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La Corte costituzionale alla prova degli interna corporis: il diniego della parametricità delle norme regolamentar

Il dibattito sui regolamenti parlamentari trovò nuova linfa con l’entrata in funzione nel 1956 della Corte costituzionale, la quale ai sensi dell’art. 134, co. 1, Cost., giudica anche «sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni».

In particolare, ci si chiese se l’illegittimità della legge statale potesse essere dichiarata non solo per contrasto del suo contenuto con la Costituzione (vizio sostanziale), ma anche per mancato rispetto dell’iter legis (vizio formale) e, in quest’ultimo senso, risultava allora fondamentale stabilire se, sulla base del rinvio di cui all’art. 72 Cost., i regolamenti parlamentari potessero concorrere a integrare il parametro ai fini del sindacato di costituzionalità.

Peraltro, proprio in quegli anni Lavagna coniò il celebre sintagma di «norme interposte» (includendovi però inizialmente solo le leggi di delegazione, i principi fondamentali della legislazione statale, le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute e quelle contenute nei Patti lateranensi)22 e in una delle prime monografie sul procedimento legislativo nel periodo repubblicano Galeotti evidenziò come il richiamo ai regolamenti parlamentari di cui all’art. 72 Cost. fosse assai «preciso, specifico, puntuale»23.

E’ evidente come tale questione fosse in grado di scardinare le storiche posizioni tramandate sino ad allora, in quanto ammettere il controllo dell’organo di giustizia costituzionale sulla procedura seguita per l’approvazione della legge statale avrebbe comportato l’entrata a piè pari della Corte costituzionale all’interno del Parlamento. Peraltro, la strada era

22 Oltre a quelle citate, «non mi pare esistano, nel nostro sistema, altre ipotesi di norme interposte». Così C. LAVAGNA, Problemi di giustizia costituzionale sotto il profilo della manifesta infondatezza, Milano, Giuffrè, 1957, 30 (anche in Riv. it. sc. giur., 1955, 203 ss., e in Ricerche sul sistema normativo, Milano, Giuffrè, 1984, 529 ss.). Cfr. id., Istituzioni di diritto pubblico, Torino, Utet, 1985, 965, in cui l’Autore sembra aprire alla parametricità dei regolamenti parlamentari. Per una compiuta ricostruzione della teoria, si veda M. SICLARI, Le «norme interposte» nel giudizio di costituzionalità, Padova, Cedam, 1992.

23 S. GALEOTTI, Contributo alla teoria del procedimento legislativo, Milano, Giuffrè, 1957, 169.

ancora interamente da tracciare, dal momento che negli anni intercorsi dall’entrata in vigore della Costituzione la questione non fu mai affrontata in sede di giustizia ordinaria, nell’ambito della quale avrebbe potuto esercitarsi un sindacato sulla legittimità del procedimento di formazione della legge ai sensi del co. 2 della VII disposizione transitoria.

In una delle sue sentenze più risalenti, la n. 3 del 195724, il Giudice costituzionale, chiamato per la prima volta a pronunciarsi sul contrasto tra decreto legislativo e legge di delegazione, sembrò concepire il proprio ruolo in modo alquanto estensivo. Infatti, oltre alla competenza a censurare eventuali eccessi di delega, dichiarò incidentalmente e più in generale che il proprio sindacato, lungi dal limitarsi alle sole norme di carattere sostanziale contenute nella Costituzione, fosse esteso alla «violazione delle norme strumentali per il processo formativo della legge nelle sue varie specie». Sebbene la pronuncia non contenesse alcun riferimento esplicito ai regolamenti parlamentari, l’allargamento dei confini del sindacato alla violazione delle norme sul procedimento di formazione della legge poteva essere letta come un’apertura implicita al controllo sull’osservanza delle norme procedurali contenute nei regolamenti.

La Corte costituzionale era pur sempre un’istituzione «nuova … in un ordinamento a sua volta appena ex novo instaurato»25, dunque non sorprende che la sua giurisprudenza fosse inizialmente caratterizzata da qualche ondeggiamento.

In questo senso, la sentenza «capostipite» in tema di regolamenti parlamentari, la n. 9 del 195926, pur non contrastando con il precedente obiter dictum, corresse il tiro rispetto a quanto lasciato intravedere due anni

24 In Giur. cost., 1957, 11 ss. In ordine al sindacato giurisdizionale sui decreti legislativi, la Corte stabilì che esso sussistesse anche nell’ipotesi di mancanza totale o parziale della delegazione e in quello di inosservanza dei limiti di cui all’art. 76 Cost., in riferimento all’oggetto, al termine e ai criteri direttivi. Sul dibattito dell’epoca, cfr. C. ESPOSITO, Controllo giurisdizionale della costituzionalità delle leggi, in id., La Costituzione italiana: saggi, Padova, Cedam, 1954, 263 ss.

25 V. GUELI, La competenza della Corte costituzionale a controllare la legittimità costituzionale del procedimento di formazione delle leggi, in Rass. parl., 1959, 4, 131.

prima. In breve, il collegio ribadì la propria competenza a giudicare sui vizi formali, limitando però il proprio sindacato al contrasto tra legge e norme con le quali la Costituzione direttamente regola il procedimento legislativo, non anche tra legge e norme regolamentari, un pò in controtendenza rispetto a quella che sarà la progressiva implementazione del cd. «blocco di costituzionalità» operata negli anni successivi.

Il giudizio in via incidentale affondò le radici in tre procedimenti vertenti tra l’Ente cellulosa e alcune cartiere, nel corso dei quali le Sezioni unite civili della Corte di Cassazione e il Tribunale di Bergamo sollevarono tra il 1957 e il 1958 diverse questioni di legittimità costituzionale in riferimento alla legge n. 168 del 1956 (in materia di provvidenze per la stampa, meglio nota come «legge Agrimi») e all’art. 1, ult. co., della legge n. 868 del 1940 (disciplina dell’Ente nazionale per la cellulosa e per la carta)27. Tra le varie censure, una delle ordinanze di rinvio lamentò come il testo della legge fosse stato approvato dalla Camera dei deputati con procedimento per commissione in sede deliberante, in presunta violazione dell’art. 40 del regolamento della Camera allora vigente, che imponeva la procedura ordinaria per i «progetti in materia tributaria», sebbene tale ipotesi non rientrasse tra quelle enumerate all’art. 72, co. 4, della Costituzione28.

Detto che nella competenza di giudicare sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi rientra «senza dubbio», «anzi in primo luogo», il controllo dell’osservanza delle norme della Costituzione sul procedimento legislativo, la Corte dichiarò non fondata la tesi prospettata dal giudice a quo.

27 La Corte costituzionale si pronunciò con un’unica sentenza, dal momento che i tre giudizi promossi dalle ordinanze delle Sezioni unite civili della Corte di Cassazione e del Tribunale di Bergamo furono congiuntamente discussi e riuniti.

28 Deve essere adottata la procedura ordinaria per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale, di delegazione legislativa, di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi (art. 72, co. 4). Peraltro, in caso di procedimento per commissione deliberante, il disegno di legge è comunque «rimesso» all’assemblea su richiesta di un decimo dei suoi componenti, di un quinto della commissione o del Governo (co. 3).

Dopo aver escluso il valore materialmente costituzionale delle disposizioni regolamentari che individuano i casi e le forme in cui un disegno di legge può assegnarsi a commissioni in sede deliberante29, furono tracciati i confini tra la competenza nell’interpretazione di disposizioni costituzionali e quella di ciascuna Camera nel determinare il «senso» e la «portata» di quelle regolamentari.

Con una concezione dualistica del sindacato sui vizi formali, il collegio limitò il proprio controllo al solo rispetto delle norme costituzionali sul procedimento di formazione delle leggi, dato che «il giudizio se un disegno di legge rientra fra quelli per i quali l’ultimo comma dell’art. 72 Cost. esige la procedura normale di approvazione … involge una questione di interpretazione di una norma della Costituzione che è competenza della Corte costituzionale». Invece l’interpretazione, l’applicazione e l’osservanza delle norme regolamentari furono rimesse all’autotutela del singolo ramo del Parlamento, ossia al «decisivo … apprezzamento della Camera»30. Nel caso concreto, la decisione del presidente della Camera di assegnare la proposta di legge alle commissioni in sede legislativa non sollevò alcuna opposizione da parte dell’aula e successivamente fu addirittura respinta dalle commissioni riunite la questione pregiudiziale in ordine alla loro competenza a esaminare il testo in riferimento all’art. 40 del regolamento.

Da tali argomentazioni si ricavò una distinzione tra vizi formali più gravi, che determinano l’illegittimità della legge rilevabile dalla Corte costituzionale (violazione delle regole procedurali contenute nella Costituzione), e vizi formali meno gravi, che non comportano invece alcuna illegittimità (violazione delle regole procedurali fissate nel regolamento)31.

29 Il collegio giudicò infondata la tesi secondo cui l’art. 72, «deferendo al regolamento della Camera di stabilire in quali casi e forme un disegno può essere assegnato a Commissioni in sede legislativa, abbia posto una norma in bianco con la conseguenza che le disposizioni inserite a tale riguardo da una Camera nel suo regolamento assumano il valore di norme costituzionali» (sent. 9/1959, cons. in dir., § 2). M. SICLARI, Le «norme interposte», cit., 75, evidenzia l’uso «controvertibile che la Corte costituzionale ha fatto della dizione, presa a prestito dalle scienze penalistiche, di norma in bianco».

30 Corte cost., sent. 9/1959, cons. in dir., § 2.

In altri termini, fu dichiarata la competenza a giudicare solo la legittimità costituzionale delle leggi, non anche quella regolamentare, negando quindi che le norme dei regolamenti parlamentari potessero fungere da parametro interposto nel giudizio di costituzionalità delle leggi statali.

La sentenza suscitò perplessità in dottrina, specie per il suo carattere double face32. Per un verso essa fu definita storica per il contrasto con il principio «antico, piuttosto imprecisato, ma augusto e suggestivo» degli interna corporis33, escludendo che all’indipendenza delle Camere corrispondesse l’assoluta insindacabilità dell’iter legis; dall’altro fu considerata insoddisfacente e intrinsecamente contraddittoria laddove la Corte superò l’ostacolo appena ricordato solo per verificare se fossero violate disposizioni costituzionali34, facendo emergere la natura interna dei regolamenti parlamentari e la loro irrilevanza per l’ordinamento generale.

32 A partire dalla celebre nota di P. BARILE, Il crollo di un antico feticcio (gli «interna corporis») in una storica (ma insoddisfacente) sentenza della Corte costituzionale, in Giur. cost., 1959, 240 ss. Anche i più forti oppositori alla teoria delle norme interposte e del sindacato sui vizi formali rivolsero delle critiche alla sentenza de qua, come C. ESPOSITO, La Corte costituzionale in Parlamento, in Giur. cost., 1959, 622 ss., che sottolineò l’incertezza dimostrata dal Giudice costituzionale in questa pronuncia. In senso variamente critico, V. GUELI, La competenza della Corte costituzionale, cit., 131 ss.; F. PIERANDREI, Attività interne delle Camere del Parlamento e sindacato della Corte costituzionale, in Giur. it., 1959, 1015 ss.; G. AMATO, Questioni controverse intorno al controllo di costituzionalità sul procedimento di formazione della legge, in Giur. cost., 1961, 855 ss.; A. CERRI, Sindacabilità da parte della Corte costituzionale dei presupposti della legge e degli atti aventi forza di legge, in Riv. trim. dir. pubbl., 1965, 420 ss.; F. MODUGNO, In tema di regolamenti parlamentari e di controllo sugli interna corporis acta delle camere, in Riv. it. sc. giur., 1969, 197 (anche in Studi in onore di G. Ambrosini, Milano, Giuffrè, II, 1970, 1309 ss.); G. BERTOLINI, Appunti sull’origine, cit., 28 ss.; S. TRAVERSA, Considerazioni in tema di sindacato di costituzionalità del procedimento di formazione della legge e della sua documentazione, in Giur. cost., 1971, 1480 ss.; più recentemente, A.A. CERVATI, Il controllo di costituzionalità sui vizi del procedimento legislativo parlamentare in alcune recenti pronunce della Corte costituzionale, in Giur. cost., 1985, I, 1445 ss. (anche in Scritti in onore di V. Crisafulli, Padova, Cedam, 1985, 190 ss.).

33 Così M. BONESCHI, Problemi del procedimento legislativo e della sua sindacabilità giurisdizionale, in Riv. dir. proc., 1960, 588.

34 Secondo G. FLORIDIA, F. SORRENTINO, Regolamenti parlamentari, cit., 8, l’insindacabilità legittima la Camera a discostarsi dalle norme regolamentari e quindi vanifica l’art. 64, co. 1, Cost., consentendo di derogare al regolamento in un numero indefinito di casi, senza le forme e la maggioranza necessarie per modificarlo; più in generale, vanifica tutto il sistema degli artt. 64 e 72, che impongono l’esistenza del regolamento «proprio perché la camera operi secondo regole precise e stabilite a priori». In termini simili, F. MODUGNO, In tema di regolamenti parlamentari, cit., 197.

Non mancarono anche commenti in senso variamente adesivo35 e recentemente vi è chi ha sostenuto che si sia trattato di uno dei primi casi di ragionevole bilanciamento tra principi costituzionali, in cui l’autonomia di ciascun ramo del Parlamento ha prevalso sull’unità della giurisdizione in ordine ai vizi delle leggi36.

Probabilmente la decisione fu dettata anche da esigenze di ordine pratico, in particolare evitare l’aumento esponenziale delle questioni sollevate dinanzi alla Corte, con sovraccarico dei lavori e possibile accumulo di arretrato, dal momento che il riconoscimento della parametricità avrebbe comportato l’incostituzionalità della legge per violazione di qualsiasi norma regolamentare. Inoltre, ciò sarebbe stato percepito come una zavorra rispetto all’autonomia e alla flessibilità delle regole procedurali (principi già minati durante il ventennio fascista, di cui all’epoca della sentenza era ancora fresca la memoria) e una pesante ingerenza rispetto al compromesso raggiunto tra i partiti, spesso al termine di faticose trattative in un quadro politico allora fortemente frammentato37.

35 In particolare, F. MOHRHOFF, La competenza della Corte costituzionale a controllare la legittimità costituzionale del procedimento di formazione delle leggi, in Rass. parl., 1959, 122 ss.; P. VIRGA, Sindacato sugli «interna corporis» e poteri di indagine della Corte costituzionale, in Giur. cost., 1959, 994 ss.; F. COSENTINO, La competenza della Corte costituzionale a controllare la legittimità costituzionale del procedimento di formazione delle leggi, in Rass. Parl., 1959, 122 ss., che peraltro riteneva opinabile l’estensione del sindacato di legittimità costituzionale ai vizi formali, anche se limitato all’ottemperanza delle prescrizioni di natura regolamentare contenute nella Costituzione («non escluso dall’art. 134, ma nemmeno esplicitamente consentito»).

36 M. SICLARI, Le «norme interposte», cit., 80.

37 «Sia pure in modo implicito, l’organo della giustizia costituzionale sembra così tenere conto della naturale flessibilità dei regolamenti parlamentari, della loro derogabilità nemine contradicente, del monopolio interpretativo spettante ai Presidenti e alle apposite giunte …[e] si guarda bene dal sottrarre spazio alle libere determinazioni delle assemblee parlamentari, dovunque la Costituzione non venga in diretto rilievo» (L. PALADIN, Le fonti del diritto italiano, Bologna, Il Mulino, 1996, 370). V. anche A.A. CERVATI, Art. 70- 72, in G. BRANCA (cur.), Commentario della Costituzione (La formazione delle leggi), Bologna-Roma, Zanichelli-Soc. ed. foro. it., 1985, I, 116 ss., secondo cui riconoscere alle prescrizioni regolamentari valore di parametro per il giudizio di costituzionalità delle leggi significherebbe «alterare la distribuzione dei compiti rispettivamente assegnati ai due tipi di fonte dell’art. 72» e ridurrebbe l’autonomia delle Camere; parallelamente, emergerebbe il «ruolo del giudice di costituzionalità delle leggi quale interprete delle disposizioni regolamentari, con l’ulteriore effetto di irrigidire i rapporti tra governo, organi parlamentari e gruppi politici all’interno delle camere stesse» e «l’intero diritto parlamentare potrebbe diventare un diritto prevalentemente giurisprudenziale».

L’orientamento espresso nella sentenza de qua fu confermato nella giurisprudenza costituzionale successiva, con dichiarazioni di illegittimità di una legge che prorogava il termine di una delega legislativa, in quanto approvata direttamente in commissione in violazione della riserva di assemblea ex art. 72, co. 4, Cost. (sent. n. 32/1962), di una disposizione di legge per violazione dell’art. 72, co. 1, Cost. (sent. n. 292/1984), di una disposizione di legge contenente l’ordine di esecuzione di un trattato internazionale non sottoposto a ratifica, in quanto approvata direttamente in commissione in violazione dell’art. 72, co. 4, Cost. (sent. n. 295/1984).

In conclusione, la storica decisione del 1959 non fece crollare del tutto l’antico feticcio degli interna corporis, ma lo ridimensionò sulla base del potere della Corte costituzionale di sindacare solo eventuali violazioni di disposizioni costituzionali relative all’iter legislativo, mentre restavano estranee al giudizio l’interpretazione e l’osservanza di quanto disposto dai regolamenti parlamentari, rimesse alla singola assemblea. Così, da un lato, fu negata l’assoluta insindacabilità del procedimento legislativo, dall’altro, non si giunse a una piena giustiziabilità delle leggi statali anche sotto il profilo dell’osservanza delle norme regolamentari. In realtà, il crollo dell’insindacabilità degli interna corporis riguardò solo una «limitatissima zona»38.

1.3 La dottrina sulla forza di legge dei regolamenti parlamentari