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4. IL CASO ITALIANO 1 Fino dai Temp

4.5. Diritti a rovescio

Molte delle iniziative fiorite in Europa negli ultimi anni si richiamano ai dati forniti dall'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, in particolare al rapporto del 2014 dal quale emergono elementi sconcertanti soprattutto per quanto riguarda l'Italia.

I nostri studenti risultano tra i più “afflitti” dai compiti a casa. I quindicenni italiani trascorrono quasi nove ore la settimana a fare i “compiti” contro una media OCSE di 4,9 ore. Ma si tratta di una stima “difettosa”: quasi impossibile incontrare studenti che non abbiano impegni inferiori alle due ore quotidiane, fin dalla scuola primaria, per un totale che supera le 20 ore settimanali, rispetto alle 3 di Finlandia e Corea, Paesi ai vertici delle classifiche internazionali per competenze e conoscenze. In altre parole, un bambino italiano ha buone probabilità di studiare in un giorno più di quanto studino in una settimana i ragazzi finlandesi e coreani che svettano persino nelle classifiche sulle competenze matematiche.

Lo stesso rapporto evidenzia come dopo circa quattro ore la settimana di compiti (cioè poco più di mezzora al giorno), il tempo in più trascorso sui libri abbia effetti trascurabili sulla performance.

Si pensi che, in Italia, persino nelle scuole a tempo pieno, dopo 8 ore di “lavoro”, ai nostri bambini di 6-11 anni,sono assegnati compiti tutti i giorni e nel week end.

A questo impegno estenuante, corrispondono risultati deprimenti.

Il nostro Paese è in fondo alla graduatoria nelle competenze alfabetiche (competenze, riferisce lo studio, “fondamentali per la crescita individuale, la partecipazione economica e l'inclusione sociale”). In una scala che va da zero a 500; il punteggio medio degli adulti

italiani è pari a 250, contro una media Ocse di 273. Numeri ancora più bassi se si considerano i Neet, i giovani che non studiano e non lavorano, a cui è attribuito un punteggio medio di 242.

Un quindicenne su quattro è pressoché analfabeta in matematica, non è in grado di risolvere problemi elementari, al massimo sa compiere operazioni semplici.

Secondo il rapporto dell’Ocse-Pisa dal titolo «Low performing students», del 2016, l’Italia rimane uno dei sistemi scolastici europei più disastrosi: peggio di noi fanno Grecia e Portogallo. E non è solo la matematica lo scoglio insuperabile per i ragazzi: uno studente su cinque è pressoché analfabeta in senso tecnico, cioè non sa leggere, e uno su 6 è gravemente insufficiente in scienze.

Ma il risultato più allarmante è quello che colloca l’Italia e la Cina al vertice delle diseguaglianze tra studenti di condizione socio-economica svantaggiata e studenti di famiglie colte e abbienti.

Il titolo del Report pubblicato nel 2104 appare eloquente: «Does homework perpetuate inequities in education?».

La risposta dei ricercatori:

I compiti sono un’opportunità per l'apprendimento, ma possono anche rafforzare le disparità socio-economiche in relazione al rendimento degli studenti. Le istituzioni scolastiche e gli insegnanti dovrebbero cercare di attivare una serie di iniziative per facilitare gli studenti svantaggiati nello svolgimento dei compiti.

Gli scostamenti dalla media dei punteggi nel test OCSE PISA dovuti alla condizione socio- economica sono molto bassi in tutti i paesi d’Europa, a volte irrilevanti come in Germania. Fanno eccezione: l’Italia (sciaguratamente prima in Europa), la Romania (seconda), la Bulgaria e l’Ungheria (rispettivamente terza e quarta nel nostro continente).

L'Italia contende alla Cina, il triste primato, per il divario tra gli studenti avvantaggiati sotto il profilo socioeconomico e quelli più “poveri” e si colloca all'ultimo posto in Europa per capacità di compensare le diseguaglianze culturali tra ricchi e poveri. In altre parole, la scuola non funziona come “ascensore sociale”, è diventata un moltiplicatore di diseguaglianze: avvantaggia gli studenti avvantaggiati.

Non meno sconfortanti i numeri presentati, sempre nel 2014, dall'associazione: “Save the children” nell'“Atlante dell'infanzia”, dai quali emerge che, nell’anno precedente, l’84,9% dei ragazzi non è andato a un concerto; il 73,7% non ha visto un sito archeologico; il 72,1% non è andato a teatro; il 60,8 non ha visto una mostra e il 47,9 non ha letto nemmeno un libro.

L'allarme più recente viene però dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: gli adolescenti italiani sono stressati dal carico di lavoro scolastico e hanno un pessimo rapporto con la scuola (meno entusiasti risultano solo estoni, greci e belgi).

Si tratta di un “sintomo” preoccupante (tant'è che lo segnala, appunto, l'OMS), per gran parte riconducibile alla richiesta ossessiva di prestazioni cognitive che necessariamente comporta un impegno extrascolastico soverchiante.

Ma il problema dello stress riguarda la famiglia nel suo insieme: molta parte dei conflitti, dei litigi (le urla, i pianti, le punizioni...) che avvengono tra genitori e figli riguardano lo svolgimento, meglio il tardivo o il mancato svolgimento dei compiti, quando sarebbe invece essenziale disporre di tempo libero da trascorrere insieme, serenamente.

Ricapitolando. La scuola italiana eccelle per:  la mole, abnorme, di compiti che assegna;

 lo stress, usurante, che procura agli studenti e alle loro famiglie;

 il livello, desolante, di ignoranza, incompetenza, analfabetismo funzionale degli adolescenti (ma anche dei diplomati)

 l'incapacità, scandalosa, di compensare le diseguaglianze di partenza (anzi, le aggrava);

 il tasso, riprovevole, e stigmatizzato dalla Commissione europea, di dispersione (abbandono, mortalità) che ne accentua il carattere censitario.

Un riferimento, tanto più imprescindibile, è rappresentato dalla «Convenzione internazionale sui Diritti dell'infanzia e dell'adolescenza» approvata il 20 novembre 1989 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Costruita armonizzando differenti esperienze culturali e giuridiche, la Convenzione enuncia per la prima volta, in forma coerente, i diritti fondamentali che devono essere riconosciuti e garantiti a tutti i bambini e a tutte le bambine del mondo.

Viene ratificata dall'Italia il 27 maggio 1991 con la Legge n. 176.

La Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia è il primo strumento di tutela internazionale a sancire nel proprio testo le diverse tipologie di diritti umani: civili, culturali, economici, politici e sociali, nonché quelli concernenti il diritto internazionale umanitario. Il testo contiene anche articoli rivolti alla protezione contro l'abuso e lo sfruttamento e si impegna a far sì che il bambino possa far valere il proprio pensiero.

Gli articoli della Convenzione possono essere raggruppati in quattro categorie corrispondenti ai principi fondamentali:

 Principio di non discriminazione: sancito all'art. 2, impegna gli Stati parti ad assicurare i diritti sanciti a tutti i minori, senza distinzione di razza, colore, sesso, lingua, religione, opinione del bambino e dei genitori;

 Superiore interesse del bambino: sancito dall'art. 3, prevede che in ogni decisione, azione legislativa, provvedimento giuridico, iniziativa pubblica o privata di assistenza sociale, l'interesse superiore del bambino deve essere una considerazione preminente;

 Diritto alla vita, sopravvivenza e sviluppo: sancito dall'art. 6, prevede il riconoscimento da parte degli Stati membri del diritto alla vita del bambino e l'impegno ad assicurarne, con tutte le misure possibili, la sopravvivenza e lo sviluppo;

 Ascolto delle opinioni del bambino: sancito dall'art. 12, prevede il diritto dei bambini a essere ascoltati in tutti i procedimenti che li riguardano, soprattutto in ambito legale. L'attuazione del principio comporta il dovere, per gli adulti, di ascoltare il bambino capace di discernimento e di tenerne in adeguata considerazione le opinioni.

Considerato il quadro di altissimo valore politico e giuridico nel quale si colloca, assume dunque particolare rilievo e significato il richiamo di cui all'art.31: «Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica».

Da questo momento, il riposo, il tempo libero, il gioco e le attività ricreative, così come la partecipazione alla vita culturale e artistica, non sono più auspici pedagogicamente commendevoli, ma diritti, sanciti dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite che non devono essere limitati o violati e che possono essere invocati nel caso il cui azioni, comportamenti pratiche individuali, sociali o istituzionali ne affievoliscano o pregiudichino il godimento.

Se, per esempio, i compiti a casa impedissero a bambini e ragazzi di riposare, giocare, ricrearsi, avere tempo libero da dedicare ad “altre” attività, ebbene si configurerebbe non solo la patente e riprovevole ignoranza di elementari principi di igiene mentale e fisica (sintomo di una spaventosa mancanza di umana sensibilità), ma anche un abuso gravissimo, passibile (e meritevole) di denuncia formale, da rivolgere ai responsabili del servizio scolastico, ai garanti dei diritti di bambini e adolescenti, ai tribunali dei minorenni...

È appena il caso di evidenziare come, al pari di altri diritti, anche questi siano drammaticamente “rovesciati”, nel loro opposto, per effetto di consuetudini, convincimenti, ritualità e routine di difficilissima rimozione.

5. I COMPITI DEGLI ALTRI