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Valutazione a breve termine di due differenti approcci chirurgici nella protesi d'anca: via anteriore diretta e via postero laterale.

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Academic year: 2021

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Introduzione

La sostituzione protesica dell’anca è stata definita dal Lancet come l’intervento del secolo. Questo intervento ha rivoluzionato la gestione dei pazienti anziani costretti altrimenti all’immobilizzazione, ed ha avuto ottimi risultati a lungo termine. Oggi, la chirurgia protesica dell’anca, rappresenta una speranza anche per i pazienti giovani, come mezzo per ripristinare la loro qualità di vita, che include in genere le attività fisicamente impegnative.1

I primi tentativi di sostituzione protesica risalgono alla fine dell’800; tali interventi ebbero risultati scadenti, principalmente legati alla qualità dei materiali utilizzati ed alla approssimazione chirurgica.

Nel 1938 Smith-Petersen introdusse una lega di cromo – cobalto (vitallium) e tale materiale, grazie alla sua resistenza e tollerabilità, diede una grande spinta alla ricerca in questo tipo di chirurgia.

La svolta epocale si ebbe però negli anni ’60 quando Sir John Charnley iniziò ad affrontare il problema dell’articolazione protesica basandosi su più precisi principi biomeccanici. E’ a questo chirurgo infatti che si riconosce la paternità della moderna chirurgia protesica con l’introduzione del polietilene al posto del teflon come superficie di scorrimento sulla testina metallica, il tutto saldamente ancorato all’osso con cemento (polimetilmetacrilato PMMA).

Cavalcando l’indiscusso successo di tale procedura chirurgica sul finire degli anni ‘70 ma soprattutto lungo il corso degli anni ‘80 si intensificarono le ricerche in campo protesico e moltissimi furono i modelli realizzati in questo periodo.

Allo sviluppo dei nuovi materiali è andato di pari passo la messa a punto di vari approcci chirurgici all’articolazione dell’anca. Ognuna di queste “vie d’accesso all’anca” è caratterizzata da propri vantaggi e svantaggi, richiedendo strumentari ed abilità tecniche differenti.

Questo lavoro svolto presso la I Clinica Ortopedica di Pisa diretta dal Prof. M. Lisanti, è volto a confrontare i risultati clinici e radiografici a breve termine tra l’accesso posterolaterale secondo Gibson-Moore modificato e l’accesso anteriore secondo Smith-Petersen.

A tale scopo, sono stati arruolati due gruppi omogenei di Pazienti sottoposi ad intervento chirurgico di protesi d’anca utilizzando le 2 differenti vie e sono stati

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2 raccolti dati clinici strumentali come i valori di emoglobina, il dolore, misurato con la scala VAS alla dimissione, a 2 mesi e a 6 mesi, e le capacità funzionali recuperate come escursione motoria e come abilità nelle attività quotidiane attraverso l’Harris Hip Score e lo WOMAC score. Sono stati inoltre valutati i risultati radiografici, le tempistiche operatorie e le eventuali complicanze.

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1.1 Anatomia normale dell’articolazione coxo-femorale

L’articolazione dell’anca è un’enartosi tra l’acetabolo dell’osso dell’anca e la testa del femore.

L’osso dell’anca (Fig. 1.1) è un osso piatto, pari e simmetrico formato dalla fusione di tre abbozzi delle ossa della cintura pelvica che risultano distinti e separati fino ai 10-16 anni: ileo, ischio e pube. Il punto di saldatura delle tre ossa corrisponde all’acetabolo, un’ampia cavità articolare emisferica che accoglie la testa del femore; rispetto a questa, l’ileo è posto superiormente, l’ischio posteriormente e il pube anteroinferiormente. Fig. 1.1: in alto: osso dell’anca visto lateralment e, in basso: osso dell’anca visto medialmen te

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4 Sul contorno dell’acetabolo è presente un rilievo circolare, il labbro acetabolare che amplia la cavità; questo presenta tre interruzioni nei punti di fusione delle tre ossa, la più evidente delle quali è quella tra ischio e pube e prende il nome di incisura dell’acetabolo. Il labbro acetabolare passa a ponte sull’incisura dell’acetabolo come legamento trasverso dell’acetabolo. Non tutta la cavità acetabolare entra in articolazione, in quanto è presente una fossetta acetabolare riempita da un cuscinetto adiposo, il pulvinar, e da cui origina il legamento della testa del femore, per cui risulta articolare solo la rimanente faccia semilunare, rivestita invece da cartilagine ialina. Al di sotto dell’acetabolo si trova il foro otturato, delimitato posteroinferiormente dall’ischio e superoanteriormente dal pube, delimitato quasi completamente dalla membrana otturatoria, fatta eccezione per la regione al di sopra del solco otturatorio a livello della branca superiore del pube, dove si forma il canale otturatorio, attraverso cui passa il fascio vascolonervoso otturatorio.

L’ileo è costituito da due parti, l’ala e il corpo, separati dalla linea arcuata visibile sulla sua faccia interna; la faccia interna presenta una concavità che alloggia il muscolo iliaco, posteriormente alla quale si trova la faccia auricolare, per l’articolazione con il sacro; la faccia esterna dell’ala iliaca presenta tre linee rugose, che dall’avanti all’indietro sono la linea glutea inferiore, la anteriore e la posteriore, sedi di inserzione dei muscoli glutei piccolo, medio e grande. Il margine superiore dell’ileo ha profilo ad S e prende il nome di cresta iliaca: presenta un labbro esterno, uno interno e una linea intermedia che è sede di inserzione per i muscoli larghi dell’addome. La cresta iliaca termina in avanti con una sporgenza palpabile, la spina iliaca anteriore superiore (A.S.I.S) e indietro con un altro rilievo, la spina iliaca posteriore superiore (P.S.I.S). Sotto le spine iliache superiori si trovano le omonime sporgenze inferiori A.I.I.S e P.I.I.S; al di sotto della A.I.I.S. si può apprezzare un’incisura, attraverso cui passa il muscolo ileopsoas, che termina a livello di una cresta smussa che prende il nome di eminenza ileopubica, punto di fusione col ramo superiore del pube.

Il pube è infatti costituito da un corpo, che è la porzione pubica che prende parte alla costituzione dell’acetabolo, un ramo inferiore, che contribuisce a formare il forame otturatorio e che si unisce all’ischio, e un superiore, che dall’eminenza ileopettinea si porta medialmente; il suo margine superiore prende il nome di cresta pettinea e termina con il tubercolo pubico, dal quale origina la cresta pubica che

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5 Fig. 1.2: a sn: femore visto anteriormente; a dx: femore visto

anteriormente

termina in corrispondenza della linea mediana, dove si trova la faccetta articolare sinfisaria per il ramo superiore del pube controlaterale.

Anche l’ischio è formato da un corpo, che partecipa alla costituzione dell’acetabolo, e da un ramo che si porta caudalmente fino ad una sporgenza, la tuberosità ischiatica, per poi portarsi in avanti e in alto per fondersi col ramo inferiore del pube; entrambe le componenti partecipano alla costituzione del forame otturatorio. Il corpo presenta sul margine posteriore una sporgenza, la spina ischiatica, al di sopra della quale è visibile la grande incisura ischiatica mentre al di sotto la piccola; i legamenti sacrospinoso e sacrotuberoso rendono queste incisure due fori.

La testa del femore (Fig. 1.2), è l’estremità più prossimale del femore, ed è un’eminenza che corrisponde a circa 2/3 di sfera rivestita da cartilagine ialina e che si articola con l’acetabolo dell’anca; presenta una fossetta, la fossetta della testa del femore, per l’inserzione dell’omonimo legamento. La testa termina in corrispondenza di un segmento cilindrico appiattito, il collo anatomico del femore; alla base del collo sono visibili due grossi rilievi: lateralmente e in alto il grande trocantere, inferiormente e medialmente il piccolo trocantere, uniti anteriormente dalla linea intertrocanterica e posteriormente dalla cresta intertrocanterica e separati medialmente dalla fossa trocanterica. Al di sotto del piccolo trocantere l’epifisi prossimale si continua con il collo chirurgico, che presenta, e quindi con la diafisi: questa forma con l’asse del collo femorale un angolo di inclinazione che nell’adulto risulta essere di

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6 125°.2 Il femore presenta anche un angolo di declinazione (o di antiversione), che può essere definito come quell’angolo che si costruisce tra l’asse del collo femorale e un piano passante per i due condili femorali; il valore medio di quest'angolo in condizioni normali è, nell'adulto, intorno a 10°-15°.3

La diafisi femorale presenta una sezione prismatico triangolare con una generale convessità anteriore pur potendo distinguere al suo interno, secondo la classificazionde di Noble del’1988, tre diverse conformazioni: normale, tubo di stufa, e flute da champagne.4

Si possono distinguere tre facce e tre margini; di questi, il laterale e il mediale sono smussi, mentre il posteriore, detto linea aspra, è rugoso e costituito da due labbri, accostati nella porzione media, ma divergono prossimalmente, e distalmente. Prossimalmente la biforcazione laterale forma la tuberosità glutea per l’inserzione del muscolo grande gluteo, mentre quella mediale forma la linea pettinea, inserzione del muscolo pettineo, mentre distalmente la biforcazione laterale e quella mediale delimitano la faccia poplitea e terminano a livello degli epicondili dell’estremità distale. Questa è infatti composta da due grosse masse convesse, i condili femorali, laterale e mediale, rivestiti da cartilagine, che si articolano con la tibia. In avanti si continuano con la faccia patellare per l’articolazione con la rotula, indietro sono separati da una profonda depressione, la fossa intercondiloidea, separata dalla faccia poplitea dalla linea intercondiloidea. Al di sopra dei condili si trovano infatti due rilievi, gli epicondili laterale e mediale, sedi di inserzioni ligamentose; al di sopra dell’epicondilo mediale si trova anche il tubercolo dell’adduttore, inserzione del muscolo grande adduttore, mentre tra condilo e epicondilo laterale è visibile il solco popliteo, sede di inserzione del muscolo omonimo.

L’articolazione è stabilizzata da varie strutture; i mezzi di unione sono (Fig. 1.3):

- la capsula articolare,. che si fissa sul contorno e sul labbro acetabolare mentre sul femore si fissa , anteriormente, sulla linea intertrocanterica, e posteriormente tra i 2/3 prossimali e il1/3 distale del collo anatomico. E’ costituita da fasci circolari profondi, e fasci fibrosi superficiali che formano tre legamenti:

legamento ileofemorale, che origina dalla porzione iliaca del contorno dell’acetabolo, e si porta sulla faccia anteriore della capsula per raggiungere il femore, dividendosi in due fasci, il fascio trasverso, che raggiunge il margine anteriore del grande trocantere, e il fascio discendente, che si porta alla parte più distale della linea intertrocanterica.

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7 Fig 1.3: articol azione coxo femora le con i suoi legame nti vista anterio rmente (in alto), posteri orment e (al centro) , lateral mente (in basso) legamento pubofemorale, che dal tratto pubico del margine dell’acetabolo

si porta davanti al piccolo trocantere.

legamento ischiofemorale, che unisce la parte ischiatica del margine dell’acetabolo alla fossa trocanterica, passando sulla faccia posteriore della capsula; alcune fibre della capsula, formano un’ansa che circonda il collo della femore formando un’ansa (zona orbicolare).

- legamento della testa del femore, un fascio fibroso intracapsulare rivestito dalla membrana sinoviale che dalla capsula si rilette ad avvolgerlo e a ricoprire i capi ossei; origina dalla fossetta del femore e si porta verso l’incisura dell’acetabolo e si fissa alla fossetta dell’acetabolo. Spesso nel soggetto artrosico, questo viene riassorbito e non è più apprezzabile.

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8 La stabilità articolare è data anche da:

- congruenza dei capi articolari (grazie al raggio di curvatura ridotto e alla presenza del cercine acetabolare)

- apparato muscolare

- forza di gravità, quando l’arto è in appoggio

- negatività della pressione endoarticolare rispetto alla pressione atmosferica - orientamento del collo femorale; l’articolazione è tanto più stabile quanto minore è l’angolo di antiversione.

1.2 Cenni di anatomia topografica dell’anca

Per comprendere le vie di accesso all’anca e le complicanze che ad esse possono far seguito, e che saranno successivamente trattate, è necessario fornire una visione topografica della regione dell’anca. Questa corrisponde alla radice dell’arto inferiore e si identifica come quell’area delimitata:

- in alto dalla cresta iliaca e dalla piega inguinale

- in basso e dorsalmente dalla piega gluteo-femorale (che corrisponde alla piega del grande gluteo)

- in basso e medialmente dalla piega femoro-perineale

- in basso e in avanti da una linea convenzionale che passa per l’apice del triangolo di Scarpa.

Vi si distinguono tre regioni: 1. regione glutea

2. regione inguino-femorale 3. regione otturatoria

La regione glutea è delimitata - prossimalmente dalla cresta iliaca - distalmente dalla linea gluteo-femorale

- medialmente dal margine laterale di sacro e coccige

- lateralmente da una linea verticale che va dalla S.I.A.S ad un punto tangente al grande trocantere e che corrisponde abbastanza esattamente al margine posteriore del muscolo tensore della fascia lata.

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9 cute: molto spessa, soprattutto nella regione ileo-costale o lombare.

tessuto sottocutaneo: ben rappresentato, con abbondante tessuto adiposo e nel quale decorrono vasi e nervi superficiali di pertinenza dei plessi lombare e sacrale

Spesso vi si trovano due borse sinoviali superficiali, la borsa trocanterica superficiale e la borsa ischiatica superficiale

fascia: origina dalla cresta iliaca e dal margine posteriore del muscolo tensore della fascia lata e si porta distalmente dividendosi in tre foglietti:

• il superficiale ricopre il m. grande gluteo e si continua con la fascia della coscia.

• il medio tappezza la faccia profonda del grande gluteo e si continua con la fascia superficiale.

• il profondo decorre sotto il muscolo medio gluteo e si assottiglia fino a residuare in non più che una lamina di connettivo lasso a livello del muscolo piriforme.

I tre foglietti sono tra loro connessi da tralci fibrosi.

strato sottofasciale: è lo strato in cui si localizzano i muscoli, ripartiti su due piani:

• piano muscolare superficiale: (Fig. 1.4)

♦ muscolo grande gluteo → un ventaglio che origina dalla parte posteriore della cresta iliaca, dalla linea curva posteriore dell’osso dell’anca e dalla superficie ossea situata dietro questa linea, dal legamento sacro iliaco posteriore, dalla fascia lombo sacrale, dalla cresta del sacro e del coccige e dalla faccia posteriore del legamento sacro-tuberoso, si porta distalmente e lateralmente, per andare ad inserirsi sulla linea aspra del femore (con un 20% delle sue fibre) e sul tratto ileo-tibiale del tensore della fascia lata ( con il restante 80%).

♦ muscolo medio gluteo → anch’esso a forma di ventaglio, posto sotto al precedente, prende origine dal labbro laterale della cresta iliaca nei suoi tre quarti anteriori, sulla porzione della superficie esterna dell’ileo compresa tra le due linee curve e dalla faccia profonda della fascia glutea media e si inserisce sulla faccia laterale del grande trocantere lungo una cresta rugosa che è obliqua dall’alto in basso e da dietro in avanti.

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10 • piano muscolare profondo:

♦ muscolo piccolo gluteo → ventaglio, più profondo del precedente, discende dalla parte anteriore della fossa iliaca esterna e si porta al margine anteriore del grande trocantere ♦ muscolo piriforme → muscolo triangolare che origina dalla faccia

anteriore del sacro, esce dal bacino passando per il grande forame ischiatico, e va a fissarsi al margine superiore del grande trocantere.

♦ muscolo gemello superiore → origina dalla faccia posteriore della spina ischiatica e termina sul margine superiore del tendine del muscolo otturatore interno.

♦ muscolo otturatore interno → origina dalla faccia interna della membrana otturatoria e dal contorno del forame otturatorio, e va ad inserirsi alla faccia mediale del grande trocantere.

♦ muscolo gemello inferiore → dalla faccia posteriore dell’ischio si porta al margine inferiore del tendine del muscolo otturatore interno, in modo analogo al gemello superiore.

♦ muscolo otturatore esterno o meglio, il suo tendine, che dalla faccia esterna della membrana otturatoria si porta alla fossa trocanterica.

♦ muscolo quadrato del femore → dalla superficie esterno dell’ischio si porta trasversalmente in fuori per fissarsi all’estremità prossimale del femore, lateralmente alla cresta intertrocanterica ♦ muscoli bicipite femorale (capo lungo), semimembranoso e

semitendinoso (i cosi detti muscoli ischiocrurali) → originano dalla faccia posteriore dell’ischio e terminano distalmente, rispettivamente sul condilo laterale della tibia, sul condilo mediale attraverso tre fasci muscolari e sull’epifisi prossimale della tibia. Al di sotto di fascia e muscoli superficiali, troviamo le arterie profonde, rami dell’iliaca interna:

- l’a. glutea superiore: decorre al di sopra del m.piriforme, emerge lungo la linea intertrocanterica superiore, si porta verso l’alto, dopo di che si divide in due rami, uno superficiale (che decorre tra medio e grande gluteo) e uno profondo (che decorre tra medio e piccolo gluteo).

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11 Fig:1.4 muscoli, vasi e nervi della regione glutea

- l’a. glutea inferiore: esce dal bacino per la parte inferiore del grande forame ischiatico; emerge sulla linea intertrocanterica inferiore e si dirige in basso per dividersi in rami posteriori e rami discendenti verso la faccia posteriore della coscia. - a. pudenda interna: esce dal bacino dal grande forame ischiatico, e si porta nella regione perineale.

Troviamo allo stesso livello anche il sistema delle vene profonde:

- il plesso venoso profondo: costituito da due vene per ciascun’arteria profonda. Sono presenti inoltre i nervi profondi:

- n. gluteo superiore: ramo del plesso sacrale, decorre lateralmente all’a. glutea superiore, passa tra il muscolo grande e medio gluteo innervandoli, per poi terminare nel muscolo tensore.

- n. gluteo inferiore: decorre assieme all’a. glutea inferiore, innerva il muscolo grande gluteo e la cute e, discende verticalmente lungo la faccia posteriore della coscia.

- n. ischiatico: esce dal bacino dalla porte inferiore del grande forame ischiatico, al di sotto del muscolo piriforme, lateralmente sia alla a. glutea inferiore che alla a. pudenda; si porta a livello della tuberosità ischiatica per poi portarsi nello stato cellulo adiposo sottogluteo, al di sotto del muscolo grande gluteo discendendo

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12 quindi lungo la faccia posteriore della coscia seguendo il solco intertrocanterico e incontrando i muscoli gemello superiore, otturatore interno, gemello inferiore e quadrato del femore. - n. pudendo interno: è un ramo del plesso pudendo che decorre al di sotto del muscolo piriforme, raggiunge la fossetta ischiorettale e si divide nei suoi rami terminali.

piano scheletrico: costituito, dal basso in alto, da - grande trocantere con la sua fossetta trocanterica - faccia posteriore del collo del femore

- faccia posteriore della capsula articolare - osso dell’anca

La regione inguino-femorale è rappresentata dall’insieme delle parti molli che si dispongono al davanti dell’articolazione coxo-femorale ed è delimitata :

- prossimalmente dalla piega inguinale

- distalmente da una linea orizzontale che passa per l’apice del triangolo di Scarpa, ovvero il punto in cui il muscolo sartorio incontra il muscolo adduttore lungo

- in profondità si estende fino all’osso dell’anca e all’articolazione coxofemorale.

Tra i piani costitutivi troviamo:

cute: sottile e mobile tranne in corrispondenza della piega inguino femorale in cui è intimamente adesa al legamento inguinale.

connettivo sottocutaneo: costituito da pannicolo adiposo, rappresentato in modo variabile, e da una fascia superficiale nettamente divisa in due lamine fra i quali decorrono vasi e nervi superficiali:

o a. epigastrica superficiale, che contorna il legamento inguinale e che scompare nella regione inguino-addominale

o a. pudenda esterna superiore, che si porta trasversalmente verso pube e scroto

o arteriole che si diramano dalle arterie suddette.

o vene superficiali: omologhe delle arterie. Si aggiungono anche altre vene tra cui la principale è la vena grande safena che occupa la parte infero mediale della regione e raggiungere l’ostio safeno femorale a circa 3-4 cm dal legamento inguinale

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13 o ramo del n. ileoipogastrico, che, una volta attraversato il canale

inguinale, raggiunge la regione genitale

La fascia si porta dal muscolo tensore della fascia lata al sartorio, lo avviluppa fino alla sua inserzione per poi sdoppiarsi a livello del canale femorale per rivestire con un foglietto i muscoli psoas e pettineo e poi raggiungere l’adduttore lungo, e con l’altro raggiunge il muscolo adduttore lungo, risultando sospesa sulle pareti del canale femorale, attraversata dai vari vasi e nervi perforanti prendendo il nome di lamina cribrosa.

stato sottofasciale: rappresentato dal piano muscolare (Fig. 1.5): • piano muscolare superficiale:

♦ muscolo tensore della fascia lata → dalla spina iliaca antero- superiore e dall'estremità anteriore della cresta iliaca. I suoi fasci muscolari, che decorrono lateralmente rispetto allo scheletro

Fig.1.5: Regione anteriore dell’anca e della coscia nel piano muscolare sottofascia le e nel piano profondo

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14 della coscia, si inseriscono in un lungo tendine che si fonde con la fascia lata formando un ispessimento, detto tratto ileotibiale. Quest'ultimo prosegue in basso inserendosi al condilo laterale della tibia.

♦ muscolo sartorio → dalla spina iliaca anteriore superiore si inserisce sulla superficie mediale dell'epifisi prossimale della tibia per mezzo di un tendine comune ai muscoli gracile e semitendinoso, il quale, per la sua forma, prende il nome di "zampa d'oca".

♦ muscolo adduttore lungo → dal ramo superiore del pube, inserisce sulla linea aspra femorale.

♦ muscolo gracile → collega il ramo superiore del pube, lateralmente alla sinfisi pubica, all'estremo superiore della faccia mediale della tibia, in profondità rispetto all'adduttore breve e all'adduttore lungo.

• piano muscolare profondo:

♦ muscoli retto femorale e vasto laterale → collocati più lateralmente, due dei quattro capi del quadricipite, insieme a vasto mediale, e vasto intermedio, e hanno rispettivamente origine dalla spina iliaca anteriore inferiore e dalla parte laterale del grande trocantere. Questi quattro capi si fondono apparentemente in un unico tendine comune, che si inserisce sulla rotula.

♦ muscoli ileopsoas e pettineo → collocati più medialmente, a livello del triangolo di Scarpa.

Il muscolo ileopsoas → è formato dal grande psoas che prende origine dalle arcate fibrose che uniscono le superfici laterali dei corpi delle prime quattro vertebre lombari e dell'ultima toracica e dai dischi intervertebrali interposti. Origina inoltre dai processi costiformi delle prime quattro vertebre lombari, determinando così due strati, uno anteriore e uno posteriore, tra i quali è posto il plesso lombare. I fasci decorrono parallelamente alle vertebre lombari, fino alla fossa iliaca; il muscolo iliaco ha forma di ventaglio ed origina dalla fossa iliaca e dall'ala del sacro.

I fasci muscolari passano al disotto del legamento inguinale, occupando la lacuna dei muscoli ed andando ad inserirsi sul

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15 tendine del muscolo grande psoas e quindi sul piccolo trocantere del femore.

Il muscolo pettineo → origina dal tubercolo pubico, dalla faccia anteriore del ramo superiore del pube, dalla cresta pettinea, dal legamento pubofemorale e dalla fascia che lo ricopre. I suoi fasci si dirigono lateralmente e in basso per inserirsi sulla linea pettinea del femore.

Profondamente possiamo trovare ulteriori strutture vascolo-nervose:

- a. femorale, continuazione della a.iliaca esterna; si estende dal punto medio del legamento inguinale all’anello del grande adduttore, e da qui fino alla parte posteriore del condilo mediale del femore. Decorre medialmente alla vena femorale e lateralmente alla benderella ileo-pettinea, che la separa dal nervo femorale. Nel suo decorso, stacca rami collaterali, tra cui l’epigastrica superficiale e la pudenda esterna superiore, l’a. del quadricipite, la femorale profonda e le circonflesse laterale e mediale del femore. L’arteria circonflessa mediale del femore decorre fra i muscoli ileopsoas e pettineo, circondando la parte anteriore del collo del femore; la circonflessa laterale, passa dietro al sartorio e al retto del femore e si dirige lateralmente. (Fig. 1.5)

- vena femorale, che aderisce intimamente all’arteria e che stacca vene satelliti ai rami dell’arteria.

- linfonodi inguinali profondi,

- nervi profondi, rami del plesso lombare: n. femoro cutaneo laterale, a decorso laterale, emerge dal grande psoas e decorre al di sotto del legamento inguinale, tra le due spine iliache A.S e A.I., portandosi a 2 cm circa dalla faccia profonda del muscolo sartorio, raggiungendo il sottocute della regione laterale della cute staccando un ramo gluteo e uno femorale; n. genitofemorale, nella sua componente femorale; che perfora la fascia cribrosa per poi innervare la cute anterosuperiore della coscia; n. femorale, a decorso mediale, che origina livello lombare, scende in basso verso il grande psoas e passa al di sotto del legamento inguinale raggiungendo la lacuna neuromuscolare insieme al muscolo ileopsoas dove stacca 4 rami terminali che si portano immediatamente nella regione anteriore: il n. muscolo cutaneo laterale e il muscolo cutaneo mediale, n. del quadricipite e n. safeno interno.

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16 piano scheletrico: costituito da

- margine anteriore dell’osso dell’anca

- piano anteriore dell’articolazione coxo femorale

La regione otturatoria è costituita dall’insieme delle parti molli situate esternamente al forame otturato compresa profondamente tra

- lateralmente: il lato mediale dell’articolazione dell’anca - medialmente: il ramo discendente del pube

- in avanti: il ramo orizzontale del pube - posteriormente: tuberosità dell’ischio e superficialmente tra

- anteriormente: il margine anteriore del muscolo gracile

- posteriormente: il margine mediale del muscolo grande adduttore - prossimalmente: la piega femoro perineale

- distalmente: una linea trasversale che corrisponde alla continuazione sulla faccia mediale di quella linea che passando per l’apice del triangolo di Scarpa che delimitava la regione inguino-femorale.

Per quanto invece riguarda i piani costitutivi si posso rilevare: cute

sottocute fascia

stato sottofasciale: rappresentato dal piano muscolare

• muscolo gracile e muscolo grande adduttore → entrambi dal ramo ischio-pubico discendono medialmente nella coscia.

• muscolo adduttore breve → dal corpo e dal ramo discendente del pube si porta verso la linea aspra.

• muscolo otturatore esterno → più profondo, dalla benderella sottopubica, dalla faccia anteriore del corpo del pube e dai due rami del pube e dal ramo ascendente dell’ischio alla fossa trocanterica del femore.

piano scheletrico: costituito da - contorno del forame otturatorio

- membrana otturatoria e benderella sottopubica che la rinforza ( e che origina dal legamento trasverso dell’acetabolo). 5

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17 L’articolazione dell’anca è dotata di un ampio range di movimento:

sull’asse coronale: flessione → 0° - 120° estensione → 0° - 30° sull’asse sagittale abduzione → 0° - 45° adduzione → 0° - 30° sull’asse longitudinale intrarotazione → 0° - 30° extrarotazione → 0° - 45° Fig. 1.6: Range of Movement dell’articolazione dell’anca

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1.3 Biomeccanica

1.3.1 Biomeccanica dell’articolazione coxo-fmorale

La conoscenza di alcuni cenni di biomeccanica dell’anca, è importante sia ai fini della progettazione dell’intervento in termini di selezione dei componenti, sia al fine di indirizzare il paziente ai più adeguati comportamenti da tenere nel post

operatorio.

L’articolazione coxo femorale è una enartrosi, la cui stabilità è garantita da una corrispondenza tra i capi articolari, dai legamenti e dal sistema muscolare. Nonostante la stabilità, si tratta di un’articolazione dotata di grande mobilità, garantita dai sistemi muscolari di flessione, estensione, adduzione, abduzione, intrarotazione ed extrarotazione (Tab.1.1).

Sull’anca si può assumere che venga caricato tutto il peso del corpo (fatta eccezione per il peso dell’arto ipsilaterale, che si può assumere essere 1/6 del peso corporeo). Nel caso dell’appoggio bipodalico il peso viene ugualmente distribuito su FLESSIONE Fissazione del bacino:

muscoli addominali

Ileopsoas, retto femorale, sartorio, pettineo, tensore fascia lata, fascia anteriori di piccole e medio gluteo, parte anteriore del grande adduttore, adduttore breve, adduttore lungo, gracile ESTENSIONE Fissazione del bacino:

muscoli esterno del tronco

Grande gluteo, mm ischio crurali, fasci posteriori del medio gluteo, grande adduttore

ABDUZIONE Fissazione del bacino: muscoli flessori omolaterali del tronco

Medio gluteo, fasci superiori del grande gluteo e fasci posteriori del piccolo gluteo, tensore della fascia lata, sartorio, retto femorale, piriforme

ADDUZIONE Fissazione del bacino: muscoli flessori controlaterali del tronco

Mm adduttori, pettineo, gracile, fasci inferiori del grande gluteo

ROTAZIONE ESTERNA

Fissazione del bacino: muscoli rotatori omolaterali del bacino (obliquo esterno omolaterale e obliquo interno controlaterale)

Grande gluteo, mm pelvi trocanterici, medio gluteo posteriore, capo lungo del bicipite femorale, adduttori anteriori, pettineo, sartorio

ROTAZIONE INTERNA

Fissazione del bacino: muscoli rotatori

controlaterale del bacino (obliquo interno

omolaterale e obliquo esterno controlaterale)

Tensore della fascia lata, piccolo gluteo, fascio anteriore del medio gluteo, parte posteriore del grande adduttore

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19 entrambe le articolazioni, supponendo che il baricentro cada in prossimità della sinfisi pubica. Nel caso invece di appoggio monopodalico, il peso graverà solo sull’articolazione d’appoggio e il baricentro si abbasserà; il worst case (situazione in cui i carichi sono massimi sarà rappresentato dall’appoggio monopodalico durante la corsa in cui si stima che il peso che grava sulla coxofemorale sia di circa 7,6 volte il peso corporeo.

Quando il soggetto è in posizione eretta si può considerare la forza peso corporea (W), cioè come la forza peso meno il peso dell’arto, applicata alla 5° vertebra lombare, e da qui trasmessa alle articolazioni sacroiliache, all’ileo e all’ischio, al centro delle teste femorali e poi alle tibie e ai piedi; la forza peso dell’arto (W1)è invece applicata al centro della testa del femore. Il raggio della testa femorale viene posto pari a 2 cm circa, mentre l’emibacino si può considerare largo 17 cm circa, con una distanza tra la testa femorale e il punto corrispondente a centro di gravità di circa 4 cm, che corrisponde al braccio della forza peso rispetto al centro della testa del femore (B).

Nel bilancio delle forze si considera anche una forza di reazione muscolare (M), che è diretta dal grande trocantere al centro della testa femorale, e che per semplicità si può considerare applicata tangenzialmente alla superficie dell’articolazione ed inclinata, in caso di appoggio monopodalico, di 45° rispetto all’asse y verticale. 6

Teorizzando un modello di distribuzione delle forze, si considera quindi:

W

= il peso del corpo meno il peso dell’estremità ipsilaterale (si può approssimare a 5/6 del peso corporeo) e

W1

= il peso dell’arto

M

= forza dei muscoli abduttori. Questi muscoli devono esercitare un momento uguale per tenere il bacino stabile quando c’è la situazione di carico monopodalico, e un momento maggiore per inclinare il bacino dalla stessa parte durante la deambulazione.

R

= forza di reazione dell’articolazione, (può raggiungere 3-6 volte il peso corporeo) e si definisce come la forza generata dall’articolazione in risposta alle forze che agiscono sull’articolazione stessa. In particolare, è il risultato del bilanciamento tra il momento angolare del peso del corpo e la forza esercitata dagli abduttori. Si deve considerare che ad R si contrappone una forza uguale e contraria che corrisponde

(20)

20 alla spinta proveniente dall’urto del piede contro il terreno (R1); ha direzione obliqua e sviluppa una forza di taglio, che spinge la testa femorale all’interno dell’acetabolo, e che ha verso ed intensità opposti ad Rx, ed una forza di pressione, di intensità e verso opposti ad Ry.

A

= lunghezza del braccio di leva della forza abduttoria (M)

B

= lunghezza del braccio di leva del peso corporeo (W)

Per braccio di leva abduttorio si intende la distanza tra centro di rotazione femorale e apice del grande trocantere, mentre quello del peso corporeo corrisponde all’embacino.

Il centro di rotazione di una anca normale si considera essere il centro dell’acetabolo. La distanza invece tra osso diafisario del femore e il centro di rotazione femorale ha un range che va da 31 a 44 mm, variando con le dimensioni del femore e prende il nome di offset femorale. 7

Poiché il rapporto tra la lunghezza del braccio di leva del peso corporeo e quello della muscolatura abduttoria è di circa 2.5-1, i muscoli abduttori, devono esercitare una forza pari a circa 2,5 volte il peso corporeo. Analizzando questo sistema di forze,

(21)

21 si ha una prima equazione dovuta all’equilibrio del bacino che impone che la somma dei momenti agenti sull’articolazione rispetto ad O sia nulla:

M x A + W x B= 0 per cui, risolvendo per M

M= -W x (B/A)

Per semplicità indichiamo il rapporto B/A con

k

, che per un uomo standard è circa 2,5-1, e se si considera comunque che A è sempre sicuramente un numero < di B, si deduce che la forza muscolare M è sempre un multiplo del peso corporeo W.

Complessivamente sull’anca gravano carichi estremamente elevati e ciclici, nelle strutture ossee queste sollecitazioni possono indurre risposte di rimodellamento.

La forma del femore e l’orientamento delle trabecole nella metafisi ed epifisi indicano che il carico più importante sulla testa femorale agisce sul piano frontale; nei movimenti invece di salita delle scale o acquisizione della posizione in piedi da quella seduta, le forze relative del peso corporeo agiscono sulla superficie anteriore della testa femorale.

I fattori che influenzano l’entità e la direzione di queste forze di compressione agenti sulla testa femorale sono la posizione del centro di gravità e il braccio di leva dei muscoli abduttori, che è funzione dell’anglo di inclinazione tra asse del collo e diafisi; una riduzione del braccio di leva dei muscoli abduttori (come nella coxa valga, nelle patologie che determinano diminuzione dei diametri della testa e nella displasia congenita dell’anca), fa sì che vi sia un aumento dell’attività muscolare e quindi della forza risultante articolare R. L'aumento del rapporto tra braccio di leva del peso corporeo e quello degli abduttori che ne deriva, può determinare una tipica caduta nel bacino dal lato controlaterale durante la deambulazione segno di Trendelemburg) per la trazione effettuata dagli abduttori, con conseguente difficoltà alla deambulazione corretta.

Per quanto riguarda le deformazioni su femore sano, si approssima la testa ad una semisfera e il corpo ad un cilindro, e si considera la testa costituita da osso spongioso e il corpo costituito da osso compatto; le forze che gravano sulla testa, agiscono sia sull’asse x che su quello y poiché il centro di gravità corporeo è posteriore rispetto all'asse dell'articolazione. Per calcolare la deformazione sull’osso sano, si considera la

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22 tensione applicata sul piano radiale e su quello verticale, Rx ed Ry, considerando un angolo α estremo (45°).

1.3.2 Biomeccanica dell’anca protesica

Attraverso i suoi studi biomeccanici, Charnley elaborò un nuovo concetto di bilancio delle forze caratterizzato dall’idea di accorciare il braccio di leva del peso corporeo attraverso l'approfondimento dell'acetabolo e di allungare il braccio di leva del meccanismo abduttore lateralizzando il grande trocantere. Cosi facendo il momento prodotto dalla forza W risultava diminuito, ed essendo ad esso proporzionale, anche il momento esercitato dalla forza muscolare M; diminuiva in questo modo anche la forza R, che corrisponde in pratica alla forza esercitata sulla testa femorale. Il principio della riduzione del carico di forze gravanti sulla testa, ottenuta mediante medializzazione dell’acetabolo, è ormai stato sostituito da quello di conservazione piuttosto dell’osso pelvico, secondo i moderni concetti di preservazione del bone stock; inoltre, per assicurare un adeguato ancoraggio e longevità all’impianto, è meglio evitare una medializzazione del femore e mantenere un adeguato offset senza allentare troppo la tensione della muscolatura abduttoria (naturalmente procedendo anche ad un rinforzo post operatorio della muscolatura stessa)9. Ancora attuale è invece il concetto di lateralizzazione del trocantere, la cui posizione dipende dalla lunghezza di testa e collo, dall’inclinazione del collo e dall’utilizzo di sistemi modulari, più che dalla sua osteotomia e resezione, che può talvolta risultare difficoltosa.8

Lo studio delle deformazioni, nel caso di una sostituzione protesica, tiene in considerazione che i carichi vengono trasmessi dalla protesi all’osso e generano in quest’ultimo una distribuzione di tensioni nettamente diversa da quella fisiologica, che dipende dalla configurazione geometrica della protesi, dalle caratteristiche meccaniche dei materiali e dal sistema dei vincoli. La vita di una protesi dipende dall’andamento del processo di interazione fra le due diverse entità: l’osso e la protesi, la cui struttura meccanica è notevolmente sollecitata dall’ambiente e dall’entità di carichi ciclici.

Su una protesi, le forze che agiscono sul piano sagittale spingono lo stelo posteriormente; queste sono aumentate quando l'anca flessa è sottoposta a carico, come nell’atto di sedersi o alzarsi;

(23)

23 durante il ciclo della deambulazione le forze sono dirette contro la testa femorale protesica con un angolo compreso tra i 15 e i 25 gradi, anteriormente al piano sagittale della protesi;

salendo le scale o sollevando la gamba estesa, la forza è applicata ad un punto ancora più anteriore della testa.

Queste forze sono responsabili in generale di una deformazione posteriore o una retroversione della componente femorale. Brand et al. hanno misurato queste cosiddette forze “out-of-plane” pari a 0.6-0.9 volte il peso corporeo.

Se si suppongono sottoposti ai medesimi carichi, sia in direzione radiale (asse y) che in direzione assiale (asse x), le deformazioni si trovano semplicemente dividendo gli sforzi per gli opportuni moduli elastici, specifici per ogni materiale.

La distribuzione delle sollecitazioni che una particolare protesi realizza nell’osso nel periodo iniziale di vita dell’impianto, e che usualmente è assunta come indice del grado di stabilità di quest’ultimo (stabilità primaria), viene profondamente modificata a causa del rimaneggiamento dell’osso e delle variazioni dell’assetto biomeccanico generale (stabilità secondaria). Dato che il raggiungimento di un’integrazione totale è a tutt’oggi una meta irraggiungibile, dando però per acquisita la biotollerabilità dei materiali, lo scopo degli studi biomeccanici della protesica d’anca consiste nell’ottimizzare gli impianti, individuando soluzioni che

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24 generino una distribuzione delle tensioni tali da assicurare un ancoraggio stabile per il maggior tempo possibile.

Sono quindi fondamentali gli studi di dimensionamento delle componenti protesiche, calcolando di queste:

- raggio di base e altezza dello stelo, considerando che il braccio della forza dominante su questa componente è quella verticale perché agente su un’area molto piccola

- raggio della semisfera della testina, molto sollecitata dalla reazione radiale, con la forza verticale coinvolta solo nella stabilizzazione

- spessore dello strato polimerico del cotile

- spessore dello strato metallico della coppa acetabolare.

Conoscendo quindi il peso corporeo, il diametro femorale, la lunghezza del femore, il raggio della testa femorale, la lunghezza dell’emibacino, la costante E del materiale della protesi, e studiando la distribuzione delle forze sulle varie componenti, sarà possibile stabilire le dimensioni delle componenti, considerando che esse vadano incontro a deformazioni pari a quelle che subirebbe l’intera struttura ossea integra se fosse soggetta allo stesso stress.

Un altro aspetto d’interesse biomeccanico nella protesi d’anca risulta essere relativo all’usura che caratterizza l’accoppiamento testina e del cotile protesico, corpi a contatto soggetti a moto relativo; questa sarà funzione della pressione di contatto, di un coefficiente di usura che è proprio di ogni materiale, dell’area di contatto tra le superfici e dal tempo. 6

In realtà questi concetti sono ancora scarsamente definiti e tutt’oggi oggetto di studio, e spingono la ricerca verso nuovi materiali e nuovi disegni delle componenti; sono soprattutto recente oggetto di studio le teste di grande diametro, gli steli piatti che permettono una maggiore conservazione ossea (bonestock), e i vari sistemi di osteointegrazione non cementati.

Si può concludere sottolineando come un buon risultato protesico sia il risultato di precisi equilibri biomeccanici, responsabili non solo di una buona cinematica articolare, ma capaci anche di garantire stabilità all'impianto 9, e di ridurre al minimo il consumo delle componenti; la riduzione delle sollecitazioni in componenti protesiche per ridurre al minimo il rischio di fallimento può essere realizzata solo attraverso l'analisi sistematica di tutti i componenti della ricostruzione.

(25)

25

1.4 Indicazioni alla chirurgia protesica dell’anca

Escludendo per il momento il paziente traumatizzato, il principale obiettivo della sostituzione totale dell’anca è quella di alleviare il dolore, la rigidità e la limitazione funzionale che affliggono il paziente affetto da patologia degenerativa dell’anca. Il ricorso alla sostituzione articolare è comunque generalmente da prendere in considerazione quando il trattamento conservativo, fisioterapico o medico non sia più in grado di gestire la sintomatologia algica o quando la limitazione funzionale sia tale da determinare una notevole peggioramento della qualità della vita; tra i trattamenti conservativi, rivestono un ruolo significativo l’utilizzo di condroprotettori, di infiltrazioni con steroidi e anestetici o ialuronati (il cui ruolo nella coxartrosi è però dibattuto), e l’uso di supporti alla deambulazione come bastoni o stampelle che alleggeriscano il peso che grava sull’articolazione stessa. Da tenere in considerazione è anche il vantaggio che possono trarre da una riduzione del peso corporeo i pazienti obesi.

Di seguito tratterò brevemente le principali malattie degenerative dell’anca che possono richiedere una sostituzione protesica.

Farò infine anche un accenno alla protesica nel traumatizzato nel quale l’obiettivo della sostituzione protesica è quello di trattare la frattura e permettere una mobilizzazione ed uno status funzionale il più vicino possibile a quello precedente al trauma.

a) Coxartrosi

La coxartrosi o artrosi dell’anca è una patologia cronica caratterizzata da lesioni degenerative e produttive a carico del tessuto cartilagineo, e si può distinguere distingue in primaria e secondaria in base all’eziologia.

Le lesioni di tipo regressivo avvengono nelle zone di maggior carico (almeno inizialmente), e sono caratterizzate macroscopicamente dalla perdita di levigatezza della cartilagine, dalla fibrillazione della cartilagine e dalla necrosi dei condrociti negli starti superficiali microscopicamente. La progressione delle lesioni condrali può diventare tale da mettere a nudo l’osso subcondrale. Le lesioni produttive interessano invece le zone periferiche, quelle non sottoposte a carico, e sono rappresentate essenzialmente dalla produzione di cartilagine con successiva ossificazione dando forma ai cosidetti osteofiti. Anche l’osso subcondrale risulta alterato e può presentare quattro tipi di alterazione: la sclerosi, per aumento di

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26 spessore delle trabecole nelle zone sottoposte a carico; i geodi, cioè pseudocisti riempite di sostanza fibrosa o mucoide, di volume variabile, che si localizzano in quelle zone di maggior carico dove sono presenti forze di compressione; l’eburneazione, ovvero l’ispessimento dell’osso dopo che la cartilagine è andata completamente distrutta; gli osteofiti, formati da osso spongioso rivestito fibrocartilagine, che si formano in quelle zone non sottoposte a carico, soprattutto a livello della giunzione condrosinoviale ( dove sono presenti forze di trazione) o nella cavità articolare. (Fig.1.9)

Parallelamente alle lesioni condrali, si determina anche una reazione da parte della membrana sinoviale che va incontro a edema, congestione, sinovite e ipertrofia villosa. La capsula va incontro ad ispessimento e fibrosi, compromettendo la capacità di movimento. I muscoli a causa della progressiva riduzione della motilità dell’articolazione colpita vanno incontro ad ipotrofia regionale.10

La forma primitiva non ha un’eziologia chiara, riguarda un’articolazione indenne da altri processi patologici, ed è la forma più diffusa; interessa prevalentemente le donne in rapporto 4:1 con gli uomini ed esordisce in genere dopo i 50 anni; uno studio italiano su 800 soggetti di oltre 65 anni, ha evidenziato osteoartrosi nell’81% del campione con una prevalenza del 7,7% di coxartrosi. Pur essendo meno frequente rispetto ad altre localizzazioni, risulta associata ad una disabilità nettamente maggiore.11

(27)

27 La forma secondaria può essere invece conseguente a displasie (es. displasia congenita dell’anca), dismorfismi (es. coxa vara, coxa valga, coxa profunda), traumi, sovraccarico funzionale (legato ad età, attività lavorative o sportive), obesità, artriti, malattie del connettivo (es M. di Paget).

Le forme secondarie riguardano articolazioni già soggette ad una patologia, sono quelle che possono essere responsabili di quel 5% dei pazienti artrosici che sono giovani. 12

Tra le forme particolari di coxartrosi secondaria, si ricorda quella secondaria a displasia congenita dell’anca. Tralasciando la descrizione ed il trattamento di questa patologia nell’infanzia e nella giovinezza, quello che spesso esita da questa malformazione congenita è una coxa valga, cioè con un’alterazione del femore caratterizzata da un aumento dell’angolo di inclinazione del collo femorale, quasi sempre associata ad un aumento dell’angolo di declinazione per cui si parla di coxa valga e antiversa. L’alterazione anatomica e biomeccanica che ne consegue determina una precoce usura cartilaginea con conseguente coxartrosi secondaria. Il generale, il sintomo principale dell’artrosi è il dolore: nelle prime fasi si localizza nella regione inguinale e si manifesta solo nei movimenti in cui si ha incremento del carico sollecitazioni prolungate mentre scompare col riposo; successivamente si propaga alla faccia anteriore o mediale della coscia fino al ginocchio e tende a diventare continuo; la sintomatologia algica deriva dalla la flogosi della membrana sinoviale, dal versamento articolare, dall'edema del midollo osseo e dalla presenza degli osteofiti (per l'innervazione neurovascolare, proveniente dall'osso, che penetra all'interno degli osteofiti stessi). L’altro sintomo è la limitazione funzionale, nell’ordine, dell’intrarotazione, dell’abduzione, dell’extrarotazione, dell’adduzione e, ultima ma maggiormente invalidante, della flessione. La diagnosi si baserà, oltre che sulla indagine della sintomatologia, sull’obiettività di eventuali dismetrie (dovute o all’atteggiamento in flessione o all’insufficienza dei muscoli glutei tipica delle malformazioni congenite), della presenza di una più o meno accentuata ipotrofia dei muscoli glutei e quadricipite e della presenza di anomalie del passo con zoppia di fuga. La conferma sarà poi radiografica10.

b) Necrosi asettica della testa del femore

La necrosi asettica, che può anche essa essere o primitiva o secondaria, rappresenta la causa più frequente di ricorso alla protesizzazione nei soggetti giovani (terza-quinta decade). Mentre l’eziologia della forma primitiva è idiopatica, per le forme secondarie, vengono riconosciute tra le cause le fratture del collo

(28)

28 Fig. 1.10: Osteonecrosi della testa del femore in stadio II di Ficat e Arlet con segni di collasso

subcondrale visibili sia all’Rx (a sn) sia all’RMN (a dx)

femorale, le lussazioni traumatiche, i barotarumi, ma anche le malattie reumatiche come il Lupus Eritematoso Sistemico e le malattie metaboliche come il diabete e l’iperuricemia. La forma secondaria insorge poi spesso nei soggetti in terapia steroidea prolungata. Per quanto riguarda la sintomatologia, essa è sovrapponibile a quella dell’artrosi, con dolore e positività alle manovre d’anca, ma la diagnosi radiologica basata su rx del bacino in antero-posteriore e nella proiezione inguinale dell’anca mostrerà i reperti tipici del rimodellamento osseo caratterizzato da aree cistiche ed osteosclerotiche, del collasso dell’osso subcondrale (segno della semiluna), e del restringimento dello spazio articolare con lesioni degenerative secondarie (simile a questo punto al quadro di artrosi grave) sulla quale si basa anche la stadiazione della malattia secondo Ficat e Arlet in 4 stadi; risulta però gold standard per la diagnosi la RM, (Fig. 1.10), in quanto permette di riconoscere reperti anche in uno stadio pre-radiologico ed una eventuale scintigrafia ossea. Questa situazione è candidata ad una trattamento mediante artroprotesi qualora sia in stadio avanzato, mentre in stadi precoci può giovare di terapia non chirurgica come la magnetoterapia, le onde d’urto, la camera iperbarica. Con la progressione della malattia, prima dell’artroprotesi possono essere tentati interventi chirurgici conservativi come i trapianti ossei vascolarizzati e non, il forage (per decomprimere l’area necrotica) e le osteotomie intertrocanteriche. 10

(29)

29 c) Malattie reumatiche

Tra le malattie reumatiche responsabili dell’insorgenza di coxartrosi si ricordano la spondilite anchilosante e l’artrite reumatoide. La spondilite anchilosante è un’artropatia infiammatoria deformante, autoimmune e sieronegativa che nella sua forma tipica colpisce giovani maschi in modo mono-oligoartritico; Il continuo stimolo infiammatorio è causa in questi soggetti, della formazione dei tipici ponti ossei interarticolari di cicatrizzazione, che rendono le articolazioni incapaci di muoversi liberamente. 13

L’artrite reumatoide è una malattia infiammatoria cronica, maggiormente femminile che colpisce le articolazioni munite di membrana sinoviale in modo centripeto e simmetrico, esitando in una forma poliarticolare, con un anchilosi dell’anca nel 30% dei casi . 6

Entrambe le malattie seppur con aspetti caratteristici che le contraddistinguono, riconoscono una genesi autoimmune al danno articolare; entrambe, seppur ben trattate farmacologicamente possono evolvere in un quadro di coxartrosi con rigidità articolare, tale da richiedere un intervento chirurgico di sostituzione protesica. (Fig. 1.11)

La scarsa qualità ossea che spesso caratterizza i pazienti affetti da malattie reumatiche rappresenta una controindicazione relativa all’intervento di sostituzione protesica ma, fin dagli anni ‘90, i buoni risultati ottenuti in termini di sollievo dal dolore e di ripresa funzionale, hanno reso questo intervento sicuramente indicato anche nelle malattie reumatiche14.(Fig. 1.11)

Fig. 1.11: Immagine Rx di spondilite anchilosante con segni di malattia anche a livello sacroiliaco (a sn); Immagine Rx di anca affetta da artrite reumatoide

(30)

30 d) Morbo di Paget

Si tratta di una malattia sistemica dello scheletro caratterizzata da un diffuso assorbimento lacunare, con conseguente scomparsa e rammollimento dell’osso, che interessa più frequentemente il sesso maschile nell’età adulta e tra i vari distretti, colpisce anche il femore prossimale; determina deformità ossee come l’ingrossamento e l’accentuazione delle normali curve femorali. Per la diagnosi ci si avvale di reperti laboratoristici tipici, come l’aumento della fosfatemia con la calcemia che rimane nella norma, associata ad elevati livelli di fosfatasi alcalina e di idrossiproilina; all’ rx la struttura ossea avrà il tipico aspetto cotonoso dato dal disegno grossolano dell’ osso a contorni sfumati(Fig. 1.12). Per quello che riguarda la terapia, possono essere utilizzati farmaci che riducono l’assorbimento osseo ad alto dosaggio, vit D, e quando l’interessamento è articolare, come nell’anca, con la conseguente artrosi, il trattamento prevede l’artroprotesi.10

e) Trauma

L’incidenza annuale di fratture femorali è stimata essere di 1.7 milioni di eventi 15. Dati italiani aggiornati al marzo 2008, parlano di 86,719 (15.06/10,000) fratture d’anca in soggetti al di sopra dei 45 anni di cui 80,804 (14.03/10,000) nella fascia al di sopra dei 65 anni e di14.6 per 10,000 abitanti nei soggetti al di sotto dei 45 anni. 16

Le fratture dell’anca possono essere intracapsulari o extracapsulari. Le fratture intracapsulari (o mediali), si possono classificare in sottocapitate, mediocervicali e basicervicali. Le fratture sottocapitate e del collo femorale (Fig. 1.13) danneggiando la vascolarizzazione della testa femorale (dipende dai vasi che attraversano il collo del femore, la circostante capsula articolare e il legamento rotondo) sono a rischio

Fig. 1.12: Tipico aspetto cotonoso delle ossa

dell’articolazione coxofemorale, in particolare per quello che

riguarda l’epifisi prossimale del femore

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31 di osteonecrosi della testa del femore e/o di mancata saldatura della frattura; per tale motivo il gold standard per il trattamento delle fratture sottocapitate scomposte è rappresentato dalla sostituzione protesica. Tra le fratture extracapsulari (o laterali) invece, si individuano le fratture intertrocanteriche e sottotrocanteriche (le quali si estendono al di sotto del piccolo trocantere); tali fratture espongono grandi aree di superfici ossee spugnose ben vascolarizzate, aumentando la perdita acuta di sangue ma favorendo la formazione del callo. In questa tipologia di frattura, l’osteonecrosi e la mancata saldatura si verificano raramente ed il trattamento routinario è l’osteosintesi con placca e viti o con chiodo cefalico17

.

La maggior parte dei pazienti con fratture femorali prossimali scomposte presenta caratteristiche diagnostiche evidenti: l’anamnesi della caduta, l’incapacità di caricare e la presenza di una frattura chiaramente visibile alla radiografia. Tuttavia, le fratture occulte e da fragilità possono verificarsi negli anziani senza un evento traumatico chiaramente definito. Tali pazienti riferiscono un dolore persistente quando caricano sulla gamba lesa. Un’infrazione, inizialmente invisibile alla radiografia, può continuare a propagarsi attraverso l’osso con le sollecitazioni della marcia, risultando in una frattura completa. La scintigrafia ossea o la RMN possono evidenziare la frattura più precocemente della semplice radiografia.

Durante l’esame obiettivo, i pazienti con fratture scomposte giacciono tipicamente con la gamba lesa accorciata ed extraruotata a causa della trazione dei muscoli della gamba e della gravità. Qualunque movimento della gamba provoca dolore. Spesso, i pazienti con fratture ingranate o composte occulte sono in grado di flettere l’anca lesa solo con un lieve fastidio. La flessione passiva con rotazione interna dell’anca, che stringe la capsula articolare, è un test sensibile per le fratture occulte.10,17,18

(32)

32

1.5 Inquadramento diagnostico della patologia dolorosa dell’anca

1.5.1 Valutazione clinica ed anamnestica

I pazienti con patologia dolorosa dell’anca, si rivolgono ad uno specialista per comparsa di dolore e riduzione dell’articolarità con conseguente compromissione delle attività della vita quotidiana.

L’esame obiettivo inizia già con la valutazione del passo: il soggetto con coxalgia presenterà una particolare andatura detta zoppia di fuga; le cause possono essere da attribuire ad eventuali dismetrie, all’insufficienza dei muscoli glutei, o alla sintomatologia algica stessa.

Con un’accurata anamnesi è possibile stabilire la durata e l’entità della sintomatologia, l’eventuale positività per patologie pregresse come traumi o anomalie conformazionali o displasiche. Vengono inoltre indagate le caratteristiche del dolore; nella patologia artrosica è tipicamente localizzato all’inguine e successivamente irradiato alla faccia mediale della coscia fino al ginocchio, insorge in seguito al carico prolungato e si associa a rigidità all’inizio del movimento; stessa sede e irradiazione per il dolore da necrosi asettica della testa femorale, ma accentuata maggiormente dai movimenti di torsione; la rigidità mattutina ed il dolore a riposo sono invece più tipici di una patologia infiammatoria come l’artrite reumatoide, che oltretutto è spesso polidistrettuale.

La visita prosegue con l’esame obiettivo.

All’ispezione si valutano eventuali dismetrie: con paziente supino si allineano gli arti e si va a verificare l’allineamento tra i due lati di alcuni punti anatomici, come i due trocanteri, le rotule, i malleoli mediali e in ultimo calcagni e piante; si va a valutare anche il trofismo muscolare ed eventuali segni di vizi conformazionali o di atteggiamento dell’arto (spesso, un’anca artrosica risulta intra o extra ruotata).

Si procede quindi con le manovre d’anca per valutare i Range Of Movement (ROM) dell’articolazione e per valutare l’eventuale presenza di dolore alla mobilizzazione. (Fig.1.14)

Per valutare la flessione, si muove la coscia verso il bacino a ginocchio flesso.

Per valutare l’intrarotazione si ruota la coscia rispetto al bacino a ginocchio flesso in direzione dell’arto controlaterale, mentre per l’extrarotazione la si ruota verso l’esterno.

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33 Sempre con paziente supino si valutano l’abduzione e l’adduzione muovendo rispettivamente verso l’esterno e verso l’arto controlaterale l’arto a ginocchio esteso. Per valutare l’estensione invece, si invita il paziente a mettersi sul fianco e si valuta l’escursione dell’arto in direzione dorsale. Le manovre d’anca si considerano quindi positive qualora provochino dolore.10

Solitamente in occasione delle prime visite e durante le visite di controllo viene richiesta anche una valutazione di imaging.

1.5.2 Valutazione strumentale

I pazienti candidati alla protesi d’anca vengono sottoposti ad Rx della coxofemorale in anteroposteriore e ad Rx del bacino in carico in antero-posteriore e in proiezione inguinale. Queste immagini risulteranno importanti sia ai fini della conferma diagnostica che ai fini del planning preoperatorio: con radiografie di buona qualità e con ingrandimento noto (ingrandimento medio del 15%),è possibile scegliere il tipo, la taglia e la fissazione della protesi d’anca, è possibile valutare l’eterometria degli arti, identificare eventuali alterazioni anatomiche congenite o acquisite, fonte di possibili complicanze intraoperatorie e pianificare gli eventuali tempi chirurgici complementari (come ad esempio la rimozione degli osteofiti e gli innesti ossei acetabolari).19 Sono inoltre oggi disponibili sistemi di pianificazione computerizzato, che sfruttano le immagini radiografiche digitali per la pianificazione di interventi di artroplastica e revisioni protesiche, (usati anche per il planning di osteotomie,

Fig. 1.14: Rappresenta zione delle comuni manovre d’anca

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34 riduzioni e sintesi post traumatiche, correzione delle deformità e valutazioni della colonna vertebrale). (Fig. 1.15)

In casi complessi, con particolari alterazioni nella morfologia dell’articolazione coxofemorale, possono essere necessari ulteriori approfondimenti radiologici con esame TC, fino ad arrivare alle ricostruzioni 3 D virtuali e reali. 20

Durante la programmazione all’intervento solitamente il paziente viene invitato ad eseguire anche esami ematochimici, ECG radiografia del torace e visita cardiologica ed esame ecocolordoppler degli arti inferiori.

1.5.3 Valutazione funzionale tramite Scores

Durante la visita preoperatoria e durante il follow up possono essere utilizzati degli score di valutazione dell’artricolazione dell’anca e quindi della relativa qualità della vita. Tra i più utilizzati in letteratura ed utilizzati anche nella stesura di questa tesi ricordo l’Harris Hip Score (HHS), che valuta sia la funzionalità articolare nella vita quotidiana che la funzionalità in termini di escursione del movimento21, e lo score Western Ontario and Universities McMaster Osteoarthritis index (WOMAC SCORE) che valuta invece la capacità di svolgere attività di tutti i giorni e la reazione emotiva del paziente 22. Un’altra valutazione utile sia nel pre che nel post operatorio è quella del dolore attraverso la Visual Analogue Scale(VAS) in cui si chiede al paziente di quantificare la percezione del dolore in una scala da 1 a 10 considerando 0 “assenza di dolore” e 10 “dolore intollerabile” 23.

Fig.1.15: Schermata di un planning informatizzato della protesi d’anca

(35)

35

2.1 L’intervento chirurgico

2.1.1 Gli impianti protesici

A seconda dell’indicazione chirurgica, l’intervento di sostituzione protesica dell’articolazione coxo-femorale, può riguardare la sola componente femorale (endoprotesi/protesi parziale) oppure entrambi i capi articolari (artroprotesi o protesi totale). (Fig.2.1)

Fig.2.1.:sopra immagini radiografiche di endoprotesi (a sn) e di artroprotesi (a dx); sotto le corrispettive componenti protesiche

2.1.2 Protesi Parziale

La minor aggressività chirurgica rispetto alla protesi totale e la riduzione dei tempi operatori fa si che l’endoprotesi sia utilizzata per lo più nei pazienti anziani fragili o con multiple morbilità, che presentano una frattura mediale del collo del femore. Altra indicazione alla protesi parziale è quella dei pazienti con neoplasie del femore prossimale, senza interessamento dell’acetabolo. La protesi parziale, espone chiaramente alla possibilità di una “usura” dell’acetabolo nativo, causando infiammazione e dolore; l’introduzione della così detta endoprotersi biarticolare, che presenta al posto della sola testina una coppa metallica che trova alloggio nella cavità acetabolare all’interno della quale è inserita una componente di polietilene

(36)

36 su cui va ad articolarsi la testa femorale artificiale, creando due superfici di scorrimento, riduce l’usura acetabolare.

Le endoprotesi, che corrispondono storicamente ai primi approcci alla chirurgia protesica da parte di Moore e altri, trovano ancora largo impiego, soprattutto come detto in precedenza nella traumatologia dell’anziano.

2.1.3 Protesi totale

Questo tipo di impianto è formato da 2 componenti fondamentali: lo stelo con la sua testa e la coppa acetabolare. Sir Charnley infatti, evidenziò come la sostituzione di entrambe le componenti articolari permetteva di ottenere una stabilità articolare tale da ridurre al minimo i micromovimenti, ed evitare l’eccessiva pressione su certe zone rispetto ad altre, minimizzando quindi il riassorbimento osseo24. (Fig. 2.4)

Nel tentativo di creare un impianto con un modulo di elasticità simile a quella dell’osso, si è cercato di costruire un’intera articolazione utilizzando componenti di natura diversa, come polimeri di metallo, ceramica o carbonio, che possono essere resi resistenti pur essendo relativamente flessibili.

La componente acetabolare (cotile o coppa acetabolare o acetabolo protesico): è la parte che viene fissata al bacino mediante viti, cemento, avvitamento o forzamento meccanico (press fit). Può essere filettato, poroso, rivestito poroso o bioattivo (al fine di aumentare l'ancoraggio biologico). Prima dell'avvento della protesi di Charnley (1960), le coppe protesiche acetabolari di metallo si articolavano direttamente con la testa metallica della componente femorale. Questo tipo di interfaccia era però gravato da un alto attrito con conseguente usura della protesi. L'uso del polietilene ad alta densità da parte di Charnley ha ridotto questi problemi. Dobbiamo infatti distinguere due differenti porzioni della componente acetabolare. Quella che “guarda” verso il bacino, e che quindi sarà ancorata all’osso, e quella che “guarda” verso il femore e che quindi rappresenterà la superficie di scorrimento per la testa protesica. Al giorno d’oggi, la superficie di scorrimento può essere un inserto in polietilene ad altissimo peso molecolare, in materiale ceramico o, ma sempre meno frequentemente, in metallo. 25(Fig.2.2)

Fig. 2.2: Componenti acetabolari

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