predisposizione di atti legislativi (è questo il ruolo, ad esempio, del C.N.B. e di alcuni Comitati regionali); ad approvare le sperimentazioni sui farmaci (Comitati etici locali e Comitato etico nazionale per la ricerca e per le sperimentazioni cliniche dei medicinali, secondo le loro concorrenti competenze); ed infine a proporre soluzioni in relazione a specifici casi clinici concreti.
Il legislatore, come visto, ha statuito che mentre i pareri del primo e del terzo tipo sono facoltativi o, al massimo, obbligatori (laddove la singola struttura sanitaria preveda che debba essere richiesto un parere al c.e. locale in relazione a peculiari casi clinici concreti), quelli del secondo tipo sono invece non solo obbligatori ma anche vincolanti.
Un ulteriore profilo problematico dunque che è stato preso in considerazione dalla dottrina specialistica sia prima, che nel corso, che dopo l’intervento del legislatore, concerne il valore giuridico che tali pareri dovrebbero avere79.
A tal proposito, secondo un primo orientamento, si potrebbe sostenere che, in relazione a tutte e tre le funzioni sopra sintetizzate, il parere non dovrebbe essere teso a fornire un’unica soluzione (votata con una maggioranza più o meno qualificata) bensì a indicare le diverse posizioni etiche in relazione alla specifica tematica trattata, ed a fornire gli elementi necessari a fare una scelta informata e consapevole a colui che dovrà effettivamente prendere la decisione (legislatore, sperimentatore, medico). In questo senso, il comitato non dovrebbe essere considerato un centro di decisione (dal carattere più o meno vincolante), ed il suo obiettivo “non dovrebbe essere quello di raccomandare un’unica soluzione, raggiunta con procedure di votazione o di confronto argomentativi, quanto piuttosto di fornire ad un’agenzia decisionale esterna (singolo medico o paziente, autorità politica o amministrativa) una significativa registrazione di un confronto realizzatosi tra 79 Costituisce invece un problema diverso, anche se strettamente connesso, il rapporto che hanno, o
dovrebbero avere, tra di loro i Comitati ed i pareri emessi dagli stessi. In relazione a tale profilo, si segnala che la maggior parte della dottrina specialistica ritiene che tra i diversi comitati non si possa configurare alcun rapporto di subordinazione, ma solo di coordinamento ed interazione; con la conseguente impossibilità di proporre una qualsiasi forma di impugnazione avverso un parere espresso da un comitato locale o regionale. Tuttavia, sintomatico è che, a tal proposito, il C.N.B., nel citato parere del 27.02.92, non escluda la possibilità di proporre appello allo stesso C.N.B. avverso un parere espresso da un comitato a livello locale: “E’ del tutto evidente che fra i C.E. locali non dovrebbe esistere alcun rapporto di tipo gerarchico, per cui non pare configurabile l’eventualità di ricorso ad altro C.E. locale, onde ottenere un parere diverso da quello già conseguito presso la struttura sanitaria o di ricerca interessata. Anzi, un comportamento di questo tipo sarebbe senz’altro censurabile dal punto di vista deontologico. Non può invece essere preclusa la previsione di modalità di appello, contro il parere espresso a livello locale, al C.N.B., tenuto conto della funzione di indirizzo e coordinamento propria di questo, qualora lo Statuto dello stesso lo prevedesse”.
Allo stato, la possibilità di proporre appello avverso un parere di un comitato locale o regionale non è prevista a livello normativo. Tuttavia, già nel d.m. 15.07.97, il legislatore ha previsto che, in caso di valutazione sfavorevole di una sperimentazione da parte di un c.e. e di una domanda nuova relativa alla stessa sperimentazione, anche se modificata in una o più parti, il proponente ha l’obbligo di allegare alla nuova domanda copia della precedente valutazione.
i diversi punti di vista etici riconoscibili nella società ed applicabili alla questione considerata”80.
È evidente che un tale orientamento non è stato, almeno fino a questo momento, accolto dal legislatore, il quale, in relazione a tutte le tre funzioni sopra delineate, ha previsto che i comitati, esprimendo un parere votato a maggioranza, prendano un’unica decisione (nel caso delle sperimentazioni cliniche addirittura vincolante); e ciò anche laddove sia consentito ai componenti di minoranza di far inserire nel parere la loro posizione di dissenso.
Secondo un’altra posizione, invece, in relazione a tutte e tre le funzioni sopra sintetizzate, il parere dovrebbe essere finalizzato a fornire un’unica soluzione (votata con una maggioranza più o meno qualificata) al soggetto al quale è indirizzato.
Tuttavia, diverso dovrebbe essere secondo la dottrina il valore del parere a seconda che esso sia diretto, rispettivamente, alla predisposizione di atti legislativi, all’approvazione dei protocolli di sperimentazioni sui farmaci, o infine alla soluzione di casi clinici concreti.
In particolare, non sembrano sussistere particolari perplessità con riguardo ai pareri volti alla predisposizione di atti latu sensu legislativi (comprendendo in tale categoria, tra gli altri, ad esempio i pareri strettamente intesi, le mozioni e le risposte espressi dal C.N.B. o i pareri dei Comitati regionali). Ed infatti, corretto pare alla maggior parte della dottrina specialistica che essi siano
80 Comitato nazionale di bioetica, I comitati etici, cit., p. 16. Peraltro, in tale parere il Comitato ammette
la possibilità di costituire più tipi di comitati, alcuni dei quali chiamati a svolgere la predetta funzione di “registrazione”, ed altri invece chiamati a formulare un’unica decisione sulla situazione controversa sottoposta. Tuttavia, il C.N.B. non chiarisce in quali casi si debba fare rispettivamente ricorso ai comitati del primo o del secondo tipo.
Tale configurazione è presa in considerazione anche da Eugenio Lecaldano, in Le diverse funzioni dei
meramente facoltativi, e dunque non obbligatori né men che meno vincolanti.
Con riguardo all’approvazione dei protocolli di sperimentazioni sui farmaci, invece, nel primo parere più volte citato dedicato ai c.e. locali, il C.N.B. ha sostenuto che i pareri dei comitati locali competenti, quand’anche previsti come obbligatori, non dovrebbero in ogni caso essere vincolanti, prevedendo dunque la facoltà dello sperimentatore di esprimere le proprie motivate ragioni di dissenso81.
Come visto, tale orientamento è stato disatteso dal legislatore il quale ha previsto che la sperimentazione dei farmaci sia subordinata all’approvazione del relativo protocollo da parte del c.e. di competenza locale82.
Infine, con riferimento ai pareri volti alla soluzione di casi clinici concreti, la dottrina è concorde nel ritenere che essi non debbano essere vincolanti, anche se in talune ipotesi è possibile prevedere la loro obbligatorietà.
In particolare, il C.N.B. ha più volte chiarito che il parere si dovrebbe considerare obbligatorio nei casi in cui le procedure diagnostiche e terapeutiche possano creare perplessità da un punto di vista etico; e che tuttavia esso non debba mai essere considerato vincolante, sulla base del
81 Ivi, p. 8. Ed ancora, a p. 24: “L’obbligatorietà va intesa nel significato consueto alla dottrina ed alla
prassi del diritto amministrativo, nel senso che il parere debba essere richiesto (e pertanto non sia meramente facoltativo), ma che rimanga affidata all’operatore la decisione finale di adeguarsi o meno all’opinione espressa dal c.e., negandosi quindi carattere vincolante al parere medesimo (e salva la necessità, ove la legge così stabilisce, di una motivata formalizzazione delle ragioni di dissenso)”. Tale posizione è stata ribadita dal C.N.B. nel parere del 18.04.97. In senso analogo si veda anche M. Barni,
La crisi esistenziale dei comitati etici italiani, cit.
82 Peraltro, nel parere del 13.07.01, il C.N.B. ha considerato tale scelta del legislatore come la
manifestazione della volontà di istituire non tanto un organismo “etico”, quanto piuttosto un organo amministrativo di controllo sulle sperimentazioni: “Una volta tradotta in norme, la procedura tecnico- sperimentale assume la veste di un vero e proprio procedimento amministrativo, il cui risultato viene a configurarsi nei termini tecnico-giuridici di un giudizio di conformità. È a questo atto amministrativo che meglio si attaglia il carattere di vincolatività, che invece mal si concilia con pareri di natura etica… E’ chiaro che alla base di questa discussione c’è il problema della pertinenza dell’aggettivo ‘etico’ quando sia applicato al campo della sperimentazione. In genere esso viene impiegato in un’accezione assai riduttiva…”
presupposto che le decisioni cliniche devono comunque spettare a chi ne ha la responsabilità medica- professionale83.
Tale configurazione, peraltro, risulta al momento compatibile con la scelta operata dal legislatore il quale ha previsto che il parere del c.e. sia vincolante solo in materia di approvazione dei protocolli di sperimentazione.
6. Responsabilità giuridica dei membri dei comitati e degli operatori che si conformano ai