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4. IL CASO ITALIANO 1 Fino dai Temp

4.3. I compiti dei Ministr

Significativi anche gli interventi di alcuni Ministri dell'istruzione che si sono succeduti negli ultimi anni, in evidente coerenza con i predecessori.

Giuseppe Fioroni, durante un'intervista televisiva, rilasciata nel 2007, lancia un appello ai docenti: «Cari insegnanti, date meno compiti ai vostri alunni. I compiti dovrebbero essere svolti prevalentemente a scuola in modo che a casa i ragazzi, il pomeriggio, possano interessarsi agli elementi che inducono loro curiosità, voglia di apprendere e voglia di conoscere in proprio. La scuola, oltre che a competenze e sapere, deve dare un metodo per studiare. Il tempo libero degli alunni serve per acquisire questo metodo».

Quest'ultima affermazione, apparentemente paradossale trova riscontro nelle testimonianze di alcuni genitori, riportate nella pagina Facebook: “Basta compiti!”, i quali lamentano l'impossibilità per i loro figli di acquisire un metodo di studio proprio perché oberati dai compiti scolastici che, in effetti, si limitano a esigere la “semplice” memorizzazione dei contenuti disciplinari, quando agli studenti dovrebbe invece essere consentito di affinare i propri repertori metacognitivi.

Il 2012 è l'anno dello sciopero dei compiti indetto dai genitori francesi, e Francesco Profumo si pronuncia ripetutamente.

Nel corso di un'intervista televisiva, dichiara: «Sì, sono d’accordo nel dare meno compiti a casa. Io credo che oggi nella scuola i nostri ragazzi imparino solo una parte dello loro competenze, molti sono gli input che hanno da altre sorgenti. Si possono dare stimoli agli studenti senza che siano necessariamente compiti. Questo è un buon tema su cui riflettere. Oggi sono cambiati i contenuti, perché non possiamo cambiare anche le relazioni?»

A un quotidiano ribadisce: «Oggi i ragazzi ricevono molti stimoli anche dall'ambiente extrascolastico, e quindi deve cambiare la struttura dei compiti e delle lezioni»; e parlando della tipologia dei compiti aggiunge: «Una versione di latino può essere anche copiata da internet. Credo sia più interessante far lavorare i ragazzi con strumenti logico-deduttivi. O farli uscire da casa per seguire un progetto organizzato dalla scuola. Dobbiamo insegnare a fare gruppo, ed evitare che gli studenti si isolino nella loro cameretta».

In un intervento pubblico, torna a parlare della necessità di rivedere le modalità di assegnazione dei compiti: «Una parte di compiti ci vuole, perché il fatto di essere impegnati direttamente rende i ragazzi responsabili e li aiuta a maturare. Però ci vorrebbero anche delle attività un po' più libere, con una base logica forte, con capacità di sintesi e di analisi, magari lavorando insieme. Un po' più di complessità, un po' più di

connettività, lavoro da fare in parte insieme, in parte ognuno a casa sua, anche con orari più flessibili. Visto che, finalmente, la scuola si è lasciata dietro la polvere della tradizione ora è il caso di pensare anche a un modello nuovo dei compiti a casa».

La convinzione che i compiti a casa responsabilizzino e aiutino a maturare è ritenuta inoppugnabile da quasi tutti i docenti e da molti genitori, pur essendo manifestamente infondata, giacché si tratta solo di eseguire ordini impartiti dai “superiori”, il senso dei quali è solitamente incomprensibile, per puro obbligo e senza alcuna partecipazione: evidentemente si confondono maturazione e responsabilità con il mero addestramento disciplinare, nella più vieta tradizione autoritaria, fautrice di una didattica militarizzata. Alla vigilia delle vacanze di Natale del 2013, Maria Chiara Carrozza, incoraggia gli studenti a proporre la riduzione dei compiti: «Ragazzi chiedete ai professori di darvi meno compiti! Chiedete di darvi più letture perché leggere un libro significa avere consapevolezza nei confronti della cultura e può essere un gesto d'evasione importante per la crescita degli individui senza ricorrere a scorciatoie come lo sballo per sentirsi più grandi o stare meglio insieme agli altri».

Ovviamente, l'invito è rivolto ai docenti: «Si parla a nuora perché suocera intenda», avrebbe chiosato un fine dicitore come Antonio Di Pietro, reticenza comprensibile visto che la “libertà di insegnamento” (incondizionata, insindacabile, intangibile) non ammette limitazione alcuna, fatta eccezione per l'integrità, ma solo quella fisica, beninteso, dello studente - nonostante la più recente dottrina costituzionale affermi la prevalenza del diritto, riconosciuto al discente, a un servizio scolastico di qualità, subordinando ad esso il principio della libertà di insegnamento.

In altra occasione pubblica, ribadisce: «Non serve a niente imporre tonnellate di versioni di latino o decine di problemi da risolvere. Vengono smaltiti meccanicamente, senza concentrazione. Meglio vacanze più brevi, ma vere vacanze. Con il piacere di leggere, questo sì. Un bravo insegnante è quello che stimola la curiosità e incoraggia la scelta. Sarebbe bello che a ogni ragazzo fosse fornita una lista di libri perché selezioni le sue letture delle vacanze. Dobbiamo insegnare il valore della scelta».

Durante un'intervista televisiva spiega che i compiti devono essere «equilibrati ed equi»,

senza necessità di aiuto a casa, e ribadisce che «bisogna lasciare spazio anche alle arti: dai musei ai libri».

Nel 2014, Stefania Giannini, interpellata sui dati del rapporto Ocse, nel corso di una riunione del Consiglio Europeo su educazione e giovani, si esprime in questi termini: «È il modello didattico che ha ancora una struttura molto frontale, e questo comporta necessariamente l'assegnazione di compiti nelle ore non scolastiche. Noi vogliamo delle scuole aperte, con una maggiore interazione nella didattica in classe tra studenti e insegnanti. Credo quindi che i compiti diminuiranno con la nuova scuola, e non è male che i compiti diminuiscano, purché ci sia la compensazione di qualità come la vogliamo».

Da ultima, siamo nel 2017, Valeria Fedeli, che riprende il tema in più occasioni. Nel corso di un'intervista, dichiara: «Se bisogna dare i compiti a casa? Penso che si debba lavorare molto di più nelle ore scolastiche e anche nella parte del pomeriggio delle altre attività. Dopo di che, più si fanno cose a scuola, meglio per i ragazzi ma anche per i genitori.» Successivamente precisa: «Credo che ci debba essere un atteggiamento sicuramente migliorativo rispetto a quello tradizionale “Ti faccio la lezione frontale, poi tu approfondisci a casa da solo’” Credo che questo non sia più il tempo né della sola lezione frontale né dei singoli compiti a casa».

I dati più rilevanti delle dichiarazioni riportate sono così sintetizzabili:

 Gli stimoli dell'ambiente devono modificare la struttura dei compiti e delle lezioni

 L'assegnazione dei compiti è dovuta a una didattica troppo frontale  È necessaria maggiore interazione tra studenti e insegnanti

 Si devono potenziare gli strumenti logico-deduttivi

 Occorre più complessità, più connettività

 I compiti si svolgono meccanicamente, senza passione e concentrazione

 Si devono dare meno compiti, devono essere equilibrati, equi e non richiedere “aiuti”

I compiti dovrebbero essere svolti prevalentemente a scuola

 Si deve poter profittare di altre fonti di informazione e altri agenti di formazione, non solo virtuali (musei, biblioteche...)

 Gli studenti devono evitare l'isolamento (il compito svolto in solitudine), imparare a “fare gruppo”

 Bambini e ragazzi devono poter disporre del proprio tempo libero.

Superfluo precisare che gli appelli dei diversi Ministri sono stati puntualmente e universalmente ignorati, anzi, negli ultimi anni, i compiti a casa, soprattutto per i bambini della scuola primaria, sono aumentati a dismisura, con gli esiti ben noti in termini di malessere, stress, “scarso rendimento”, dispersione, aggravamento delle diseguaglianze...

A nulla sono valse le pur autorevoli considerazioni di Tullio De Mauro, uomo di grande cultura, linguista e già Ministro della Pubblica Istruzione, che nel 2015 pubblica un articolo intitolato: “Compiti a casa al tramonto”.

Forse possiamo cogliere qualche segno di crisi nell’uso dei compiti a casa. Lo desumiamo dal numero 46 dei quaderni con cui l’Ocse man mano analizza più a fondo i dettagli delle indagini Pisa, Pisa à la loupe. I compiti a casa sono stati un pilastro della venerata trimurti che ha retto negli ultimi due secoli l’insegnamento nelle scuole: lezione orale dell’insegnante, interrogazione dello studente per verificare che ripeta esattamente le parole dette dall’insegnante, e i compiti a casa per rafforzare la capacità di ripetere.

Nella vita e nel lavoro il più e meglio s’impara interagendo con gli altri, cooperando e cercando di mandare a effetto quel che apprendiamo. Non così a scuola. Turba l’idea che la classe si trasformi in laboratorio, luogo di apprendimento attivo e cooperativo, e

l’insegnante fornisca non formule da ripetere, ma consigli e assistenza sul cammino autonomo degli apprendimenti. Dove l’idea prende piede si avverte sempre meno la necessità dei compiti a casa. Ora il rapporto Ocse dice che tra 2002 e 2012 in tutti i paesi decrescono in media da sei a cinque le ore settimanali dedicate dai quindicenni ai compiti a casa. Il pilastro vacilla. Tempo per i compiti e successo scolastico sono correlati per gli studenti dei ceti avvantaggiati. Invece i compiti accrescono lo svantaggio per gli altri. Soprattutto, il tempo per i compiti è un terzo della media Ocse in sistemi di alta efficienza – in Finlandia, Corea, Giappone – e tende invece al doppio in Italia e Russia.

I compiti, per De Mauro, sono uno dei (tre) cardini di una struttura lesionata, fatiscente e prossima alla rovina, i gravissimi segni di deterioramento della quale sono del tutto invisibili a chi la abita, vi opera quotidianamente e potrebbe fornire un contributo indispensabile e decisivo al suo risanamento.