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La trasformazione attraverso il dialogo

1.5 Interpretazione letterario o filosofica

1.5.1 La trasformazione attraverso il dialogo

Hadot ha evidenziato fortemente l'aspetto trasformativo della filosofia antica e al contempo, all'interno di una lettura tendente a rintracciare gli "esercizi spirituali" dell'antichità, indica come i dialoghi platonici siano dei veri e propri esercizi filosofici. Con una prospettiva simile troviamo anche Dixsaut, la quale sostiene che non sia un caso che Platone abbia scelto lo stile dialogico e ritiene che esso sia conforme al contenuto stesso della filosofia. Il dialogo è un esercizio, è un'attività che produce un cambiamento: far diventare l'anima pensante e quindi filosofica80. A differenza di Hadot, la Dixsaut non sottolinea l'aspetto comunitario del dialogo, ma predilige l'aspetto del dialogo dell'anima con se stessa. Per lei la teoria è una fissità di concetti e la pratica è la generazione, il prodursi dialettico dei concetti. Per Hadot, invece, la teoria è essa stessa una pratica che fa parte di uno stile di vita filosofico condiviso con altri. Hadot, 77 Questa interpretazione è tipica della lettura nietzschiana e di gran parte della letteratura

secondaria.

78 "(...) perché il dialogo svolga la sua funzione retorica-educativa. Esso intende indurre il suo

fruitore a rivisitare intellettualmente la "grande società" che ne costituisce l'ambiente, a prendere coscienza tanto degli errori che hanno condotto alla sua crisi e alla catastrofe della sua cultura, quanto delle possibilità intellettuali e morali che vi erano latenti e che sono rimaste inesplorate.", M. Vegetti, "Società dialogica e strategie argomentative nella Repubblica (e contro la Repubblica)", in G..Casertano (ed.), La struttura del dialogo platonico, Napoli 2000, pp. 74-85, p. 76.

79 Cfr. Platone, Resp. III, 395b sgg.

80 "Un logos è vivente se e solo se si iscrive in un anima e la costituisce anima pensante, sia se

fatto dall'anima stessa sia se essa interiorizza il discorso di un altro a lei indirizzato per mezzo del soffio modulato o del papiro" M. Dixsaut, La natura filosofica. Saggio sui dialoghi di

Platone, Napoli 2003, p. 27. "Senza logos, niente philosophia; e il dialogo è l'esercizio bello,

libero e difficile della philosophia. Non è un divertimento e bisogna acconsentire ad ascoltarlo (Repubblica 6 498a). Ascoltarlo non vuol dire sottomettersi ad una voce estranea, bensì sottomettersi alla prova mettendolo alla prova.", Ibidem, p. 35 "Il Dialogo platonico ha invece solo la funzione di mantenere aperta la dimensione interrogativa nel cuore stesso della risposta e la dimensione creativa nel cuore stesso della domanda."Ibidem, p. 37.

specialmente per l'ellenismo, sottolinea il carattere terapeutico degli esercizi spirituali; Dixsaut, invece, sottolineando che non è l'ignoranza o l'errore che filosofa in noi, bensì il desiderio, sostiene che gli esercizi dialogici non siano terapeutici81. Bisognerebbe, naturalmente, intendersi sul significato di "terapia", tuttavia rintraccio il carattere di cura nello stesso Socrate quando si pone come medico attraverso l'elenchos e nello stesso Platone nella tensione di curare la

polis. Dixsaut, probabilmente, nega l'aspetto curativo perché non rintraccia

nemmeno l'aspetto pedagogico dei dialoghi, creando però, a mio parere, una contraddizione con la sua stessa posizione. Infatti dice, del dialogo, che “la sua finalità non è né retorica né pedagogica, è ironica. Ciò implica che il dialogo non va inteso come un semplice scambio di domande e risposte; non è né conversazione né controversia e si sottrae alla forma del monologo alternato se riesce a portare ad unità il domandare e il rispondere. Se viene condotto retoricamente, la domanda è sempre fittizia e la risposta prevedibile; se persegue uno scopo pedagogico, le domande vengono poste solo per ottenere buone risposte o fornirle"82, ma anche "Non c'è qui pertanto la proposta di una lettura, di

un'interpretazione, perché la questione non si pone in questo senso. Leggere,

rileggere i dialoghi non è farne una lettura, è patire, essere liberati, essere alterati da loro.”83. L'essere liberati e alterati dai dialoghi non è forse una cura, l'effetto di un'azione pedagogica, pur dovendo, anche qui, intendersi sul termine "pedagogia"?

Anche Kahn sottolinea l'aspetto trasformativo operato dai dialoghi, specialmente i primi dialoghi socratici, con la loro tensione alla provocazione verso l'interlocutore ed il lettore.84 Sostiene che i primi dialoghi siano protettici e preparatori alle tesi esposte nei dialoghi della maturità. Kahn, accoglie così una 81 "il fatto che non è l'ignoranza, anche delimitata e circoscritta, ciò che filosofa in noi, significa

innanzi tutto che l'esercizio del filosofare non è una terapeutica: in quanto tale infatti dipenderebbe dalla dialettica del male e del rimedio. Filosofare sarebbe allora filtro, liberazione, guarigione da un male originale, da un male del vivere e dell'essere; filosofare sarebbe per l'uomo una forma di salvezza non sarebbe per l'anima il “superiore godimento” (Simp. 173 c). Non sono infatti il male o ignoranza (agnoia) che filosofano in noi: il desiderio

di sapere, come dice il Liside, ha come sola origine il desiderio.”, Ibidem, p. 146.

82 Ibidem, p. 37. 83 Ibidem, p. 49.

84 C.H. Kahn, Plato and the socratic dialogue. The philosophical use of a literary form, New

tesi evoluzionista ma la ridimensiona: non è che Platone cambi idea dai dialoghi giovanili ai dialoghi della maturità (è, così, anche unitarista) ma, consapevole che non poteva esprimere subito il pensiero non convenzionale dei dialoghi della maturità, prepara il lettore ed il pubblico ad esso tramite i dialoghi socratici e tramite l'identificazione del lettore e del pubblico con Socrate. In questo senso troviamo una finalità pedagogica dei primi dialoghi socratici intesi come "avviamento" alla filosofia dei dialoghi della maturità. Personalmente, pur essendo questa interpretazione molto affascinante, mi sembra anacronistica e non supportata da testimonianze. Kahn ritiene di individuare all'interno dei primi dialoghi degli elementi che rinviano ai dialoghi successivi, degli aspetti che vengono esposti in modo allusivo e che hanno funzione protettica. Perché questo dovrebbe essere prova di un "piano" platonico? Non potrebbe semplicemente indicare una continuità tra i dialoghi del primo periodo e quelli della maturità?

Vicina alla lettura di Kahn, troviamo la lettura esoterica di Szlezàk che sostiene che l'esotericità non significhi segretezza85, ma che richiami al fatto che non tutto è presente nel testo perché Platone sta attento ad esprimere solo ciò che il lettore può comprendere; Platone adatta ciò che può dire in base agli uditori: vige, cioè, il principio che per uditori diversi bisogna proporre livelli di contenuti diversi. Da questo Szlezàk fa derivare che è nell'orale che le cose maggiori emergono (se l'uditore è adatto) dal momento che Platone può avere chiaro chi è l'uditore che gli sta di fronte.

1.5.2 L'implicito

Notiamo, quindi, che la tendenza a cercare l'implicito presente nei dialoghi platonici, è una tendenza comune a varie scuole (che arrivano a conclusioni differenti) ed è collegata all'affinamento del metodo ermeneutico proposto da Strauss. C'è chi, da questo lavoro ermeneutico, collegato ad un lavoro sulle fonti aristoteliche, ritiene di poter trarre delle dottrine esoteriche (la scuola di 85 T. Szlezàk, Oralità e scrittura della filosofia. Il nuovo paradigma nell'interpretazione di

Tubinga86), c'è chi, invece, opera questo lavoro per trovare la protetticità (Kahn) o chi opera in questo modo per trovare, all'interno della struttura dialogica, degli elementi che vanno ricostruiti attraverso un'operazione ermeneutica ed un dialogo tra lo scrittore ed il lettore (la scuola ermeneutica gadameriana87).

A mio parere è fondamentale un lavoro esegetico ed ermeneutico ma esso non deve mai avere la presunzione di esprimere tesi non dette esplicitamente da Platone o attribuire a Platone scopi e finalità da lui non dichiarate, ma, invece, deve chiarire ciò che viene detto. I testi possono essere sicuramente assunti come pretesti o punti di partenza per la creazione di nuove dottrine (ed in esso troviamo il loro ruolo attivo e performativo) ma non bisogna sostenere che i testi di partenza esprimessero già, implicitamente, quelle dottrine.