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L’anomalo caso dell’Umbria: un’occasione persa

tra dottrina e Corte costituzionale

3.7 L’anomalo caso dell’Umbria: un’occasione persa

Per ultimare il percorso relativo all’analisi della giurisprudenza costituzionale in tema di regolamenti consiliari, è necessario richiamare brevemente un passaggio della sentenza n. 18 del 1970, laddove la delibera consiliare che approvava o modificava il regolamento era considerata analoga alla legge regionale, salvo per il nomen e la maggioranza richiesta, e quindi non era esclusa la possibilità di impugnare la delibera entro i termini prescritti per ricorrere contro la legge regionale, nel caso in cui il Consiglio avesse approvato la prima per disciplinare una materia riservata alla seconda al solo fine di sottrarsi agli adempimenti e ai controlli relativi al procedimento legislativo allora previsti dalla Costituzione. Quid iuris se fosse invece il regolamento consiliare ad assumere «veste e parvenza», a voler utilizzare le parole della Corte, della legge regionale?

Sin dagli albori dell’esperienza regionale nei primi anni settanta tale ipotesi non rappresentò un mero caso di scuola, dato che il Consiglio della Regione Umbria dal 1972 al 2007 ha adottato e successivamente modificato con legge la disciplina relativa alla propria organizzazione e funzionamento (ll.rr. Umbria nn. 22/1972 s.m., 62/1981 s.m., 14/1998 s.m.), nonostante lo statuto disponesse espressamente l’approvazione del «Regolamento interno» a maggioranza assoluta dei consiglieri103.

Se da un lato la questione relativa ad una legge regionale recante il regolamento consiliare non è più attuale, dato il Consiglio umbro si è ormai allineato alle altre Regioni, approvando il nuovo regolamento con atto non legislativo104, dall’altro è lecito chiedersi se in astratto l’organo rappresentativo sia libero di scegliere la veste e il regime del proprio regolamento e se il riferimento operato dallo statuto alluda soltanto a un

103 Prima l’art. 42 ST. Umbria (l. n. 344/1971), poi l’art. 46 ST. (l. n. 44/1992). 104 Ai sensi dell’art. 48 del nuovo statuto del 2005 (l.r. Umbria n. 21/2005), il Consiglio «delibera e modifica il Regolamento interno a maggioranza assoluta dei suoi componenti». L’approvazione del nuovo regolamento (DCR n. 141/2007) è stata preceduta dall’approvazione della l.r. Umbria n. 13/2007, che ha abrogato la l.r. n. 14/1998 recante il vecchio regolamento del Consiglio regionale e tutte le leggi approvate in sua modifica e integrazione.

contenuto ovvero a un procedimento ben distinto che esclude il ricorso alla legge105. Anche perché se oggi non vi è alcun regolamento consiliare con forma di legge, non è escluso, per quanto sia improbabile, che tale ipotesi possa riproporsi in futuro.

La prassi seguita senza alcuna opposizione da parte del Governo nell’ambito del controllo preventivo statale sulle leggi regionali originariamente previsto dalla Costituzione – almeno fino al ricorso depositato dinanzi alla Corte costituzionale nel 1997 – pose una serie di questioni relative alla legittimità di siffatta soluzione, al significato di autonomia consiliare, al rapporto di questo particolare tipo di legge con le altre fonti regionali, all’assoggettamento del regolamento agli stessi controlli sulla legge allora disposti dalla Costituzione in relazione all’apposizione del visto da parte del commissario del Governo e, last but not the least, la forma risultava determinante in quanto l’approvazione del regolamento con legge avrebbe potuto comportare la sua sindacabilità in sede di giudizio di legittimità costituzionale.

Non a caso il Governo nel 1997 dopo anni di laissez-faire impugnò la legge umbra recante il regolamento interno proprio nella prima occasione utile successiva alla sentenza della Corte costituzionale del 1987, che aveva escluso i regolamenti consiliari dagli atti sottoponibili al sindacato di legittimità di cui all’art. 134 della Costituzione106. Infatti in virtù di tale pronuncia era fondamentale stabilire se la Regione fosse libera di scegliere tra la forma legislativa, che in astratto avrebbe reso il regolamento consiliare sindacabile in sede di giudizio di legittimità, e quella regolamentare, che invece lo sottraeva a siffatto giudizio e lo confinava al solo conflitto di attribuzione, sulla scorta di quanto stabilito dal Giudice costituzionale.

105 Così R. TOSI, Sulla forma del regolamento consiliare: una declaratoria di inammissibilità con motivazione di infondatezza, in Le Reg., 1998, n. 5, 1369.

Il ricorso governativo faceva leva a) sull’autonomia consiliare, ricavata dall’art. 121 Cost. e dallo statuto allora vigente107, in quanto la forma di legge avrebbe esposto le norme regolamentari ivi contenute a un regime di controllo e sindacabilità (preventivo, oggi sarebbe successivo) non consono a tale principio; b) sulla pregressa giurisprudenza costituzionale, che aveva escluso il regolamento dagli atti sottoponibili al sindacato di cui all’art. 134 Cost. (sent. n. 288/1987), confinandolo al conflitto di attribuzione (n. 14/1965); c) ex art. 127 Cost. sull’interesse nazionale al corretto uso degli strumenti normativi predisposti dall’ordinamento e all’integrità del sistema delle fonti.

Tuttavia, la Corte con sentenza n. 87/1998 non entrò nel merito della questione e dichiarò l’inammissibilità della questione per carenza di una minima sufficiente determinazione del parametro costituzionale necessario alla corretta configurazione della questione di costituzionalità, precisando come non spettasse ai giudici «supplire alle carenze del ricorso andando alla ricerca di altri elementi per poter eventualmente identificare il principio costituzionale di autonomia del Consiglio regionale che il ricorrente ha affermato [in un] immotivato modo»108. Nell’atto con cui fu promosso il giudizio si sosteneva che l’approvazione con legge del regolamento violasse il principio dell’autonomia consiliare, inespresso in Costituzione e ricavato dall’art. 121 Cost., nonché l’interesse nazionale all’integrità del sistema delle fonti del diritto e all’autonomia regionale, ma secondo la Corte dall’art. 121 si apprendeva soltanto come il Consiglio regionale fosse organo della Regione, senza alcuna indicazione circa l’ampiezza e i caratteri

107 In particolare, l’art. 44 ST. Umbria del 1992, ai sensi del quale «Il Consiglio regionale ha l’autonomia funzionale e contabile interna necessaria al libero esercizio delle sue funzioni, che esercita nel rispetto della Costituzione, del presente Statuto e sulla base del Regolamento interno» (corsivi miei).

108 Secondo M. SICLARI, Sull’approvazione con legge regionale del regolamento consiliare dell’Umbria, in Giur. it., 1999, n. 2, 235-237, si trattò di un condivisibile atteggiamento di self-restraint, in passato non sempre effettuato. Contra R. TOSI, Sulla forma del regolamento consiliare, cit., 1367, secondo la quale «l’idea di una così rigida testualità del parametro non solo non ha mai avuto seguaci, né trova alcun riscontro nella giurisprudenza costituzionale, ma anzi viene di continuo contraddetta dalla prassi giurisprudenziale».

della sua autonomia, mentre risultava del tutto inconferente il richiamo al contrasto con l’interesse nazionale, che poteva rilevare di fronte al Parlamento (questione di merito per contrasto di interessi davanti alle Camere) ma non innanzi alla Corte costituzionale.

La debolezza e le lacune dell’atto di introduzione «non supportato adeguatamente»109 fecero sì che la Corte costituzionale imboccasse senza troppi problemi la strada della dichiarazione di inammissibilità della questione, riuscendo così a evitare nuovamente di inquadrare i regolamenti consiliari nel sistema delle fonti. Tuttavia non mancano nella sentenza alcuni passaggi significativi, laddove «dalle disposizioni costituzionali e statutarie richiamate nulla può inferirsi in relazione … alla forma dell’atto cui possono essere consegnate le norme del regolamento consiliare»: da un lato, l’art. 121 Cost. individua il Consiglio come organo regionale che esercita le potestà legislative e regolamentari attribuite alla stessa, «senza alcuna indicazione circa l’ampiezza e i caratteri della sua autonomia»; dall’altro, l’art. 44 statuto Umbria si limita(va) a stabilire che l’autonomia funzionale e contabile necessaria al libero esercizio delle funzioni del Consiglio regionale è esercitata nel rispetto della Costituzione, dello statuto e sulla base del regolamento interno, «ma nulla dispone in relazione alla natura e alla forma dell’atto regolamentare» (corsivi miei); né secondo i giudici poteva invocarsi l’art. 127 Cost. quanto al problema di quali fossero le deliberazioni regionali che potessero o meno assumere la forma della legge.

A prima vista da queste parole potrebbe ricavarsi l’implicita affermazione della fungibilità tra legge e regolamento, ravvisandosi una sorta di indifferenza sulla fonte chiamata a disciplinare l’organizzazione e il funzionamento dell’organo e la libertà dello statuto sul punto. Dunque il rinvio contenuto nello statuto indicherebbe una mera preferenza per l’atto regolamento, superabile da parte del legislatore regionale. In effetti vi fu chi

109 M. SICLARI, Sull’approvazione con legge regionale, cit., 236; contra R. TOSI, Sulla forma del regolamento consiliare, cit., 1367, perché «ciò che il governo suppone leso è … un principio inespresso in Costituzione, ma ricavato da disposizioni … puntualmente indicate».

ritenne che la sentenza in esame fosse in realtà «rivolta a dar conto … dell’infondatezza della questione, constatando che le norme costituzionali e statutarie indicate nel ricorso non vieta[ssero] al Consiglio della Regione Umbria di adottare con legge il suo regolamento»110.

In realtà la sentenza non si è soffermata approfonditamente sul problema, trattandosi pur sempre di inammissibilità per insufficiente individuazione del parametro, mentre le poche considerazioni sulla forma dell’atto si riferiscono alle disposizioni richiamate e alle violazioni lamentate nell’atto di introduzione («dalle disposizioni costituzionali e statutarie richiamate nulla può inferirsi in relazione … alla forma dell’atto»). Non è dato sapere come il collegio si sarebbe mosso se il ricorso, più che su un imprecisato principio di autonomia consiliare e un inconferente richiamo all’interesse nazionale, avesse richiamato l’art. 46 dello statuto umbro allora vigente, che nel prevedere l’approvazione del «Regolamento interno» a maggioranza assoluta sembrava individuare un atto con un proprio nomen juris distinto dalla legge111, e avesse altresì censurato il mancato rispetto del procedimento espressamente previsto dallo statuto, in violazione dell’art. 123 secondo lo schema dell’interposizione normativa112.

Non si può dire quindi che la Corte abbia preso una posizione netta sulla fungibilità tra legge e regolamento, chiarendo se la prima sia esclusa dall’organizzazione e dal funzionamento del Consiglio, in altri termini se lo statuto possa rinviare la disciplina alla legge e non al regolamento consiliare, e se la previsione di quest’ultimo, come del resto sempre

110 R. TOSI, Sulla forma del regolamento consiliare, cit., 1368. V. anche F. CUOCOLO, Diritto regionale italiano, Torino, Utet, 1991, 66 ss., secondo il quale il regolamento consiliare umbro non era illegittimo, ma rappresentava solo una «strana anomalia».

111 R. TOSI, Sulla forma del regolamento consiliare, cit., 1369, secondo la quale «già la lettera maiuscola con cui la parola [Regolamento] si trova scritta avvalora l’idea che si tratti di un nomen juris e può quindi far dubitare che lo Statuto rimanga indifferente quanto allo strumento destinato a disciplinare organizzazione e funzionamento del Consiglio».

112 Secondo M. SICLARI, Sull’approvazione con legge regionale, cit., 236, questa sarebbe stata una delle «coordinate per una corretta impostazione del ricorso di legittimità costituzionale … ma di esse non si trova traccia nell’atto con cui è stato promosso il giudizio risolto dalla sentenza». In generale sul tema, v. M. SICLARI, Le norme interposte nel giudizio di costituzionalità, Padova, Cedam, 1992, 54 ss.

avvenuto sino ad oggi da parte dei vari statuti, sia un elemento decisivo per negare la fungibilità delle forme dell’esercizio del potere di autoorganizzazione consiliare. Va poi considerato che, se la ratio dell’approvazione del regolamento a maggioranza assoluta risiede nella tutela delle minoranze rappresentate in assemblea, come ritenuto comunemente dalla dottrina e dalla Corte costituzionale (sent. n. 288/1987), allora «il regolamento non può essere approvato con legge regionale senza incorrere in un vizio di legittimità per violazione del principio costituzionale che vuole assicurata la tutela delle minoranze»113.

L’anomalo caso dell’Umbria funge quindi da canale di collegamento con i paragrafi successivi, in cui saranno esaminati il rapporto del regolamento consiliare con le altre fonti dell’ordinamento, l’esistenza o meno di una riserva di competenza nei confronti dello statuto e della legge regionale, fino alla ratio della previsione da parte di quasi tutti gli statuti vigenti della maggioranza assoluta per l’approvazione del regolamento consiliare, letta alla luce degli attuali sistemi elettorali regionali.

3.8 Il rapporto tra il regolamento consiliare e lo statuto regionale