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La presunzione relativa di cui all’art 73, comma 5

CAPITOLO 2. L’ESTEROVESTIZIONE SOCIETARIA: CONCETTO E DISCIPLINA NORMANTIVA

2.1 La presunzione relativa di cui all’art 73, comma 5

L’esterovestizione rappresenta “la fittizia localizzazione della residenza fiscale di

una persona fisica o di una società all’estero, in particolare, in un Paese con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale, allo scopo di sottrarsi agli adempimenti previsti dall’ordinamento tributario del paese di reale appartenenza”.34

È palese, quindi, che l’artificio messo in atto dal contribuente di stabilire la propria residenza o di localizzare una determinata struttura societaria in un paese a fiscalità privilegiata, invece che in Italia, risulta essere maggiormente conveniente. Ciò gli consente di sfuggire dall’applicazione del criterio della worldwide taxation e, quindi, di essere assoggettato ad una pressione fiscale meno gravosa, o addirittura nulla.

Come abbiamo già specificato, il concetto di residenza è fortemente legato a quello di esterovestizione. I criteri di collegamento con lo Stato volti a determinare la residenza, utilizzati sia dal diritto interno che in ambito internazionale, sono evidentemente pensati per un ente che svolge un’effettiva attività d’impresa. Sorge un problema quando abbiamo a che fare con società di mera intestazione di patrimoni poiché viene a mancare del tutto l’attività imprenditoriale. Pertanto considerare alternativamente l’oggetto sociale e la sede dell’amministrazione come luoghi in cui vengono assunte le decisioni strategiche dell’ente, non ha molto senso se riferiti a soggetti che non svolgono nessuna attività reale e si limitano solamente a detenere passivamente partecipazioni, marchi o capitali finanziari.

34 Cassazione civile Sentenza, Sez., Trib. 07/10/2012 n.2869

Non può considerarsi esterovestita, e quindi fiscalmente residente in Italia, una società di diritto lussemburghese partecipata al 99,9% da una società stabilita nel territorio nazionale, giacché la sua sede legale e amministrativa è all’estero. L’insediamento in un altro Stato membro non comporta una pratica abusiva qualora la società sia ivi radicata, ossia svolga nel Paese straniero un’effettiva attività economica per una durata di tempo indeterminata. Si considera esterovestita soltanto la società che localizza all’estero la propria residenza fiscale allo scopo di sottrarsi al più gravoso regime nazionale. Ai fini della configurazione dell’abuso del diritto di stabilimento, è altresì necessario accertare se il trasferimento vi sia effettivamente stato o meno, ossia se l’operazione sia meramente artificiosa, consistendo nella creazione di una forma giuridica di puro artificio. Va esclusa la configurabilità, in Italia, della residenza fiscale della società lussemburghese, in quanto l’essere stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce di per sé una pratica elusiva se l’insediamento è giustificato da valide ragioni economiche.

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In risposta a questo è utile richiamare il comma 5-bis dell’art 73 che è stato introdotto ad opera dell’articolo 35, comma 13 e 14 del decreto legge 4 luglio 2006, quest’ultimo convertito nella legge 4 agosto 2006 n. 248. Il comma in questione stabilisce che: “salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello

Stato la sede dell'amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell'articolo 235935, primo comma, del codice civile, nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1, se, in alternativa:

a) sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, del codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato;

b) sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

Rispetto all’art. 73, comma 3, D.P.R. n. 917/1986 che disciplina i criteri sostanziali di collegamento (sede legale, sede dell’amministrazione e oggetto principale) delle società formalmente costituite all’estero alla residenza fiscale Italiana, il comma 5-bis dello stesso art. 73 rappresenta una norma di carattere procedurale che ha introdotto una “presunzione relativa”, la quale si traduce in un inversione dell’onere della prova a carico delle società o enti esteri – che detengono direttamente partecipazioni di controllo in società italiane – gestiti o controllati, anche indirettamente, da parte di soggetti residenti in Italia.

Il collegamento tra le due norme diventa più evidente nel momento in cui si prende a riferimento il concetto di sede dell’amministrazione (la presunzione contenuta nel comma 5-bis, nel caso particolare in cui si manifesti l’alternativa in cui il soggetto estero è amministrato da un organo collegiale composto in gran parte da

35 Società controllate e società collegate. Sono considerate società controllate:

1) le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria; 2) le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria;

3) le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa. Ai fini dell'applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta; non si computano i voti spettanti per conto di terzi. Sono considerate collegate le società sulle quali un'altra società esercita un'influenza notevole. L'influenza si presume quando nell'assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in borsa.

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soggetti residenti in Italia, costituirebbe una presunzione relativa di secondo livello, a pieno sostegno di una presunzione assoluta di primo livello contenuta nel comma 3).36

In concreto la presunzione, sostenuta dall’amministrazione finanziaria, ha come obiettivo quello di trarre agevolmente il fatto ignoto (la presenza della sede dell’amministrazione in Italia) dalla conoscenza di un fatto noto (l’esistenza della partecipazione di controllo posseduta da un soggetto italiano o la maggioranza di componenti del consiglio di amministrazione residenti in Italia) e l’intento finale perseguito è sempre quello di contrastare “fenomeni patologici” riconducibili alla residenza fiscale. Relativamente a questo aspetto risulta rilevante precisare che con il decreto in questione era correlata una relazione secondo la quale, il comma 5-

bis congiuntamente al comma 5-ter, avente la stessa origine, è indirizzato a

contrastare il fenomeno delle società esterovestite. Facendo un analisi si evince che il presupposto “estero” è puramente apparente, poiché resterebbe localizzato nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione o, comunque, il centro decisionale della società, consentendo di far emergere materia imponibile all’interno dei confini nazionali.

Infatti la disposizione introduce nell’ordinamento tributario una presunzione legale che riporta in Italia la residenza di società ed enti esteri nel caso in cui ricorrano contemporaneamente due elementi di collegamento “rilevanti e continuativi” con il territorio italiano e che possono essere definiti controllo attivo (controllo a valle) e controllo passivo (controllo a monte).

Il presupposto necessario, ma non sufficiente, affinché la fattispecie di esterovestizione sia verificata, è prima di tutto la presenza di un controllo attivo di tipo partecipativo, attuato dalla ente o dalla società non residente, su una o più società di capitali o ente non commerciale residente in Italia. Siffatto controllo attivo deve possedere le proprietà dettate dall’art. 2359, comma 1, n.1) e n.2) del codice civile. Questa norma indica come il controllo attivo su una società di capitali o ente commerciale residente in Italia possa essere esercitato alternativamente: attraverso la maggioranza assoluta dei voti esercitabili

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nell’assemblea ordinaria (controllo di legge), attraverso un numero di voti necessario ad assicurare un’influenza dominante nella medesima assemblea (controllo di fatto) e infine attraverso particolari vincoli contrattuali che comportano un’influenza dominante.

Analizzato il primo presupposto e constatata la sussistenza di un controllo attivo, si deve appurare la compresenza del controllo passivo, cosicché la società o l’ente non residente, alternativamente sia a sua volta controllato, anche indirettamente, da società o enti residenti nel territorio dello Stato, sempre ai sensi dell’art. 2359, comma 1 del codice civile, e sia amministrato da un consiglio di amministrazione, o da altro organo gestorio, composto per la maggior parte da consiglieri residenti in Italia.

Nella norma in questione, il legislatore, con riferimento ai “soggetti residenti” nel territorio dello Stato, estende la platea dei soggetti controllanti a tutti i possibili attori, siano essi titolari di reddito di lavoro autonomo o di impresa, sia persone fisiche. Proprio in riferimento a queste ultime, il comma 5-ter cita testualmente:

“Ai fini della verifica della sussistenza del controllo di cui al comma 5-bis, rileva la situazione esistente alla data di chiusura dell'esercizio o periodo di gestione del soggetto estero controllato. Ai medesimi fini, per le persone fisiche si tiene conto anche dei voti spettanti ai familiari di cui all'articolo 5, comma 5”.

L’articolo riconduce ai voti spettanti al coniuge, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo grado, la verifica della sussistenza del controllo di cui al precedente comma 5-bis.

Inoltre il comma 5-ter definisce l’ambito temporale al quale riferirsi per la rilevazione della sussistenza della presunzione di esterovestizione, fissando nella data di chiusura dell’esercizio (o dell’omologo periodo di gestione per il soggetto estero controllato) tale termine.

Riepilogando, i soggetti ai quali si riferisce la norma sono quelli che controllano direttamente società residenti e che sono controllati/amministrati, anche indirettamente, da soggetti residenti.

Questa norma in prima analisi, con riferimento all’aspetto temporale, sembra fornire un elemento di semplificazione e ciò non comporta solo conseguenze

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positive. Infatti è evidente che il controllo nel corso dell’anno possa cambiare dato che la compravendita delle partecipazioni non rende la soglia del 51% una costante. Per tale motivazione la dottrina ritiene il criterio temporale approssimativo e soggetto a possibili strumentalizzazioni sia da parte del contribuente che dell’amministrazione. Le situazioni di controllo a cui fa riferimento il comma 5-bis sono sostanzialmente due: il controllo esercitato dalla società estera sulla società italiana e viceversa. Ciò che non è evidente è se il criterio temporale debba essere ricondotto alla prima situazione, alla seconda o a entrambe. La norma richiama per intero il comma 5-bis e questo indurrebbe a pensare che la norma abbracci entrambe le situazioni, ma dall’altra, se dovessimo considerare un’interpretazione strettamente letterale, il fatto che lo stesso comma 5-ter citi “soggetto estero controllato”, spingerebbe per l’applicazione solo alla situazione di controllo da parte del residente sul soggetto estero. Nel caso in cui la circostanza temporale si dovesse riferire alla prima situazione (società estera che controlla la società italiana), verrebbe meno la ragione stessa della norma, poiché, nella maggior parte dei casi la cessione della partecipazione avverrà in corso d’anno e a fine esercizio tra i beni della società, non sarà presente alcuna partecipazione (sulla quale operare la presunzione). Così proprio nell’anno in cui avrebbe motivo di operare la norma, non troverebbe applicazione dal momento che non sussiste il presupposto.

È considerato invece più equilibrato dalla dottrina, l’orientamento che riconduce la valenza del criterio temporale alla seconda situazione (controllo del soggetto residente sulla holding estera), ciò non solo con riferimento al primo periodo della norma e all’interpretazione letterale a esso correlata, ma soprattutto con riferimento al secondo periodo del comma 5-ter, il quale, negando la possibilità che si rilevino le partecipazioni detenute dai familiari, conferma quanto suddetto. Un ulteriore elemento di analisi è stato introdotto dall’art. 82, comma 22, D.L. n. 112/2008, il quale ha modificato l’art. 73 del D.P.R. n. 917/1986 aggiungendo un nuovo comma, il 5-quater che prevede: “Salvo prova contraria, si considerano

residenti nel territorio dello Stato le società o enti il cui patrimonio sia investito in misura prevalente in quote o azioni di organismi di investimento collettivo del

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risparmio immobiliari, e siano controllati direttamente o indirettamente, per il tramite di società fiduciarie o per interposta persona, da soggetti residenti in Italia. Il controllo è individuato ai sensi dell'articolo 2359, commi primo e secondo, del codice civile, anche per partecipazioni possedute da soggetti diversi dalle società”.

Coerentemente, viene presunta la residenza in Italia delle società con sede legale all’estero controllate da soggetti residenti in Italia, direttamente o indirettamente, gestite tramite società fiduciarie o interposta persona, che però hanno un patrimonio in prevalenza investito in quote di fondi chiusi d’investimento immobiliare.

Per quanto attiene alla nozione di controllo, il nuovo comma 5-quater dell’articolo 73 del TUIR fa espresso richiamo della nozione di controllo prevista dal primo e secondo comma dell'articolo 2359 del codice civile anche per le partecipazioni possedute da soggetti diversi dalle società.

E’ da intendersi che le società e gli enti non residenti che sono considerati fiscalmente residenti in Italia, in forza della nuova presunzione, dovranno essere considerati tali per gli effetti dell’applicazione anche delle disposizioni delle lettere a) e b) del comma 18 dell’articolo 82 del decreto che individuano i fondi soggetti alla nuova imposta patrimoniale dell’1 per cento.37

In questo caso non risultano le forme di controllo congiunto, benché realizzate attraverso i familiari come previsto dall’art. 73, comma 5-ter, si applicano solo nel caso di presunzione di esterovestizione disciplinata dall’art. 73, comma 5-bis. Riepilogando, i soggetti destinatari della norma sono coloro che controllano direttamente società residenti e che sono controllati o amministrati, anche indirettamente, dai soggetti residenti.

In questo contesto potrebbe essere utile precisare che quando i soggetti esteri interessati non abbiano proceduto a porre in essere nello Stato comportamenti dichiarativi, si renderebbe applicabile l’ulteriore disposizione contenuta nell’art. 41, comma 1 e 2 del D.P.R. 29 settembre 1973, n.600, che consente agli uffici

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impositori di ricorrere a presunzioni senza che siano necessariamente gravi, precise e concordanti, per definire l’accertamento dei redditi.

È compito dell’amministrazione finanziaria dimostrare l’esistenza dei presupposti relativi all’esterovestizione del soggetto e di conseguenza la manifestazione dell’esistenza dei “due collegamenti”. Il primo quello attivo, in cui vi è un soggetto estero che ha un controllo diretto sul soggetto interno; è annoverato all’interno di questa ipotesi anche il caso indicato dalla circolare Assonime n. 67 del 200738(controllo diretto) in cui le partecipazioni siano detenute per il tramite di

società fiduciarie, che operano come mandatarie senza rappresentanza degli effettivi titolari degli assets di partecipazione.

Il secondo è il controllo passivo, che si può mettere in atto indirettamente, qui la presunzione opera anche nelle ipotesi in cui tra i soggetti residenti, controllati e controllanti, si frappongano più sub-holding estere.

Ad esempio, se prendiamo a riferimento una società A, con sede legale in Italia, che controlla la società B, con sede legale all’estero, che a sua volta controlla la società C, con sede legale all’estero, che a sua volta controlli la società D considerata fiscalmente residente in Italia, si può facilmente individuare come a

38 La circolare 67 del 31 ottobre 2007, ha espressamente precisato che tale “interpretazione muove dall’assunto che, una volta riqualificata in via presuntiva la residenza della sub-holding estera che direttamente controlla la società residente (…), lo stesso meccanismo presuntivo possa essere attivato anche nei confronti della holding estera inserita nell’anello immediatamente superiore della catena societaria, visto che questa si ritroverà, per effetto della presunzione, a controllare direttamente la sub- holding divenuta, in virtù della presunzione, residente in Italia. In pratica, il meccanismo presuntivo sarebbe reiterabile verso l’alto, risalendo la sequenza dei rapporti di controllo tra sub-holding estere”. La circolare Assonime commenta la disciplina presuntiva introdotta nel corpo dell’art. 73 del TUIR dal decreto-legge n. 223 del 2006, in base alla quale si considerano residenti in Italia le società oenti costituti all’estero laddove questi ultimi detengano partecipazioni di controllo in società di capitali o enti commerciali italiani e siano, a loro volta, controllati o amministrati prevalentemente da soggetti residenti nel territorio dello Stato. L’analisi, partendo da una panoramica dei criteri di collocazione della sede dell’amministrazione e dell’oggetto principale dell’attività delle persone giuridiche così come affermatisi in dottrina ed in giurisprudenza, mette in evidenza che la nuova disciplina incide non sulla validità di tali criteri, ma sul limitato piano dell’inversione dell’onere della prova, ponendolo a carico del contribuente. Di qui la compatibilità, in linea di principio, della presunzione con le disposizioni sostanziali in tema di residenza non solo dell’ordinamento interno, ma anche di quello comunitario ed internazionale.

Pur operando sul piano meramente probatorio, la presunzione – si osserva in Circolare – deve tuttavia essere applicata nel rispetto dei principi comunitari di proporzionalità e di libertà di stabilimento, consentendo al contribuente di fornire la prova contraria anche attraverso la sola dimostrazione dello svolgimento all’estero di una effettiva attività economica, ovvero facendo valere la scarsa significatività dei presupposti della presunzione in relazione alla specifica situazione operativa. In quest’ottica, la circolare si sofferma sulle principali fattispecie concrete che si possono presentare e sulle diverse modalità con le quali fornire la prova contraria.

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cascata partendo dalla presunzione che incombe sulla società C, dato che la stessa controlla una società italiana ed è indirettamente controllata dalla società A italiana, e di conseguenza quella che graverà su B, sub-holding con sede all’estero che controlla la società C “di fatto” residente in Italia ed è a sua volta controllata da una sub holding italiana, portandola ad essere considerata anch’essa soggetto fiscalmente residente.

Quindi sarà sufficiente dimostrare che il controllo sulla società posta all’ultimo anello della catena, sia riconducibile all’Italia per considerare le società intermedie residenti in Italia.

Le holding che detengono partecipazioni in società residenti e che non svolgono alcuna attività aziendale, di produzione e vendita all’estero, rappresentano l’obiettivo del comma 5-bis. Questi soggetti sono caratterizzati da una carente o addirittura assente struttura organizzativa, e proprio per questo motivo l’amministrazione finanziaria è spinta a presumere che la loro residenza sia in Italia, qualora ricorrano determinati presupposti, senza tener conto che il soggetto risulta dallo statuto, estero.

Tornando un po’ indietro facendo riferimento al criterio OCSE relativo all’identificazione della residenza di un soggetto in funzione del place of effective

management, si potrebbe rischiare di valutare in modo sbagliato quei casi in cui vi

sia la presenza della società holding, ma non sia ravvisabile l’organizzazione aziendale. Infatti si potrebbe ricondurre la stessa al socio, a tal punto da identificarla con il socio e con la sua residenza. La società però non è l’organizzazione aziendale ma “è il risultato di un contratto, un regime legale, un

criterio di appartenenza di beni che si incardina in un determinato ordinamento giuridico cui i soci si riferiscono”, il fatto che sia comune per il socio nominare gli

organi sociali, non sta a significare che sia esso stesso il management aziendale che nel caso in oggetto, si concretizza nella gestione delle partecipazioni e dei beni della società, nella convocazione delle assemblee dei soci e dei cda.39Da ciò si

39 S. Covino,” Residenza di società senza azienda tra residenza del socio e commentario OCSE”, dialoghi tributari 1/2013

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evince che risulta più semplice fornire la prova contraria alla presunzione di residenza nel Paese, qualora il soggetto estero sia una holding mista o di gestione40.

Con riferimento al primo caso, il soggetto oltre a partecipare al capitale di soggetti residenti, esercita una attività economica, finanziaria o industriale per mezzo della quale sarà rilevabile la sede amministrativa che potrà essere collocata all’estero, con la conseguenza che tale localizzazione indicherà all’estero anche l’assunzione di decisioni gestionali. Nel secondo caso, le società svolgono una attività di direzione e coordinamento delle partecipate. E’ l’oggetto stesso di questo tipo di holding che si pone nel luogo in cui viene svolto questo tipo di attività, indipendentemente dalla sede delle partecipate.

Da ciò si evince che l’elemento aleatorio è fortemente presente e proprio per questo la ratio della norma è quella di realizzare un’inversione dell’onere della prova della residenza fiscale, in tutte quelle ipotesi in cui il controllo di società residenti in Italia sia realizzato da soggetti residenti in territorio italiano mediante l’interposizione societaria di holding estere. Pertanto contrariamente alla regola generale, secondo cui spetta all’Amministrazione finanziaria dimostrare il fondamento della propria pretesa impositiva, l’onore della prova viene riversato sul soggetto estero, il quale dovrà dimostrare che, malgrado la presenza degli