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Il rapporto tra il regolamento consiliare e lo statuto regionale tra fondamento e riserva

tra dottrina e Corte costituzionale

3.8 Il rapporto tra il regolamento consiliare e lo statuto regionale tra fondamento e riserva

Anche da una rapida lettura dei diversi statuti attualmente in vigore, si nota come in ordine all’organizzazione e al funzionamento del Consiglio essi siano, da un lato, fonti di produzione, quando intervengono direttamente sulla materia, dall’altro fonti sulla produzione, laddove prevedono l’approvazione del regolamento consiliare con una maggioranza speciale e rinviano a quest’ultimo in numerosi casi114.

Il rapporto tra statuto e regolamento, oltre che sul fondamento, ruota anche intorno alla latitudine delle materie statutarie «principi di organizzazione e di funzionamento» e «forma di governo» della Regione (in origine «organizzazione interna»), all’estensione del limite dell’armonia con la Costituzione, al concetto di autonomia dell’organo rappresentativo115. È quindi necessario chiedersi quale sia in astratto la ripartizione tra le due fonti della materia «organizzazione e funzionamento del Consiglio regionale», se la previsione del regolamento da parte dello statuto sia necessaria o eventuale, se vi sia una riserva sostanziale di regolamento e la potestà statutaria trovi un limite nel principio di autoorganizzazione dell’assemblea.

In passato, parte della dottrina escludeva che il regolamento consiliare fosse una fonte necessaria, sottolineando comunque l’opportunità della sua previsione «per evitare in un sistema normativo … caratterizzato

114 Su tale dicotomia G. SIRIANNI, I regolamenti delle assemblee regionali, in Dir. soc., 2007, 213 ss. Al riguardo già T. MARTINES, I regolamenti dei Consigli regionali, cit., 477, riscontrava come gli statuti ordinari del 1971, da un lato, riconoscessero autonomia organizzatoria e funzionale al Consiglio, dall’altro disciplinassero anche nel dettaglio materie tradizionalmente riservate alla normazione interna, quali il diritto di interrogazione, interpellanza, mozione riconosciuto ai consiglieri e i poteri ispettivi loro conferiti, l’organizzazione interna (composizione, modalità di elezione, durata in carica, attribuzioni del presidente del Consiglio e dell’ufficio di presidenza, dei gruppi e delle commissioni), l’iter formativo di leggi e regolamenti, la programmazione dei lavori e così via. Anche i nuovi statuti sarebbero andati in questa direzione, secondo R. TARCHI, D. BESSI, Commento all’art. 123, in R. BIFULCO, A. CELOTTO, M. OLIVETTI (cur.), Commentario alla Costituzione, Torino, Utet, 2006, III, 2454.

115 In ordine alle materie statutarie alla luce della riforma del Titolo V della Costituzione, supra parr. 2.7 e 2.8.

dalla assoluta prevalenza delle norme scritte, continue tensioni e spinte alla prevaricazione delle norme di comportamento non scritte (che peraltro esistono)»116. Al tempo stesso negava l’esistenza di una riserva di regolamento consiliare, almeno nei termini in cui si sosteneva che l’organizzazione e il funzionamento delle Camere fosse riservata ai regolamenti parlamentari ad esclusione di ogni altra fonte subcostituzionale. Secondo tale orientamento, il regolamento consiliare è fonte residuale rispetto agli spazi non occupati dallo (e a discrezione dello) statuto, chiamato «a disciplinare ex novo» quella sola parte dell’organizzazione consiliare non presa in diretta considerazione dallo statuto o dalla Costituzione117. Lo statuto può disciplinare anche interamente, o con la «maggior completezza possibile»118, l’organizzazione interna e il funzionamento del Consiglio regionale (quanto a struttura, funzionamento, rapporti con gli altri organi), lasciando al regolamento il compito di porre solo le norme esecutive e di riempire gli «spazi vuoti»119. In altre parole, non vi è alcuna separazione di competenze e lo statuto, in quanto fonte «dominante», ben può estendere il proprio «raggio di azione per ridurre l’incidenza [delle] fonti regionali ulteriori»120.

Sulla scia di tale riflessione, la tesi secondo cui la competenza statutaria non sarebbe in alcun modo limitata da una riserva di regolamento è stata riproposta con ancora più forza alla luce del nuovo quadro costituzionale. L’autonomia organizzativa del Consiglio, pur essendo un dato «fisiologico e fors’anche ragionevole», non costituisce un vincolo per

116 Secondo U. DE SIERVO, Il Consiglio regionale, cit., 94-95, «un regolamento scritto … non è necessario per le assemblee politiche», ma è funzionale ad «imporre … delle norme esplicite di comportamento che evitino lo scontro ripetuto sulle questioni procedurali lasciate necessariamente irrisolte dalle norme costituzionali o statutarie».

117 L. PALADIN, Diritto regionale, Padova, Cedam, 2000, 312. In riferimento alla Costituzione, l’A. richiama i quorum di cui all’art. 64, co. 3, Cost., su cui v. già L. PALADIN, Commento allo statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, Udine, Del Bianco, 1964, 79 ss.

118 F. SORRENTINO, Lo statuto regionale nel sistema delle fonti, cit., 448, evidenziando però l’«impossibilità per gli statuti di regolare tutta la materia» e non escludendo anche «una disciplina legislativa di dettaglio» in questo settore.

119 E. GIZZI, Manuale di diritto regionale, Milano, Giuffrè, 1986, 154. 120 G. ZAGREBELSKY, Il sistema costituzionale delle fonti, cit., 245.

lo statuto, il quale (a) può prevedere che l’organizzazione e il funzionamento del Consiglio siano disciplinati dal regolamento, il quale avrebbe comunque competenza meramente residuale, ma (b) può rinviare la disciplina a una legge «organica», ovvero (c) può tacere del tutto sul punto121. Per quanto riguarda la legge organica, è ripresa la qualifica attribuita da alcune Costituzioni (Spagna, Francia, Portogallo, Romania) a leggi, approvate con un procedimento aggravato rispetto alle leggi ordinarie e chiamate a disciplinare determinate materie, che costituiscono una categoria intermedia tra le leggi ordinarie e la Costituzione, nel senso che hanno una resistenza passiva rispetto alle prime, dalle quali non possono essere modificate, ma sono comunque subordinate alla seconda122. Il riferimento alla legge regionale organica sull’organizzazione e il funzionamento del Consiglio implica quindi l’approvazione della stessa (almeno) a maggioranza assoluta, come già previsto dalla maggior parte degli statuti per il regolamento, ma l’iniziativa legislativa dovrebbe allora essere riservata ai consiglieri o a organi interni del Consiglio (giunta per il regolamento, Ufficio di Presidenza), altrimenti gli altri titolari del relativo potere andrebbero a incidere sull’autonomia organizzativa dell’assemblea.

L’indifferenza nei confronti delle scelte operate a livello regionale circa la fonte cui affidare la disciplina dell’organizzazione e del funzionamento del Consiglio, a sostegno della quale è richiamata la vecchia prassi dell’Umbria, amplia sicuramente la libertà dello statuto nella conformazione del sistema delle fonti regionali.

121 Solo in quest’ultimo caso si potrebbe dedurre dalla posizione degli organi nell’ordinamento regionale l’esistenza di una facoltà di auto-organizzarsi mediante appositi regolamenti (operativa anche se non espressamente prevista), nei limiti di quanto previsto dalle disposizioni costituzionali e statutarie. M. OLIVETTI, Nuovi statuti, cit., 439 ss. In termini simili si era espresso L. PALADIN, Commento allo statuto, cit., 79, secondo il quale l’espresso rinvio al regolamento era considerato «superfluo», dal momento che un simile atto rappresenta la «manifestazione naturale dell’indiscusso potere consiliare di autoorganizzazione».

122 Per un quadro sulle leggi organiche e sulle leggi rinforzate nel panorama europeo, E. PALICI DI SUNI, Le fonti del diritto, in id. (cur.), Diritto costituzionale dei Paesi dell’Unione europea, Padova, Cedam, 2011, 124 ss.

Tale posizione si basa in primo luogo sulla negazione della tesi del fondamento costituzionale implicito del regolamento consiliare. In secondo luogo, sul rifiuto dell’interpretazione del limite dell’armonia con la Costituzione come adeguamento alle soluzioni organizzative adottate a livello statale, per cui anche ammesso che gli artt. 64 e 72 Cost. istituiscano una riserva regolamentare in materia di procedimento legislativo e organizzazione e funzionamento delle Camere123, non è detto che così debba operare lo statuto, ben potendo affidare tali ambiti alla legge. Infine sull’interpretazione estensiva del contenuto statutario, sia per quanto riguarda la forma di governo, all’interno della quale rientra l’organizzazione interna del Consiglio, sia in ordine ai principi di organizzazione e funzionamento della Regione, per cui lo statuto «può (ma certo non deve)»124 lasciare il dettaglio alla fonte regolamentare. Infatti sia per la vexata quaestio sull’individuazione del confine di separazione tra principio e dettaglio125, sia per il generale ampliamento e rafforzamento della potestà statutaria, parte della dottrina è meno propensa a restare ancorata all’argomento letterale, non ravvisando nel riferimento ai principi alcuna limitazione del raggio di azione dello statuto, che anzi può disciplinare nel dettaglio ogni aspetto della vita dell’organizzazione regionale.

In astratto non vi sarebbe dunque alcun obbligo in capo allo statuto di prevedere il regolamento consiliare (fonte eventuale) né di fermarsi ai soli principi (fonte residuale), potendo disciplinare nel dettaglio quelle materie tradizionalmente riservate alla normazione interna dell’assemblea, come l’iter legislativo (statuto con norme sostanzialmente regolamentari).

Parte della dottrina respinge la tesi della totale disponibilità in capo allo statuto, affermando invece come quest’ultimo debba istituire una riserva di competenza a favore del regolamento consiliare nelle stesse

123 F. MODUGNO, Appunti, cit., 74 ss.

124 M. OLIVETTI, Nuovi statuti, cit., 439, nt. 173.

125 Difficile «da definire nella teoria e pressochè impossibile da stabilire in concreto» secondo A. RUGGERI, Introduzione, in A. RUGGERI, G. SILVESTRI (cur.), Le fonti di diritto regionale alla ricerca di una nuova identità, Milano, Giuffrè, 2001, 13.

materie attribuite dalla Costituzione ai regolamenti delle Camere (regolamento come fonte necessaria a competenza riservata). Se l’autonomia di ogni corpo politico-legislativo a regolare senza condizionamenti la propria organizzazione e le funzioni da svolgere trova fondamento nel principio generale della necessaria posizione di indipendenza126 – per cui le disposizioni costituzionali o statutarie che richiamano la prerogativa dell’autoregolamentazione non operano alcuna attribuzione di potere ma riconoscono un’attribuzione implicita – allora i «profili di somiglianza e di diversità relativi alla posizione dei Consigli regionali e delle Camere parlamentari non sono di per sé sufficienti per qualificare una diversa rilevanza normativa fra i rispettivi regolamenti interni»127. Ne deriva come al regolamento consiliare sia riservata la disciplina delle stesse materie rinviate ex Constitutione ai regolamenti parlamentari e tale riserva è operativa non solo nei confronti della legge regionale, ma anche nei confronti dello statuto, il quale non può contenere una normativa così «particolareggiata»128 da ridurre il regolamento consiliare a mero regolamento esecutivo. In quanto espressione della posizione di indipendenza e di autonomia del Consiglio, il regolamento ha un «contenuto minimo garantito» dallo stesso principio che fonda la potestà regolamentare e oltre questo nucleo duro lo statuto è libero di stabilire eventuali ulteriori riserve di regolamento, quando ritenga opportuno lasciare margini di elasticità in determinati settori129.

Tale posizione si fonda in primo luogo sul fondamento costituzionale implicito del regolamento consiliare, per cui la sua adozione è una «necessità inderogabile», una «necessaria manifestazione della posizione di indipendenza» e un atto di autonomia «di competenza esclusiva»

126 G. LA BARBERA, Diritto pubblico regionale, cit., 250.

127 M. PICCHI, I regolamenti interni dei Consigli regionali, cit., 275. 128 A. CONTENTI, I Regolamenti interni, cit., 46.

dell’organo che lo emana (corsivi miei)130. In secondo luogo su una diversa interpretazione dell’armonia con la Costituzione che, sebbene non sia più da leggersi come riproduzione a livello regionale di istituti e soluzioni organizzative statali, impone il rispetto di principi di sistema («spirito»), tra cui l’autonomia organizzativa delle assemblee politico-rappresentative riconducibile all’art. 64 Cost., che ogni statuto deve riconoscere131. Infine sui principi fondamentali di organizzazione e funzionamento di cui all’art. 123, che avrebbe previsto una doppia riserva di competenza ai sensi della quale lo statuto è limitato a una normativa di principio su organizzazione e modalità di funzionamento degli organi regionali, mentre la disciplina di dettaglio spetta al regolamento132.

Peraltro già in passato si riteneva che lo statuto, competente a disciplinare l’«organizzazione interna» della Regione, non potesse sovrapporsi al regolamento con una disciplina compiuta, ma dovesse fermarsi ai profili apicali, riservando al regolamento la disciplina di dettaglio dei lavori assembleari e dell’organizzazione interna133. Il riferimento ai principi fondamentali farebbe sì che, oggi ancor più di ieri, il riparto tra statuto e regolamento consiliare sia analogo a quello intercorrente tra legge cornice e legge regionale nelle materie di competenza ripartita: all’uno i principi, all’altro le regole.

130 G. LA BARBERA, Diritto pubblico regionale, cit., 251-252, che qualifica altresì il regolamento come «legge fondamentale della vita e dell’attività dell’organo».

131 G. SIRIANNI, I regolamenti delle assemblee regionali, cit., 250, richiama il limite dell’armonia con la Costituzione come rispetto del modello di autonomia parlamentare insito nell’art. 64 della Costituzione.

132 E. GIANFRANCESCO, Potenzialità e limiti del regolamento consiliare, cit., 8. 133 Così già S. BARTHOLINI, I rapporti fra i supremi organi regionali, cit. 56, che parlava di «una garanzia indiretta … nel senso che questi regolamenti non possono essere prevenuti e vincolati da tali e tante disposizioni, da doversi atteggiare normalmente come atti di normazione esecutiva, e solo in singoli casi, o in limitati settori, come atti normativi autonomi». Riprende il concetto di garanzia indiretta della fonte regolamentare, G. SIRIANNI, I regolamenti delle assemblee regionali, cit., 250, secondo il quale i principi fondamentali statutari possono essere graduati verso il basso, quando sia richiesto uno svolgimento puntuale, necessario, univoco, che non lascerebbe al regolamento alcuna possibilità di scelta tra applicazioni diverse. La possibilità per lo statuto di scendere nel dettaglio è poi accresciuta laddove nel determinare la forma di governo (materia non limitata ai soli principi) includa disposizioni sul rapporto tra il Consiglio e gli altri organi regionali.

Tale orientamento sconta però la difficoltà di individuare un criterio univoco di separazione tra statuto e regolamento, non riuscendo a determinare con precisione cosa debba intendersi per «normativa particolareggiata» dello statuto e quali siano i confini e le modalità di individuazione del «contenuto minimo garantito» del regolamento (se sulla base di canoni storico-positivi, degli oggetti tradizionalmente compresi nei regolamenti o di altri criteri). Né appare del tutto chiaro se, in ordine al nucleo duro dell’ambito materiale riservato a quest’ultimo, lo statuto debba limitarsi alla fissazione dei principi fondamentali e il regolamento sia quindi fonte concorrente di dettaglio, come dovrebbe intendersi dal divieto di porre una «normativa particolareggiata» (allora lo statuto, a contrario, potrà solo porre una normativa di principio); ovvero se lo statuto sia spogliato completamente di tale competenza e il regolamento sia dotato di competenza esclusiva, come sembrerebbe laddove dall’intero sistema delle prescrizioni costituzionali relative alle Regioni come enti politicamente autonomi si ricava una riserva costituzionale implicita a favore del regolamento, per cui la legge regionale o «altra fonte» non possono sostituirsi alla normativa regolamentare134, il che però mal si concilierebbe con il dettato di cui all’art. 123 Cost., per cui lo statuto non può esimersi dal porre almeno i principi valevoli per la disciplina regolamentare.

Vi è allora chi punta sul criterio di ragionevolezza più che sulla riserva di competenza. Lo statuto, conformemente alla sua natura di fonte fondativa dell’assetto dell’ente, non può ragionevolmente spingersi in minute e dettagliate prescrizioni di cui è altra la sede, ma deve fermarsi alle sole indicazioni di base, rimanendo affidato al proprio prudente apprezzamento la definizione del confine rispetto agli atti, ad esso subordinati, chiamati a svolgerne e precisarne le indicazioni135.

134 M. PICCHI, I regolamenti interni dei Consigli regionali, cit., 290.

135 A. RUGGERI, Fonti, norme, criteri ordinatori, Torino, Giappichelli, 2001, 192, parla di «possibile estensione delle riserve di regolamento prevedibili negli statuti. E, se … riserve siffatte non sembrano da escludere in partenza, esse nondimeno vanno adeguatamente circoscritte al duplice fine di non incidere oltre misura sulla competenza

Si deve rilevare come l’affermazione della riserva di regolamento consiliare nei confronti dello statuto trovava in passato la propria ratio nella tendenziale incidenza dello Stato sull’ordinamento regionale derivante dall’originario impianto costituzionale. Infatti, secondo quanto previsto dal vecchio art. 123, co. 2, Cost. (e dall’art. 6 l. n. 62/1953 in sede di attuazione), lo statuto ordinario era deliberato dal Consiglio a maggioranza assoluta, poi trasmesso al Governo, infine approvato dal Parlamento con legge ordinaria, per cui nello stesso iter vi era la compartecipazione di tre organi. Nella prassi poi il Parlamento subordinò il proprio placet all’adozione da parte dei Consigli degli emendamenti suggeriti al tavolo delle trattative intercorse tra questi ultimi e la I commissione Senato136. Se il contenuto dello statuto risultava codeterminato, frutto dell’incontro tra la volontà regionale e quella statale, il regolamento collegiale rappresentava il solo vero atto di autonomia del (all’epoca) più importante organo regionale, dunque la tesi della riserva di regolamento era funzionale a ritagliare un autentico spazio di autonomia al Consiglio.

Vero è che la riforma costituzionale del 1999 ha eliminato ogni passaggio parlamentare nell’iter formativo dello statuto, ora approvato e modificato con legge regionale adottata a maggioranza assoluta con doppia deliberazione137. Se lo statuto è fonte regionale, l’importanza di affermare una riserva di regolamento sembrerebbe sfumare, allorché il Consiglio regionale è libero di determinare, pur nei limiti e negli ambiti previsti dalla Costituzione, cosa debba essere disciplinato direttamente dallo statuto e cosa sia necessario, ragionevole o opportuno rinviare al regolamento consiliare o ad altre fonti. Tuttavia, la scelta non è priva di conseguenze.

delle leggi (che … rimangono le fonti primarie della normazione, a livello statale così come a quello regionale) e di non sovraccaricare le capacità di regolazione degli statuti. Poiché la materia tipicamente affidata alla disciplina di questi ultimi è data dall’organizzazione, riserve di regolamento limitate a tale ambito materiale sembrano, dunque, consentite, mentre è assai dubbio che se ne possa avere riscontro al di fuori di esso».

136 Sul vecchio procedimento di formazione degli statuti e sulla prassi delle trattative informali, v. supra par. 2.6.

Il regolamento risulta più flessibile e meglio si adatta a rispondere prontamente, almeno più di quanto non sarebbe consentito laddove fosse utilizzata la forma dello statuto, alle esigenze interne prodotte dalla dinamica della rappresentanza politica. Dal momento che lo statuto presenta una rigidità superiore rispetto alle altre fonti regionali, una disciplina particolarmente dettagliata ed estesa potrebbe portare a una «cristallizzazione»138 di determinati modelli organizzativi, dal grado di resistenza maggiore all’avvicendamento delle maggioranze politiche e al mutamento dei rapporti sociali, e obbligherebbe il Consiglio a intervenire con il più gravoso procedimento di revisione statutaria.

Anche se nella maggior parte delle Regioni ordinarie lo statuto e il regolamento sono approvati con la medesima maggioranza, ossia quella assoluta139, la procedura per la formazione del primo risulta più aggravata, essendo prevista ex Constitutione una doppia votazione sullo stesso testo a maggioranza assoluta, tempi di riflessione (intervallo non minore di due mesi tra le due deliberazioni), il controllo preventivo del Governo (che può sollevare questione di legittimità costituzionale), l’eventuale referendum approvativo (la cui richiesta non è limitata dal raggiungimento in sede consiliare di maggioranze qualificate). Lo statuto è quindi sottratto alla piena disponibilità del Consiglio, mentre il regolamento collegiale non è sottoponibile al giudizio del corpo elettorale con referendum140 e non è soggetto ad alcun controllo del Governo, così come non è considerato dalla Corte costituzionale atto sottoponibile al sindacato di legittimità (sent. n.

138 Dunque l’opzione tra uno statuto lungo e uno breve è «politicamente … significativa» (F. SORRENTINO, Lo statuto regionale nel sistema delle fonti, cit., 447).

139 Ad es. art. 35, co. 4, ST. Piemonte; art. 18 ST. Liguria; art. 33, co. 3, ST. Lombardia; art. 48, co. 1, ST. Veneto; art. 27, co. 4, ST. Emilia-R.; art. 19, co. 1, ST. Marche; art. 48, co. 1, ST. Umbria; art. 26, co. 1, ST. Calabria; art. 37, co. 1, ST. Puglia.

140 P. CARETTI, G. TARLI BARBIERI, Diritto regionale, Torino, Giappichelli, 2012, 240, dato che tale atto non è una legge né, al di là del nomen, un comune regolamento regionale. Tuttavia, forse anche alla luce dell’incerta collocazione del regolamento nel sistema delle fonti, alcuni statuti hanno espressamente escluso che il referendum (abrogativo) abbia ad oggetto il regolamento consiliare (art. 80, co. 2, ST. Piemonte; art. 26, co. 4, lett. e), ST. Veneto; art. 43, co. 1, ST. Marche; art. 11, co. 2, lett. b), ST. Calabria; art. 18, co. 2, ST. Puglia; art. 44 ST. Molise) o, più in generale, degli organi regionali (art. 75, co. 3, ST. Toscana; art. 20, co. 2, lett. b), ST. Emilia-R.).

288/1987) o che assurge a norma interposta nel giudizio di costituzionalità della legge regionale (sent. n. 40/1960).

Anche in base ai profili appena indicati, il Consiglio stabilirà il grado di irrigidimento nella forma statutaria di ambiti tradizionalmente rinviati al proprio potere di autoorganizzazione, a individuare il punto di equilibrio tra lo statuto e il regolamento, a graduare la propria autonomia statutaria e regolamentare, aprendo così a potenziali diversità da Regione a Regione. La relazione tra le fonti si configurerà di volta in volta in termini peculiari, basti pensare al caso dello statuto della Regione Campania (art. 38), ai sensi del quale il regolamento collegiale è approvato con la maggioranza dei due terzi e, almeno sotto questo profilo della fase consiliare, più rigido rispetto allo statuto, il che peraltro può far dubitare della legittimità del quorum previsto; infatti per il noto principio «logico, oltre che giuridico» che vieta a una fonte di istituire un’altra fonte ad essa concorrente o sovraordinata,