tra dottrina e Corte costituzionale
3.10 Il rapporto tra il regolamento (e la maggioranza per la sua approvazione e modifica) e la legge regionale elettorale
La maggior parte degli statuti attualmente in vigore prevede che il Consiglio regionale approvi e modifichi il regolamento di organizzazione e funzionamento con il voto della maggioranza assoluta dei componenti183. Per gli statuti ordinari di seconda generazione tale quorum si pone in linea di continuità rispetto a quelli previgenti, confermando l’assetto consolidato nei primi trent’anni di vita regionale, e sulla scia di quanto disposto dall’art. 64, co. 1, Cost. per i regolamenti parlamentari184. Solo in un caso il regolamento consiliare è approvato e modificato a maggioranza dei due terzi dei membri (Campania), a cui si aggiungono alcune soluzioni intermedie in cui la maggioranza qualificata inizialmente prevista diventa assoluta nelle votazioni successive (Abruzzo, Lazio, Toscana)185.
Ogni tipo di maggioranza, sia essa semplice, assoluta o qualificata, sia essa prevista dalla Costituzione o dallo statuto, è un meccanismo numerico che assume un proprio significato e soddisfa determinate esigenze solo se rapportato al contesto in cui si inserisce186. In questo senso, il quorum richiesto dagli statuti per l’approvazione del regolamento consiliare (ma il discorso si può estendere anche ad altri aspetti)187 deve essere letto in
183 Art. 35, co. 4, ST. Piemonte; art. 18 ST. Liguria; art. 33, co. 3, ST. Lombardia; art. 48, co. 1, ST. Veneto; art. 27, co. 4, ST. Emilia-R.; art. 19 ST. Marche; art. 48 ST. Umbria; art. 17 ST. Molise; art. 26, co. 1, ST. Calabria; art. 37, co. 1, ST. Puglia; art. 19 ST. Basilicata; art. 19 ST. Valle d’Aosta; art. 31 ST. Trentino-A.A.; art. 21 ST. Friuli-V.G.; art. 19 ST. Sardegna. Solo lo statuto siciliano non dispone al riguardo ed è il regolamento assembleare, adottato comunque con tale quorum già nel 1949, a stabilire che le proposte di modifica allo stesso siano approvate a maggioranza assoluta (cfr. art. 4 ST. Sicilia e art. 39, co. 3, reg. Ass. reg. siciliana).
184 Fermo restando che il limite dell’«armonia con la Costituzione» ex art. 123, co. 1, non può più leggersi come estensione delle soluzioni organizzative fatte proprie a livello statale (Corte cost., sent. n. 313/2003, cons. in dir., § 7.4; cfr. sentt. nn. 372-379/2004 e 12/2006).
185 Cfr. art. 38 ST. Campania, art. 18, co. 1, ST. Abruzzo, art. 25, co. 1, ST. Lazio, art. 22, co. 2, ST. Toscana, su cui infra in questo paragrafo.
186 Riprendendo la riflessione di S. SICARDI, Maggioranza, minoranze e opposizione nel sistema costituzionale italiano, Milano, Giuffrè, 1984, 76-77.
187 Maggioranze speciali sono previste anche per l’elezione dell’Ufficio di Presidenza (v. infra par. 4.1), per l’approvazione della legge elettorale (es. art. 17, co. 4, ST. Piemonte; art. 19, co. 2, ST. Lazio) o di bilancio (es. art. 36, co. 4, ST. Umbria), per l’elezione dei membri
rapporto al sistema elettorale, ossia all’insieme di regole e procedure atte a tradurre in seggi i voti espressi dal corpo elettorale, da cui deriva il significato effettivo attribuibile a una determinata maggioranza.
Non si può allora prescindere dall’analisi dei lineamenti e dell’evoluzione della disciplina elettorale, sui piani costituzionale e legislativo.
Ai sensi dell’originario art. 122, co. 1, Cost., lo Stato era competente a disciplinare il sistema elettorale dei Consigli delle Regioni ordinarie, oltre al numero e ai casi di ineleggibilità e incompatibilità dei consiglieri. Dopo l’approvazione della legge in materia di costituzione e funzionamento degli organi regionali (l. n. 62/1953), si aprì una lunga fase di stallo dovuta a ragioni essenzialmente politiche e solo sul finire degli anni sessanta furono adottati i provvedimenti necessari per la completa attuazione dell’ordinamento regionale, consentendo l’indizione nel giugno 1970 delle prime elezioni regionali188. La legge n. 108 del 1968, recante le «Norme per la elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale», introdusse un sistema proporzionale con utilizzazione dei resti e applicazione del quoziente corretto, sulla falsariga di quello adottato per la Camera dei deputati fino al 1993 e, ancor prima, per l’elezione dell’Assemblea costituente189.
Sebbene la Costituzione italiana, a differenza di altre190, nulla disponga circa il sistema elettorale e il metodo di ripartizione dei seggi del Parlamento e dei Consigli regionali, il favor nei confronti del modello
dell’organo di garanzia statutaria (es. art. 57, co. 5, ST. Toscana; art. 74, co. 3, ST. Liguria; art. 81 ST. Umbria; art. 57 ST. Calabria) o del difensore civico (es. art. 69, co. 3, ST. Lazio).
188 Su tali aspetti v. amplius supra parr. 2.5 ss.
189 Le Regioni speciali e le province autonome di Trento e Bolzano avevano già optato per il sistema proporzionale, in alcuni casi imposto dalla presenza di minoranze linguistiche sul territorio, tanto che la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimi i correttivi sfavorevoli all’accesso di queste ultime al Consiglio regionale (sent. n. 356/1998), su cui M. COSULICH, Trento e Trieste, come sono lontane…(le correzioni della proporzionale nelle Regioni speciali), in Quad. cost., 2001, 107 ss. Si ricorda che, ai sensi dei rispettivi statuti, le Regioni speciali e le province autonome, a differenza delle Regioni ordinarie, erano competenti a legiferare in materia di elezione del Consiglio; tuttavia, anche alla luce delle ambigue disposizioni contenute negli statuti speciali, la giurisprudenza piuttosto oscillante della Corte costituzionale definì tale competenza legislativa come concorrente (sent. n. 26/1965), integrativa-attuativa (n. 90/1974) o esclusiva (n. 20/1985).
190 Per la costituzionalizzazione del sistema proporzionale, es. art. 62, co. 2, Cost. Belgio, su cui amplius A. MASTROMARINO, Belgio, Bologna, Il Mulino, 2013, 51 ss.
proporzionale puro era in origine legato all’esigenza di riprodurre all’interno dell’organo elettivo la complessità delle componenti sociopolitiche presenti nel corpo elettorale, privilegiando la ricerca della mediazione e dell’accordo più che la stabilità governativa. Tuttavia, il superamento delle vecchie contrapposizioni ideologiche nel corso degli anni ottanta, la crisi dei partiti storici culminata nelle note inchieste sulla corruzione politica dei primi anni novanta (cd. Tangentopoli), l’intrinseca debolezza del funzionamento del parlamentarismo basato sul compromesso e le frequenti crisi di governo che ne derivavano furono gli elementi principali, connessi tra loro, che portarono a un cambio di rotta del nostro Paese verso la democrazia maggioritaria191.
Le istanze di cambiamento del sistema politico-istituzionale provenienti dalla società civile, finalizzate a porre un freno all’eccessiva instabilità governativa e confluite in una serie di referendum nel 1993, portò il legislatore statale a un generale ripensamento del modello elettorale a ogni livello di governo del territorio: dapprima i comuni e le province (l. n. 81/1993)192, poi il Parlamento (ll. nn. 276 e 277/1993)193,infine le Regioni ordinarie (l. n. 43/1995). Così nell’arco di circa un biennio si passò
191 Per riprendere la politologica distinzione con quella consociativa o consensuale, su cui G. PITRUZZELLA, Forme di governo e trasformazioni della politica, Bari, Laterza, 1996, 14 ss.
192 La l. n. 81/1993 introdusse nel sistema un principio «dirompente rispetto al passato», ossia l’«autonoma legittimazione dei governi rispetto alle assemblee elettive» attraverso l’elezione diretta del sindaco e del presidente della provincia (così A. MANZELLA, Il Parlamento, Bologna, Il Mulino, 2003, 7); v. anche L. VANDELLI, Sistemi elettorali e forma di governo negli enti locali, in M. LUCIANI, M. VOLPI (cur.), Riforme elettorali, Bari, Laterza, 1995, 253 ss.
193 In breve, l’esito del referendum nazionale del 18.4.1993 imponeva il passaggio dal sistema proporzionale a quello maggioritario. Con l’approvazione delle leggi elettorali nn. 276 e 277/1993 (rispettivamente per Senato e Camera dei deputati) l’istanza maggioritaria risultò però attenuata da un correttivo proporzionale. Si trattò di una «soluzione di compromesso tra la decisione popolare, che nessun partito [aveva] la forza di contrastare, e le resistenze provenienti dalle tradizionali forze politiche all’affermazione di un compiuto sistema maggioritario ed alternativo» (S. TOSI, A. MANNINO, Diritto parlamentare, Milano, Giuffrè, 1999, 23). In breve, circa tre quarti dei seggi era attribuito in collegi uninominali con sistema maggioritario a turno unico, mentre il restante quarto era ripartito con metodo proporzionale mediante un sistema fondato su collegi regionali (Senato) o circoscrizionali (Camera), con assegnazione proporzionale dei seggi a candidati risultati non eletti nei collegi uninominali (Senato) o a candidati compresi in liste ad hoc con clausola di sbarramento del 4% (Camera). L’approvazione della nuova legge elettorale n. 270/2005 ha segnato il ritorno al proporzionale, ma con alcuni elementi correttivi (preventiva indicazione del capo della coalizione candidato a diventare in caso di vittoria Presidente del Consiglio, clausola di sbarramento e premio di maggioranza), con regole diverse per le due Camere.
dall’omogeneità sostanziale dei vari sistemi elettorali, di carattere essenzialmente proporzionale, a una nuova omogeneità degli stessi, con un generale mutamento della legislazione elettorale in senso maggioritario194.
La legge n. 43 del 1995 («Nuove norme per la elezione dei Consigli delle Regioni a statuto ordinario»), approvata dal legislatore in prossimità delle elezioni regionali dello stesso anno, modificò la legge n. 108 del 1968 e, pur non rinunciando al sistema proporzionale a tutela del pluralismo politico, introdusse una serie di correttivi di stampo maggioritario in funzione della governabilità. Tra essi spicca il premio di maggioranza, per cui quattro quinti dei seggi è attribuito con sistema proporzionale in circoscrizioni provinciali con eventuale recupero dei resti a livello regionale, secondo il metodo già utilizzato fino ad allora, mentre la restante parte è attribuita con sistema maggioritario puro alla lista regionale che abbia ottenuto il maggior numero di voti validi nella Regione, secondo modalità non prive di qualche effetto distorsivo195. Inoltre è fissata la soglia di sbarramento al 3% dei voti validi, volta a estromettere dalla ripartizione dei seggi liste poco rappresentative, che non opera però nei confronti di quelle appartenenti a una coalizione (ossia collegate a un candidato presidente) che abbia raggiunto il 5% dei voti.
194 Sottolinea questo aspetto M. COSULICH, Sistemi elettorali (Italia), in Dig. disc. pubbl., Torino, Utet, 2010, Vol. 4 Agg., 557 ss., spec. 575; A. DI GIOVINE, F. PIZZETTI, Osservazioni sulla nuova legge elettorale per i Consigli regionali, in Le Reg., 1996, 11. Sullo sfondo che caratterizzò le riforme, F. PIZZETTI, Sistema dei partiti e sistemi elettorali nella «lunga transizione», in St. parl. pol. cost., 1995, n. 108, 37. Si veda anche C. FUSARO, La legge elettorale e la forma di governo regionale, in A. BARBERA, L. CALIFANO (cur.), Saggi e materiali di diritto regionale, Rimini, Maggioli, 1997, 223 ss.
195 Qualora le liste provinciali collegate a quella regionale godano già di almeno il 50% dei seggi, alla lista regionale vincente è assegnata solo la metà del quinto di seggi a disposizione, ossia il 10%, mentre gli altri sono attribuiti proporzionalmente alle liste provinciali collegate con quelle regionali perdenti (art. 3, co. 3). In altri termini, se la maggioranza assoluta di governo emerge già dalla ripartizione dei quattro quinti dei seggi con metodo proporzionale, non vi è anche bisogno di far «stravincere» una lista sulle altre, attribuendole l’intero ultimo quinto, bensì sorge la necessità di distribuire almeno parte di quest’ultimo all’opposizione. Così A. DI GIOVINE, S. SICARDI, Sistema elettorale e forma di governo a livello regionale (Nota di aggiornamento), in M. LUCIANI, M. VOLPI (cur.), Riforme elettorali, cit., 247. Tuttavia, se il premio di maggioranza è ridotto quando la coalizione vincente gode già della maggioranza dei seggi con la ripartizione proporzionale, allora in astratto converrebbe ottenere il 49% dei voti, in modo tale da godere poi dell’intero premio e quindi di un maggior numero di seggi totali rispetto a quelli che si otterrebbero con il premio dimezzato.
A partire dalle elezioni del 1995, il sistema tuttora vigente in alcune Regioni ordinarie ha portato il sistema politico regionale verso un (tendenzialmente) stabile196 livello di governabilità e ha incanalato il pluralismo partitico sui binari dell’assetto bipolare, favorendo l’alleanza dei partiti in due coalizioni contrapposte, senza tuttavia impedire la frammentazione politica (e dei gruppi all’interno dei Consigli), vista la bassa e facilmente aggirabile clausola di sbarramento.
Anche sulla scia della vocazione maggioritaria delle riforme elettorali dei primi anni novanta e dell’introduzione dell’elezione diretta di sindaci e presidenti delle province, la legge costituzionale n. 1 del 1999 ha inciso sulla forma di governo delle Regioni ordinarie, in particolare sancendo l’elezione diretta del presidente della Giunta e la regola del «governo di legislatura», anche se entrambi derogabili dalle Regioni197. Al tempo stesso ha novellato l’art. 122, co. 1, Cost. sulla competenza a legiferare in materia elettorale, prevedendo che la legge regionale disciplini, nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge statale (rectius «della Repubblica»), il sistema di elezione, l’ineleggibilità e l’incompatibilità del presidente e dei membri della Giunta nonché dei consiglieri regionali198.
196 G. PITRUZZELLA, Forme di governo, cit., 186, evidenzia comunque come la «stabilità» non comporti automaticamente l’«efficacia» e l’«efficienza» dell’azione dell’esecutivo e la «capacità di realizzare gli interessi collettivi».
197 G. TARLI BARBIERI, La materia elettorale tra Stato e Regioni, in A. CHIARAMONTE, G. TARLI BARBIERI (cur.), Riforme istituzionali e rappresentanza politica nelle Regioni italiane, Bologna, Il Mulino, 2007, 42. Si tratta di elementi già previsti, seppur in via embrionale, dalla l. n. 43/1995, ai sensi della quale per ogni lista regionale era indicato anche il rispettivo candidato per la presidenza della Giunta. Quindi le elezioni regionali del 1995 registrarono per la prima volta la designazione sostanziale (non ancora formale) del presidente da parte del corpo elettorale. In relazione alla regola del simul stabunt simul cadent, la legge aveva introdotto una norma “antiribaltone” nel caso in cui il rapporto fiduciario tra Giunta e Consiglio fosse entrato in crisi nei primi 24 mesi. Su elezione diretta del presidente della Giunta e patto di legislatura, si veda amplius supra parr. 2.7 e 2.8 e ivi riferimenti bibliografici.
198 La l. cost. n. 2/2001 ha configurato una soluzione diversa per le Regioni speciali e le province autonome, in cui l’elezione del Consiglio è ora disciplinata da una legge regionale rinforzata (cd. legge statutaria) e fino alla sua entrata in vigore è fissata una disciplina transitoria diversa a seconda dei casi. Per le Regioni Sicilia, Sardegna e Friuli-V.G. si osservano in quanto compatibili le disposizioni delle leggi della Repubblica che disciplinano l’elezione dei Consigli delle Regioni ordinarie, quindi estendendo ad esse in via transitoria la l. n. 108/1968 come modificata dalla l. n. 43/1995, ai quali si aggiungono alcuni correttivi (artt. 1, co. 3, 3, co. 3 e 5, co. 3). Per la Valle d’Aosta è stata prevista la perdurante vigenza della normativa pregressa (art.
Rispetto al passato, il novellato art. 122 si caratterizza quindi per una limitazione dei contenuti della legge statale ai soli principi in materia elettorale e una conseguente apertura a una diversificazione delle scelte nelle singole Regioni sulla disciplina che determina la conformazione della rappresentanza politica in seno al Consiglio. Peraltro, fino all’entrata in vigore del nuovo statuto e della legge elettorale, resta ferma l’applicabilità della legge n. 108 del 1968, come modificata nel 1995, a cui si aggiungono ulteriori correttivi199.
All’indomani della riforma del Titolo V, completata con la legge costituzionale n. 3 del 2001, la Corte costituzionale ha avuto modo di far luce su alcune questioni problematiche legate al novellato art. 122, co. 1, Cost., quali i rapporti tra lo statuto e la legge elettorale regionale e quelli tra la legge-cornice e la legge di dettaglio. In particolare, lo statuto non può determinare direttamente, anche solo in parte, il sistema di elezione del Consiglio, che deve invece essere disciplinato dalla legge regionale elettorale sulla base dei principi fondamentali stabiliti dal legislatore statale200, ma allo stesso tempo è considerato condicio sine qua non per la
2, co. 2). Più complessa la disciplina transitoria di cui all’art. 4 per le province di Trento e Bolzano. Sulla l. cost. n. 2/2001 e la legge statutaria delle Regioni speciali v. supra par. 2.7.
199 Ai sensi dell’art. 5 l. cost. n. 1/1999. In particolare, l’elezione a consigliere regionale del candidato alla Presidenza che abbia ottenuto il maggior numero di voti dopo quello risultato eletto, coprendo così una lacuna segnalata a suo tempo da A. DI GIOVINE, S. SICARDI, Sistema elettorale e forma di governo, cit., 251, per i quali era singolare che i capilista delle liste “sconfitte” non diventassero consiglieri, a meno di una loro elezione nelle liste provinciali.
200 In virtù della stretta relazione intercorrente tra sistema elettorale e forma di governo, gran parte della dottrina ha rilevato la «strana asimmetria» per cui il primo è demandato alla competenza legislativa concorrente dall’art. 122, co. 1, Cost., pur ricoprendo un peso decisivo sulla forma di governo, materia di competenza statutaria ex art. 123, co. 1 (così A. BARBERA, La forma di governo negli statuti regionali, in AA.VV., La potestà statutaria regionale nella riforma della Costituzione. Temi rilevanti e profili comparati, Milano, Giuffrè, 2001, 15; S. MANGIAMELI, Aspetti problematici della forma di governo e della legge elettorale regionale, in Le Reg., 2000, 563 ss.; G. PITRUZZELLA, Forma di governo regionale e legislazione elettorale, in Le Reg., 2000, 501 ss.). Secondo la Corte costituzionale, sebbene «sul piano concettuale» si possa anche sostenere che la forma di governo comprende la legislazione elettorale, «sul piano della Costituzione vigente» la materia elettorale non può essere disciplinata dallo statuto, dato che l’art. 122, co. 1, Cost. e l’art. 123, co. 1, sono disposizioni «tra loro pariordinate» (sent. n. 2/2004, cons. in dir., § 8). Così l’incompatibilità tra le cariche di consigliere e assessore rientra nella competenza della legge (sentt. nn. 378/2004 e 379/2004), mentre lo statuto può disciplinare la prorogatio degli organi elettivi regionali, non incidendo direttamente sulla materia elettorale (sent. n. 196/2003). Sul punto A. MORRONE, Sistema elettorale e «prorogatio» degli organi regionali, in Le Reg., 2003, 1269 ss.; M. VOLPI, Quale
stessa legge regionale, nel senso che l’entrata in vigore di una disciplina legislativa organica in materia è subordinata alla previa, o almeno contestuale, approvazione ed entrata in vigore dello statuto201.
La competenza legislativa in materia elettorale non è diversa da quella ripartita di cui all’art. 117, co. 3, Cost., per cui le Regioni avrebbero potuto legiferare anche in assenza di una legge-cornice, ricavando i principi dal complesso della legislazione statale esistente, pur con qualche difficoltà dato che la materia può essere interpretata più o meno estensivamente202. Il dibattito dottrinale intorno a un’eventuale omissione da parte del legislatore statale è stato comunque superato in seguito all’approvazione della legge n. 165 del 2004, recante le disposizioni attuative dell’art. 122, co. 1, della Carta. Come affermato nella relazione introduttiva al progetto, la legge si limita a fissare (pochi) principi fondamentali in materia di sistema elettorale, in linea con la scelta di valorizzare il ruolo delle Regioni nella
autonomia statutaria dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 2 del 2004?, in
federalismi.it, 4/2004, 1 ss.; A. RUGGERI, Tendenze della progettazione statutaria, alla luce della sent. 2/2004 della Corte costituzionale, federalismi.it, 10/2004, 1 ss.
201 Tale pregiudizialità affonda le radici sia nell’art. 5, co. 1, l. cost. n. 1/1999, che ha irrigidito per la fase transitoria «le modalità previste dalle disposizioni di legge ordinaria vigenti in materia di elezione dei Consigli regionali», sia nel fatto che lo statuto, in quanto competente a determinare la forma di governo, condiziona le scelte in materia elettorale (Corte cost., sent n. 196/2003). Del resto il modello basato sul simul simul può condurre alla semplificazione del sistema politico e all’unificazione dello schieramento maggioritario intorno alla figura del presidente della Giunta, a patto che le relative disposizioni statutarie siano accompagnate da una legislazione elettorale che ne assecondi gli obiettivi (sent. n. 2/2004). L’entrata in vigore della legge elettorale prima dello statuto potrebbe invece introdurre «elementi originari di disfunzionalità, sino all’estremo limite del condizionamento del secondo da parte della prima, in violazione o elusione del carattere fondamentale della fonte statutaria» (sent. n. 4/2010; cfr. sent. n. 45/2011 sulle ll.rr. Basilicata nn. 3 e 19/2010). La legge elettorale può essere approvata prima del nuovo statuto, differendo l’entrata in vigore all’entrata in vigore di quest’ultimo (come avvenuto per Marche e Toscana), altrimenti la Regione può intervenire in materia solo relativamente ad aspetti di dettaglio.
202 Sul vasto dibattito dottrinale, si rinvia a M. COSULICH, Il sistema elettorale regionale tra fonti statali e fonti regionali, Padova, Cedam, 2008, spec. 276 ss., nt. 190, e id., La disciplina legislativa elettorale nelle Regioni ad autonomia ordinaria: ex uno, plura, in Le Reg., 2004, 844. L’espressione «sistema di elezione» ex art. 122, co. 1, Cost., è «comprensiva, nella sua ampiezza, di tutti gli aspetti del fenomeno elettorale», riferendosi non solo alla «disciplina dei meccanismi che consentono di tradurre in seggi, all’interno di organi elettivi, le preferenze espresse con il voto dal corpo elettorale» (tipo di voto, formula elettorale, tipo e dimensione dei collegi), ma anche al sistema elettorale in senso ampio, quindi procedimento elettorale, svolgimento delle elezioni (sent. n. 196/2003), campagna elettorale, rimborso delle spese sostenute dai partiti e così via. Cfr. sent. n. 151/2012.
determinazione del proprio sistema elettorale203. Riguardo al sistema elettorale in senso stretto, si richiede l’individuazione di un modello che agevoli la formazione di stabili maggioranze e assicuri la rappresentanza delle minoranze nel Consiglio (art. 4, co. 1, lett. a), il che esclude l’opzione per un sistema proporzionale o maggioritario puri, in quanto inidoneo ad agevolare la formazione di stabili maggioranze il primo, ad assicurare la rappresentanza delle minoranze il secondo204.
Alcune Regioni hanno approvato la legge elettorale all’indomani dell’approvazione della legge n. 165 del 2004, (Toscana, Lazio, Marche, Calabria, Puglia)205, mentre altre alcuni anni dopo o solo di recente (Veneto, Lombardia, Umbria, Campania, Abruzzo), anche a causa del ritardo nell’approvazione dei rispettivi statuti206. Si applica ancora la “vecchia”
203 L’obiettivo è quello di individuare dei principi «e non delle disposizioni immediatamente cogenti» (AS 1094, XIV Leg., Relazione al ddl, 9), su cui S. MANGIAMELI, Prime considerazioni sul disegno di legge recante disposizioni di attuazione dell’articolo 122, comma 1, della Costituzione, in id., La riforma del regionalismo italiano, Torino, Giappichelli, 2002, 306 ss. Si tratta di un modus operandi in