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3.1 L’equipe artistica de La Scuola de’ Gelosi

3.1.6 La compagnia di canto

La compagnia di canto è formata da sette cantanti lirici selezionati tra gli allievi dell’Accademia del Maggio Musicale Fiorentino, l’accademia internazionale di Alta Formazione dell’Opera di Firenze, che prepara giovani tra i 18 e 35 anni.70

Gli allievi selezionati per La Scuola de’ Gelosi sono

− Eleonora Bellocci, nel ruolo di Ernestina: soprano, classe 1992, nazionalità italiana

− Francesca Longari, nel ruolo della Contessa Bandiera: soprano, classe 1996, nazionalità italiana

− Ana Victória Pitts, nel ruolo di Carlotta: mezzosoprano, classe 1991, nazionalità brasiliana

− Manuel Amati, nel ruolo del Tenente: tenore, classe 1996, nazionalità italiana − Patrick Kabongo, nel ruolo del Conte Bandiera, classe 1983 nazionalità congolese − Benjamin Cho, nel ruolo di Blasio: baritono, classe 1989, nazionalità sud-coreana − Qianming Dou, nel ruolo di Lumaca: baritono, classe 1991, nazionalità cinese L’Accademia dà la possibilità ai cantanti lirici di formarsi e perfezionarsi con il supporto di una borsa di studio annuale e si cura di guidarli nelle fasi iniziali del loro lavoro all’interno del teatro d’opera. Le selezioni per La Scuola de’ Gelosi hanno formato una compagnia di canto preparata e disponibile a portare a termine l’impegno preso. Gli allievi si concentrano su più progetti contemporaneamente, dunque l’Accademia essendo a conoscenza dei loro impegni procede alle selezioni anche in funzione di questo fattore.

Emerge un cast internazionale, il che è certamente un valore aggiunto dal punto di vista esperienziale. Chiaramente questo richiede un doppio lavoro in termini di resa

56 espressiva e di chiarezza della pronuncia, anche se è opportuno notare che molti dei cantanti lirici non italiani hanno già lavorato in Italia in svariate occasione e ricevuto importanti riconoscimenti. Essendo La Scuola de’ Gelosi un’opera buffa è fondamentale curare la resa espressiva, mostrare ogni peculiarità del personaggio interpretato e riprodurre le scene quotidiane con estrema naturalezza per poter pervenire alla morale finale. Questo passaggio è ovviamente più complicato nel momento in cui si è chiamati ad esprimersi in una lingua diversa dalla lingua madre, quindi diversi cantanti si sono dovuti applicare a livello lessicale e comunicativo.

Il primo passo per la compagnia di canto è documentarsi sull’opera e sull’autore, conoscere quindi anche l’epoca di riferimento per poterne comprendere le caratteristiche. La partitura ed il libretto vanno esaminati attentamente, così da afferrare la trama e l’intreccio dell’opera ed iniziare ad entrare in contatto con le peculiarità del personaggio da interpretare. Durante un primo confronto con il regista, avvenuto presso le sedi dell’Accademia del Maggio Musicale Fiorentino, la compagnia di canto comincia a capire come egli intenda sviluppare il lavoro, la sua interpretazione dei personaggi, l’ambientazione adottata per l’opera ed i fattori che egli ritiene opportuno valorizzare.

In tutto ciò non bisogna tralasciare la musica: essi sono infatti prima di tutto cantanti e la musica rimane comunque l’elemento centrale dell’opera. Il direttore d’orchestra inizia subito a provare con loro con il supporto di un pianoforte, manifestando le proprie esigenze e richiedendo tempi, colori e architetture musicali precise. La compagnia di canto nel momento in cui è preparata musicalmente, può affrontare le prove di regia, dunque se le prime avvengono al mattino le seconde seguiranno nel pomeriggio. Il lavoro di prova è predisposto in questo modo perché nell’opera lirica la regia va costruita sui tempi della musica, che devono essere preventivamente conosciuti dai cantanti.

Dopo aver ripercorso le tappe principali della preparazione della compagnia di canto, che si riprenderanno dettagliatamente in seguito, si propongono alcune interviste ai cantanti.

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Intervista a Eleonora Bellocci, nel ruolo di Ernestina

Qual è stato per te l'aspetto più interessante e quello invece più complesso nella messa in scena dell'opera?

L'aspetto più interessante e quello più complesso coincidono: vivacità e dinamicità della regia impostata da Italo Nunziata. Il carattere quasi meccanico e talvolta frenetico di azioni, movimenti e reazioni dei personaggi mi ha coinvolta ed entusiasmata. Se da una parte, soprattutto i primi giorni, era difficile ricordare ed eseguire ogni piccola cosa che il regista ci chiedeva, senza dimenticare che nel mentre dovevamo anche ricordare il testo, la musica, pensare all'emissione vocale ecc., dall'altra era stimolante perché il tutto diventava come una ginnastica per il corpo e per la mente fino ad una automatizzazione che ci ha permesso poi di mettere da parte la tecnica e finalmente divertirci.

È stato semplice calarsi nella parte di Ernestina? Ti è ancora successo di non riuscire a calarti nella parte?

Ammetto di non aver trovato particolari difficoltà a calarmi nella parte di Ernestina: essendo un carattere abbastanza chiaro, cioè con caratteristiche ben delineate ed evidenti e soprattutto forti quali, ad esempio, la rabbia, la stizza, la vanità ecc., è stato più semplice ritrovare quello che del mio carattere poteva accordarsi con lei. Con questo non dico di essere simile ad Ernestina, ma soltanto che tra la vasta tavolozza di sfumature caratteriali che ogni attore-cantante possiede, sono riuscita a trovare quelli che più si avvicinano ad Ernestina, ovviamente con l'aiuto di Italo. Il regista infatti è stato molto bravo a cercare di mettere a proprio agio ognuno di noi con il rispettivo personaggio, a trovare diversi modi di esprimersi senza però creare difficoltà con la parte musicale e di questo gli siamo molto grati.

Quale momento in genere ti emoziona di più dell'intera messa in scena?

Il momento che mi emoziona di più dell'intera messa in scena è il quintetto del secondo atto, momento in cui i personaggi vivono isolatamente la loro piccola realtà ma allo stesso tempo interagiscono tra loro, sia fisicamente che psicologicamente: Blasio geloso vuole andarsene, il Conte ed Ernestina giocano a carte e sono indispettiti ciascuno dal proprio consorte, la Contessa e il Tenente intonano canzoni fingendo indifferenza lei e tenendo sotto controllo la situazione lui. La fusione di queste diverse situazioni, sia sceniche che musicali, mi emoziona ogni volta che lo eseguo. A livello narrativo non avviene niente di

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particolare, la storia non procede, però è tutto molto dinamico e fluido, non si avverte una sospensione del tempo.

Intervista a Manuel Amati, nel ruolo del Tenente

Qual è stato per te l'aspetto più interessante e quello invece più complesso nella messa in scena dell'opera?

L’aspetto più interessante è stato il dover studiare ed approfondire il periodo storico e stilistico in cui si inquadra l’opera. Questo repertorio è vicino alla scuola napoletana, di cui fanno parte anche Paisiello e Cimarosa, quindi è interessante riscoprire lo stile e le caratteristiche di quest’epoca per capire come l’opera possa essere interpretata al meglio. Ad esempio il mio personaggio, il Tenente, ossia il deus ex machina, è un una specie di archetipo per l’opera di quest’epoca: solitamente il suo ruolo sta nella rottura degli equilibri amorosi si una coppia di innamorati, che viene costantemente stimolata dalle situazioni innescate da questo personaggio, che acuisce sentimenti come quello della gelosia, facendo così in modo che si arrivi al compimento del lieto fine. Questo quindi è stato l’aspetto per me più stimolante, ma anche quello più complesso, perché appunto ha richiesto una preparazione nel tempo. Personalmente lavoro su questo personaggio da cinque mesi, ma più che altro per un’esigenza personale, perché non voglio limitarmi al cantare bene, ma vorrei appunto entrare nell’ottica storica e stilistica. Solo così ci si avvicina ai modi di intendere e di volere dell’epoca, a cui noi non siamo abituati, anche perché il bello ed il brutto di quest’epoca è che l’azione e la reazione sono diverse rispetto a oggi. Oggi ad esempio guardando un film passiamo dall’Europa all’America in un secondo, quindi entrare in un’epoca in cui l’azione e la reazione sono ritardati, in cui la concezione del tempo è più statica e rallentata, necessita di una considerazione attenta. Questo è il motivo per cui non si è abituati ad andare oggi all’opera: il pubblico dell’epoca era abituato ad avere una certa concezione del tempo, oggi invece siamo più veloci e dinamici, quindi abbiamo una certa difficoltà ad accostarci all’opera. Vedendo un’opera barocca, ancora più lunga e con tempo rallentato, si fa ancora più fatica a comprenderne i tempi. È stato semplice calarsi nella parte del Tenente? Ti è ancora successo di non riuscire a calarti nella parte?

A me interpretare la parte del Tenente piace molto perché mi dà la possibilità di avvicinarmi ad una persona che ha la visione razionale del mondo. Lui è l’exemplum di come quest’opera alla fine derivi dall’epoca razionalistica settecentesca, vede la realtà con

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un occhio critico, quindi interpreta l’esistenza non in base al coinvolgimento emotivo, ma in base alla razionalità. Ho fatto degli studi, per capire quale funzione avesse questo ruolo a livello teatrale, di modo da dare la migliore interpretazione. Lui è una figura asessuata, non ha coinvolgimenti sentimentali e per questa ragione riesce a proporre un’analisi critica sul sentimento amoroso, coronando il tutto con la frase “chi vuol nella femmina trovar fedeltà la lasci padrona di sua libertà”. In questo caso quindi non mi è risultato particolarmente difficile interpretare il Tenente. Certamente nell’interpretazione di vari personaggi c’è sempre una predisposizione caratteriale ad alcuni piuttosto che altri, anche il coinvolgimento emotivo è importante in questi casi, ma diciamo che prediligo avere una visone razionale del personaggio da interpretare, inoltre attraverso lo studio si può conoscere lo stile, il contesto storico, il ruolo nella società di quel personaggio, e questo è fondamentale. Avere una conoscenza di quello che si va ad interpretare ti agevola nel lavoro, come anche può aiutare come quel ruolo è stato interpretato nel corso del tempo per capire cosa trarre e in cosa invece discostarsene. Questo personaggio lo sento vicino a me, forse per il fatto di avere un’ottica abbastanza razionale nella vita. Ho avuto magari qualche difficoltà in più nel caso di ruoli amorosi.

Quale momento in genere ti emoziona di più dell'intera messa in scena?

Il momento dell’azione, il fare, è il momento più emozionante. Interpretare un personaggio è calarsi nei panni di qualcun altro, quindi in un certo senso si deve diventare qualcun altro estraniandosi da se stessi, anche se io personalmente non ritengo sia giusto estraniarsi totalmente perché penso sia limitante. È bello diventare il Tenente secondo la mia visione, è importante il filtro dell’esperienza personale. Il momento dell’azione è il più bello perché sono in scena il Tenente e contemporaneamente Manuel, che interpreta il Tenente.