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Questo tipo di impianto è formato da 2 componenti fondamentali: lo stelo con la sua testa e la coppa acetabolare. Sir Charnley infatti, evidenziò come la sostituzione di entrambe le componenti articolari permetteva di ottenere una stabilità articolare tale da ridurre al minimo i micromovimenti, ed evitare l’eccessiva pressione su certe zone rispetto ad altre, minimizzando quindi il riassorbimento osseo24. (Fig. 2.4)

Nel tentativo di creare un impianto con un modulo di elasticità simile a quella dell’osso, si è cercato di costruire un’intera articolazione utilizzando componenti di natura diversa, come polimeri di metallo, ceramica o carbonio, che possono essere resi resistenti pur essendo relativamente flessibili.

La componente acetabolare (cotile o coppa acetabolare o acetabolo protesico): è la parte che viene fissata al bacino mediante viti, cemento, avvitamento o forzamento meccanico (press fit). Può essere filettato, poroso, rivestito poroso o bioattivo (al fine di aumentare l'ancoraggio biologico). Prima dell'avvento della protesi di Charnley (1960), le coppe protesiche acetabolari di metallo si articolavano direttamente con la testa metallica della componente femorale. Questo tipo di interfaccia era però gravato da un alto attrito con conseguente usura della protesi. L'uso del polietilene ad alta densità da parte di Charnley ha ridotto questi problemi. Dobbiamo infatti distinguere due differenti porzioni della componente acetabolare. Quella che “guarda” verso il bacino, e che quindi sarà ancorata all’osso, e quella che “guarda” verso il femore e che quindi rappresenterà la superficie di scorrimento per la testa protesica. Al giorno d’oggi, la superficie di scorrimento può essere un inserto in polietilene ad altissimo peso molecolare, in materiale ceramico o, ma sempre meno frequentemente, in metallo. 25(Fig.2.2)

Fig. 2.2: Componenti acetabolari

37 La componente femorale è formata da una testa (o epifisi protesica) e da uno stelo. La testa ha forma sferica ed è la parte più prossimale della componente femorale e si articola con la parte interna della coppa acetabolare per formare l'articolazione protesica. Può essere di varie dimensioni, tenendo in considerazione che maggiore è il diametro, maggiore è la stabilità ma maggiore è anche il momento d’attrito, e quindi l’usura, mentre una testa piccola, è sì meno soggetta alle forze di attrito, ma anche più soggetta a lussazioni, per cui si considera ottimale una testa di dimensioni intermedie. Per quanto riguarda i materiali esiste una certa variabilità, in quanto può essere in metallo (cromo-cobalto) o in ceramica (alluminia o ossido di zirconio).

A seconda della scelta dei materiali della testa e della coppa, sono possibili le seguenti combinazioni: metallo-polietilene (testa in metallo e coppa in polietilene, la più frequente), metallo-metallo, ceramica- polietilene, ceramica-ceramica. (Fig.2.3)

La testa si prosegue con un collo che può essere un tutt'uno con lo stelo (vecchi impianti, ormai non più utilizzati) oppure può essere modulare, cioè separato dallo stelo femorale e fissato durante l'intervento; la modularità permette al chirurgo di ripristinare il corretto centro di rotazione intraoperatoriamente modificando la lunghezza dell’arto, l’offset, (l’angolo di inclinazione in vario valgo o standard), e l’antiversione indipendentemente l’uno dall’altro; la possibilità di disporre di colli modulari mobili è quindi utile per ripristinare la corretta biomeccanica articolare soprattutto nei casi più difficili dove è presente una elevata aberrazione anatomica.

Il corpo dello stelo è la parte che va ad inserirsi nella cavità femorale ed il suo scopo Fig. 2.3: possibilità di accoppiament o testa femorale- coppa acetabolare

38 principale è quello di assicurare una biocompatibilità a lungo termine, e un’ alta resistenza ai carchi ciclici a cui andrà incontro l'articolazione protesica. I metalli più comunemente utilizzati per la componente femorale sono leghe di acciaio inossidabile, leghe di titanio e leghe cromo-cobalto. L’interazione dell’impianto con l’ospite è di tipo sia biomeccanico che fisiologico; da un punto di vista istologico, le reazioni dell’ospite all’impianto possono essere reattive, inerti o bioattive: ad esempio il cemento osseo e le leghe cromo cobalto stimolano la formazione di un rivestimento fibroso attorno all’impianto in risposta alla diffusione degli ioni, mentre le leghe in titanio non stimolano alcuna reazione fibrosa ma grazie alla minore elasticità del titanio rispetto agli altri materiali, maggiore comunque di quella dell’osso, sono meno coinvolte nell’allentamento asettico; i materiali bioattivi come l’idrossiapatite, sono invece in grado di stimolare attivamente la crescita dell’osso con invasione di osteoblasti e proliferazione di tessuto osseo. Il cemento invece, commercializzato in forma di polvere da miscelare al momento dell'uso con metacrilato di metile (MMA) liquido per formare una pasta che indurisce gradualmente, ha proprietà leganti dovute alla capacità di penetrazione del polimetilmetacrilato negli interstizi dell’osso spugnoso formando microconnessioni; questo materiale, pur essendo biocompatibile, risulta irritante e può essere responsabile di osteolisi secondaria al logorio del polietilene e alla tossicità dello ione metallico.

Esiste una certa variabilità per quello che riguarda la geometria degli steli non cementati, in quanto coinvolta nella distribuzione delle forze di carico, nel processo di osteointegrazione (dal momento che determina la quantità di contatto osseo) e gioca un ruolo fondamentale nel riassorbimento osseo periprotesico, noto come fenomeno dello stress shielding; per questo fenomeno le forze di carico agenti sulla protesi vengono concentrate nell’estremità distale per cui il segmento prossimale, risultando poco sollecitato, va incontro a riassorbimento.

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2.2 Planning pre operatorio

Nella fase di pianificazione dell’impianto, il chirurgo decide in base alla tipologia di paziente ed alla morfologia dell’articolazione che andrà ad operare, quale tipo di impianto sia il più corretto.

In rari casi di estrema deformazione anatomica il chirurgo può decidere di ricorrere ad una protesi custom made, protesi costruita basandosi sulle immagini radiologiche e TAC del paziente.

Durante la fase di planning il chirurgo ortopedico non soltanto in base alla conformazione del paziente ma anche in base alla propria esperienza può inoltre decidere quale sia la via di accesso da utilizzare.

Questo argomento sarà trattato in maniera più approfondita successivamente.

2.3 Anestesia

Per l’intervento di protesi di anca esistono fondamentalmente due tipi di anestesia: la generale e la periferica.

L’anestesia generale è indicata quando coesistono problemi di coagulazione o gravi problemi alla colonna che ostacolino l’esecuzione o la diffusione dell’anestetico nella colonna lombare. Alcuni anestesisti sostengono inoltre che

Fig.2.4 Impianto protesico visibile all’rx dell’anca in antero- posteriore

40 l’anestesia generale sia più indicata in presenza di edema degli arti inferiori e nei pazienti con aumentato rischio di trombosi. A differenza dell’anestesia periferica, infatti l’anestesia generale non determina vasodilatazione e quindi una tendenza alla stasi venosa che può facilitare la formazione dei trombi.

L’anestesia periferica a sua volta può essere di due tipi:

anestesia loco-regionale periferica o anestesia peridurale; comporta l'iniezione di sostanze analgesiche attraverso un catetere posizionato nello spazio epidurale. Il catetere si inserisce con l’ausilio di l'ago di Tuohy inserito nello spazio tra due vertebre (generalmente a livello della seconda e terza o terza e quarta vertebra lombare) e fatto procedere fino allo spazio epidurale. Una volta raggiunto lo spazio epidurale si può iniettare l'anestetico locale direttamente in un'unica soluzione (tecnica chiamata "single shot") o, più frequentemente, si posiziona un piccolo catetere che viene lasciato nello spazio epidurale e fissato con cerotti sulla schiena del paziente. Con il cateterino si possono somministrare boli ripetibili nel caso l'intervento chirurgico dovesse prolungarsi (anestesia epidurale continua). In alcuni tipi di intervento che possono comportare dolore post operatorio il catetere viene mantenuto anche per 48-72 ore dopo l’intervento con infusione continua di anestetico. L’anestesia loco-regionale centrale, o anestesia spinale. In questo caso l’anestetico viene iniettato dentro il sacco durale e si ottiene una anestesia completa della zona interessata (dolore, tattile, motoria e termica ), utilizzando minime dosi di anestetico. In passato veniva eseguita con aghi piuttosto spessi e questo poteva comportare la perdita di liquor dopo la rimozione dell’ago e quindi l’insorgenza di cefalea. Oggi si esegue con aghi sottili e questo problema è praticamente scomparso. Si può utilizzare per addormentare ambedue gli arti oppure, ponendo il paziente in particolari posizioni si può eseguire una spinale “selettiva” ed addormentare uno solo dei due arti. E’ controindicata nei pazienti con patologie a carico del sistema nervoso centrale, in pazienti che soffrono di forte emicrania, o pazienti con discrasie della coagulazione in senso emorragico o in terapia con anticoagulanti orali e valori di INR elevati.

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2.4 Preparazione del paziente e del letto

La cute nella zona dell’accesso chirurgico viene tricotomizzata.

Una volta in