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CAPITOLO 3: I vari usi della forma dialogica Premessa

3.1.1 Commento critico

Questa panoramica sul background dei dialoghi platonici permette di sostenere, ad un primo livello, che la ricerca dialogica permane dai dialoghi giovanili ai dialoghi della vecchia; ad un secondo livello, da un punto di vista tematico, 210 Platone, Phil. 14 b 5-7.

possiamo sostenere, sulla scorta specialmente del passo tratto dal Teeteto, come la dimensione dialogica relazionale sia necessaria per l'ottenimento della conoscenza ma che ciò non significhi che tutta la questione della genesi della conoscenza avvenga a livello relazionale. Infatti la dimensione inter-soggettiva è il prerequisito affinché successivamente ciascuno ed individualmente possa partorire la conoscenza. Questa conoscenza dovrà successivamente essere messa alla prova in un contesto dialogico relazionale. Questo passaggio è possibile se la conoscenza ottenuta non verte puramente sulle idee bensì se verte sulle definizioni; se, infatti, si tratta della conoscenza più alta del filosofo, e cioè verte sulle idee come contenuto e agisce a livello noetico di conoscenza non proposizionale, vi sarà una trasposizione verbale limitata.

Nel capitolo 5, all'interno della lettura dell'Epistola VII, viene fornita una descrizione di questo ultimo punto qui proposto e si chiarirà come il contesto relazionale, descritto in questo capitolo, agisca da sfondo per la pratica dialettica propria della ragione discorsiva (dianoia); la dianoia a sua volta agirà da prerequisito per l'ottenimento della conoscenza di tipo noetico, la quale non sarà più solo maieutica, ma visione delle idee.

Una voce autorevole, contraria all'impostazione di base presente in questo

excursus tendente a mostrare il background di ricerca dialogica, è quella di

Monique Dixsaut.

Dixsaut211, infatti, sostiene che se il filosofare per Platone significa dialogare, esso è sempre e solo dialogare dell'anima con se stessa e non tra due o più interlocutori. L'elemento socratico presente dai primi dialoghi agli ultimi non è un contesto dialogico comunitario, bensì l'esercizio del pensiero, sospettoso rispetto ad ogni opinione e certezza, che rende possibile l'elevazione della persona al massimo di intelligenza possibile. Questo esercizio non è condotto attraverso uno scambio dialogico tra interlocutori, ma è un esercizio interiore. Dixsaut ritiene che Platone non critichi solo la scrittura (specialmente nel Fedro) ma anche la forma dialogica (nel libro terzo della Repubblica).

La forma dialogica che assumono i testi dialogici non deve essere letta come 211 M. Dixsaut, Platon, le désir de comprendre, Paris 2003, pp. 17-37.

cifra del filosofare platonico ma come modalità platonica di proteggere il suo anonimato attraverso la moltiplicazione dei personaggi. Esso era necessario per mostrare che è l'intelligenza che ricerca e che solo attraverso questo procedimento si può trovare il carattere veritativo; altrimenti sarebbero state solo opinioni di un uomo, influenzate da passioni e da umori (questo sarebbe accaduto anche se avesse adottato, da autore, la forma del monologo). I dialoghi platonici rappresentano le avventure del pensiero (les aventures de la pensée).

La ragione principale che spinge Dixsaut a rifiutare di intendere il filosofare come ricerca dialogica (espresso sia in alcuni passi212, sia dalla forma stessa dei testi platonici) nasce dal rilevare che di fatto nei dialoghi non si compie la cooperazione che viene richiesta da una concezione di filosofare come ricerca dialogica. La ricerca comune di fatto si trasforma in una confutazione diretta da Socrate nei confronti dei suoi interlocutori (ad esempio nel Gorgia), i quali o non rispondono alle condizioni necessarie affinché si possa fare ricerca insieme (coscienza della propria ignoranza, desiderio di sapere, piacere di ricercare) o, se lo fanno, ciò non basta affinché la ricerca venga compiuta insieme (come nel caso del dialogo tra Socrate e Callicle nel Gorgia). Dixsaut sostiene allora che le condizioni per la ricerca sopra citate si possono riferire benissimo ad una ricerca solitaria. Un'altra caratteristica della ricerca comune è la ricerca di accordo tra gli interlocutori. Anche questo aspetto non ricorre nei dialoghi, anzi, Dixsaut indica come Socrate sostiene che preferisce che gli altri siano in disaccordo con lui piuttosto che in accordo (Gorg. 482 b-c). Propone allora di intendere l'accordo come accordo dell'anima con se stessa e non con interlocutori esterni. Il filosofare platonico allora non è una ricerca comune ma un'educazione tendente all'armonizzazione dell'anima che la renda capace a dialogare con se stessa.

A questo punto sorgono le seguenti questioni: "che ne facciamo di questi numerosi passi nei quali si esprime la ricerca in comune?", " che ne facciamo di queste professioni di fede socratiche?", "sono solo delle strategie?". La risposta che dà Dixsaut alla prima domanda non mi convince (sostenendo cioè che sono ricerca dell'anima con se stessa) perché non trovo riscontro testuale; rileggendo i passi sopra citati si rileva chiaramente come Socrate si riferisse ad un dialogo con 212 indicati nel Background.

altri interlocutori. In merito alla seconda e terza domanda, all'interno di questa ricerca provo a dare delle risposte, supportate dai testi, che qui solo riassumo. Molto spesso, queste dichiarazioni di metodo sono inserite in momenti nei quali Socrate di trova in difficoltà con il suo interlocutore che lo accusa di volerlo confutare; Socrate risponde con queste dichiarazioni che chiamo "professioni di fede" perché Socrate vuole dimostrare la propria buona fede, vuole ribadire che sta ricercando con il suo interlocutore e che non lo vuole confutare. Si nota, però, che questo non sempre è vero; spesso Socrate non è sincero in queste dichiarazioni e le utilizza come strategie per far sì che l'interlocutore continui a dialogare con lui e così Socrate può continuare a confutarlo. Se ritenessimo, però, che queste dichiarazioni fossero sempre e solo strategie socratiche ridurremo Socrate ad un retore o ad un sofista e facendo così toglieremmo il senso educativo del filosofare socratico e platonico (penso che anche Dixsaut non vorrebbe ottenere questo). Inoltre, ritengo che ci sia un errore di fondo: ritenere che quando Socrate dice che il filosofare è una ricerca in comune, ciò significhi che tutti debbano conversare amabilmente ed andare sempre d'accordo. Invece, come ho mostrato nei passi sopra, Socrate sottolinea come sia un bene la confutazione perché fa sì che l'interlocutore possa liberarsi dagli errori. La confutazione, cioè, contrariamente a quanto sostiene Dixsaut, non è una prova contro la cooperazione della ricerca in comune perché fa parte di essa. Se i dialoganti cooperano, ciò non significa che vanno sempre d'accordo, ma che, anzi, accettano di essere confutati e accettano di vergognarsi in pubblico perché sanno che solo così potranno essere purificati e pronti per partorire la verità. L'amicizia presente nella cooperazione non è l'amicizia che annulla le differenze ma è lo spazio che permette che le differenze possano essere espresse e vagliate. Il fatto che nei dialoghi si giunga ad aporie non significa che il metodo non funzioni. L'aporia non è un risultato negativo (come sottolinea la stessa Dixsaut213) ma rappresenta il primo e necessario passaggio che l'anima deve compiere per poter cogliere la verità. Inoltre, se accettiamo un'interpretazione 213 Ibidem, p. 8. Cfr., per una ricognizione dei passaggi dove è espresso il significato positivo di

aporia, G. Giannantoni, Dialogo socratico e nascita della dialettica nella filosofia di Platone, Napoli 2005, p. 167. Per una ricognizione storiografica delle interpretazioni che considerano le aporie un esito negativo, cfr. Ibidem, p. 29, nota 29.

maieutica in merito allo stile dialogico, possiamo sottolineare che con essa lo scrittore Platone metteva in atto un processo di ricerca da parte dell'interlocutore, dell'uditorio e del pubblico. Secondo Scott214 le conclusioni aporetiche ed i finali aperti sono in ragione del fatto che ogni posizione deve essere contestualizzata a chi l'incarna, ogni visione rappresenta la posizione di una particolare persona in una particolare situazione, le soluzioni proposte o non proposte sono solo dei personaggi che hanno interloquito in quel particolare dialogo. Non accolgo una posizione maieutica di questo tipo perché mi sembra troppo attualizzante e non conforme alla concezione antica della verità ma propongo una lettura moderata e ristretta ai tempi di Platone la quale sostiene che attraverso l'aporia Platone lasciasse agli uditori il compito di mettersi in ricerca. Solo se si fossero messi in ricerca in prima persona, la verità (che è unica ed immutabile) poteva essere colta e compresa. Erler215 ha sottolineato gli aspetti maieutici dell'aporia, indicando come essa fosse un appello diretto verso gli interlocutori, gli uditori ed il pubblico a cercare di risolvere questi problemi irrisolti.

La questione del dialogo dell'anima con se stessa è molto interessante, tuttavia ritengo che, nella psicologia antica, l'anima possa eventualmente dialogare con sé dopo essere stata stimolata in un contesto dialogico relazionale (visione sociale della psiche e dell'individuo) e che, in un secondo momento, anche se avesse ottenuto dei risultati attraverso un dialogo interiore, essa debba vagliarli in un dialogo con altri interlocutori. Sicuramente in Platone possiamo trovare delle indicazioni che conducono ad una visione dell'interiorità come anima e come conoscenza di sé, tuttavia gli studi non hanno ancora dimostrato che si possa parlare di "interiorità" per il periodo classico216 ed invece è appurato che la dimensione sociale è la dimensione costitutiva dell'uomo greco. Inoltre, ritengo che il ruolo degli interlocutori, almeno nei primi dialoghi socratici (nei dialoghi successivi, infatti, l'interlocutore ha un ruolo sempre minore, fino ad arrivare ad avere un ruolo di ascolto e di assenso-conferma di ciò che dice l'interlocutore 214 G. A. Scott, "Introduction", in G. A. Scott (ed.), Philosophy in Dialogue. Plato's Many

Devices, University Park 2007, pp. IX-XXXII, p. XVIII.

215 M. Erler, Il senso delle aporie nei Dialoghi di Platone. Esercizi di avviamento al pensiero

filosofico, Milano 1991.

216 Cfr. ad esempio la raccolta di studi: G. Aubry, F. Ildefonse (ed.), Le moi et l'intériorité, Paris

principale), direzioni l'argomentazione socratica perché essa è diretta ai concreti interlocutori che ha di fronte e si adatta a seconda delle risposte che riceve217. Per quanto riguarda la posizione di Dixsaut in merito ai personaggi come stratagemma per conservare l'anonimato platonico e quindi all'assenza del personaggio Platone218 all'interno dei dialoghi, mi sembra opportuno ricordare come le convenzioni sociali dell'epoca permettessero che un discorso su se stessi fosse utilizzato solo con finalità apologetiche219 e quindi per l'epoca non apparisse così strano l'atteggiamento platonico. Entrando però più specificatamente in merito all'interpretazione di Dixsaut, devo dire che essa mi appare incapace di fornire un'adeguata risposta alla domanda che chiede ragione dei numerosi personaggi storici presenti nei dialoghi socratici. Ritengo (come poi mostrerò nel corso della ricerca) che i personaggi dei primi dialoghi rappresentino concretamente le persone di cui portano il nome, dal momento che Platone voleva, da un lato, costruire la memoria storica di Socrate, dall'altro, voleva dare delle indicazioni etiche e politiche in merito alla situazione politica ateniese e lo faceva attraverso la confutazione di questi personaggi (specialmente se si trattava di retori, sofisti e politici). È necessario considerare con attenzione chi sono i personaggi dei primi dialoghi platonici e non sottovalutarli, ritenendoli degli espedienti, perché essi hanno una particolare funzione nella drammaturgia ma anche nella finalità del filosofare platonico. Dixsaut ritiene che i personaggi abbiano un ruolo solo narrativo e drammaturgico: ritenere che questo aspetto dei dialoghi platonici sia inessenziale e che non sia collegato al filosofare stesso, mi sembra inadeguato ed incapace di dare ragione alla forma dialogica che Platone ha scelto per i suoi testi. Dixsaut aggiunge che se Platone mette in atto una pratica mimetica, questa agisce a livello inverso: non è la situazione e i suoi personaggi ad essere descritta e ad incidere sui contenuti che vengono espressi ma il contrario. Secondo Dixsaut non vengono espresse le caratteristiche dei personaggi o le loro passioni, ma solamente il pensiero che determina i 217 Cfr. ad esempio il commento al Gorgia dove sottolineo i vari tentativi che Socrate compie con

Callicle e ai cambiamenti di rotta che fa quando vede che l'interlocutore non lo segue o non accetta le conseguenze.

218 L'autore sarà presente come personaggio a partire da Aristotele.

personaggi220. Per quanto riguarda il mio oggetto di studio e cioè i primi dialoghi socratici, questa posizione mi sembra scorretta e rimando all'analisi di Carmide,

Lachete e Gorgia dove vengono evidenziati gli aspetti emotivi e caratteriali dei

personaggi e dove viene indicato come questi aspetti incidano sull'andamento del dialogo.

Da un'analisi dei personaggi è possibile comprendere perché nei dialoghi socratici non si compia una cooperazione che permetta di raggiungere una conoscenza vera. Platone, in alcuni dialoghi, pone di fronte a Socrate politici, retori e sofisti che sono i fautori della degenerazione di Atene; con essi non è possibile mettere in atto un certo tipo di cooperazione e anche se accettano le regole del dialogare (come si nota nel Gorgia specialmente nella figura di Callicle) questo non è sufficiente perché ciò che permette, in ultima analisi, che si possa raggiungere insieme alla verità, è che tipo di persona è l'interlocutore, chi è concretamente, che ruolo riveste nella società e che stile di vita conduce. Platone, nei primi dialoghi, ha scelto di mettere Socrate di fronte a questi personaggi, da un lato, per fornire un senso della morte di Socrate e per costruire la sua memoria, dall'altro, per operare una coscientizzazione del pubblico. Passi dei primi dialoghi socratici nei quali si trova una cooperazione che conduce alla verità sono rari; questo non significa che Platone non credesse nella ricerca comune (se non avesse creduto in essa né avrebbe continuato a scrivere dialoghi, né avrebbe fondato l'Accademia) ma, al contrario, che volesse fornire una testimonianza in merito a chi fossero stati gli interlocutori di Socrate e grazie ad essa poter agire sul pubblico retroattivamente.