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Come si giunge alla decisione di non dare i compit

In altri casi, sono indicate possibili soluzioni organizzative.

7.2. Come si giunge alla decisione di non dare i compit

Si tratta, evidentemente, di una scelta ponderata, molto impegnativa che avviene per effetto di esperienze e riflessioni legate a percorsi esistenziali e professionali diversi ma riconducibili a sensibilità e vocazioni comuni.

- La decisione di non assegnare compiti rappresenta, per alcuni, una “scelta di vita”, prima che un'opzione didattica.

La mia scelta di non dare compiti è precedente alla mia collocazione nelle sezioni montessoriane in cui ora lavoro, nasce forse dalla mia esperienza diretta di persona che si sente in perenne apprendimento attraverso i canali dell'esperienza e della sperimentazione diretta: i viaggi, gli incontri, i libri e i film importanti, la militanza per battaglie di giustizia e civiltà... Ai miei alunni, e ora anche ai miei figli, vorrei aprire gli orizzonti verso esperienze di vita che, oltre e a fianco della scuola, permettano di crescere non come replicanti ma come persone capaci di progettare la loro vita e di contribuire a rendere migliore quella della comunità in cui vivono. Non c'è quindi un anno zero, un evento decisivo che mi ha portato verso questa scelta. Certo il fatto di lavorare ora in sezioni Montessori facilita di molto l'impresa della condivisione della scelta, soprattutto con le colleghe e in buona parte anche con i genitori (SC, f, E).

- Talvolta, è avvenuta ancor prima di insegnare per coloro che ne avevano sofferto da studenti.

Per raccontare la mia esperienza di insegnante a “compiti zero” vorrei partire da quella di alunno, vissuta male per le molteplici e sterili richieste dei miei insegnanti riguardo ai compiti che puntualmente si accumulavano durante la settimana e che ho sempre faticato a portare a termine. Questo ha creato in me una sorta di rifiuto dello studio, per pigrizia e superficialità, ma soprattutto per essermi sempre sentito “costretto a fare” (AS, m, S).

- Così è stato anche per chi all'impegno dei compiti aveva cercato di sottrarsi durante gli studi.

A scuola non ero la classica secchiona e se potevo evitare di fare i compiti li evitavo; eppure sono l'unica delle mie classi, dalle medie alle superiori, a essermi laureata. Vorrà pur dire qualcosa, no? (FG, f, M).

- Per alcuni, si è trattato della naturale e immediata conseguenza di un particolare approccio alla didattica.

Essere un'insegnante “a compiti zero” è stato per me spontaneo e naturale dal momento che con i ragazzi ho sempre lavorato in classe applicando le metodologie dell'apprendimento cooperativo. Nell'apprendimento cooperativo la lezione frontale scompare, l'aula diventa un laboratorio, ci si divide in gruppi e ogni studente è tenuto a dare il suo fondamentale apporto per il raggiungimento dell'obiettivo condiviso. Tutto il lavoro si svolge a scuola e l'ora di “lezione” si trasforma in un'ora di ricerca, di dialogo, di conoscenza reciproca, di discussione vivace ma impegnata e interessata. Ai ragazzi infine lascio scegliere e inventare in quale modo esporre alla classe il tema elaborato e spesso i risultati sono ottimi e sorprendenti (EC, f, S).

- Altri docenti hanno deciso di evitarli appena percepiti segni di disagio nei loro studenti. È stato un insieme di minimi segnali di disagio, diciamo pure di sofferenza, che leggevo quotidianamente nei ragazzi, seguito poi da letture e approfondimenti (FP, m, M).

- La scelta è avvenuta anche per l'impossibilità di ottenere l'impegno preteso.

Quasi subito ho avuto molte perplessità circa i compiti a casa. Assegnavo gli esercizi e la lezione seguente avevo la classe così combinata (o meglio scombinata):

- qualcuno aveva regolarmente svolto i compiti, - qualcuno li aveva copiati più o meno svogliatamente,

- qualcuno adduceva le scuse più strampalate per giustificare la mancata esecuzione.

Non necessariamente erano sempre gli stessi alunni a formare i vari gruppi e questo rendeva le cose ancora più complicate (VG, f, M).

- Rilevanti i problemi creati dalla gestione dei compiti, il disagio degli stessi insegnanti costretti a compiere azioni sgradevoli e sgradite, oltreché inutili.

Tutte le ipotesi che mi sono venute in mente e che ho sperimentato ponevano davvero troppi problemi: già il fatto di perdere qualche minuto della lezione per fare il “carabiniere” di turno e verificare la situazione mi irritava. Ho scoperto in fretta che le note sul diario del tipo: “Suo figlio non ha svolto i compiti assegnati” erano totalmente inutili e generavano altri problemi. Ultima cosa, forse la più importante: i compiti andavano corretti, che senso aveva altrimenti pretendere che gli alunni li facessero. Altro tempo perso, sottratto alla progettazione (VG, f, M).

- Ma si è dato il caso di consapevolezze maturate in ambito famigliare, per effetto delle sofferenze patite dai propri figli.

La mia “carriera” di insegnante a “compiti zero” è cominciata quando hanno avuto inizio i pianti di mia figlia a causa dell’enorme mole di compiti che le venivano assegnati nel weekend. Da allora ho iniziato a chiedermi se i compiti che assegnavo ai miei alunni, quelli che io ritenevo “pochi”, fossero davvero tali. Capii che non lo erano e che gli stessi compiti erano motivo di ansie diverse per i miei alunni: qualcuno li “divorava” subito, il venerdì pomeriggio per “togliersi il pensiero”; qualcun altro li faceva da solo e bene perciò risultavano superflui; altri ancora li rimandavano fino alla fine cosicché diventavano un vero incubo per loro e, a volte, per i genitori (SF, f, E).

- Per quasi tutti, l'incontro con il gruppo Facebook: “Basta compiti!” ha rappresentato una conferma rassicurante.

Quando, due anni fa, ho partecipato all'incontro di presentazione dell'iniziativa, perché esasperata dai compiti ai quali era sottoposto mio figlio in una scuola che assomigliava a un carcere, mi sono finalmente sentita "normale" e leggendo il libro (omonimo, n.d.r.), ho ritrovato i miei identici pensieri (EC, f, S).

- Un riscontro tanto più apprezzato data la condizione di isolamento professionale nella quale operano i docenti “a compiti zero”.

Mi sono resa conto che dare lo stesso compito a tutti sarebbe stato discriminante. I genitori lo hanno capito. Il gruppo “Basta compiti!” mi ha poi convinto della validità delle miei ragioni e ho osato. Non ero sola (FLP, f, E).

- La lettura del libro: “Basta compiti!” ha favorito l'acquisizione di nuove consapevolezze, la messa a fuoco del problema - si è verificato persino un caso di “folgorazione”.

Ho letto i libri di Maurizio Parodi e “Basta compiti!” mi ha proprio folgorato! Finalmente ho trovato qualcuno che la pensa come me a proposito di compiti, voti, interrogazioni e verifiche. Ho dunque deciso che, rientrata a scuola, avrei cambiato totalmente il mio modo di fare lezione (MGA, f, M).