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Compatibilità della norma con la disciplina comunitaria

CAPITOLO 2. L’ESTEROVESTIZIONE SOCIETARIA: CONCETTO E DISCIPLINA NORMANTIVA

2.2 Compatibilità della norma con la disciplina comunitaria

L’ordinamento comunitario include tra le libertà fondamentali quella di libero stabilimento delle imprese. Questa permette di situare la propria sede in uno degli Stati membri, senza vincoli o regole limitative che sfavoriscano lo spostamento della sede societaria. La norma analizzata nel paragrafo precedente sembrerebbe in contrasto con tale principio, poiché prevede “un onere” nei confronti delle imprese che spostano la propria residenza anche nei Paesi europei. Il fatto di trasferire sul contribuente la responsabilità della prova contraria, può rivelarsi particolarmente gravoso, principalmente per alcuni tipi di società come ad esempio le holding. Questo tipo di società svolge un’attività d’impresa incentrata sui beni di secondo grado ovvero sulla gestione di partecipazioni. Proprio per questo la localizzazione della loro sede è sensibile a due variabili sostanziali: la prima è rappresentata dal trattamento tributario delle passive income (si tratta di redditi non generati da un’attività “operativa”, ad esempio i redditi come quelli di capitale, dividendi, royalties, canoni di locazione), la seconda è riconducibile al più conveniente network convenzionale con numerosi Stati, volto a regolamentare i flussi transnazionali di reddito.46

Definire la struttura della residenza fiscale di una holding, tenendo in considerazione il meccanismo presuntivo non risulta agevole, poiché l’oggetto sociale (eccetto nei casi di holding miste) consiste nella gestione di partecipazioni che per loro natura sono caratterizzate dall’immaterialità e quindi in contrapposizione con il legame concreto con il luogo. Le holding hanno una connessione con il territorio poco evidente dato che non hanno la necessità di particolari strutture per esercitare la loro attività. All’interno di questo panorama, il quadro normativo in oggetto pone degli ostacoli difficili da oltrepassare per il contribuente. In merito a ciò, la Corte di Giustizia sostiene che i Paesi membri possono introdurre delle norme, anche presuntive, che implicano una restrizione

46 P. Valente, “Esterovestizione profili probatori e metodologie di difesa nelle verifiche “, Ipsoa, Milano, 2015, pag. 19

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della libertà di stabilimento, a patto che queste misure siano da un lato indirizzate a ostacolare strutture artificiose (volte ad abusare di tale diritto) eludendo l’applicazione della legislazione nazionale e dall’altro rispettino il principio di proporzionalità47, ovvero il cosiddetto principio dell’utilità marginale secondo cui tutto quello che non risponde al criterio di utilità marginale, risulta eccessivo rispetto a ciò che è necessario per conseguire l’obiettivo prefissato e, di conseguenza, è censurabile in ambito europeo.

L’orientamento dell’Agenzia delle Entrate, concordemente con la Corte di Giustizia, evidenzia la predilezione verso il principio secondo cui gli Stati membri sono liberi di indicare il criterio di collegamento di una società con il territorio dello Stato. L’Amministrazione finanziaria stessa ha successivamente dichiarato che la possibilità di fornire la prova contraria permette di valutare in modo più specifico. Lo si potrà fare caso per caso nel rispetto del principio di proporzionalità, indispensabile per poter applicare alle varie fattispecie le disposizioni antielusive in maniera meno rigida e meccanica.

L’articolo 73 comma 5-bis, D.P.R. n. 917/1986, contenente la normativa che definisce il meccanismo presuntivo in tema di esterovestizione, è stato oggetto di discussione e polemiche tra gli esperti del settore per due motivi già accennati.In primis quello della possibile inosservanza del Trattato della comunità europea e nello specifico dei principi di libero stabilimento, proporzionalità e non discriminazione. In secondo luogo quello riconducibile alle concrete problematicità del contribuente, su cui grava l’inversione dell’onere della prova, poiché in base alla norma dovrà fornire la prova contraria che risulta indispensabile per superare la presunzione legale e relativa prevista dall’art.73, comma 5-bis, del TUIR. Per dare seguito alla presunta illegittimità, nel 2009 è stata presentata dall’AIDC (Associazione Italiana Dottori Commercialisti) di Milano una procedura di infrazione alla Commissione europea, poiché l’introduzione della

47 Il principio di proporzionalità regola l'esercizio delle competenze esercitate dall'Unione europea. Esso mira a inquadrare le azioni delle istituzioni dell'UE entro certi limiti. In virtù di tale regola, l'azione dell'UE deve limitarsi a quanto è necessario per raggiungere gli obiettivi fissati dai trattati. In altre parole, il contenuto e la forma dell'azione devono essere in rapporto con la finalità perseguita.

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presunzione di residenza, salvo prova contraria sarebbe in contrasto in particolare con gli articoli4948 e 5449 del TFUE50.

Tali articoli concedono la possibilità, garantita ai cittadini comunitari, di stabilirsi in uno Stato membro diverso dal proprio per esercitarvi un’attività non salariata.La libertà di stabilimento prevede quindi: l’accesso alle attività non salariate e al loro esercizio sia per le persone fisiche che per quelle giuridiche (liberi professionisti, imprenditori, società) e l’applicazione delle stesse condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini (art. 43 del Trattato CE).

Si è soliti operare una differenza tra l’ipotesi di stabilimento a titolo principale e a titolo secondario. Nel primo caso, un soggetto intende svolgere un’attività economicamente rilevante in uno Stato diverso da quello di origine, rinunciando ad essere stabilito in quest’ultimo. Nel secondo caso, invece, siamo in presenza di un soggetto che intende conservare lo stabilimento nello Stato di origine, contemporaneamente a quello nel nuovo Stato. La differenza è rilevante per quanto riguarda le persone giuridiche: infatti, il diritto di stabilimento di una società da uno Stato all’altro prevede il trasferimento della sede sociale51 effettiva o reale.

48 Articolo 49 (ex articolo 43 del TCE): le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro. La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell’articolo 54, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali.

49 Articolo 54 (ex articolo 48 del TCE): Le società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale all’interno dell’Unione, sono equiparate, ai fini dell’applicazione delle disposizioni del presente capo, alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri. Per società si intendono le società di diritto civile o di diritto commerciale, ivi comprese le società cooperative, e le altre persone giuridiche contemplate dal diritto pubblico o privato, ad eccezione delle società che non si prefiggono scopi di lucro.

50 Il Trattato sull’Unione europea (TUE) e il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) hanno identico valore giuridico. Con il TUE, che si compone di 55 articoli, gli Stati contraenti istituiscono l’Unione europea, alla quale attribuiscono competenze per conseguire i loro obiettivi comuni; il TFUE organizza, in 358 articoli, il funzionamento dell’Unione e determina i settori, la delimitazione e le modalità d’esercizio delle sue competenze.

51 A seguito della modifica dell’art. 166 del TUIR ad opera del “decreto liberalizzazioni” del 24 gennaio 2012, il comma 2-quater dispone che i soggetti che trasferiscono la residenza, ai fini delle imposte sui redditi, in Stati appartenenti all’Unione Europea ovvero in Stati aderenti all’Accordo sulla Spazio economico europeo inclusi nella c.d. white list, con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo sulla reciproca assistenza in materia di riscossione dei crediti tributari, in alternativa a quanto stabilito dal comma 1, possono richiedere, in conformità ai principi sanciti dalla sentenza del 29 novembre 2011, causa C-371/10 National Grid Indus BV (che riguarda una società olandese alla quale l’Amministrazione fiscale belga aveva

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Ciò non sempre è possibile per le diversità legislative che possono esservi tra diversi Stati membri. Per superare l’ostacolo si è riconosciuto alle società il diritto di stabilirsi a titolo secondario in uno Stato membro, diverso da quello di appartenenza, attraverso la creazione di succursali, agenzie o filiali (in questo senso anche l’articolo 43 del Trattato CE).

Detto ciò, la formale denuncia, presentata dall’AIDC presso gli organi europei di controllo si basava su specifiche motivazioni, ritenendo che la disposizione in oggetto, ostacolerebbe la scelta del management più idoneo a gestire la società, sfavorendo i prestatori d’opera residenti in Italia. Inoltre non permetterebbe il controllo anticipato dell’idoneità della prova contraria, comportando così una violazione del principio della certezza del diritto, oltre ad una discrezionalità dell’Amministrazione finanziaria sproporzionata. E in più il contribuente dovrà procurarsi mezzi di prova supplementari e diversi rispetto al solo certificato rilasciato dall’Autorità estera, comprovante l’effettiva residenza fiscale all’estero e l’assoggettabilità all’imposta sui redditi del Paese.

Dall’AIDC sono state riassunte e circoscritte a tre casi principali le difficoltà nel dimostrare la prova contraria: la prima quando non si rileva il fatto che l’ente o la società residente sia in un territorio a tassazione ordinaria o in un paradiso fiscale, la seconda quando non si riesce a dimostrare preventivamente la prova della reale residenza, poiché l’Amministrazione Finanziaria ha proibito, in questi casi, l’utilizzo dell’interpello anti elusivo e dell’interpello ordinario52, e infine la

richiesto di pagare le imposte sulle plusvalenze latenti al momento del trasferimento della propria sede amministrativa nel Regno Unito), la sospensione degli effetti del realizzo ivi previsto. Il comma 1 così dispone: il trasferimento all’estero della residenza dei soggetti che esercitano imprese commerciali, che

comporti la perdita della residenza ai fini delle imposte sui redditi, costituisce realizzo, al valore normale, dei componenti dell’azienda o del complesso aziendale, salvo che gli stessi non siano confluiti in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato. La stessa disposizione si applica se successivamente i componenti confluiti nella stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato ne vengano distolti. Si considerano in ogni caso realizzate, al valore normale, le plusvalenze relative alle stabili organizzazioni all’estero. In merito alla causa in oggetto, la Corte di Giustizia conclude che l’imposizione all’uscita, seppur

da riconoscere allo Stato membro di origine, non può da questi essere immediatamente applicata e riscossa, ma va differita, sospendendone gli effetti sino all’effettivo realizzo della materia imponibile 52 Elemento estrapolato della risoluzione n. 312/E del 5 novembre, con cui l’agenzia delle Entrate fornisce chiarimenti a un interpello (Art 11 della legge n.212 del 2000) presentato da una holding avente come attività la gestione di partecipazioni e che è considerata fiscalmente residente sia in Olanda, dove ha la propria sede legale e amministrativa, sia, fino a prova contraria, in Italia, in base all’articolo 73, comma 5 bis, del Tuir.

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discrezionalità degli elementi, di volta in volta, valorizzati al fine di superare la presunzione fiscale come si evince dalla disamina di alcune risposte in materie affini (deduzione dei costi Black List e Controlled Foreign Company).

Per l’AIDC di fatto, l’unico modo, per le società o gli enti di dimostrare la loro residenza nel rispetto dei principi comunitari è rappresentato dalla compilazione del certificato di residenza fiscale53, rilasciato dalle Autorità dello Stato

comunitario della sede legale. Tuttavia, si tratta di una prova valida, ma non sufficiente a rigettare la presunzione in questione.

Se una società venisse considerata esterovestita e pertanto residente in Italia, ai sensi dell’art. 73 comma 5-bis, ter e quater, verrà messa in funzione l’assistenza amministrativa con i Paesi membri dell’Unione Europea. In tale fase verranno richieste informazioni inerenti al controllo e alla composizione della compagine societaria della società soggetta ad accertamento ed, eventualmente, di società partecipata o controllante al fine di determinare possibili partecipazioni indirette detenute da soggetti italiani; e inoltre anche in relazione agli amministratori verranno richieste informazioni, con riferimento alla composizione del consiglio e della residenza dei singoli consiglieri (oltre alle informazioni utili a provare che l’amministrazione effettiva avviene all’estero e che l’entità gode di autonomia organizzativa)

La denuncia presentata dall’AIDC ha innescato i meccanismi europei di controllo. Difatti gli organi di Bruxelles hanno richiesto una serie di chiarimenti all’Agenzia delle entrate per capire quale sia la reale applicazione della normativa sull’esterovestizione. In seguito a tale confronto la Commissione ha ritenuto che le disposizioni nazionali in tema di residenza fiscale si confanno alle norme comunitarie. Le spiegazioni delle motivazioni sono le seguenti:

- Le norme riconducibili ai commi 5-bis, ter, e quater dell’art 73 del TUIR non sono indipendenti l’una dall’altra e rappresentano il primo passo verso un

53 L. Cacciapaglia, Guide e soluzioni TUIR, Ipsoa, Milano, 2014, “L’Agenzia delle Entrate in risposta ai quesiti, relativi alla presunzione di cui all’art. 73 comma 5-bis, che gli sono stati posti dalla Commissione europea ha preso a riferimento anche il certificato di residenza fiscale o altra certificazione (attestante l’assoggettabilità ad imposta nello Stato membro in cui è stabilita la società) chiarendo che rappresentano una prova valida e rilevante, ma non sufficiente al fine di confutare la presunzione in questione”.

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controllo più esteso da attuare confrontandosi con l’Amministrazione finanziaria, sulla forza del collegamento tra Paese e società e tra la società e l’Italia;

- La presunzione legale relativa non è generalizzata, si basa su una valutazione

case by case analysis.

- L’Agenzia delle Entrate ha in parte rettificato, rispetto a quanto disposto nella circolare n. 28/E, che le presunzioni in esame non rappresentano elementi definitivi che esentano l’amministrazione finanziaria da tutte le altre verifiche. Infatti le presunzioni rappresentano il punto dal quale partire per effettuare accertamenti più approfonditi volti a provare l’eventuale esterovestizione del soggetto considerato, premettendo quindi che non vi è nessun automatismo che parte dall’Agenzia delle Entrate. Inoltre la presunzione contenuta nell’articolo 73, commi 5-bis, ter e quater del TUIR non limita in alcun modo il contenuto della prova contraria a carico del contribuente, né ne rende l’esercizio particolarmente difficoltoso, poiché le prove da proporre per superare tale presunzione sono rappresentate dalla documentazione normalmente detenuta dall’impresa per fini diversi da quelli esclusivamente tributari come ad esempio i verbali dei cda. In questo modo viene data la possibilità al contribuente di attrezzarsi, caso per caso, degli elementi necessari per imporsi sulla presunzione. In più l’Agenzia delle Entrate si occuperà di attivare preventivamente l’assistenza amministrativa o la procedura amichevole prevista dalle singole convenzioni contro le doppie imposizioni, per accertare l’effettiva localizzazione all’estero del luogo in cui vengono prese le principali decisioni di tipo gestionale e commerciale per la conduzione dell’attività d’impresa.

Pertanto l’Amministrazione Finanziaria dovrà, per mezzo di un complesso contraddittorio, adottare la presunzione di residenza tenendo conto di tutti gli elementi fattuali del caso in oggetto, senza inibire la possibilità del contribuente di fornire la prova contraria. Questa rappresenta la giusta via che si deve perseguire affinché si eviti che il contribuente faccia ricorso alla Corte di Giustizia Europea per denunciare presunte inosservanze al Trattato comunitario. Inoltre, per favorire la sinergia tra i vari livelli ordinamentali, potrebbe essere utile che il legislatore

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intervenga per rivedere la disciplina impositiva delle operazioni transfrontaliere54 (elemento indicato all’interno della Legge del 11/03/2014 n. 23, art. 12), con l’obiettivo di adattarla alle raccomandazioni che provengono dagli organi internazionali ed europei. Un’ altro elemento rilevante, da tenere in considerazione se si vuole dare vita a un piano di revisione del sistema fiscale, è quello relativo all’incertezza della normativa interna, in particolar modo dal punto di vista procedurale che verrà analizzato in seguito.

Per chiarire il quadro di riferimento risulta indispensabile dire che le norme comunitarie non prevedono specifiche disposizioni in conflitto diretto e immediato con le norme interne in tema di residenza societaria, ma rinviano la risoluzione di possibili contrasti alla speciale procedura amichevole prevista dall’articolo 25 del Modello OCSE contro le doppie imposizioni sui redditi.

Il paragrafo 155 dell’art. 25 del modello OCSE prevede una procedura speciale

(aggiuntiva rispetto ai rimedi ordinari) rivolta ai contribuenti, che ha l’obiettivo di

54 Legge del 11/03/2014 n. 23, art. 12 (Razionalizzazione della determinazione del reddito di impresa e della produzione netta)

1. Il Governo è delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di cui all'articolo 1, norme per ridurre le incertezze nella determinazione del reddito e della produzione netta e per favorire l'internazionalizzazione dei soggetti economici operanti in Italia, in applicazione delle raccomandazioni degli organismi internazionali e dell'Unione europea, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi: a) introduzione di criteri chiari e coerenti con la disciplina di redazione del bilancio, in particolare per determinare il momento del realizzo delle perdite su crediti, ed estensione del regime fiscale previsto per le procedure concorsuali anche ai nuovi istituti introdotti dalla riforma del diritto fallimentare e dalla normativa sul sovraindebitamento, nonché alle procedure similari previste negli ordinamenti di altri Stati; b) revisione della disciplina impositiva riguardante le operazioni transfrontaliere, con particolare riferimento all'individuazione della residenza fiscale, al regime di imputazione per trasparenza delle società controllate estere e di quelle collegate, al regime di rimpatrio dei dividendi provenienti dagli Stati con regime fiscale privilegiato, al regime di deducibilità dei costi di transazione commerciale dei soggetti insediati in tali Stati, al regime di applicazione delle ritenute transfrontaliere, al regime dei lavoratori all'estero e dei lavoratori transfrontalieri, al regime di tassazione delle stabili organizzazioni all'estero e di quelle di soggetti non residenti insediate in Italia, nonché al regime di rilevanza delle perdite di società del gruppo residenti all'estero;(…)

c) revisione dei regimi di deducibilità degli ammortamenti, delle spese generali, degli interessi passivi e di particolari categorie di costi, salvaguardando e specificando il concetto di inerenza e limitando le differenziazioni tra settori economici;

d) revisione, razionalizzazione e coordinamento della disciplina delle società di comodo e del regime dei beni assegnati ai soci o ai loro familiari, nonché delle norme che regolano il trattamento dei cespiti in occasione dei trasferimenti di proprietà, con l'obiettivo, da un lato, di evitare vantaggi fiscali dall'uso di schermi societari per utilizzo personale di beni aziendali o di società di comodo e, dall'altro, di dare continuità all'attività produttiva in caso di trasferimento della proprietà, anche tra familiari;

e) armonizzazione del regime di tassazione degli incrementi di valore emergenti in sede di trasferimento d'azienda a titolo oneroso,

55 Il paragrafo 1 dell’articolo 25 del modello di convenzione OCSE prevede che quando una persona ritiene che le misure adottate da uno o da entrambi gli Stati contraenti comportano o comporteranno per

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dirimere la controversia in modo amichevole attraverso un accordo tra le autorità competenti degli Stati contraenti. La procedura amichevole supera i limiti del diritto interno e può essere instaurata solo in casi che ricadono nell’ambito del paragrafo 1 dell’art. 25 del modello OCSE, ovvero qualora il prelievo sia stato imposto (o manco poco per farlo) violando le disposizioni della Convenzione. Nel momento in cui “un prelievo sia stato imposto nel mancato rispetto della

Convenzione e del diritto interno, allora sarà possibile introdurre la procedura amichevole solo nella misura in cui riguardi la Convenzione, a meno che non esista un legame tra le regole convenzionali e le regole di diritto interno applicate in modo non conforme”56. L’art. 25 prevede uno strumento che permette alle autorità competenti di consultarsi tra loro per poter risolvere non solo i problemi di doppia imposizione giuridica ma anche di doppia imposizione economica, e specialmente quelli risultanti dall’inclusione degli utili di impresa associate ai sensi del paragrafo 1 dell’art. 957 della convenzione. È inoltre possibile applicare

la procedura in assenza di qualsiasi doppia imposizione contraria alla Convenzione, quando l’imposizione stessa non è conforme ad una disposizione del Trattato. È il caso in cui uno Stato assoggetti ad imposizione una particolare categoria di reddito in relazione al quale la convenzione attribuisca all’altro Paese una potestà impositiva esclusiva, anche se questo non sia in grado di esercitarla per via di una lacuna nella rispettiva normativa interna. I reclami presentati ai sensi del paragrafo 1 dell’art. 25 del Modello OCSE sono ammissibili se inoltrati alle

essa un’imposizione non conforme alle disposizione previste dalla convenzione internazionale essa può, indipendentemente dai ricorsi previsti dalla legislazione nazionale di detti Stati, sottoporre il caso all’autorità competente dello Stato contraente di cui è residente oppure, in particolari ipotesi, a quello