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La costumista Valeria Donata Bettella

3.1 L’equipe artistica de La Scuola de’ Gelosi

3.1.3 La costumista Valeria Donata Bettella

Valeria Donata Bettella65 è la responsabile dell’ideazione dei costumi di scena de La Scuola de’ Gelosi. In realtà la costumista, oltre alla realizzazione dei costumi, si occupa

anche della scelta degli accessori, come le calzature, i copricapo, i gioielli, le borsette, del trucco e della parrucca che i cantanti devono indossare, dal momento che anche queste sono parti integranti del costume di scena.66

Questo procedimento è possibile solo a seguito di un confronto con la figura del regista, che dà spiegazioni riguardo l’ambientazione dell’opera, sui personaggi con le loro

65 Consegue il diploma in Scenografia presso l’Accademia delle Belle Arti di Venezia, frequentando poi un corso

di sartoria teatrale all’Accademia di Arti e Mestieri dello Spettacolo del Teatro della Scala di Milano e diventa costumista per il teatro di prosa e lirico, collaborando con svariati registi in particolare in ambito italiano.

48 caratteristiche fisiche e morali, su come l’intreccio narrativo si snoda, in generale su come intende procedere e quali sono le sue aspettative. In questo caso il regista intende spostare l’ambientazione dell’opera dalla sua epoca originaria ai primi anni del Novecento, precisamente nel 1915-1916. Lo stile dei costumi è senz’altro uno dei mezzi migliori per definire l’epoca di riferimento, quindi l’ideazione degli stessi deriva da una profonda conoscenza dell’epoca e dello stile di riferimento. Particolare è anche la scelta delle stoffe utilizzate per i costumi, che sono ispirate ad alcuni lavori dell’artista anglo- nigeriano Yinka Shonibare. Queste infatti sono preferite a stoffe più convenzionali proprio per il loro potere straniante, che trasforma lo spettatore in un soggetto attivo, pronto a chiedersi come quelle stoffe vivaci e colorate si inseriscano all’interno del contesto novecentesco e in un’opera proveniente dal Settecento.

La fase creativa avviene attraverso la preparazione dei bozzetti, cosicché si possano mettere a punto le linee ed i tagli dei costumi. Successivamente è necessario considerare se il modello, ma soprattutto la stoffa che si intende utilizzare possa essere in armonia non solo con la fisicità dei cantanti, ma anche con le scene e con le luci, quindi analizzare l’effetto che i costumi producono visti nel loro insieme, a distanza e a contatto con gli altri elementi scenici. Lo stesso discorso vale anche per il trucco e per le parrucche che, nel momento in cui interagiscono con le luci, provocano un effetto del tutto diverso dalla loro resa fuori scena. È chiaro dunque che l’interazione tra regista, costumista, scenografo e disegnatore luci è fondamentale e costante.

Per la realizzazione ci si serve di tabelle contenenti le misure dei cantanti, che spesso però non sono aggiornate nel tempo o comunque non sono pienamente esaurienti. Le modifiche infatti sono necessarie, sia per adattare l’abito alla fisicità del cantante, sia per studiare dei modi per attuare cambi più veloci. Questi infatti hanno tempi davvero ridotti e spesso avvengono in scena, dunque è indispensabile che il cambio sia rapido ed anche piuttosto naturale nei movimenti.

Segue l’intervista alla costumista de La Scuola de’ Gelosi Valeria Donata Bettella.

In cosa consiste precisamente il tuo lavoro e quanto è importante l’interazione con il regista e con le altre figure professionali?

L’ideazione di una messa in scena, nel nostro caso di un’opera lirica, avviene attraverso la stretta collaborazione tra regista, scenografo e costumista. Tutte le scelte prese dipendono

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l’una dall’altra, infatti l’iterazione e il dialogo tra le parti è fondamentale per dare ad un progetto coerenza e completezza. Quello del costumista è un lavoro complesso, mentale, intuitivo e allo stesso tempo profondamente pratico. Ad una prima fase di ideazione in cui i personaggi prendono vita, vengono disegnati, si definiscono in base alla dinamica del racconto e alle scelte drammaturgiche, segue una seconda fase più concreta e allo stesso tempo delicata in cui il costume viene realizzato, quindi indossato dall’artista. La prima prova costume è un momento decisivo, in cui tutte le scelte fatte sino a quel momento possono ricevere conferma o essere disattese. Talvolta si stabilisce subito un’intesa con l’artista e l’intuizione avuta nel tratteggiare il suo personaggio è in perfetta sintonia con le sue stesse intenzioni interpretative, cercando di assecondare nel migliore dei modi, cosa importantissima, la sua fisicità. Può anche succedere che ciò non avvenga o che magari all’ultimo momento l’artista venga sostituito per qualche imprevisto, allora bisogna rimboccarsi le maniche e ricominciare tutto da capo, in tempi brevissimi.

Credo che i costumi siano tra gli elementi più interessanti ed originali dell’opera. Dal momento che i costumi uniscono due epoche differenti, cosa troviamo di settecentesco e cosa di novecentesco? Perché l’idea di utilizzare stoffe africane? Nel caso de La Scuola de’ Gelosi, in accordo con il regista, sono state fatte delle scelte stilistiche che andassero a mettere in risalto il carattere giocoso dell’opera. Abbiamo deciso di trasporre l’opera in età moderna, nei primi decenni del Novecento, scegliendo fogge e dettagli della moda che già possedessero una forte connotazione settecentesca. E da qui il gioco di fondere le due epoche è venuto da sé. Tant’è che non è possibile dire quale elemento appartenga più specificatamente ad un’epoca o all’altra, ma solo che la ricordi o suggerisca. Per quanto riguarda invece la scelta di utilizzare le stoffe africane, l’idea è stata suggerita da alcune opere dell’artista anglo-nigeriano Yinka Shonibare. Ovviamente il riferimento e la nostra ispirazione a questo artista sono stati di ordine puramente estetico e visivo.

Qual è per te il momento più emozionante dell’intera messa in scena?

Da costumista, il momento più emozionante, e anche il più difficile e “temuto” è sicuramente la prima prova in costume. Nell’opera lirica la prima prova in costume coincide con l’antepiano, una filé con il solo accompagnamento del pianoforte, i cantanti accennano e le luci non sono ancora definite alla perfezione, insomma non è la condizione ottimale per vedere al meglio il proprio lavoro per la prima volta. Ma allo stesso tempo ti

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aiuta a guardare le cose in maniera più oggettiva e a definire bene ciò che funziona e cosa deve essere assolutamente modificato. È un momento di forte tensione ma allo stesso tempo liberatorio, forse ancor più del debutto.