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Competenza, di cosa parliamo Discipline e competenze

Nel documento RicercAzione Volume 9 - Numero 2 (pagine 88-96)

La competenza tra desideri e realtà

1. Competenza, di cosa parliamo Discipline e competenze

La questione delle competenze in ambito scolastico si pone per la prima volta, non solo in Italia, a seguito delle indicazioni provenienti dalla Commissione Europea intese a rendere nuovamente prospero e competitivo il nostro continente nella società della globalizzazione e a far fronte alle sfi de, come allora venivano chiamate, della società della conoscenza e dell’associata economia della conoscenza.

Il Libro Bianco di Jacques Delors (1993) e quello successivo di Edith Cresson (19951), cui va aggiunta la Strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione (2000, aggiornata nel 2010 con prospettiva 2020), individuarono in quegli anni la strategia continentale di lungo periodo per lo sviluppo economico. In questi elaborati di vision e di programmazione, lo sviluppo economico veniva messo in stretta relazione con gli investimenti in istruzione e formazione e i sistemi d’istruzione erano sol-lecitati ad assumere la prospettiva di un più stretto collegamento con la vita quotidiana2. Come suggerimento operativo, nel 2006 vennero identifi cate otto competenze chiave per l’apprendimento3, di cui è attesa una re-visione per la fi ne del 2017. Le competenze chiave (key competences) vennero da allora concepite come l’insieme di conoscenze, abilità ed atteggiamenti ed il signifi cato loro attributo fu quello di rappresentare un fra-mework comunitario comune cui ancorare i percorsi d’istruzione dei Paesi membri e di

off rire obiettivi operativi per un più effi cace collegamento dei sistemi d’istruzione con la realtà circostante4.

A seguito dell’assegnazione alla scuola della prospettiva delle competenze, alcuni studiosi hanno fornito una lettura in chiave pedagogica, sia per favorire la comprensio-ne del costrutto stesso, sia per arricchire la defi nizione (minimale) che ne veniva data nella documentazione europea5. Fra le varie interpretazioni che emergono, si evidenziano quelle di chi concettualizza la competenza nei termini di un superamento della “conoscenza”

organizzata attorno alle discipline. Analisi pe-dagogiche, di cui si dà conto di seguito (Ca-stoldi, 2016; Comoglio, 2011; Pellery, 2010) mettono in evidenza come la competenza non possa prescindere da solidi apprendimenti disciplinari. Esemplifi cativa della posizione di competenza come superamento della didat-tica disciplinare è quella espressa da Batini (2013), che dopo aver postulato il passaggio dal tradizionale “bagaglio culturale” alle “com-petenze”, opera una “riduzione” del costrutto di disciplina, ritenuto un bagaglio ingombrante di “sapere” che la persona si “trascina dietro”

nella sua marcia verso il futuro, a favore di un

“bagaglio leggero” fatto di comportamenti funzionali a fronteggiare svariate situazioni di vita, tra cui quelle lavorative, per cui, dunque, sarebbero suffi cienti poche “conoscenze” e

“competenze” per far fronte alle richieste della vita. Da tale visione, tuttavia, pare emergere un malinteso senso della “conoscenza”, quello, cioè, di un’entità inutilmente ingombrante,

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poiché si imparerebbe per poi dimenticare:

secoli di evoluzione di civiltà dovrebbero essere suffi cienti a dimostrare come la cono-scenza non sia apprendimento meccanico ma al contrario apprendimento signifi cativo;

non semplice immagazzinamento di nozioni astratte e in isolamento, ma, soprattutto, comprensione, apprendimento di forme di pensiero articolate, di modalità e attitudini di pensiero e di ragionamento. L’apprendimento meccanico si confi gura, pertanto, nell’im-pianto della scolarizzazione di massa, come una scorretta metodologia di insegnamento/

apprendimento, che tuttavia ha largamente caratterizzato e caratterizza la pratica didattica in assenza della necessaria consapevolezza da parte del docente delle strutture logiche in-site nella disciplina, del quadro epistemologico complessivo della disciplina, della necessità di intervenire sul discente in un’ottica interdisci-plinare utile a costruire un sapere signifi cativo e delle conseguenti metodologie di approccio.

Liquidare semplicisticamente i contenuti e le logiche disciplinari come inutili e vetusti baga-gli, poco utili all’educazione e alla formazione del cittadino di oggi e di domani, confondendo il metodo con il merito, appare aff rettato.

A sostegno di una visione della conoscen-za signifi cativa, e non meccanica, purché effi -cacemente agita, costruita attraverso i saperi disciplinari appare, al contrario la rifl essione di Castoldi, il quale aff erma che «apprendere non signifi ca solo riprodurre un insieme di saperi, in modo più fedele possibile all’origi-nale [...] bensì saperli rielaborarle in funzione di una situazione problematica da aff rontare.

Lo scarto tra “diligenza” e “competenza” si riconosce in questo passaggio, da un sapere inerte, erudito e morto, a un sapere autentico, competente, vivo» (Castoldi, 2016, p. 30). Il concetto viene chiaramente ribadito dall’Au-tore che riaff erma il ruolo delle discipline:

«fornire strumenti culturali per comprendere e aff rontare la realtà naturale e sociale. Solo in questo modo è possibile assumere le competenze non solo come orpello che ab-bellisce una proposta formativa schiacciata sulle competenze, bensì come analizzatori

dell’intera proposta formativa, in rapporto alle quali precisare e strutturare il contributo che i vari linguaggi disciplinari possono fornire al suo sviluppo» (ibidem). Sarebbe quindi, in quest’ottica, evidente come sia il metodo (la diligenza dello studio meccanico) ad inibire lo sviluppo di competenza che è propria dell’ap-prendimento signifi cativo, e non i contenuti disciplinari in sé.

Nel rapporto interconnesso tra conoscen-ze e competenconoscen-ze e al fi ne di comprendere il costrutto di competenza, Comoglio (2011) aff erma che «In un processo di apprendi-mento non si possono trascurare le cono-scenze. Non c’è “competenza” (expertise) senza conoscenze [...] Ciò che caratterizza una persona come competente in un certo

“spazio” o dominio di conoscenze, è non solo una quantità notevole di conoscenze ma so-prattutto la loro organizzazione. Conoscenze frammentate, non strutturate o non comprese non possono essere utilizzate con effi cacia, mentre un apprendimento signifi cativo e pro-fondo favorisce il transfer» (p. 10).

La competenza, e l’essere competente, mette, dunque, in gioco numerose cono-scenze: non solo quelle interne alla persona, ma anche quelle distribuite nel suo ambiente, unitamente a processi cognitivi ed emotivi.

Pellerey (2010) compie una approfondita analisi di questo costrutto, analisi che nella sua articolazione, a nostro avviso, evidenzia la fragilità epistemologica e la frettolosità metodologica e operativa con cui la pro-spettiva della competenza è stata assegnata alla nostra scuola. L’Autore, che restituisce un quadro dettagliato di tanta complessità, analizza il costrutto indagandone le radici filosofiche, considerando gli approcci di matrice aristotelica (la razionalità pratica, la virtù, nel senso del virtuoso, l’agire produttivo e l’agire etico-sociale). Ogni apprendimento si fonda sull’esperienza, un’esperienza che è un incontro tra la persona agente e una situazione che la sfi da, per poi riferirsi al con-tributo di Noam Chomsky in prima battuta (il quale distingue tra competenza, insieme di qualità astratte di un sistema, assunto come

modello verso cui tendere, e prestazione, capacità eff ettive dimostrate di quel sistema in azione) e successivamente a quello off erto dalla psicologia socio-cognitiva (le persone sono motivate alla competenza, il motore della competenza è il sentimento di auto-ef-fi cacia), a Piaget (schema operatorio, modello d’azione, un’organizzazione che emerge dall’esperienza, dal ripetersi delle azioni e dalla rifl essione, l’apprendimento di questi dipende dalla rifl essione critica che è tanto più effi cace quanto più sostenuta da categorie e quadri concettuali adeguati, e ai contributi della teoria dell’attività in una prospettiva socioculturale (l’agire umano come pratica, sostanzialmente, sociale, collettiva, collaborativa, la compe-tenza come partecipazione consapevole, produttiva e piena alle attività della comunità condividendone conoscenze e strumenti).

La visione di competenza che emerge da queste analisi si connota per una dimensione insita nelle pratiche ordinarie delle persone, caratterizzata, tuttavia, da un conoscere che non è sempre uguale, e che contrappone quello proprio del novizio (nativo, ingenuo, meccanico, astratto) a quello dell’esperto (rifl ettuto, interiorizzato, situato, competente).

Quando, però, alle competenze viene attribuito un signifi cato semplifi cato di un

«saper fare con quel, poco, che si sa» e la competenza stessa viene posta in antitesi con le conoscenze disciplinari in una reciproca e lapidaria esclusione, comprensibilmente, si genera un suo rifi uto radicale in nome della difesa del valore delle discipline: ecco che, quindi, nasce l’idea di sostituire la parola

“conoscenza” con “competenza”, come è stato fatto frequentemente dalla Pedagogia italiana, soprattutto nei momenti di supporto al susseguirsi delle riforme scolastiche in questo ultimo ventennio. Dal mio punto di vista, abbiamo bisogno di persone con uno sguardo generale come esito del processo di scolarizzazione. Non bastano le conoscenze specialistiche, approfondite quanto si vuole.

Ci vuole una visione collegata col senso della comunità, come sostiene lo storico dell’arte Settis (2016).

Sulla medesima linea si colloca il pensiero del critico letterario Ferroni (2015), per il quale le competenze europee fi glie di una visione aziendalistica dell’uomo, che lo rendono effi ciente esecutore, ma non persona libera ed intellettualmente autonoma, in grado di progettare mondi diff erenti dal modello

“mainstream”, per una fraintesa centralità del discente, enfatizzano l’immediata presta-zione, la scomponibilità e ricomponibilità del sapere, mentre compito della scuola dovreb-be essere arginare la deriva tecnocratica, di ispirazione economica, che conduce ad una polverizzazione dell’impianto dei saperi. Il cri-tico considera i saperi disciplinari, nel proprio assetto epistemologico, imprescindibili per la maturazione non solo di conoscenze, ma anche per lo sviluppo di competenze che solo dallo studio approfondito e meditato, dall’im-pegnativa pratica del sapere disciplinare nel contesto della vita reale, possono scaturire. A parer suo, le competenze, avulse dai saperi, fi nalizzano la conoscenza ad una visione ba-nalizzata (ed economica) dell’apprendimento, e impediscono quello «scavo profondo nel corpo denso dei saperi», che è alla base della conoscenza umana.

Il progressivo consolidarsi in ambito edu-cativo di un lessico e di pratiche associate alla competenza, è avvenuto in un contesto poli-tico e culturale di trasformazione della scuola italiana, letta dai suoi sostenitori e promotori come modernizzazione dell’impianto scola-stico, mentre dai critici come una sua azien-dalizzazione; l’animata, e animosa, polemica che ne è scaturita non ha, di conseguenza, favorito lo sviluppo di una comprensione adeguata del costrutto stesso, né lo sviluppo di un suo signifi cato specifi co per il contesto educativo in cui viene trasferito un insieme di pratiche nate nell’ambito delle professioni.

Occorre qui evidenziare che nel passag-gio dalle aff ermazioni di principio alle realizza-zioni didattiche si sono introdotte signifi cative distorsioni, perché quello che viene chiamato il «passaggio dalla scuola delle discipline alla scuola delle competenze», con la can-cellazione delle didattiche disciplinari (che

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hanno una loro storia e poggiano su solide concettualizzazioni e pratiche, ma frequen-temente considerate come vuoti e obsoleti involucri di nozioni inutili per lo sviluppo del futuro cittadino e lavoratore) a favore di di-dattiche per competenze (tutte da defi nire e da consolidare), che è quanto le scuole e gli insegnanti sono esortati a fare, non ha, dal mio punto di vista, alcun fondamento poiché:

1) nella documentazione europea le compe-tenze non sono proposte come alternativa alle discipline ma come integrazione; 2) le competenze chiave coprono prevalentemen-te il lato professionale dell’individuo, ma non esauriscono la totalità della persona, la quale integra in sé dimensioni spirituali, culturali, etiche, estetiche che solo attraverso uno studio approfondito delle discipline, culturali e scientifi che, possono essere sviluppate, plasmando tanto la dimensione intellettuale dell’individuo (e ciò attraverso la disciplina stessa, che è sapere sistematizzato secon-do logica interna e secon-dotato di metosecon-dologia e strumenti per sviluppare competenze spe-cifi che), quanto la sua capacità di pensare interdisciplinarmente, maturando visioni del mondo e favorendone la progettualità: per questi motivi le competenze si costruiscono anche attraverso didattiche disciplinari; 3) la scuola italiana è strutturata amministra-tivamente, organizzativamente e didattica-mente sulla base di “discipline”: un riassetto dell’impianto didattico integralmente per competenze comporterebbe di necessità una totale riorganizzazione dell’impianto currico-lare, con revisione delle classi di concorso, e conseguente ristrutturazione dei posti in organico, riscrittura delle indicazioni nazionali e delle linee guida, “riconversione” massiva di personale formato con modalità, con schemi di pensiero e per fi nalità diff erenti. Ciò che sul piano formale e su quello sostanziale è sensato e possibile fare è un’organizzazione didattica dove si perseguano i diff erenti livelli di apprendimento (si veda nel resto del paper il cosiddetto “fl usso dell’apprendimento”) e dove alla vera e propria didattica per le competenze vengono riservati momenti

de-dicati, possibilmente integrati con la didattica disciplinare.

1.2 Dalle competenze professionali alle competenze nell’istruzione

Come ben noto a chi si occupa professio-nalmente di “competenze”, questo costrutto nasce e si sviluppa in ambito aziendale per descrivere e valutare le prestazioni di un operatore in un contesto specifi co, indipen-dentemente da come quel “saper fare” si è sviluppato, indipendentemente dai percorsi di studio frequentati e dalle relative attesta-zioni (certificati, diplomi, lauree, ecc.). Le

“conoscenze” formalizzate, pertanto, non vengono prese in considerazione se non in quanto “underpinning knowledge”, ossia co-noscenze intese come fondamenta (metafora edilizia) della competenza. Questo approccio ha dato origine in alcuni Paesi a descrizioni di posizioni lavorative, sistemi di inquadramen-to lavorativo, politiche retributive, sistemi di assessment e di certifi cazione e veri e propri sistemi di qualifi che professionali basati su

“competenze”.

In quei contesti e per quegli scopi, la

“competenza” è stata concepita come la capacità di dare una prestazione ben defi nita in un contesto specifi co, considerando un insieme di variabili assunte come “valori” in quella realtà (ad esempio: qualità, massimiz-zazione dell’uso delle risorse, interazione con le persone, rispetto dell’ambiente, etica, ecc.).

Il livello della competenza è, quindi, de-terminato dalla varietà e dalla complessità dei contesti in cui la prestazione può essere ero-gata e dalla conseguente gamma di “risorse”

di cui la persona deve essere in possesso per performare in modo “competente”.

Le competenze cui si fa riferimento sono descritte in modo preciso e analitico, spesso sono suddivise in “unità” ed “elementi”, in livelli a complessità crescente e con la speci-fi cazione delle caratteristiche degli ambiti di esecuzione della prestazione e delle risorse da mettere in campo a seconda del livello richiesto. Non di rado, infatti, i protocolli per

la valutazione della competenza specifi cano con estremo dettaglio le “evidences” che devono essere prodotte per poter richiedere la certifi cazione, mentre gli assessor sono adeguatamente formati per dare validità alle singole valutazioni e sono predisposti strumenti standardizzati a supporto del loro lavoro; nella catena della valutazione sono presenti soggetti interni al contesto lavorativo (deputati sostanzialmente alla generazione e alla raccolta delle “prove” della competenza) e soggetti terzi che certifi cano la competenza.

Tutto questo, in breve e con generaliz-zazioni, defi nisce la “competenza” in ambito professionale. Come concettualizzare la com-petenza quando questa viene utilizzata come costrutto pedagogico, didattico e valutativo?

Per dare un senso alla “competenza” in contesti educativi è necessaria una sua ade-guata concettualizzazione che ne coniughi il senso generale così come si è costruito nel contesto originario (il mondo del lavoro e delle professioni), con la specifi cità del contesto di trasferimento (la scuola, i sistemi educativi e di istruzione), pena lo svilimento e l’impoveri-mento del costrutto stesso e delle sue nuove applicazioni.

La competenza, non nel senso comune che può racchiudere un’ampia gamma di signifi cati e implicazioni soggettive, ma nella prospettiva descritta qui sopra, si può con-notare per questi elementi: è caratterizzata da una prestazione a complessità crescente, da dare con riferimento a standard pre-defi niti, in uno specifi co contesto, e che richiede l’uso di risorse, da valutare sulla base di “prove”

osservabili.

Per capire in cosa consista operativamen-te la compeoperativamen-tenza, può essere utile esplorare l’approccio di Guy Le Boterf che in diff erenti contributi defi nisce la persona che sa agire con competenza come quella che è in gra-do di mobilizzare, selezionare e combinare risorse in modo pertinente per gestire una situazione professionale. La competenza non va intesa come la somma di saperi (co-noscenza, abilità, atteggiamenti) e neppure come l’applicazione di un sapere teorico nella

pratica, ma come un processo dinamico di mobilizzazione di risorse in funzione di una loro messa in opera in un preciso contesto.

Agire con competenza implica l’attivazione di un processo combinatorio di risorse (Le Boterf, 2002; 2003; 2004a; 2004b).

In questo approccio ritornano due parole chiave che possono costituire un sensato anello di congiunzione tra la competenza professionale e quella scolastica: le risorse e la loro combinazione. Una persona competente è, pertanto, quella che dispone di un’ampia gamma di “risorse” e le sa combinare per una prestazione defi nita e in uno specifi co contesto.

In ambito professionale le “risorse” sono principalmente quelle personali, suddivise in conoscenze generali, cioè le risorse incorpo-rate alla persona e in conoscenze specifi che all’ambiente professionale, relative, cioè, al contesto di lavoro della stessa. Le prime sono acquisite normalmente per mezzo dell’educa-zione formale, corrispondono ad un sapere oggettivato e sono indipendenti dal contesto di lavoro; le seconde sono contestualizzate, appartengono al contesto interno o esterno dell’attività professionale e si acquisiscono principalmente per mezzo dell’esperienza. Ol-tre alle risorse personali (generali e professio-nali) la persona competente utilizza anche le risorse di rete, perché non si è mai competenti da soli, ma lo si è ponendosi in relazione con altre persone collocate nel proprio ambiente:

queste ultime sono risorse oggettivate, cioè esterne al soggetto. Le risorse di contesto, in-fi ne, sono reti del sapere capitalizzato: banche dati, di documentazione, reti di cooperazione come esperti, colleghi, mestieri diversi, ecc.

(Le Boterf, 2002).

Operando la trasposizione di questi ele-menti della competenza professionale nel contesto educativo, possiamo assumere come elemento cardine di questo costrutto il concetto di “risorsa” e precisare che le risorse di cui si può occupare la scuola, conside-rando la sua vocazione istituzionale, sono prioritariamente le risorse conoscitive, i saperi disciplinari e, a seguire, le abilità distinguibili in

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cognitive, sociali e personali. Nella prospettiva della competenza, il primo scopo della scuola è, quindi, quello di favorire nello studente lo sviluppo di un’ampia gamma di risorse e, successivamente, di allenare a combinarle, nella prospettiva di generare le “prestazioni”

descritte nel sistema delle competenze.

Così come ogni competenza professiona-le ha un proprio “contenuto”, che deriva dalla descrizione della stessa, da quella delle sue unità ed elementi e dagli ambiti di esecuzione associati, anche la competenza che si svi-luppa in ambito educativo ha un “contenuto”

derivante essenzialmente dalle discipline che danno sostanza ai curricoli scolastici, ben sapendo che una disciplina non si defi nisce solo per le “conoscenze” che abitualmente vengono declinate nei “programmi”, ma an-che per le logian-che e le forme di pensiero an-che ne determinano la struttura interna e per le interazioni/correlazioni tra le discipline stesse.

La prospettiva disciplinare e interdisci-plinare dei “contenuti” delle competenze è chiaramente presente nei descrittori delle competenze in uscita dalla scuola primaria, dalla secondaria di primo grado6, al com-pletamento dell’obbligo di istruzione7 e della scuola secondaria di secondo grado nei suoi vari indirizzi8.

Per tale motivo, sviluppare competenze a scuola richiede che prioritariamente si sviluppi la didattica disciplinare. L’utilizzo “competen-te” degli apprendimenti disciplinari implica che lo studente possegga una comprensione pro-fonda della conoscenza e una buona capacità di transfer della stessa: che sia, cioè, in grado di tracciare collegamenti multipli tra elementi di conoscenza per utilizzarli in contesti e per scopi defi niti. Per sviluppare “competenza”

gli apprendimenti disciplinari devono essere solidi e profondi, signifi cativi, non meccanici.

Considerato, quindi, che la competenza in ambito scolastico è caratterizzata dal pos-sesso di risorse (conoscenze e abilità), dalla

presenza di ulteriori abilità cognitive che ren-dano possibile il processo di mobilizzazione, combinazione ed uso contestualizzato delle stesse, che la “conoscenza” rilevante deve essere di qualità, che viene coinvolto l’agire in contesti reali e che si fa ricorso all’esperienza, si ritiene legittimo tentare una concettualiz-zazione originale della competenza quando

presenza di ulteriori abilità cognitive che ren-dano possibile il processo di mobilizzazione, combinazione ed uso contestualizzato delle stesse, che la “conoscenza” rilevante deve essere di qualità, che viene coinvolto l’agire in contesti reali e che si fa ricorso all’esperienza, si ritiene legittimo tentare una concettualiz-zazione originale della competenza quando

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