• Non ci sono risultati.

La cute nella zona dell’accesso chirurgico viene tricotomizzata Una volta in sala operatoria, viene preparato il campo sterile: il paziente si trova in posizione

2.6 Vie d’accesso all’articolazione dell’anca

3.2.3 Complicanze locali tardive

• Mobilizzazione asettica

La mobilizzazione asettica continua ad essere una delle principali cause di fallimento della protesi d'anca ed è la più frequente causa di revisione nelle protesi non infette. I fattori che predispongono allo sviluppo di questo fenomeno sono:

- La mancanza di stabilità nell'immediato postoperatorio. - Lo scarso sviluppo di stabilità secondaria.

- La produzione di detriti, sia metallici che di polietilene. - La qualità dell'osso del paziente.

- Le alterazioni meccaniche e geometriche degli impianti con il possibile sviluppo di stress shielding. 


Dal punto di vista fisiopatologico si distinguono quattro stadi: GIR 1: mobilizzazione della protesi ma con osso circostante valido

GIR 2: mobilizzazione della protesi con escavazione dell’osso circostante GIR 3: mobilizzazione della protesi con perdita grave dell’osso circostante

GIR 4: mobilizzazione della protesi totale e gravissima perdita di osso (osteolisi) tale da rendere difficilissima la procedura di riprotesizzazione.

65 Inizialmente abbiamo dei micromovimenti (spostameno elastico della protesi, quindi recuperabile, presente durante il ciclo del passo); i micromovimenti sono inevitabili per la rigidità delle strutture a contatto, per la presenza di vincoli in grado di trasmettere solo sollecitazioni di taglio e di compressione; questi portano ad osteolisi secondaria a detriti. I detriti si generano nel corso del tempo e possono essere composti da polietilene, ceramica, cemento o metallo. Quando si verifica un fenomeno di corrosione o di una usura massiva di metallo si osserva la pigmentazione dei tessuti circostanti (soprattutto nelle protesi con accoppiamento metallo-metallo); questo fenomeno è definito “metallosi”. Queste particelle svolgono un’azione infiammatoria, mediata da macrofagi e cellule giganti che nel corso del tempo possono portare a osteolisi secondaria ed infine al fallimento dell'impianto 45. Un altro fenomeno che contribuisce alla mobilizzazione asettica è come già detto lo stress shielding. Una protesi non cementata scarica le forze provenienti dal bacino nella sua zona distale e in tal modo il segmento prossimale del femore risulta poco sollecitato andando incontro a riassorbimento e quindi a demineralizzazione dell'osso e questo può portare a perdita di stabilità meccanica. Contribuiscono all'instabilità e quindi, a lungo termine, alla mobilizzazione dell’impianto anche un overuse, un errato design protesico o una inesatta tecnica di inserzione.

• Ossificazione eterotopica

Si tratta di una calcificazione/ossificazione dei muscoli attorno all’anca per cui l’anca con la protesi diventa completamente rigida, facilmente visibile all’’Rx (Fig. 3.4). Fig. 3.4: Reperto radiografico di calcificazione eterotopica in paziente con protesi d’anca

66 Le ossificazioni eterotopiche sono una nota complicanza della chirurgia dell’anca; la loro incidenza varia dallo 0,6% al 90% dopo protesizzazione totale d’anca (PTA) e dal 18% al 90% nelle riduzioni e sintesi delle fratture acetabolari. La patogenesi sembra essere correlata a una combinazione di fattori sistemici e locali, inclusi il danno ai tessuti molli e l’iperincrezione di fattori di crescita morfogenetici dell’osso (BMP). Sebbene l’uso di routine di una profilassi contro le ossificazioni eterotopiche dopo PTA e nel trattamento cruento delle fratture di acetabolo non sia strettamente raccomandato, tale profilassi risulta invece essere essenziale nei pazienti considerati ad alto rischio. Le terapie più utilizzate per la profilassi delle ossificazioni eterotopiche sono gli anti infiammatori non steroidei, tra cui l’indometacina e il celecoxib, e la terapia radiante 46.

• Cicatrice

La permanenza di una cicatrice chirurgica è una conseguenza inevitabile di ogni chirurgia; nel caso di un accesso anteriore diretto, la cicatrice chirurgica cutanea è di dimensione ridotta (8-10 cm), con conseguente diminuzione della reazione cicatriziale dei tessuti; nel caso di un accesso posteriore la cicatrice è più lunga, ma essendo posteriore, risulterà meno evidente.

• Sintomatologia dolorosa post operatoria

Questa è una complicanza di difficile inquadramento diagnostico e soprattutto di difficile trattamento. Si può considerare dovuta a cause estrinseche o intrinseche. Le cause intrinseche includono le infezioni, le fratture da stress, il fallimento dell’impianto, la mobilizzazione dello stelo, le sublussazioni e l’impingment, mentre le cause estrinseche sono da ricollegare a dolori che provengono dalla colonna lombare, a dolori vascolari o neurogeni, a borsite o a non unione trocanterica (qualora si astata effettuata una sua osteotomia), a disfunzione dei nervi periferici, a tendiniti degli abduttori e dell’ileopsoas 47; Dolore in sede diafisaria, il cosi detto dolore di coscia, che permane per settimane dopo l’impianto, può essere attribuito ad un affondamento dello stelo di 1- 2 mm causato da microtraumatismi e favorito da sottodimesionamento dello stello; entra in diagnosi differenziale con la mobilizzazione dell’impianto, e si risolve autonomamente senza conseguenze cliniche.

67

4.1 Materiali e metodi

Dalla fine del mese di Luglio 2013 alla fine del mese di Aprile 2014, presso la Clinica Ortopedica I del Prof. Lisanti, sono stati eseguiti 163 interventi di sostituzione protesica d’anca in elezione, 73 pazienti di sesso maschile (44,78%) e 90 di sesso femminile (55,22%). L’età massima è risultata essere di 92 anni e quella minima di 28 anni, con una media di 67,06 anni.

La principale indicazione all’intervento in questa casistica è stata artrosi localizzata primaria dell’anca (119 pazienti, corrispondete al 73,00%); altre indicazioni sono state la necrosi asettica della testa e del collo del femore (14,1%), l’esito di varie lesioni traumatiche del femore (8,58%) , e 5% circa altre cause.(Fig.4.1)

La maggior parte di questi pazienti, 144, ovvero l’88,34%, ha subito un intervento per accesso postero laterale secondo la tecnica di Gibson-Moore modificata, e solo 19, cioè l’11,78%, per via anteriore diretta secondo tecnica di Smith-Petersen modificata; questi valori concordano con la premessa fatta per cui l’approccio postero laterale è quello tipicamente utilizzato presso la Clinica Ortopedica I, mentre l’anteriore è in fase di apprendimento. Infatti in accordo con la letteratura

Fig. 4.1: Incidenza delle indicazioni alla protesi d’anca nel campione preso in esame (a sn), nei pazienti operati per via anteriore diretta (in alto a dx), e nei pazienti operati

68 internazionale avendo eseguito solo 19 interventi in 8 mesi la tecnica risulta soggetta a curva di apprendimento.

In questo lavoro di tesi sono stati presi in considerazione tutti i 19 pazienti che sono stati operati con via di accesso Smith-Petersen modificata (gruppo A) e 19 pazienti chesono stati trattati utilizzando la via di accesso tipo Gibson-Moore (gruppo B) selezionati in modo random tra quelli affini per sesso, età e caratteristiche cliniche generali ai membri del gruppo A. L’equipe di sala non è sempre stata la stessa, ma il primo operatore è stato lo stesso in tutti gli interventi per via anteriore e in 15 dei 19 interventi per via postero laterale, mentre i rimanenti 4 sono stati eseguiti da un altro chirurgo esperto di via postero laterale.

Il gruppo di pazienti A è rappresentato da 10 femmine e 9 maschi; all’interno di questo gruppo di pazienti l’età massima è risultata essere di 78 anni, l’età minima di 36 anni e quella media di 64,73 anni; Il gruppo B è rappresentato anch’esso da 10 femmine e 9 maschi, con età massima di 79 anni, minima di 43 anni e media di 63,10 anni.

Tra i pazienti del gruppo A, 3 (15,79%), si sono operati per diagnosi di necrosi asettica della testa e del collo femorale, e 16 (84,21%) per quella di artrosi localizzata primaria dell’anca, mentre tra quelli del gruppo B, 2 (10,53%) per necrosi asettica e i restanti 17 (89,47%) per artrosi primaria (Fig. 4.1).

Follow up

I pazienti sono stati valutati con esami di laboratorio, scala Vas del dolore, questionari e visite ambulatoriali cercando di ottenere un follow up alla dimissione (T0), a 2 mesi (T1) e a 6 mesi (T2).

Per quanto riguarda gli esami di laboratorio, sono stati valutati i valori di emoglobina ricavati dagli esami emocromo di routine in fase preoperatoria e alla dimissione allo scopo di stimare la perdita ematica; qualora sia sopraggiunta anemia post chirurgica che abbia richiesto trasfusione, questa è stata segnalata.

Il dolore è stato valutato con la scala VAS chiedendo al paziente di esprimere con un punteggio la sua sintomatologia, considerando 0 l’assenza di dolore,10 un dolore insopportabile e 3 un dolore che richiedesse la somministrazione di analgesici; questo parametro è stato valutato alla prima giornata post operatoria, a distanza di 2 mesi e a distanza di 6 mesi.

69 I pazienti dei due gruppi sono stati valutati anche grazie a due sistemi di score clinici e funzionali: l’Harris Hip Score e lo WOMAC Score.

L’HHS si articola in 4 sezioni che possono determinare un punteggio massimo di 100 punti, che corrisponde ad un risultato eccellente:

1. Dolore, espresso in 4 voci e in grado di attribuire 0-44 punti

2. Capacità funzionale, espressa in 4 voci e in grado di attribuire 0-47 punti 3. Assenza di deformità, espressa in un'unica voce e in grado di attribuire 4 punti 4. ROM di flessione, abduzione, adduzione ed extrarotazione in grado di

attribuire 5 punti

Il dolore viene valutato come sintomatologia algica in sé, e come dolore alla deambulazione valutato in necessità di utilizzare ausili, grado di zoppia e autonomia di marcia.

La capacità funzionale viene analizzata nelle attività di indossare scarpe e calze, capacità di salire le scale, capacità di sedersi, e capacità di prendere i trasporti pubblici.

L’assenza di deformità prende in considerazione dismetrie inferiori a 3,2 cm, e la permanenza di vizi in flessione, intrarotazione e adduzione.

I ROM, come già detto valutano come già detto, i gradi di flessione, abduzione, rotazione esterna e adduzione, con un punteggio maggiore attribuito alla flessione. Il risultato di una protesi è ritenuto ottimo se vi è un incremento del HHS di > 20 punti con un esame Rx di impianto stabile oppure se l’HHS da un punteggio tra 90 e 100; altrimenti se

<70 si considera scarso se tra 70 – 79 mediocre se tra 80-89 buono48.

L’altro score dell’anca utilizzato è stato lo WOMAC score (Western Ontario and Universities McMaster Osteoarthritis index); si tratta di un questionario patologia- specifico che risulta essere uno strumento affidabile e valido per la valutazione dei paziente con osteoartrite di anca e ginocchio. Si articola in 24 domande divise in 3 sezioni: una di valutazione del dolore composta da 5 domande, una di valutazione della rigidità articolare composta di 2 domande, e una di funzionalità nelle attività

70 quotidiane composta da 17 domande. Ogni quesito consente 5 tipi di risposte: da assente (punteggio 0) a molto forte (punteggio 4).

Per questo i punteggi massimi sono 1. Dolore (0-20 pt)

2. Rigidità (0-8 pt) 3. Funzionalità (0-68 pt)

Negli ultimi anni si è reputato che la componente algica non sia adeguatamente valutabile con questo score, in quanto non permette di analizzare differenze modeste nel cambiamento della sintomatologia, per cui nello WOMAC 3.0 si è passati ad una valutazione del dolore di tipo analogico su una scala da 0 a 10 49. I punteggi delle singole domande vengono poi sommati per formare un punteggio grezzo che va da 0 (il peggiore) a 96 (il migliore). Infine, i punteggi grezzi sono normalizzati moltiplicando ciascun punteggio100/96. Questo produce un punteggio WOMAC segnalato tra 0 (peggiore) a 100 (migliore) 22.

I pazienti sono stati sottoposti alla valutazione mediante questi scores nel corso delle visite di controllo ambulatoriali di routine.

Sono state inoltre prese in considerazione le immagini radiografiche eseguite dai pazienti nel preoperatorio, al controllo ad 1 mese dall’intervento, nel controllo a due mesi e in quello a sei mesi. Queste sono state analizzate al fine di valutare il corretto posizionamento dello stelo in varo/valgo, il ripristino della geometria articolare (offset)(Fig.4.2), le dismetrie radiograficamente apprezzabili ed il corretto orientamento della componente acetabolare (Fig.4.3). E’ stata inoltre valutata la formazione di eventuali calcificazioni eterotopiche; queste possono essere classificate secondo la classificazione di Brokeer in 4 classi 50:

• Classe I: isole di osso all’interno dei tessuti molli intorno all’anca

• Classe II: speroni ossei della pelvi o dell’estremo prossimale del femore con circa 1 cm tra le due estremità

• Classe III: meno di 1 cm tra le due estremità • Classe IV: anchilosi ossea dell’anca

71 Fig. 4-2: Valutazione radiografica dell’offset

femorale

Fig. 4.3: Corretto angolo di inclinazione acetabolare

72

4.2 Risultati

• Dall’analisi dei tempi operatori è emerso un tempo medio per l’intervento per via posterolaterale di 78 minuti e un tempo medio per l’intervento in via anteriore di 126 minuti. (Fig.4.3)

Risulta evidente un picco nel 5° intervento in via anteriore; questo è da attribuire al verificarsi di frattura trocanterica intraoperatoria e al tempo necessario per il suo trattamento avvenuto mediante cerchiaggio.

• L’analisi dei valori di emoglobina pre operatori ed in 5 giornata non hanno evidenziato differenza statisticamente significativi (t student < 0,05).

Fig. 4.3: Tempi operatori: via posterolate rale in blu e via anteriore diretta in rosso. Fig. 4.4: Valori emoglobinici per e postoperatori in pazienti del gruppo A (nelle tonalità del rosso) e del

gruppo B (nelle tonalità

73 Riportiamo tuttavia un maggior ricorso alle emotrasfusioni nel gruppo A.

• Dall’analisi radiografica, abbiamo evidenziato inoltre 2 pazienti del gruppo A con sottodimensionamento dello stelo, 1 paziente del gruppo B.

L’assenza di dolore di coscia, e la non mobilizzazione delle componenti durante il follow up, ci fa pensare che questi reperti siano solo radiografici e non abbiano nessun riscontro clinico.

• Non abbiamo riscontrato differenze statisticamente significative nel posizionamento della componente acetabolare in termini di versione ed abduzione.

• Per quanto riguarda il riscontro di calcificazioni eterotopiche, non abbiamo avuto casi di calcificazioni tipo Brokeer 4 in nessuno dei 2 gruppi, e 1 solo caso di Brokeer 3 nel gruppo A, sintomatico.

Non è stata eseguita profilassi per le calcificazioni in nessuno dei due gruppi.

• La componente cotiloidea è stata fissata con viti in 2 casi del gruppo B ed in 1 caso nel gruppo A. Tale differenza non ha significato statistico.

• Per quanto riguarda il posizionamento dello stelo, riportiamo il posizionamento dello stelo femorale in varo (<3°) in 1 paziente del gruppo B e in 1 paziente del gruppo A.

• Riportiamo inoltre 2 complicanze chirurgiche maggiori nel gruppo A : 1 frattura intraoperatoria ed 1 ematoma.

• Per il gruppo B riportiamo 1 dismetria in plus di 1 cm.

• Tra le complicanze chirurgiche minori, riportiamo 4 casi di disestesia nel territorio di innervazione del nervo femoro cutaneo laterale, in pazienti del gruppo A. Calcificaioni Orientamento acetabolare Posizionamento stelo Alterato ripristino dell’offset Gruppo A 15,7% 10,52% 5,26% 0% Gruppo B 10,52% 5,26% 5,26% 0%

Tabella 4.1risultati radiografici in termini di calcificazioni e di anomalie nel posizionamento delle componenti

74 • Per quello che riguarda l’analisi dei dati ottenuti dalla scala VAS essi sono

risultati sostanzialmente sovrapponibili nei due gruppi.

• Di seguito riportiamo i risultati ottenuti mediante schede di valutazione HHS e WOMAC.

HHS

Fig. 4.5: (a)Risultati HHS nel gruppo A; (b)risultati WOMAC S nel gruppo A; (c) risultati HHS nel gruppo B; (d) risultati WOMAC S nel gruppo B; (e) confronto tra la media dei risultati

dell’HHS e dello WOMAC S a T0 a T2mesi ed a T6mesi nel gruppo A e

nel gruppo B ;

a b

c d

75

4.3 Analisi della letteratura

Esistono in letteratura vari studi di comparazione tra le due vie, volte ad analizzare i vari aspetti del perioperatorio e del post operatorio.

La via anteriore si è rivelata essere vantaggiosa soprattutto per quanto riguarda la funzionalità articolare nel postoperatorio; il maggior vantaggio della via anteriore consiste infatti nel minor danneggiamento dei tessuti molli.

Il risparmio muscolare risulta evidente sia conoscendo la tecnica chirurgica sia analizzando i livelli dei markers di infiammazione come l’IL-6, l’IL-1β, il TNFα, la proteina C reattiva e soprattutto i livelli dei markers di danno muscolare come la CK, in fase di pre-anestesia ed in prima e seconda giornata postoperatoria (senza trascurare la riduzione degli indici di flogosi determinata dall’assunzione di antinfiammatori/antidolorifici, inevitabile nel postoperatorio). Uno studio estremamente dettagliato del 2011, ha comparato questi parametri in pazienti operati secondo le due vie, con caratteristiche omogenee di sesso, peso, età, ma anche di risultati per Harris Hip Score, Womac score, e habitus, con l’intento di stimare l’invasività di questi due approcci. L’articolo che ne è stato tratto esclude anche l’assenza di significative differenze radiografiche fra i due gruppi, nonché le differenze riguardanti la perdita ematica e il conseguente decremento dell’emoglobina, i tempi di ricovero; riporta invece un relativamente significativo scarto tra i tempi operatori con una media di 118 minuti per la via posterolaterale rispetto agli 78 minuti per la anteriore, in contrasto con la maggior parte della letteratura, non specificando però l’esperienza dei team chirurgici per ciascuna delle vie, e differenze nell’estensione dell’incisione, 3 cm maggiore per la via posterolaterale. Con queste premesse, è emerso un valore di CPK 5,5 volte maggiore, un valore di PCR solo leggermente maggiore, e un valore di IL-6 due volte maggiore nei pazienti che hanno subito un intervento in accesso posterolaterale; l’analisi dell’IL-1β ha dato invece risultati significativi quando ne è stato valutato il suo decremento, molto maggiore al primo giorno postoperatorio nel gruppo die pazienti operati per via anteriore rispetto ai pazienti operati per via posterolaterale, mentre il TNFα, pur decrescendo nel primo gruppo, aumenta nel secondo. In conclusione la via anteriore diretta causa un minor danneggiamento muscolare rispetto all’esposizione posteriore 51.

76 Uno studio analogo condotto da Pilot e al. ha rilevato invece un incremento di IL-6, e della heart type fatty acid binding protein (H-FABP), un indice di danno muscolare, ma i livelli di innalzamento non possono dirsi significativi 52.

Questo aspetto della conservazione muscolare, è stato evidenziato anche in uno studio sperimentale in cui l’intervento di artroplastica è stato eseguito sulle anche di cadaveri freschi congelati; dopo l’intervento, le anche sono state dissezionate e il danno muscolare evidenziato mediante un software di acquisizione delle immagini in grado di rappresentare in modo cromatico il danno muscolare in termini di distruzione macroscopica rispetto al totale delle fibre muscolari; le conclusioni di questa sperimentazione hanno evidenziato una maggior conservazione delle fibre del gluteo medio durante l’approccio anteriore all’anca 53. Meneghini et al in un altro studio su cadavere hanno riportato inoltre un danno del gluteo minimo nell’8% dei pazienti operati per via anteriore rispetto ad un 18% di quelli operati per via posterolaterale 54.

E’ inoltre interessante l’analisi all’imaging; uno studio su 145 pazienti protesizzati trattati con i due differenti approcci, anche se solo 25 hanno infine accettato di partecipare alla fase di acquisizione delle immagini, sono stati valutati risonanza magnetica. Queste hanno dimostrato che la presenza di fluido nella borsa peritrocanterica e l’atrofia del gluteo medio e del gluteo minimo, era significativamente meno pronunciata e meno frequente nei casi di approccio anteriore 55.

L’escursione articolare e il ripristino delle attività della vita quotidiana risultano più rapide in questi pazienti rispetto a quelli che subiscono un approccio posteriore, come è stato valutato attraverso l’Harris Hip Score in uno studio prospettico randomizzato su 43 interventi in accesso anteriore e 44 in posterolaterale, valutati a 6 settimane, 3, 6 e 12 mesi 56.

Un altro vantaggio è quello della riportata minor incidenza di lussazioni rispetto alla via postero laterale, come afferma uno recentissimo studio in fase preliminare della George Washington University57; Siguier e al riportano un indice di lussazioni di 0.96% in 1037 anche 59, Matta et al un indice di lussazioni del 0.61% in 437 anche 59 , e Sariali et al un indice di 1.5% in 1374 anche a fronte di un indice3 di 1,2% nelle vie posteriori 60; questo aspetto è di facile comprensione se si considera la scarsa frequenza con cui, nella vita di tutti i giorni, un paziente si trova ad extraruotare l’anca, movimento adoperato per la lussazione durante l’intervento; c’è però uno studio a più lungo

77 follow up, che riporta un lievemente maggiore indice di dislocazione nei pazienti trattati in via anteriore (3,1 vs 2,4%) 61.

Tra i vantaggi si riporta anche una minor percezione del dolore nel breve termine, sia valutata con la scala VAS che come necessità di ricorrere all’uso di farmaci analgesici 62. Gli stessi risultati emergono dallo studio di Zawadasky e al che ha analizzato una coorte di 150 pazienti di cui 50 trattati per via posterolaterale, considerata tecnica di routine, 50 per via anteriore durante la fase di apprendimento di questo approccio e 50 una volta date per acquisite le competenze necessarie per eseguire l’intervento per via anteriore; da questo è emerso come l’85,7% dei pazienti del primo gruppo a fronte di un 44% del secondo e di un 30% del terzo sia ricorso ad analgesici per alleviare la sintomatologia dolorifica a 2 settimane dall’intervento, e ancora il 32% a fronte di un 8% e 2% rispettivamente, a 6 settimane dall’intervento 63.

Per la minor sintomatologia dolorosa e per la miglior articolarità recuperata, alla via anteriore si associa una capacità di abbandonare supporti alla deambulazione più rapida; a 6 settimane più dell’80 % dei pazienti trattati con intervento con accesso per via anteriore, indipendentemente dall’esperienza chirurgica, ha abbandonato le stampelle, a fronte di solo un 32% dei pazienti trattati per via posterolaterale; nello stesso studio si riportano anche risultati migliori nella capacità di salire le scale e di camminare senza limiti di tempo dopo sole 6 settimane nella via anteriore rispetto alla via postero laterale56. Questo risulta anche nel già citato studio di Zawadasky in cui sia la capacità di deambulare che quella di abbandonare precocemente supporti è risultata nettamente più favorevole nei pazienti trattati per via anteriore,