CAPITOLO 2 IL JARDIELISMO
2.1 Il teatro «jardielesco»
2.1.3 Come compone un drammaturgo innato
«Estudiar las obras de Jardiel exige comprender cómo las hacía, y para qué puesta en escena estaban concebidas.»
(César Oliva 1993, p. 205)
César Oliva (1993, p. 203) riflette sulle caratteristiche del teatro jardierlesco e ne pone in rilievo alcune: prime tra tutte, vediamo l’inclinazione di Poncela a iniziare un’opera senza sapere quale ne sarà il finale e la successiva apparizione, nel corso della commedia, di personaggi e di avvenimenti imprevisti in intrecci articolati. In tale modo lo sviluppo degli eventi non cerca un climax e procede introducendo poco a poco nuovi elementi da considerare e che complicano la trama. Si crea uno sviluppo circolare, in cui l’apparente caos che compone la trama risulta in realtà controllato, fino a che questa si conclude con un finale che riprende il motivo introdotto all’inizio. Solamente nell’ultima scena Jardiel permette che il pubblico trovi ciò che cercava. Ne sono un esempio i numerosi cambiamenti di scena di Cuatro corazones, la prospettiva di un morto in Un marido, la visita alla casa di Fernando in Eloísa. Altra caratteristica fondamentale presente nel teatro di Poncela è il suo bisogno di giustificare l’ingiustificabile e la conseguente, improvvisa, giustificazione.
Nella raccolta di studi critici sul teatro di Poncela realizzata da Cuevas García, si parla di un’importante confessione fatta da Jardiel, in cui l’autore dichiara che la sua «cocina teatral nace de las recetas que Lope de Vega propuso en su Arte nuevo» (cit. in Cuevas García 1993, p. 199). Gli elementi che rimandano a Lope de Vega sarebbero la soluzione del conflitto riservata all’ultima scena e il primo atto destinato a proporre il caso, mentre gli avvenimenti si sviluppano nel secondo e nel terzo; inoltre la preferenza dell’invenzione apparentemente spontanea (cit. in Cuevas García 1993, p. 200). Jardiel iniziava a scrivere a partire da un’idea, introducendo i personaggi e le situazioni che sviluppassero la trama, per poi conferirle un finale che sorprendesse il pubblico e in cui tutte le vicende venissero spiegate, senza lasciare dubbi irrisolti. L’opera «jardielesca» veniva scritta senza interruzioni,
53 per lasciare fluire la brillantezza compositiva dell’autore e per questo è noto che Poncela fosse in grado di generare un capolavoro in pochi giorni. Oliva riporta inoltre le stesse parole del commediografo: «Para que las comedias tengan un ritmo rápido y trepidante hay que empezar a escribirlas así, con generosidad de imaginación, sumando líos, barullos, laberintos y enredos cada vez más difíciles, y ver luego cómo se desenredan y desenlazan» (cit. in Oliva 1993, p. 212).
La trama dell’opera procedeva attingendo ad aspetti tipici dell’intrigo e del mistero: la soluzione di uno di essi provocava la nascita di un altro, in un’interminabile catena che durava fino allo scioglimento; era una tattica per mantenere vivo l’interesse nello spettatore. Poncela era anche abile nel gestire salti temporali, cambi radicali di scena e lo sviluppo fisico dei personaggi, come si può notare in Cuatro corazones con freno y marcha atrás e Un marido de ida
y vuelta.
Quando iniziava a lavorare ad una commedia, Jardiel non aveva idea di come sarebbe andata a finire. Era spinto dalla ferma convinzione che, se un’opera avesse avuto un finale tanto logico e prevedibile a partire dal prologo, sarebbe stato ugualmente ovvio anche per il pubblico. Lo stesso Poncela dichiarò, a conferma di quanto detto:
«Al ponerme a escribir, rarísima vez poseo la idea general de la comedia, o de la novela, y en ningún caso el trazado completo de su desarrollo e incidentes, y cómo éstos y aquél van surgiendo dentro de mí, de un modo casi milagroso, a lo largo de un interrumpido proceso de gestación».
(cit. in Cuevas García 1993, p. 201)
Molti autori a lui contemporanei rifiutarono e censurarono il modo di comporre di Jardiel Poncela, sostenendo che un buon drammaturgo dovesse avere ben chiaro sin dal principio il finale dell’opera e gli elementi necessari per conseguirlo. Lo stesso amico Marqueríe dichiarava la pericolosità di tale metodo che poteva rivelarsi una trappola: «Jardiel acumulaba dificultades, cada vez más insolubles, en el curso de la trama de sus obras, para desenlazarlas, volverlas a enredar y al fin hallar un definitivo desenlace en ellas» (cit. in Gallud Jardiel 2001, p. 113).
54 In questa sua maniera di produrre, Poncela caricava di importanza il prologo dell’opera, trasformandolo in un vero e proprio atto in cui iniziavano a prendere vita i suoi personaggi e che dava a lui stesso la possibilità di conoscere l’opera. López Rubio affermava l’importanza dei prologhi in Poncela in quanto «allí está Jardiel entero, insobornable, eufórico o exasperado, certero, lúcido, cordial y también rencoroso, implacable, demoledor» (cit. in Huerta Calvo 2003, p. 2715).
Visto il suo peculiare processo compositivo, Conde Guerri considera il teatro di Jardiel come «un teatro indipendente argumental y situacionalmente, que supone la primera quiebra con la realidad» (cit. in Gómez Yebra 1990, p. 42). Poncela riporta, in una delle sue prime autocritiche, la propria idea di come il pubblico riceve l’opera a teatro, secondo la quale l’autore componeva concentrandosi sull’inizio della commedia, in cui «risuona una promessa», e dando il giusto peso all’atto conclusivo:
Durante el desarrollo del primer acto, todo contribuye a que [el] público se muestre alegre, optimista y en la mejor disposición de ánimo para juzgar excelente lo que está viendo y escuchando; la sala rebosa de oxígeno puro; el espectáculo comienza y es una promesa risueña […] el planteamiento de la comedia se compone de sorpresas e incógnitas intrigantes, que atan y excitan la atención. Poco esfuerzo tiene que hacer el autor para entretener, interesar y divertir a un auditorio tan favorablemente dispuesto. Durante el segundo acto la cosa ha variado ya: en la sala, mezclado con el oxígeno, hay un crecido tanto por ciento de ácido carbónico; el espectáculo está mediado y va dejando de ser una promesa; los organismos empiezan a sentirse fatigados de reír […]; las sorpresas y las incógnitas de la obra – en fin – se despejan sucesivamente, con lo que el interés de lo desconocido empieza, por ley fatal, a decaer. Pero en el tercer acto las condiciones adversas han llegado al límite: en la sala, el exceso de ácido carbónico produce una pesantez en todos los cerebros; la risa ha fatigado ya los organismos con su violenta excitación nerviosa […]; el desenlace próximo va reduciendo al mínimo las incógnitas y sorpresas de la obra; el momento de que el espectáculo concluya es inminente: cada espectador piensa, de vez en cuando y con disgusto, en que ha de irse a la calle y a casa, a enfrentarse de nuevo con las realidades ásperas de la existencia […] Así, cuando el telón baja definitivamente – momento de suprema acidez para el
55 espectador hiperestasiado de una obra cómica – es frecuente oír al espectador, que desfila casi siempre malhumorado:
- El último acto es peor que los otros… (cit. in Gallud Jardiel 2001, p. 134)
La commedia Un marido de ida y vuelta è emblematica per quanto riguarda il modo di comporre di Poncela, dato che quando Arturro Serrano gli chiese il primo atto, questi non aveva ancora ideato l’opera, né tanto meno iniziato a scrivere. L’autore riporta tutto ciò nel paragrafo introduttivo all’opera
Circunstancias en que se ideó, se escribió y se estrenó un marido de ida y vuelta:
EL LECTOR.— ¡Cómo! Pero ¿usted no tenía nada entre manos?
EL AUTOR.— Sí. Sí tenía cosas entre manos. ¿Quién que escriba no tiene
siempre algo literario entre manos? Pero verá usted… no sé… Este oficio es bastante raro…
(Espasa-Calpe 1998, p. 132)
Il drammaturgo racconta che era una mancanza di ispirazione, una crisi spirituale:
Iba de la decisión al desánimo constantemente, y recorría este camino en pocos minutos y repetidas veces al día. A lo último, de un modo inexorable, triunfaba el desánimo. Y me echaba a la calle, desesperado ante ese éxito de lo negativo. Me hallaba furioso contra mí mismo, e intratable crisis del espíritu. (Espasa-Calpe 1998, p. 133)
Ogni volta che Serrano chiedeva a Poncela informazioni sullo sviluppo dell’opera lui lo rassicurava dicendo che procedeva molto bene, mentendo. Un giorno però ebbe «la idea» e trascorsi alcuni giorni di «Escribir. Romper… Escribir. Romper… Escribir. Romper… Escribir. Romper…» (1998, p. 134), finalmente scrisse la commedia.
Anche Eloísa está debajo de un almendro è un buon esempio del modo in cui Poncela produceva: cominciò a scriverla a partire da una minima idea e, nello stendere il prologo, aveva solo una vaga nozione del suo sviluppo. Sapeva soltanto che avrebbe trattato della storia di un Landrù pluri-femmicida e di una
56 protagonista femminile che ne veniva attratta. L’unica condizione forzata che presentò il primo atto come conseguenza dell’improvvisazione di Jardiel rispetto agli atti successivi, fu essere ambientata in un luogo neutrale, che non condizionasse le scene successive; così il prologo di Eloísa fu pensato in un cinema di quartiere povero.
Eloísa risulta essere anche la prima opera con solo due atti, più un
prologo iniziale, contro la struttura tradizionale di tre atti in voga al tempo. Rappresentava un nuovo tipo di fare teatro, giustificato dal commediografo con la seguente riflessione, che non risparmia la critica all’invenzione proveniente dalla Francia e diffusa nei Secoli d’Oro in Spagna:
Yo aborrezco la división arbitraria de las obras en actos. ¿Por qué en actos? El teatro español del Siglo de Oro no se paraba en monsergas de éstas. Partía y ordenaba según las necesidades del asunto. Luego vino Moratín, ese afrancesado, y nos importó los tres actitos desde Francia.
(cit. in Gallud Jardiel 2001, p. 137)
Secondo il parere di Poncela, la struttura classica in planteamiento, nudo y desenlace era falsa. Dal momento che la soluzione dell’intreccio veniva offerta nell’ultima scena, erano sufficienti due atti per sviluppare e concludere il dramma. Così facendo si sarebbe inoltre evitato l’intervallo, giudicato da Jardiel come un’offesa verso l’autore e gli attori, visto che si richiede una pausa solo rispetto a ciò che risulta stancante e noioso. L’obiettivo del drammaturgo era eliminare, un giorno, gli intervalli, come avveviva già al cinema: «Al teatro le sobran los entreactos... El día que las comedias se representen sin interrupción, cosa que particularmente espero conseguir, al público le parecerá imposible que alguna vez hayan podido dividirse en actos…» (cit. in Cuevas García 1993, p. 91).
Inoltre, sappiamo da quanto riportato da Oliva (1993, p. 110), secondo la documentazione orale raccolta, che Jardiel fosse uno dei primi commediografi che diressero l’opera dalla sala, su modello di Martínez Sierra, acquisendo così una prospettiva generale dal basso. La norma, nella prima metà del XX secolo, era quella di dirigere dall’alto, dallo scenario.
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