3.1 L’equipe artistica de La Scuola de’ Gelosi
3.1.4 Lo scenografo Andrea Belli
Talvolta accade che la figura del costumista e dello scenografo si identifichino nella stessa persona, dal momento che il loro lavoro è strettamente correlato. Per La Scuola
de’ Gelosi le due figure professionali si mantengono separate, anche se è necessario che il
loro contatto sia costante, così come con il regista ed il light designer.
Lo scenografo Andrea Belli67 si è occupato della progettazione e ha seguito la
realizzazione delle scene. Il confronto con il regista è come sempre il punto di partenza, infatti egli manifesta anche allo scenografo le proprie idee riguardo la messa in scena dell’opera: richiede un’ambientazione che risponda all’epoca novecentesca e la costruzione di spazi architettonici fruibili e praticabili dai personaggi dell’opera. Ci sono infatti porte che si aprono per permettere l’entrata o l’uscita di scena dei cantanti e componenti d’arredo, come le poltrone, il tavolo e il letto, che appaiono bidimensionali ad un primo sguardo, ma in realtà rivelano la loro tridimensionalità nel momento in cui vengono utilizzati. Per assecondare le esigenze della messa in scena si è pensato a scene mobili, quindi il cambio scena è operato dai figuranti, rimanendo così visibile allo spettatore, motivo per il quale va studiato un sistema architettonico e tecnico che ne renda possibile il funzionamento. Chiaramente è necessario relazionarsi in seguito anche con la costumista ed il light designer, soprattutto per le linee ed i colori delle scene, di modo che i personaggi vi siano ben inseriti ed il quadro d’insieme sia omogeneo.
Le scene de La Scuola de’ Gelosi devono essere pensate per spazi differenti dal momento che lo spettacolo andrà in tournée in sei diversi teatri. Chiaramente lo scenografo deve considerare le misure e gli spazi dei teatri in fase progettuale e predisporre un apparato scenico che possa adattarsi a tutti i casi. Per fare questo è necessario lo studio delle planimetrie dei teatri, per avere conoscenza delle dimensioni dei palcoscenici e delle
67 Dopo essersi diplomato presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia collabora come assistente in produzioni
liriche per teatri italiani ed esteri. Contemporaneamente lavora per uno studio di animazione, in cui realizza le scene di una serie, e partecipa alla progettazione del parco divertimenti di Roma. Debutta come scenografo nel teatro lirico e segue progetti soprattutto in teatri italiani.
51 quinte e per capire come configurare il sistema di spostamento delle scene. Analizzati gli spazi a disposizione, la progettazione delle scene viene completata con la scelta delle linee, dei colori e dei materiali: lo stile rispecchia il novecentesco liberty, con linee curve, motivi ornamentali ondulati e con richiamo vegetale, i colori sono molto tenui e neutri, a provocare un piacevole contrasto con i vivaci costumi dei personaggi. Compito dello scenografo è anche la scelta dell’arredamento e di tutto il materiale di attrezzeria, che deve essere in armonia con le scene e con gli effetti creati dalle luci.
Verranno quindi predisposti dei modellini tridimensionali, detti maquettes, che hanno la funzione di riprodurre in scala le scene progettate, di modo che si possa capire come viene suddiviso e gestito lo spazio. Si producono inoltre delle immagini integrate di scene con all’interno i personaggi vestiti con i costumi di scena e la riproduzione degli effetti luminosi, le quali hanno il pregio di mostrare la messa in scena nel suo insieme. Andrea Belli spiega le proprie scelte per La Scuola de’ Gelosi ed in generale l’evoluzione del lavoro dello scenografo nella seguente intervista.
In che cosa consiste il tuo lavoro e con quali altre figure professionali ti confronti prima e durante la preparazione dei bozzetti?
Prima di tutto trovo sia giusto spiegare in cosa consista il mio lavoro, per chiarire quello che tu chiami preparazione dei bozzetti. Il lavoro dello scenografo ha avuto una consistente evoluzione nel secolo scorso anche se non ha cambiato nome, almeno in Italia. Per sintetizzare brevemente si può dire che da una impostazione pittorica ottocentesca si è passati ad una prettamente architettonica. Quindi quando uno scenografo si trova a progettare uno spettacolo, ha il compito di creare contenitori per la narrazione, non più o non solo di creare immagini oleografiche che ne rappresentino la cornice o lo sfondo. A maggior ragione quelli che ancora oggi chiamiamo bozzetti sono in realtà storyboard dove si rappresenta attraverso scene costumi e luci quella che saranno le immagini dello spettacolo alla committenza.
Come è nata l'idea di costruire delle scenografie mobili? Per quale motivo la scelta è ricaduta su colori neutri e motivi e linee così raffinate?
Questo tipo di impianto nasce dalle esigenza registica di uno story-telling non realistico ma metateatrale. Dal mio punto di vista questo si risolve rappresentando gli ambienti necessari allo svolgimento narrativo con una modalità metonimica, mentre l’utilizzo della
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cinesi scenica denuncia chiaramente la teatralità, ne amplifica la ludicità risaltando il gioco della rappresentazione. I motivi le linee e poi i colori servono a legare gli ambienti agli interpreti, creare quindi coi costumi un quadro di insieme leggibile e organico, con un carattere illustrativo e bidimensionale.
Quali sono stati gli aspetti più problematici che ti sei trovato ad affrontare e quali invece quelli più interessanti che hai potuto sviluppare?
L’aspetto più complesso di una produzione come questa è senz’altro il fatto di riuscire a coniugare una cinesi scenica così articolata con la circuitazione dello spettacolo in teatri diversi con palcoscenici con caratteristiche differenti. L’aspetto più interessante è stata l’esplorazione dell’ illusione dimensionale, ossia la ricerca ossessiva di un immagine apparentemente bidimensionale creata attraverso volumi tridimensionali.