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La «commissione» regionale: profili di organizzazione e funzionamento nei progetti del

I Consigli regionali nell’esperienza italiana

2.2 La «commissione» regionale: profili di organizzazione e funzionamento nei progetti del

La questione relativa al potere dei Consigli regionali di disciplinare la loro organizzazione e il loro funzionamento con apposito regolamento non rimase estranea al dibattito in seno all’Assemblea Costituente, seppur affrontato in maniera alquanto marginale26. Prima di esaminare tali aspetti è interessante volgere lo sguardo ancora più indietro, in particolare ai progetti di decentramento del Governo Cavour presentati dal ministro dell’Interno Minghetti alla Camera dei deputati nel 1861 che, come rilevato supra, si scontrarono contro il muro del conservatorismo alzato in Parlamento, attestatosi su un prudente mantenimento dello status quo e di difesa della sofferta unificazione da precoci ripartizioni territoriali. Nonostante si tratti di progetti rimasti solo sulla carta, si possono mettere in luce alcune disposizioni relative alla potestà regolamentare dell’organo regionale.

Il IV progetto, relativo all’«amministrazione regionale», prevedeva che in ogni capoluogo di Regione risiedesse una commissione, eletta dai consigli provinciali nel loro seno a maggioranza assoluta di voti per un mandato di tre anni (art. 2), alla quale era attribuito potere deliberativo su determinate materie in osservanza delle leggi dello Stato27. La commissione si sarebbe riunita ogni anno, convocata in sessione ordinaria dal governatore di nomina ministeriale e in sessione straordinaria su ordine del ministro dell’Interno (art. 3). Il governatore avrebbe aperto e chiuso la sessione, con possibilità di intervenire alle sedute senza diritto di voto, nonché di sospendere e prorogare l’adunanza, riferendo al ministro dell’Interno (art. 4). Nella sua prima seduta la commissione, presieduta provvisoriamente dal commissario più anziano e con il più giovane con funzione di segretario (art. 6, co. 1), avrebbe eletto al suo interno il presidente, il vicepresidente e due segretari (co. 2). Per la validità delle deliberazioni era richiesta la presenza

26 V. infra par. 2.3.

dei due terzi dei membri nella prima convocazione e della metà nella seconda (art. 7, co. 1), mentre le deliberazioni sarebbero state adottate a maggioranza assoluta dei voti (co. 3). Infine, per la presentazione delle proposte e la regolarità delle discussioni, si rinviava alle disposizioni della legge sull’amministrazione comunale e provinciale (art. 7, co. 5)28.

In questo senso, il II progetto sull’«amministrazione comunale e provinciale» menzionava espressamente i regolamenti interni all’interno del Titolo III (Disposizioni generali e comuni). Infatti ai sensi dell’art. 99, i «consigli comunali e provinciali osserveranno sulle loro deliberazioni le norme praticate dai consessi deliberanti» e «sottoporranno ad approvazione i loro regolamenti interni». Tale norma, che prevedeva l’obbligo per gli organi consiliari comunali e provinciali di approvare i propri regolamenti interni («sottoporranno ad approvazione»), sarebbe stata quindi applicata anche alle commissioni regionali sulla base del rinvio operato dal IV progetto. Dunque dal combinato disposto dei due disegni di legge (art. 7, co. 5, del IV progetto e art. 99 del II progetto) si ricavava il riconoscimento del potere della commissione di darsi un proprio regolamento interno.

Inoltre gli articoli successivi del II progetto fissavano una serie di disposizioni di dettaglio sull’organizzazione e il funzionamento dei consigli comunali e provinciali estendibili alle commissioni regionali, tra cui il potere del presidente di mantenere l’ordine e la regolarità delle discussioni e deliberazioni (art. 101, co. 1), di sospendere e sciogliere la seduta (co. 2), di allontanare e ordinare l’arresto di chiunque fosse causa di disordini (art. 102, co. 1); le modalità di voto, ossia a voce, per appello nominale, per alzata e seduta, segreto per le deliberazioni su persone (art. 104); l’intervallo temporale minimo di sei ore tra il deposito dello schema di deliberazione e la discussione dello stesso (art. 105); l’impossibilità di deliberare su

28 V. anche artt. 13 («La commissione nomina ogni anno nel proprio seno due assessori … [che] lo assistono nel predisporre le materie da trattarsi nelle adunanze della Commissione e nel curare l’effetto delle deliberazioni prese dalla medesima») e 14 («Gli atti della commissione sono trasmessi dal governatore al ministro dell’Interno ... [e] Le deliberazioni diventano esecutorie se il ministro non le annulla nel termine di un mese per difetto di forma o per contravvenzione alle leggi»).

proposte o questioni estranee all’oggetto della convocazione (art. 106); l’ordine di discussione delle proposte (art. 107, co. 2); l’impossibilità di partecipare a determinate sedute per conflitto di interessi (art. 110)29; la proclamazione dell’esito delle votazioni da parte del presidente (art. 111); la compilazione dei verbali (art. 113)30. Infine il progetto prevedeva la nullità, «pronunciata in via amministrativa ed in qualunque tempo», degli atti deliberati in «adunanze illegali» o su «oggetti estranei alle attribuzioni dei Consigli» ovvero «contrari alle leggi» (art. 156).

Si possono quindi individuare alcuni punti fermi. In primo luogo, qualora i progetti fossero stati approvati dal Parlamento, vi sarebbe stato il riconoscimento ex lege della potestà regolamentare interna dei consigli comunali e provinciali, che si inseriva nel solco di quella attribuita espressamente dall’art. 61 dello Statuto albertino del 1848 a ciascun ramo del Parlamento per determinare il «modo secondo il quale abbia da esercitare le proprie attribuzioni»31.

In secondo luogo, il contenuto di tali regolamenti sarebbe stato inevitabilmente compresso da una serie di dettagliate disposizioni in ordine all’organizzazione e al funzionamento dei consigli stessi (modalità di voto, regolarità delle sedute, poteri del presidente e così via), che oggi troveremmo proprio nei regolamenti interni. In terzo luogo, vi era il riconoscimento del potere regolamentare interno delle commissioni regionali e l’estensione delle disposizioni sul funzionamento dei consigli comunali e provinciali, per quanto compatibili, sulla base del rinvio operato dall’art. 7, co. 5, del IV progetto Minghetti sull’amministrazione regionale.

29 Ai sensi del quale «I consiglieri non possono prender parte alle discussioni e deliberazioni riguardanti liti od interessi loro propri o d’istituzioni da essi amministrate o sorvegliate o di congiunti ed affini sino al quarto grado civile».

30 I processi verbali compilati dal segretario contengono «i nomi dei consiglieri intervenuti e di quelli che si sono allontanati nel tempo dell’adunanza, le materie proposte e trattate … ed il numero dei voti favorevoli o contrari» e sono «approvati nell’adunanza stessa od in quella immediatamente successiva …».

In conclusione i consigli comunali, provinciali e regionali, a differenza delle Camere del Parlamento, non sarebbero stati liberi di autoorganizzarsi, se non in via residuale per quei limitati profili non disciplinati dalla legge. La disciplina calata dall’alto, rectius dal centro, in materia di organizzazione e funzionamento degli organi rispondeva alla configurazione dei rispettivi enti come snodi periferici dell’amministrazione dello Stato, il quale ne fissava con legge competenze e limiti32.

32 Secondo R. BIN, G. PITRUZZELLA, Le fonti del diritto, Torino, Giappichelli, 2012, 163, se il potere normativo degli enti locali si esprime ancora oggi mediante «regolamenti» è proprio un «retaggio di questa immagine originaria».

2.3 Il dibattito marginale in seno all’Assemblea Costituente in