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Ritorno all’utopia?

Nel documento RicercAzione Volume 9 - Numero 2 (pagine 143-147)

Capacità di aspirare e uso del futuro

6. Ritorno all’utopia?

Le utopie sono normalmente intese come immaginarie società perfette – quindi società che non esistono e non possono esistere (Levitas, 2014). Questa accezione di utopia può essere parzialmente attribuita alla con-fl azione tra outopos – in nessun luogo – e eutopos – un buon luogo – una confl azione esplicitamente ricercata da Thomas More quando inventò il termine. Tuttavia, più che da sottigliezze linguistiche, la usuale accettazione di utopia come visione politica impraticabile deriva principalmente da alcuni grandi classici del pensiero anti-utopico come La via della schiavitù (von Hayek, 1944) e La società aperta e i suoi nemici (Popper, 1945). A questi capolavori degli anni Quaranta, si possono aggiungere alcune altre opere originariamente pubblicate negli anni ’50, come Arendt (1951) o Berlin (1990). Successivamente, pensa-tori come Dahrendorf & Kolakowski hanno aggiunto l’ulteriore accusa contro l’utopia come visione eminentemente statica (vedi Dahrendorf (1958), Kolakowski (1982)). Il ri-sultato netto di questi contributi è una visione dell’utopia come «un insieme statico, perfetto e armonioso, in contrasto con la complessità del mondo reale» (Levitas, 2014). La diffi denza verso le utopie viene ulteriormente accresciu-ta noaccresciu-tando che «l’utopia come impossibile ricerca della perfezione» fi nisce con l’avere

«conseguenze politiche necessariamente totalitarie» (Levitas, 2014, p. 7). Siamo però sicuri che questa descrizione del pensiero utopico sia culturalmente corretta?

Per iniziare, potremmo riconoscere, con (Abensour, 1999), la diff erenza tra utopie ‘si-stematiche’ (prima del 1850 circa) e utopie

‘euristiche’ (dopo il 1850). Secondo questa distizione, le utopie euristiche sono principal-mente esplorazioni di modi di vita alternativi. In

questa sede accantono il problema se eff etti-vamente le utopie sistematiche si riferiscono per la maggior parte a «interi statici, perfetti e armoniosi». Sono attualmente più interessato a capire se eff ettivamente una siff atta accusa possa essere avanzata contro i proponenti contemporanei di una posizione utopica.

Per fare qualche nome, alcuni pensatori utopici contemporanei sono Georg Kateb, Keith Taylor, Barbara Goodwin, Russell Ja-coby e Lyman Tower Sargent (JaJa-coby, 2005;

Kateb, 1963; Sargent, 2011; Taylor & Goo-dwin, 2009). Per tutti loro, l’aff ermazione che le utopie si riferiscono a “interi statici, perfetti e armoniosi” è scorretta se non del tutto fal-sa. Secondo Sargent (che Levitas considera

«la più importante autorità sulla letteratura utopica») «pochissime utopie reali puntano alla perfezione» e «molti utopisti accolgono la possibilità di cambiamento» (Sargent, 2011, p. 104).

«Nelle utopie moderne [...] ci devono es-sere anche attriti, confl itti e sprechi» (Levitas, 2014, p. 117). Le utopie sono sperimentali e contingenti, anche perché «non possiamo prevedere le esigenze e i desideri delle pros-sime generazioni» (Levitas, 2014, p. 68). Inol-tre, «per il pensiero utopico in questo senso non si tratta di ideare e imporre un progetto.

Piuttosto implica una rifl essione integrata sulle connessioni tra processi economici, sociali, esistenziali ed ecologici» (Levitas, 2014, pp.

19-20).

Una corretta comprensione delle utopie dimostra che le utopie sono principalmente vi-sioni centrate sul presente. Infatti, il loro scopo principale è quello di «rendere sconosciuto il familiare». Lo scopo delle utopie è «insegnare [...] a desiderare meglio, a desiderare di più e soprattutto a desiderare in modo diverso»

(Thompson, 1977, pp. 790-791). Questa

‘educazione del desiderio’ (Abensour, 1999) come obiettivo delle utopie mostra che le utopie possono essere intese come una delle componenti costitutive della capacità di aspi-rare (Appadurai, 2004). Proprio per questo motivo è importante distinguere fra buone e cattive utopie, dove la linea di divisione è tra

utopie fondate su futuri veramente possibili, da un lato, e utopie come espressioni mera-mente oniriche dall’altro.

7. Conclusione

L’educazione avrebbe quindi due riferi-menti primari: da una parte la sfi da sarebbe quella di penetrare nelle profondità del pre-sente (il prepre-sente profondo o ‘thick present’

di Poli (2011). Questo presente ‘thick’-‘spes-so’ comprende diversi livelli di realtà che forniscono i materiali da costruzione per la creazione di futuro, dalle componenti fi siche

e biologiche a quelle psicologiche ai sistemi sociali e alle prassi storiche (Poli, 2001, 2006, 2007). Su questa base, la ‘pedagogia del presente’ (Facer, 2016) costruisce numerosi futuri, mantenendoli intenzionalmente aperti all’esplorazione, esplicitando le loro potenzia-lità e incoraggiando la partecipazione attiva e polifonica degli studenti a tali processi.

Si tratta di imparare ad aspirare, a volte anche di disimparare ad aspirare per imparare ad aspirare diversamente. In fondo si tratta di imparare a usare il futuro come speranza, come sfi da per costruire la nostra identità per-ché abbiamo bisogno di futuro come dell’aria che serve per respirare.

RICERCAZIONE - Vol. 9, n. 2 - December 2017 | 145

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Edizione: Provincia autonoma di Trento RICERCAZIONE - Vol. 9, n. 2 - December 2017 | 147

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