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Un'altra modalità importante nell'approccio al testo platonico è quella di intendere o meno il testo platonico portavoce di dottrine.

Su questo tema si apre la diatriba tra chi sostiene un Platone portatore di un 43 “Plato was the first author to offer a systematic definition of the goals and methods of

philosophy. But he was also a social reformer and an educator, whose conception of philosophy entailed a radical transformation of the moral and intellectual culture of his own time and place. Much of his writing is designed to serve this larger cause.”, "Platone fu il primo autore che offrì una definizione sistematica dei fini e dei metodi della filosofia. Ma fu anche un riformatore sociale ed un educatore le cui concezioni filosofiche hanno portato ad una radicale trasformazione della cultura morale ed intellettuale dei suoi tempi. La maggior parte dei suoi scritti è chiamata a rispondere a questo fine.", C.H. Kahn, Plato and the socratic

dialogue. The philosophical use of a literary form, New York 1996, Preface XIII.

44 Cfr. analisi di Lachete, Carmide e Gorgia. 45 Cfr. analisi di Epistola VII.

sistema e tra chi sostiene un Platone scettico. In base alle diverse convinzioni accade che si cerchino all'interno della forma dialogica degli indizi di teorie platoniche (ad esempio si muove in questo modo la scuola straussiana), delle allusioni che rimandano a teorie che non sono espresse direttamente nei dialoghi (la scuola delle dottrine non scritte), o, al contrario, chi, ritenendo che Platone non si facesse portavoce di particolari dottrine e che nella forma dialogica esprimesse la ricerca di esse, senza però giungervi, pone particolare attenzione al ruolo rivestito dall'aporia e ai finali aperti (questa interpretazione tuttavia emerge fin dall'antichità46). Queste questioni sono collegate anche al tema dell'anonimato platonico47 e alla ricerca delle ragioni di esso.

La lettura scettica, nell'antichità, è stata strettamente connessa con una lettura di tipo maieutico48 perché sosteneva che così facendo Platone lasciasse lo spazio al lettore di partorire la propria verità.

La lettura maieutica contemporanea ritiene che Platone deliberatamente avesse scelto di non esporre teorie positive, per fare in modo che fosse il lettore a trovarle49. Per la lettura maieutica, cioè, i dialoghi sono, da un lato, testimonianza

46 dove vi è la discussione sull'intendere Platone poluphonos (con molte voci) o poludoxos (con

molte dottrine. Cfr. per una ricognizione storica, J. Annas, Platonic Ethics, Old and New, Cornell University Press 1999. Per un'interpretazione attuale di Platone in chiave scettica cfr. F. Trabattoni, Platone, Roma 1998.

47 Cfr. G. Press (ed.), Who Speaks for Plato? Studies in Platonic Anonymity, Lanham 2000. 48 "By writing in the dialogue form Plato is able to distance himself from the positions presented

and the arguments put forward for them. He does not present his positions from an authoritative position, but puts forward arguments in a way which leaves the reader inevitably thrown back on her own resources for understanding what has been proposed. This way of proceeding privilege argument and rational support over the mere statement of a position. I suggest that, just as our understanding of Plato's methods has been greatly helped by recovery

of the ancient skeptical tradition of Platonism, our understanding of Plato's ethics may be aided by our turning also to other ancient traditions of interpreting him", "Scrivendo in forma dialogica, Platone era in grado di distanziare se stesso dalla tesi che presentava e dalle dimostrazioni in ragione di essa. Egli non presentava la propria posizione in modo autoritario, ma disponeva delle argomentazioni attraverso le quali il lettore, appellandosi alle proprie risorse di comprensione, potesse cogliere ciò che veniva proposto. Questo modo di procedere provilegia l'argomentazione ed il sostegno razionale invece che la mera dichiarazione di una teoria.

Ritengo che una corretta comprensione della metodologia platonica possa derivare dal ricorrere all'antica transizione scettica platonica, che la nostra conoscenza delle etiche platoniche possa essere aiutata volgendosi alle antiche tradizioni interpretative.", J. Annas, Platonic Ethics, Old

and New, Ithaca NY 1999, p. 10.

49 "Lo ha fatto perché solo un logos anonimo e senza data può evitare di “continuare a ripetere

sempre una sola e identica cosa”, e può invece spostarsi, rispondere in modo diverso a chi chiede in modo diverso, crescere e moltiplicare, generare. L'irrigidimento, l'indifferenza, l'impotenza caratterizzano solo la scrittura dello scrittore, di colui che fa della scrittura il mezzo privilegiato della sua immortalità. A chi non considera l'immortalità come l'eterna vita della

della metodologia educativa socratica, dall'altro, il tentativo di riprodurla nel momento in cui essi vengono letti (sia dal lettore del passato, sia dal lettore contemporaneo).

Ritengo che il legame tra lettura maieutica e scetticismo vada riconsiderato perché ritengo plausibile e più conforme alla concezione della verità antica che Platone avesse costruito dei dialoghi dove Socrate potesse condurre "maieuticamente" l'interlocutore alla ricerca della verità (e così anche gli uditori ed il pubblico) e, al contempo, che conoscesse già quale fosse quella verità alla quale voleva condurre.

A mio parere, la lettura maieutica deve poter essere collegata al fatto che, negli stessi dialoghi socratici ma specialmente nei dialoghi della maturità e della vecchiaia, Platone potesse inserire nel testo delle teorie positive. La maieutica in questo modo verrebbe ad essere il metodo educativo messo in atto da Socrate e Platone affinché gli interlocutori possano scoprire la verità, la quale è unica ed invariabile. A mio parere ciò non è contraddittorio con la finalità maieutica perché si inserisce all'interno della finalità formativa che rivestivano i dialoghi socratici. Se, attraverso lo stile dialogico (specialmente attraverso l'elenchos), Platone aveva fatto sì che gli interlocutori attivi e passivi ed il pubblico, potessero eventualmente essere ripuliti dagli errori, ciò creava le condizioni per fornire delle posizioni filosofiche che potessero essere considerate come delle alternative rispetto alle concezioni errate. Queste posizioni non sono esposte nei dialoghi della maturità e della vecchiaia come partorite direttamente dagli interlocutori dell'interlocutore principale (come richiede la "maieutica") ma l'esigenza di una formazione filosofica che andasse ad agire sul piani etico e politico era la medesima. Vi è sicuramente un'incidenza maggiore della presenza di questi momenti teorici nei dialoghi successivi ai dialoghi socratici, ma, a mio parere, momenti di questo tipo sono rintracciabili negli stessi dialoghi del primo periodo50.

sua dottrina o dei suoi testi e la pensa invece come fecondità-fecondazione del logos attraverso il pensiero, del pensiero attraverso la verità – il nome che più conviene è quello di “filosofo” o qualcosa di analogo.", M. Dixsaut, La natura filosofica. Saggio sui dialoghi di Platone, Napoli 2003, p. 32.

Rowe51 contrappone all'interpretazione che collega lettura maieutica (pur non usando questo termine) e scetticismo, una lettura dottrinalista che sostiene che anche all'interno di un forma dialogica dove si vuol far sì che il lettore abbia un ruolo attivo, ci possa essere la trasmissione di dottrine. Il lettore è però vincolato dalle risposte che danno gli interlocutori socratici per lui.

Possiamo notare, quindi, che la lettura maieutica non è necessariamente connessa ad una lettura scettica ma può essere o di tipo scettico o di tipo dottrinale, dove il discrimine è dato da che cosa si pensa che Platone si aspettasse attraverso la forma dialogica. Platone, cioè, si aspettava, che grazie alla forma dialogica, gli interlocutori potessero imparare a pensare con la propria testa e capire che o non c'era nessuna verità o ognuno creava la propria o, invece, usava la forma dialogica come dispositivo pedagogico per far scoprire in prima persona la verità che Platone veicolava?

Le finalità di tipo etico e politico e la concezione della verità di Platone mi permettono di affermare che non fosse possibile che Platone avesse in mente una visione maieutica di tipo scettico (come richiede la prima domanda) e anzi, mi inducono a riformulare la stessa lettura maieutica di tipo dottrinale. Non credo che fosse necessario che Platone inserisse implicitamente delle dottrine da veicolare senza che gli interlocutori se ne rendessero conto (questa tesi è abbastanza condivisa dai dottrinali, i quali mettono in atto un metodo ermeneutico per scovare le dottrine nascoste nei dialoghi platonici) ed usando il metodo dialogico per fargli credere di averle scoperte da soli. Ritengo che Platone fosse saldamente convinto del metodo maieutico socratico e dell'esistenza di un'unica verità che poteva essere appresa grazie al contesto dialogico e che quindi non dovesse usare questi stratagemmi dal momento che l'interlocutore che accettava il metodo elenctico e che fosse pronto a partorire, avrebbe raggiunto la conoscenza dell'unica verità che è comune a tutti gli uomini. Questo almeno per i dialoghi socratici. Successivamente, nel momento in cui troviamo l'espressione di dottrine, da parte di Socrate o di altri interlocutori principali, esse non sono nascoste o mediate in modo implicito, ma vengono espresse abbastanza chiaramente. Le ragioni di questo cambiamento vanno 51 Christopher Rowe, Plato and the Art of Philosophical Writing, Cambridge 2009.

rintracciate, dal punto di vista educativo, in quest'elemento: quanto Platone credeva nelle possibilità o meno degli interlocutori di apprendere maieuticamente? La conseguente convinzione platonica, sorta successivamente ai dialoghi socratici ed a causa di episodi concreti52, che per educare la popolazione, non bastasse il metodo maieutico, penso abbia un peso importante nella scelta di come rispondere alla precedente domanda. Lascio, comunque, quest'ultima riflessione aperta, dal momento che ho deciso di circoscrivere la presente ricerca ai dialoghi socratici.

Tornando a Rowe, sottolineo che egli, pur ritenendo che la complessità e la sofisticatezza dello stile platonico resista ad ogni tipo di interpretazione di qualsiasi corrente53, si definisce più vicino ad una lettura dottrinale e ritiene che la domanda principale da porsi nel momento in cui ci si accosti alla forma dialogica sia "perché Platone scrisse in così tanti modi diversi?". Egli sostiene che Platone avesse delle posizioni e delle dottrine, solo che riteneva necessario che i dialoganti effettuassero un processo attivo per coglierle, altrimenti sarebbero state delle conoscenze sterili; inoltre lo stile dialogico rappresentava la concezione gnoseologica platonica: solo attraverso il dialogo è possibile cogliere la verità54. Rowe, da dottrinalista, sostiene che le dottrine fossero mediate agli interlocutori anche nei primi dialoghi; da maieutico, sottolinea che il metodo filosofico come ricerca dialogica ed una concezione gnoseologica ad esso collegata permanesse in tutto il corpus platonicum. Per entrambe queste ragioni Rowe indica una continuità essenziale tra i dialoghi socratici e quelli della maturità e propone di non suddividere più il corpus platonicum in fasi.

52 Cfr. commento a Epistola VII.

53 Rowe dice di riallacciarsi, in questo modo, alle interpretazioni di Paul Shorey tra gli anglofoni

e di Auguste Diès, Joseph Moreau e di Monique Dixsaut tra i francofoni.

54 "But why should dialogue be so important for the philosopher? The answer, it seems, has

something and everything to do with Socrates, and Plato's recognition of the need for

questioning: only if we go on questioning our ideas can we ever hope to reach the truth, if we

can reach it at all.", "Ma perché il dialogo dovrebbe essere così importante per il filosofo? La risposta, sembra, ha a che fare con Socrate e la ricognizione platonica della necessità di fare dialoghi (con domande e risposte). Solo se noi continuiamo a discutere le nostre idee possiamo sperare di raggiungere la verità, se questa è raggiungibile.", Christopher Rowe, Plato and the