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Il teatro umoristico di Enrique Jardiel Poncela. Analisi di Un marido de ida y vuelta

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Academic year: 2021

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(1)

DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN LETTERATURE E FILOLOGIE

EUROPEE (DM 270)

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

Il teatro umoristico di Enrique Jardiel Poncela.

Analisi di Un marido de ida y vuelta

CANDIDATO

RELATORE

Silvia Montagnani

Chiar.mo Prof. Enrico di Pastena

CONTRORELATORE

Chiar.ma Prof.ssa Federica Cappelli

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Indice

INTRODUZIONE ... 4

CAPITOLO 1 ... 6

1.1 Nota biografica ... 6

1.1.1 Come nasce un genio dell’humor ... 6

1.1.2 Gli inizi della carriera letteraria: Buen Humor e Gutiérrez ... 11

1.1.3 I Cafés ... 14

1.1.4 Le vicende amorose ... 15

1.1.5 La collaborazione con Hollywood ... 21

1.1.6 L’ideologia politica ... 26

1.2 Jardiel Poncela nel contesto spagnolo del XX secolo ... 28

1.3 La ricezione critica «jardielesca» ... 31

CAPITOLO 2 IL JARDIELISMO ... 44

2.1 Il teatro «jardielesco» ... 44

2.1.1 Teatro o romanzo ... 44

2.1.2 La produzione teatrale ... 47

2.1.3 Come compone un drammaturgo innato ... 52

2.1.4 Il teatro d’avanguardia: affinità e divergenze ... 57

2.2 El humor ... 644

2.2.1 El humor è una cosa seria ... 65

2.2.2 Umorismo e comicità ... 69

2.2.3 El humor e il teatro inverosímil ... 76

CAPITOLO 3 UN MARIDO DE IDA Y VUELTA ... 84

3.1 La commedia ... 84

3.2 L’umorismo nei personaggi ... 88

3.2.1 Amore, mujeres e misoginia... 97

3.2.2 La critica di Poncela ai medici e al denaro ... 111

3.3 L’umorismo verbale ... 116

3.4 L’umorismo di situazione ... 126

3.4.1 L'assurdo logico ... 144

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BIBLIOGRAFIA SECONDARIA ... 153 SITOGRAFIA ... 157 RINGRAZIAMENTI ... 158

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INTRODUZIONE

Jardiel Poncela ha logrado el enorme triunfo de adueñarse del auditorio y de hacerle comprender que, junto a la gracia de lo irónico, aun vestido de absurdo, pero con un fondo real, de nada sirven chistes de actualidad o retorcimientos del vocablo, ganzúas tan del uso de los autores y tan del gusto de los públicos adocenados.

(Espasa-Calpe 1998, p. 138)

Enrique Jardiel Poncela è una figura altamente emblematica del teatro spagnolo del Novecento: collaborò con i più famosi commediografi del tempo in una lotta contro l’arte scadente e ripetitiva dell’alta commedia borghese e produsse opere teatrali di alto livello umoristico, caratterizzate da un tono

inverosímil da cui scaturiva l’assurdo logico e, soprattutto, il divertimento del

pubblico. La critica di Madrid scrisse: «Magnífica, deliciosa, la sátira de Jardiel Poncela [...] en su fina manera de entender el teatro satírico llegue a producirse con la jerarquía de un Bernard Shaw o de un Pirandello» (Espasa-Calpe 1998, p. 138).

Poncela fu un autore discusso: da una parte riscosse un successo «triunfal, pespunteado de muchas y clamorosas ovaciones» (Espasa-Calpe 1998, p. 137), che lo portò persino a collaborare con l’emergente industria cinematografica di Hollywood e che gli dette fama anche in Sudamerica; dall’altra, in molte occasioni la critica e il pubblico non gli risparmiarono il proprio disprezzo, dovuto allo straniamento generato da una visione originale dell’humor.

Morì precocemente a causa di un cancro e, nonostante avesse sempre vissuto della propia creazione artistica, richiesta dai più noti impresari teatrali,

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5 terminò la sua vita e la sua carriera dimenticato e in povertà. Non risulta ben chiaro il perché di questo tramonto rispetto a una vita di successo e di notorietà; alcuni studiosi ne ravvisano la causa nel suo individualismo, altri nel suo disprezzo verso critici e pubblico, altri ancora nel suo aver abbracciato il franchismo durante una breve tappa della propria vita. Certo è che la sua produzione riveste una presenza importante nella storia del teatro spagnolo, tanto che si parla di jardielismo come corrente estetica diffusasi nei circoli di Madrid a partire dal 1947.

Nella produzione letteraria di Jardiel Poncela si distingue l’opera drammatica: abbondante e variegata, ritenuta da molti esperti un’autentica rivoluzione all’interno del teatro umoristico spagnolo, «una especie de sublimación de lo cómico» (1998, p. 137). Riportiamo l’opinione di García Pavón al riguardo: «Su obra es una lucha titánica por desasirse de la tradición figurativa, concreta y lógica. Por eludir el tópico y llevar su teatro y novela de humor hasta unas apariencias inéditas» (cit. in Ruiz Ramón 1986, p. 271).

Un marido de ida y vuelta è una delle tre commedie ritenute

esemplificative del teatro «jardielesco», sia dall’autore che dalla critica, perché racchiude i tratti del suo humor, insieme ai temi tipici, primo tra tutti l’amore con il suo aspetto misogino, e alle critiche rivolte a medici e ad assicuratori; nell’opera è presente perfino l’elemento soprannaturale. Jardiel mette in risalto

Un marido dall’ampio repertorio drammatico prodotto, perché la considera «una

obra de arte todo lo perfecta que permite nuestra imperfecta condición humana de creadores» (cit. in Peneva 2008, cap. 4.1.2).

Scopo di questo lavoro è uno studio dell’umorismo «jardielesco» nel suo versante teatrale: attraverso l’analisi del contesto storico-letterario in cui si sviluppò lo stile estetico di Poncela, parodico e critico, oltre che fonte di ilarità, e delle sue vicende biografico-amorose, potremo forse giustificare determinati aspetti della sua produzione. Al fine di studiare più approfonditamente come Jardiel Poncela diede vita al suo humor inverosímil, si assumerà la commedia Un

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CAPITOLO 1

1.1 Nota biografica

1.1.1 Come nasce un genio dell’humor

«Enrique Jardiel Poncela es, sin lugar a dudas, una de las máximas figuras del teatro de humor español.»

(Conde Guerri 1998)

Esordisce con questa affermazione María José Conde Guerri, curatrice della XXIIª edizione critica del volume che raccoglie le due opere teatrali Eloísa

está debajo de un almendro e Las cinco advertencias de Satanás (Editorial

Espasa-Calpe). Conde prosegue la citazione aggiungendo che, in modo paradossale, Jardiel Poncela rappresenta allo stesso tempo uno dei drammaturghi spagnoli del XX secolo meno conosciuti.

Le informazioni autobiografiche che questi ci ha lasciato si riducono a

8.986 palabras a manera de Prólogo, una serie di ventun alessandrini che

l’autore inserisce nell’anno 1928 nel prologo al suo primo grande romanzo,

Amor se escribe sin hache, composto quando, con soltanto 26 anni, subì la

perdita del suo primo grande amore Josefina, che lo abbandonò con il figlio acquisito José María e la prole Marcelina Evangelina, di soli tre mesi, per fuggire a Buenos Aires con un pianista argentino.

Non sorprende, viste le circostanze in cui furono composti, che tali versi autobiografici racchiudano ironia e sprigionino misoginia, per avvalerci delle parole di Roberto Pérez, una «voluntad de provocación disfrazada de humorismo» (2001, p. 29); Poncela, nell’introduzione al romanzo Amor, annota: «Acaso también resulte el prólogo un poco cínico. Es inevitable. Voy a decir verdades y la verdad sólo está separada del cinismo por un tabique de casa moderna» (2001, p. 74).

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7 Nella prefazione che Jardiel Poncela stesso scrive ai propri versi alessandrini di ispirazione autobiografica, l’autore cita un aforismo di Heine che recita: «siempre es divertido hablar de uno mismo», non risparmiando però una personale critica alle autobiografie: «Hoy todo el mundo habla de sí mismo propio: hasta los cocheros de Pompas Fúnebres», per poi proseguire: «hablar de uno mismo es tan peligroso como agradable. Hay riesgo de caer en una vanidad estúpida, y hay riesgo de naufragar contra escollos de falsa modestia» (cit. in Pérez 2001, p.73-74).

Queste affermazioni possono essere tra le cause per cui i suoi tre progetti autobiografici annunciati, Sinfonía en mí, Lo que he visto con mis propias gafas e Mis viajes por los países a los que no he ido nunca, rimasero tali senza realizzarsi.

Nella Biografía sintética, Jardiel sfoggia nei versi 13-17 la sua predilezione innata per la scena e la scrittura, che definisce come suo nirvana, lasciando trapelare così la sua poca fede in Dio come salvatore, la cui potenza sminuisce attraverso una semplice rima nei versi 11-12:

1 Nací armando el jaleo propio de esas escenas; Me bautizó la Iglesia con arreglo a sus ritos

Y Aragón y Castilla circulan por mis venas Convertidos en rojo caldo de eritrocitos. 5 ¿Cuál de las dos regiones pesa en mi corazón?

Es difícil hallar la clave del misterio… Tal vez pesa Castilla cuando me pongo serio Y cuando estoy alegre, tal vez pesa Aragón. A semejanza de otras diversas criaturas, 10 Me eduqué en el temor del Dios de las Alturas;

Pero perdí el temor –o la fe– que es lo mismo, Cuando, en años después, practiqué el alpinismo. Escribo, porque nunca he encontrado un remedio Mejor que el escribir para ahuyentar el tedio, 15 Y en las agudas crisis que jalonan mi vida

Siempre empleé la pluma como un insecticida. Fuera de las cuartillas, no sé de otro «nirvana». No me importa la gloria, esa vil cortesana

que besa igual a todos: Lindbergh, «Charlot», Beethoven… 20 Y no he ahorrado nunca, pensando en el mañana,

Porque estoy persuadido de que he de morir joven. (Pérez 2001, p. 74)

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8 L’autore, nato a Madrid il 15 ottobre del 1901, scomparve nella sua stessa città natale nell’anno 1952, all’età di soli 51 anni, spegnendosi lentamente a causa di un tumore.

Enrique Gallud Jardiel, autore della biografia Enrique Jardiel Poncela e nipote di questi, riporta ciò che disse Jardiel, ormai estenuato, nel suo ultimo momento di gloria in occasione della Conferenza tenutasi il 18 febbraio del 1952 presso l’Ateneo di Madrid:

La muerte es fundamentalmente seria. Tomándola a broma la haremos huir… hasta el día que no tengamos fuerzas físicas para reírnos de ella. (cit. in Gallud Jardiel 2001, p. 220)

Questo discorso, preparato la sera prima al lume di una candela, unica fonte di luce in casa, visto che aveva subito l’interruzione della fornitura di energia elettrica a causa del mancato pagamento1, rappresenta un esempio

lampante della personalità di Poncela e del suo modo di affrontare le avversità della vita attraverso l’umorismo. Agli occhi dell’autore, persino la morte può essere oggetto di una risata, o meglio detto, soprattutto la morte può esserlo, dato che si tratta di una cosa fundamentalmente seria.

Tornando all’autobiografico prologo di Amor se escribe sin hache, insiste Jardiel sul fatto che fosse predestinato al suo futuro da intellettuale: «Nací bajo

1 Negli ultimi anni di vita, Enrique Jardiel Poncela aveva perso quella capacità innata di scrivere

un romanzo in cinque giorni e si era ritrovato senza salario alcuno, a parte la stesura quotidiana di un articolo destinato alla rivista El Alcázar, che non era sufficiente a coprire le spese. A proposito della sua miserabile condizione, Jardiel pubblicó il seguente estratto:

En estas condiciones y viendo alrededor en mi despacho, donde lo que cuento sucede, todo lo que fue nuevo y ahora está mustio, por el uso y el abuso de lo que no se puede restaurar, renovar o arreglar: y que cede como el propio organismo al tiempo y al furor: en estas condiciones, sintiéndome tan triste como un perro olvidado por el Dios de los canes, siendo el centro de toda la amargura que existe, voy escribiendo – poco y yo sé con qué afanes– lo que luego, al leerse, tiene que tener chiste y lo que ha de acabar, tenga o no tenga gana, antes de que amanezca la siguiente mañana: pues, no acabar de hacerlo del todo significa el que ya no lo cobre a las doce la chica y el no poder hacer la compra cotidiana… (cit. in Gallud Jardiel 2001, p. 216)

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9 la advocación de Santa Teresa, a pesar de lo cual, escribo con amenidad aceptable» (Pérez 2001, p. 75).

Il futuro scrittore crebbe in un ambiente molto stimolante per la mente; nato da Enrique Jardiel y Augustín, membro della confraternita di Francos Rodríguez y Mariano de Cavia, giornalista presso La Correspondencia de

España e con una propensione verso la drammaturgia, come dimostrano le sue

due modeste pubblicazioni, l’operetta comica El primer baile e il libretto di

zarzuela, La gloria del inventor. Gallud Jardiel lo associa al «típico cliché de

“liberal toda la vida” de principios de siglo» (Gallud Jardiel 2001, p. 16) e come tale, si unì al progressismo come socio fondatore del Partido Socialista di Madrid.

La vera ispiratrice per Enrique fu sua madre, Marcelina Poncela Hontoria de Jardiel. Alunna presso l’Accademia delle Belle Arti di Madrid e pittrice di successo, che nel 1912 vinse una seconda medaglia nella Exposición Nacional

de Bellas Artes e che, come scrive Gómez Yebra, «inculcaría en el chico su

afición, de la que Enrique daría muestras al efectuar ilustraciones en algunos de sus libros y al preparar diversos montajes para sus obras teatrales» (Gómez Yebra 1990, p. 8).

Commenta Jardiel nel suo prologo:

Mi vida infantil se desarrolló en un medio esencialmente artístico e intelectual, y en fuerza de convivir con la intelectualidad y con el arte, he aprendido a no concederles importancia (En ello me diferencio de tantos otros

escritores que – «nuevos ricos» del arte y de la intelectualidad – no se hallan habituados a éstos y se infílan como neumáticos al verse sumergidos de pronto en tales conceptos).

Crecí, lo poco que he crecido, rodeado de libros, revistas, periódicos, cuadros y esculturas […]

La sombra azulada de mi madre, muerta hace once años, se extendió sobre mi infancia inculcándome el buen gusto, la delicadeza y la melancolía.

[…] A los siete, de la mano materna, recorría las salas del Museo del Prado y sabía distinguir de una ojeada a Rubens de Teniers y al Greco de Ribera.

(Pérez 2001, p. 75)

In questa dichiarazione, si nota soprattutto l’importanza che ebbe la figura della madre nella vita del drammaturgo. A lei Poncela affida il merito del

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10 suo senso del gusto, della delicatezza e della malinconia; l’autore definisce la mano della madre come «tierna y poética»2. Jardiel era ben conscio della fortuna

che ebbe potendo sviluppare le proprie capacità psico-cognitive in tale ambiente artistico-letterario; in questo senso, possiamo notare il pensiero che pone tra parentesi, nel commento citato, in cui sottolinea la propria presunzione di superiorità rispetto ad altri scrittori «“nuevos ricos” del arte y de la

intelectualidad».

L’amore e la riconoscenza per la madre spiccano nel drammaturgo anche a prescindere dai modi duri che questa usava per motivarlo a impegnarsi verso il proprio obiettivo e che distruggevano i suoi primi timidi tentativi di comporre scritti teatrali, quando per gioco si divertiva a inscenare opere per i suoi familiari. Marcelina Poncela Hontoria manterrà tale atteggiamento nei confronti del figlio fino alla fine dei suoi giorni, al pari della passione per la pittura; riporta Gallud Jardiel:

Se dedicó [Marcelina] asimismo a otra actividad agotadora: la de romper la mayor parte de lo que su hijo se empeñaba en escribir –todo muy malo – , inculcando de esta manera al joven el amor por el trabajo constante y unas exigencias de calidad que le servirían años más tarde para alcanzar altas cimas literarias.

(cit. in Gallud Jardiel 2001, p. 17)

Nel prologo ad Amor se escribe sin hache, Enrique Jardiel Poncela, nel paragrafo dedicato a sua figlia Evangelina, scrive su di lei: «antes de verla nacer,

ya sabía que era una nena, pues siempre sospeché que lo que hay de delicado en

mi sensibilidad, recibido de una mujer – mi madre – iría a pasar a otra mujer: mi hija» (Pérez 2001, p. 93).

La sua vera educazione avvenne dunque nell’ambiente familiare, un ambiente bohème e pieno, da un lato, di librerie colme di volumi di tutti i generi e tipi, e, dall’altro, di quadri e dipinti. In aggiunta a ciò, Jardiel Poncela venne iscritto alla prestigiosa Institución Libre de la Enseñanza a soli quattro anni.

2 Si è ipotizzato il complesso di Edipo. Questo avrebbe condizionato Jardiel Poncela ed è per

esempio visibile nel monologo del protagonista di Agua, Mario, che termina con l’esclamazione: «¡También mi madre tenía ojos verdes!»(cit. in Conde Guerri 1973, p. 57).

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11 Passò poi al Colegio de La sociedad Francesa, dai quattro ai sette, e a Los

Padres Escolapios de San Antonio Abad, fino all’età di sedici anni; «La mezcla no pudo resultar más explosiva», commenta il drammaturgo tra parentesi.

Nell’ultimo colegio Poncela collaborò con un piccolo bollettino scolastico, trovando così l’iniziazione al cammino giornalistico. Dopodichè, passò all’Instituto de San Isidro, dove conobbe José López Rubio, futuro commediografo, con il quale mantenne sempre una grande amicizia.

In età adolescenziale, Jardiel intraprese la carriera universitaria presso la Facoltà di Filosofia e Lettere di Madrid, senza terminarla.

1.1.2 Gli inizi della carriera letteraria: Buen Humor e Gutiérrez

Il giovane Enrique proseguì sulla scia del giornalismo mettendo a frutto le occasioni che gli venivano proposte. Collaborò con le riviste La Acción, creata e diretta da Manuel Delgado Barreto, e con La Correspondencia de España, in cui curava una sezione quotidiana firmata e che era redatta da un suo coetaneo, amico di famiglia dei Jardiel, Serafín Adame Martínez, nonché nuovo vicino di casa a partire dal 1916. In entrambi i casi, Jardiel Poncela trovò difficoltà: nella prima, mostrò palesemente di non avere la vena giornalistica quando, mandato a casa del famoso editore Regino Velasco per raccogliere notizie relative all’incidente con un toro che lo aveva portato alla morte, non fu in grado di disturbare la famiglia in quel momento drammatico e non realizzò nessun

reportage. Nel secondo caso, si trovò costretto a fronteggiare il mobbing del

capo-redattore e dell’addetto alla satira politica.

«Abandoné el periodismo para dedicarme por entero a la literatura. La inicié escribiendo narraciones dramáticas, trágicas. […] tenía la obsesión del Depósito Judicial y las catástrofes me seducían» (Pérez 2001, p. 79).

In effetti, racconta il nipote Enrique Gallud Poncela che, su iniziativa dell’audace Serafín, i due stesero un breve juguete cómico3 dal titolo Dádivas

quebrantan peñas, firmato con lo pseudonimo di Serafín e Joaquín Álvarez

Tintero.

3 Genere teatrale minore composto da un atto e diffuso in Spagna nel XIX secolo; poteva trattarsi

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12 Sappiamo da sua figlia Evangelina che il padre iniziò a scrivere già all’età di undici anni, cimentandosi in un’opera intitolata Monsalud de Brievas, e lo stesso Jardiel dichiara che il teatro fu la sua passione già dai tre anni, coltivata con l’aiuto dei genitori, che gli regalavano carta e cartone e lo avevano abituato a usare la scrittura come metodo per risolvere le discussioni domestiche (cit. in Gallud Jardiel 2001, p. 22).

Il nipote Gallud riporta, nell’introduzione alla sua opera biografica, la dichiarazione che lo stesso drammaturgo fece rispetto alla propria vocazione per il teatro:

Desde niño – tendría tres años, tal vez cuatro – Sentí una vocación tenaz por el teatro;

Mis padres, que sabían cuál era mi pasión, Me regalaron muchos de papel y cartón, Y llegué a reunirlos en mi cuarto a granel: Aunque en aquella época mi mayor ilusión No era escribir comedias ni trabajar en él, Sino hacer que subiese y bajase el telón. (cit. in Gallud Jardiel 2001, p. 8)

Nell’estate 1917 si verificò un episodio molto traumatico per l’autore, ovvero la morte di sua madre Marcelina, a causa di un tumore allo stomaco. Con molta probabilità, e come suggerisce Enrique Gallud Poncela a p. 25, fu l’effetto di questa perdita a provocare la vena drammatica delle prime opere teatrali di Jardiel.

Fortunatamente per il suo humor, presto Poncela abbandonò il genere per dedicarsi al comico, come scrive lui stesso nel prologo di Amor se escribe sin

hache: «Luego, andando con el tiempo, cuando he sentido el dolor de cerca, he

ido despreciando los motivos dramáticos hasta dar en el humorismo violento que cultivo desde hace años» (Pérez 2001, p. 79).

E così, nell’anno 1922, Jardiel iniziò la sua collaborazione con la rivista settimanale Buen Humor (1922-1931), da poco fondata dal disegnatore Pedro Antonio Vallahermosa, comunemente conosciuto come Sileno. In tale ambiente l’autore rimase nove anni, durante i quali accrebbe le sue conoscenze personali e

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13 intellettuali e, soprattutto, conobbe una figura importante del teatro spagnolo del ventesimo secolo: Gómez de la Serna.4

L’importanza che questa collaborazione significò per Poncela trapela dalla sua dichiarazione nel prologo di Amor se escribe sin hache:

La mayor parte de mi labor literaria está en los 400 números que se han publicado hasta el presente, y allí hubo siempre para mí tanta gentileza, tanto cariño y tanta benevolencia que ni en las breves épocas en que abandoné aquella publicación, logré olvidarla en absoluto, y en realidad puede que nunca le he abandonado del todo.

(Pérez 2001, p. 80)

Negli anni 1926-1927 Jardiel pubblicò nella rivista La Voz cinque racconti scritti utilizzando l’artificio, diffuso nel Siglo de Oro, di prescindere da una vocale distinta in ciascuno di essi.

Il 1926 fu anche l’anno in cui l’autore decise di «divorziare» dal suo amico e collaboratore Adame Serafine, dichiarando: «El divorcio era imminente. Y surgió. Surgió en medio de una zarzuela de tres actos, El conde de Chateron, que nacía muerta, como los hijos de las mujeres robustas» (Gómez Yebra 1990, p. 15).

Presto Poncela entrò a far parte, con lo pseudonimo «Conde Enrico di Borsalino», anche della rivista Gutiérrez (1927-1935), di tendenza simile alla precedente. Qui conobbe personaggi prestigiosi del mondo letterario come Miguel Mihura, Edgar Neville, K-Hito, ed altri che José López Rubio, egli stesso collaboratore, definì come La otra generación del 1927, durante il suo discorso di ingresso nella Real Academia Española. Entrambe le riviste erano pubblicazioni umoristiche innovative che proponevano un distacco rispetto allo stile letterario del tempo grazie al loro carattere assurdo e peculiare.

4Quest’ultimo commenta, a proposito di quella redazione tanto stimolante quanto familiare:

En aquella redacción, que era cómo un piso de casa de huéspedes en la plaza del Ángel, me endilga versos, paradojas, burlas, toda una nueva teoría de lo cómico en el léxico de la calle moderna: Pirulís de la Habana, como aquella chuletas de dulce, medallas de caramelo y palito para agarrarlas.

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14 In questi anni e precisamente nel 1924, Poncela fondò anche un settimanale infantile chiamato Chiquillín insieme agli amici José López Rubio e Antonio Barbero.

1.1.3 I Cafés

L’ambiente letterario madrileno nei primi decenni del ventesimo secolo era solito concentrarsi nei Cafés; tali luoghi di ricreazione erano punti di incontro e di diffusione culturale. Si può affermare che i principali movimenti ideologici di quegli anni si siano concretizzati e in seguito diffusi a partire dagli incontri nei Caffè; questo è il caso de La otra generación del 1927.

Jardiel Poncela venne spesso ritratto, sia verbalmente che attraverso disegni caricaturali e non, come il tipico scrittore impegnato nella sua creazione letteraria seduto al tavolo di un bar. Enrique Gallud Jardiel afferma «Jardiel soportó el extenuante ajetreo de los estrenos con la ayuda de la cafeína y confesó que vivía “a base de café” como lo hacía Balzac» (Gallud Jardiel 2001, p. 163), sottolineando allo stesso tempo il luogo comune di ambiente letterario dei cafés e la dipendenza di Jardiel dalla caffeina5, tanto da praticare un «turismo cafeteril», per citare ancora Gallud.

Lo stesso Poncela, nel suo autoritratto, scrive «Trabajo siempre en los cafés, pues para trabajar, necesito ruido a mi alrededor, y en ese ruido me aíslo, como el pez en la pecera» (Pérez 2001, p. 87). Tale sensazione dell’autore di sentirsi nel suo habitat era sicuramente accresciuta dal fatto che potesse incontrarvi conoscenti e colleghi, come lo stesso Gómez de la Serna, il quale sosteneva al riguardo che «El café es la enfermería del escritor» (Flórez 1969, p. 75).

Flórez precisa che il drammaturgo andava assieme a Carlos Fernández Cuenca e Manuel Martínez Gargallo, al «viejo Café Europeo, de la Glorieta de

5 Nel prologo ad Amor se escribe sin hache, Jardiel arriva a stimare un calcolo approssimativo

dei caffè consumati in media durante la stesura di un libro:

El número aproximado de la consumiciones hechas hasta rematar el libro, contando con que el autor al trabajar sólo toma café, alcanza a unos 112 cafés, que al precio medio de 55 céntimos, eleva la suma de gastos desembolsada a 61 pesetas con 60 céntimos. Agregando el 20 por ciento de propinaje, resulta un total de 73,90, lo que prueba que la literatura no es un deporte caro. (Pérez 2001, p. 89)

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15 Bilbao, esquina a la calle Carranza» ( Flórez 1969, p. 21), giusto per voler menzionare uno tra i molti locali che erano noti a inizio del Novecento e che, con ogni probabilità, non esistono più.

In occasione del VI Congresso di Letteratura Spagnola Contemporanea, José Montero Padilla ha ricalcato il fatto che Poncela fosse un «hombre de cafés» e definisce il Café Europeo come «Aquel café donde se reunían esos amigos y compañeros de brega literaria» e aggiunge «Aquel grupo de amigos – escritores, sobre todo, algunos dibujantes también, que colaboraba en su mayoría en la revista Buen Humor y, después, en Gutiérrez».

Risulta interessante venire a conoscenza di questo non tanto singolare atteggiamento di Jardiel Poncela, perché lo inserisce nel contesto stimolante che lo circondava quotidianamente, al di fuori delle riviste di umore con cui collaborava. In effetti, «en aquel Madrid los cafés habían alcanzado valor singular, casi de institución, y eran lugares de convivencia y de vivencias, de trabajo y, asimismo, para el ocio» (cit. in Cuevas García 1993, p. 127), tanto che Gómez de la Serna li definì «sociedades de calores mutuos».

1.1.4 Le vicende amorose

«El amor es como los columpios, porque casi siempre empieza siendo diversión y casi siempre acaba dando náuseas.»

(Gallud Jardiel 2001, p. 118)

Jardiel Poncela, in accordo alle regole etico-morali comuni nella sua epoca, negli anni Venti del Novecento era promesso a una giovane compaesana di nome Amparo. In occasione del debutto in società come coppia ufficiale, nel 1920, Poncela le dedicò un monologo intitolato El vestido largo.

Ci informa di tale relazione suo nipote Gallud Jardiel, che ritiene che il nonno fosse innamorato della donna, ma non al punto da perdere la testa per lei. In effetti, la loro relazione terminò nel 1926 quando il drammaturgo si imbattè in una mujer fatal: Josefina Peñalver, una hermosa mujer con la quale scambiava lettere già da tempo.

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16 L’amicizia ebbe inizio in modo curioso: anni prima, Jardiel aveva curato una sezione de La Correspondencia de España dedicata alla parodia dei consigli sentimentali; in tale sezione, fu pubblicata un giorno una lettera firmata da La

Dama del Guante Verde. Si trattava in realtà di una bambina di soli tredici anni

che viveva in collegio, ma il Conde Enrico di Borsalino, ignaro di ciò, iniziò a intrattenere una relazione di penna con lei fino a quando questa non scomparve. Anni dopo l’amica misteriosa tornò e si presentò a Poncela come madre separata dal marito e soprattutto con la ferma intenzione di dar vita a una relazione seria con l’autore. A quel punto, Jardiel ruppe il suo fidanzamento con Amparo per vivere la sua storia d’amore fatale con Josefina, anche a costo di affrontare una diffusa critica morale nei suoi confronti da parte di vari conoscenti, che gli tolsero il saluto indignati.

Commenta José Montenegro Padilla, nel suo intervento alla VI Conferenza delle Letteratura Contemporanea, «Humor, pasión y drama en la

vida de Enrique Jardiel Poncela», che si trattò di una relazione molto passionale

e il cui amore ebbe come frutto la figlia Evangelina (1993, p. 132). Sfortunatamente, dopo soli tre mesi, la donna fatale abbandonò il nostro autore con la neonata, per fuggire in Argentina con il pianista Demare.

A Josefina, Poncela dedicò le seguenti parole:

Luego amé a otra mujer, excepcional por su belleza deslumbrante, su inteligencia vivaz y su finura de espíritu. Me hizo tan feliz que estuve a punto de casarme. Por fortuna, me acordé a tiempo de que ella estaba ya casada y mi boda no pudo arreglarse. (Pérez 2001, p. 89)

Nel commentare l’importanza dell’esperienza avvenuta ormai anni prima (rispetto al momento della stesura del prologo a Amor), Jardiel sfrutta l’ironia come arma di difesa nei confronti di una grande delusione amorosa. Trapela che sarebbe stato desiderio dell’autore potersi unire in matrimonio con la tanto adorata Josefina e chissà, così facendo, evitare che lo abbandonasse dopo sette anni e una figlia. Il precedente matrimonio della donna non permise ad Enrique di chiederle la mano e questi, invece di commentare con l’avverbio purtroppo, che sembrerebbe il più opportuno, usa la locuzione per fortuna, dando adito alla sua logica «inversa».

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17 Jardiel rimase talmente amareggiato da tale esperienza che cambiò per sempre la sua visione dei sentimenti amorosi: «El amor es como una goma elástica que dos seres mantuvieran tirante sujetándola con los dientes; un día uno de los dos que tiraban se cansa, suelta y la goma le da al otro en las narices» (Gallud Jardiel 2001, p. 46).

La depressione che Jardiel ne derivò fu lo spunto di partenza del grande romanzo Amor se escribe sin hache, dedicato «A la maravillosa y exquisita

Nez-en-l’air, cuyo perfume predilecto compré muchas veces para poder recordar en

la ausencia sus ojos melancólicos».

Nella biografia di Poncela stesa da Enrique Gallud Poncela, troviamo alcune informazioni anche rispetto a relazioni amorose di poco rilievo vissute dallo scrittore. Veniamo per esempio a conoscenza, tra le numerose donne succedutesi nella sua vita in maniera vertiginosa, di una nota attrice messicana di teatro i cui «cabellos del negro y brillantez de la antracita» hanno ispirato le fattezze di protagoniste frequenti nei suoi romanzi. Anche in questo caso, la relazione non andò a buon fine e si chiuse in coincidenza con la pubblicazione nel 1929 del romanzo ¡Espérame en Siberia, vida mia!.

La serie di delusioni sentimentali, tra cui quella relativa a Josefina rappresenta sicuramente l’apice, determinò un cambiamento nella visione che Enrique aveva del mondo femminile: l’autore imparò a prendere l’amore con filosofia, diffidando delle donne e mantendendo un atteggiamento distaccato in cui si impegnava ad aggiudicarsi il ruolo del carnefice, per timore di caderne ancora vittima. Il suo nuovo pensiero “filosofico” si può riassumere nell’aforisma ideato dallo stesso Poncela, che recita: «El amor es como la salsa mayonesa: cuando se corta hay que tirarlo y empezar otro nuevo»6 (Gallud Jardiel 2001, p. 61).

6Poncela scrive anche i seguenti versi, in cui è visibile l’ironia con cui iniziò ad affrontare gli

insuccessi sentimentali:

La noche que te fuiste de mi lado me dejaste hecho un churro de verbena; llegué a casa, no estabas y la pena me hizo comerme un almohadón bordado. Te busqué por la casa contristado; te busqué bajo el lecho y en la antena de la radio. ¡No estabas! ¡Ay, mi nena, sufrí la «Noche triste» de Alvarado!

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18 Nel trattare dei suoi studi, all’interno del suo autoritratto ricorda Jardiel con vena sarcastica la prima infatuazione: «me enamoré la primera vez. “Ella” tenía nueve años; yo, diez escasos. Era hija de un banquero judío, famoso en Madrid, pero juro solemnemente que “no iba por el dinero”… A los diez años, se desprecian el dinero y la Geodesia» (Pérez 2001, p. 77).

Lettere provenienti da Siviglia, L’Avana, firmate Doña Urraca, o Éter, compongono solo una piccola parte del lungo e cinico elenco di amanti che stila Jardiel:

Como para elegirlas sólo atendí a la estética, al repasar la lista de todas mis amantes – lista que no es muy larga ni en extremo sintética – hallo hijas de familia; solteras anhelantes; empleadas; bailarinas; dos primas estudiantes; cierta viuda aristócrata, joven y con brillantes, una, nada más que una gentil peripatética; cuatro o cinco casadas sin dicha, y las restantes hasta hacer el total, que suman treinta y cuatro, fueron todas actrices de cine o de teatro.

(cit. in Gallud Jardiel 2001, p. 64)

Nell’anno 1933 Poncela tornò in Spagna dopo la sua prima esperienza di collaborazione con la Fox in California e iniziò una relazione con l’attrice Carmen Sánchez Labajos, che nel 1934 dette alla luce la seconda figlia del drammaturgo, Mariluz. Nonostante il drammaturgo si fosse mantenuto in contatto con Carmen fino alla fine dei propri giorni, Jardiel visse comunque anche altri flirt.

L’autore non rimase immune alle conseguenze del proprio atteggiamento sprezzante e distaccato nelle relazioni amorose: nella dedica che l’autore inserì ad apertura del romanzo Pero… ¿hubo alguna vez once mil vírgenes, si definì il suo mayor enemigo. Nel 1945 Poncela si rivolse a uno psicologo, il cui lavoro lo condusse a comporre Misterio femenino, una peculiare opera autobiografica che

la carta que dejaste y que decía: «¡Que te aguante tu tío el general!» me sentó como un litro de agua fría. ¿Adónde has ido, di, mujer fatal? ¿Es cierto lo que dicen, alma mía? ¿Es cierto que te has ido al Escorial?

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19 raccogliesse le sue avventure erotico-amorose, allo scopo di liberarsi dai rimpianti; l’introspezione venne poi pubblicata postuma.

Victor Olmos, curatore della biografia di Jardiel intitolata ¡Haz reír, haz

reír!, il cui titolo proviene da una canzone di Donald O'Connor usata nel film Singing in the rain, in riferimento al paradossale successo di Enrique con le

donne, fatto che costituì la tragedia della sua vita, riporta un estratto significativo dell’autore:

Mi vida amorosa no ha sido hasta hoy mismo más que una sucesión de

renuncias voluntarias. De renuncias a mujeres espléndidas; de renuncias a

mujeres capaces de haber esclavizado a todo hombre; de renuncias a mujeres que en todo caso hubieran sido espléndidas para cualquiera; pero de mujeres que no satisfacían mi deseo y mi ansia: de mujeres que no reunían los tres 100 x 100 anhelados y buscados por mí.

(cit. in Victor Olmos 2015, p. 35)

Non a caso, in essa Poncela si definì Eutontimorumenos, un uomo che si tortura con le proprie mani, e nel prologo di Amor se escribe sin hache sostiene:

Decir te quiero amor mío o cualquier otra cosa semejante siempre me ha costado mucho trabajo. No sé a qué achacar esto, porque es preciso advertir que cuando he querido, he querido con toda el alma: o lo que es igual, he hecho sufrir de lo lindo a las predilectas de mi corazón. (¿Sadismo? ¡A lo mejor!) (Pérez 2001, p. 90)

Jardiel riconobbe quanto le sue idee riguardo alla femminilità fossero peculiari: si diresse sempre alla ricerca superficiale di una bellezza al quadrato. Confessò che la sua «rabia no era contra la mujer, sino de la mujer; de que mis mujeres no hayan sido la mujer insensatamente forjada y locamente buscada» (cit. in Cuevas García 1993, p. 87).

Quanto più le donne lo deludevano, tanto più Enrique Jardiel Poncela si difendeva dietro un freddo cinismo, e, all’opposto, quanto più lo ferivano, tanto più si mostrava orgoglioso e scontroso verso il genere femminile. Nonostante il numero delle sue amanti, arrivò ad affermare nel suo autoritratto in Amor, che

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20 non gli dava nessuna soddisfazione correre alla conquista delle donne, tanto da giudicare «cretino» il famoso Don Juan Tenorio, eroe maschile:

La mujer, como al cocodrilo, hay que cazarla y la caza es un deporte que no me interesa; esforzarse por lograr una mujer me parece una pérdida de tiempo semejante a la de darle a comer a una ternera el contenido de una lata de sardinas con aceite.

Don Juan Tenorio no era, a mi juicio, ni un caso clínico ni un héroe; era, sencillamente, un cretino sin ocupaciones importantes.

(Pérez 2001, p. 91)

Nel 1949 Poncela indirizza una lettera all’amico Ramón Gómez de la Serna, a proposito della sua ultima avventura amorosa, che sbocciò per le strade di Barcellona, si sviluppò a Buenos Aires e finì quando la compagna decise di rimanere in Argentina con un pugile; si tratta di Carmina:

En estos cuatro años y pico la vida mía sólo ha sido un sufrimiento desarrollándose día a día como una bobina de papel continuo. Y ahí, en Buenos Aires, había empezado a poco de llegar ese sufrimiento. La causa ya la supondrá: una mujer.

(cit. in Gallud Jardiel 2001, p. 174)

Erano anni di persecuzioni repubblicane e Jardiel decise di fuggire da Barcellona a Buenos Aires per sottrarsi alla possibilità di essere ucciso e cogliendo l’opportunità di una realizzazione cinematografica promessagli da Santiago Ontañón, secondo quanto riporta María José Conde Guerri nell’introduzione alle due famose opere teatrali, Eloísa está debajo de un

almendro e Las cinco advertencias de Satanás (Conde Guerri 1998, p. 18).

L’esperienza argentina portò con sé anche un secondo fatto drammatico per l’autore: ricevette un pésame, ossia un messaggio di condoglianze, da parte di Tirso Escudero per telegramma; il giorno successivo, leggendo il quotidiano, Enrique Jardiel Poncela comprese che si trattasse della morte di suo padre. In tale difficile situazione, lo scrittore ancora una volta si sentì solo e ferito a livello sentimentale: associò il sostantivo sofferenza, e tutto quanto per lui rappresentasse, a una donna, solo che in questo caso, ormai estenuato dagli

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21 accadimenti e in atteggiamento di apertura sentimentale verso il suo caro amico e confidente, non aggiunse alcun velo di sarcasmo o ironia.

Per un’analisi del teatro di Jardiel Poncela, risulta utile conoscere la sua personalità alla luce delle esperienze relazionali vissute. Gómez de la Serna definì i romanzi di Jardiel come «la alegría de su tiempo», come «trenes que pasan llenos de optimismo», ma, come scrive il nipote dell’autore, «la verdadera inspiración le vino de una mujer» (Gallud Jardiel 2001, p. 61).

La letteratura «jardielesca» è stata ritenuta misogina, dato che l’amore che vi è tratteggiato è un amore messo in dubbio, parodizzato, e le numerose protagoniste risultano belle, capricciose e comunemente ritratte come stupide, in corrispondenza agli stereotipi di genere più diffusi.

1.1.5 La collaborazione con Hollywood

«Yo nací -¡respetadme!- con el cine» (cit. in Cuevas García 1993, p. 227)

In Teatro y cine en Jardiel: dos ejemplos, Torres Nebrera (1993, pp. 227-239) tratta di un aspetto singolare della produzione e formazione di Jardiel Poncela: la sua collaborazione con il cinema.

L’esclamazione riportata a introduzione di questa sezione appartiene al gaditano Rafael Alberti, contemporaneo di Poncela che, come molti altri letterati di quella generazione, fu costretto a fronteggiare e ad assimilare la nuova arte frutto dell’invenzione dei fratelli Lumière.

Torres Nebrera parla di un quintetto principale di drammaturghi appartenenti alla letteratura umoristica spagnola negli anni della Repubblica: Tono, Neville, Mihura, López Rubio e Poncela, tutti intensamente vincolati al travolgente sviluppo del cinema. La comparsa del cinema sonoro aveva comportato il necessario riadattamento delle sceneggiature alle differenti lingue e a questo scopo venivano contattati questi autori. In effetti, il primo film sonoro

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22 prodotto in Spagna e risalente al 1930, La canción del día, era stato scritto da Muñoz Seca e Pérez Fernández.

Nel 1932 Jardiel ricevette un indiretto messaggio di Hollywood, per mediazione di José López Rubio, che allora lavorava presso il dipartimento di produzione in castigliano della Fox Film Corporation: «Contesta si te interesan seis meses de contrato, cien dólares semanales, sin viajes» (Gallud Jardiel 2001, p. 79). Jardiel rispose che avrebbe accettato senza alcun dubbio, a patto che gli venissero pagati anche i viaggi e la Fox, realmente interessata alla sua collaborazione, accettò l’impegno. L’autore partì dopo aver risolto la questione relativa alla pubblicazione della commedia Usted tiene ojos de mujer fatal, basata parzialmente sull’argomento del romanzo Vírgenes, ma in chiave più ottimista.7

Il primo soggiorno di Jardiel negli USA durò da settembre 1932 a maggio 1933: l’esperienza risultò altamente fruttuosa e arricchì l’autore con tecniche cinematografiche a lui del tutto nuove.

Ci tiene il nipote Enrique Gallud a precisare che, ad ogni modo, non si trattò di una permanenza facile; il contratto con la Fox, inizialmente, non includeva il permesso di lavoro e quindi Poncela dovette presentarsi come turista, condizione che lo obbligò a sottoporsi a ore di interrogatorio una volta sbarcato nel nuovo continente. Inoltre, erano anni di crisi economica in cui la popolazione americana sperava nell’elezione di Roosevelt come presidente per risollevare la situazione.

In un primo periodo, Jardiel si dedicò a scrivere sceneggiature su richiesta della Fox, a elaborare dialoghi in castigliano di film già usciti nelle sale e a insegnare l’accento castigliano ad attori sudamericani catalogati da Fox come

hispanos. Ricoprì perfino qualche ruolo secondario come attore, nel film di

7 L’opera fu realizzata nel 1932 in seguito a una faticosa stesura dovuta, da una parte, alla

costante insoddisfazione, dall’altra, alla pressione che apportava il produttore Tirso Escudero, con le sue incessanti richieste di consegna del manoscritto. Alla fine, Jardiel Poncela la vendette all’attore Benito Cibrián, che gli offrì denaro immediato in cambio. Jardiel se ne andò dal paese prima che potesse partecipare al debutto perché temeva un grande fallimento, ma, contro ogni sua aspettativa, mentre partiva per le Americhe, la commedia stava riscuotendo grande successo a Valencia.

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23 Neville Falso noticiario, risalente al 1932. L’avventura americana si concluse nel maggio 1933 e Jardiel ne riportò la convinzione maturata in La depresión del

viajero in Angelina: «el verdadero escritor no tiene ni tendrá nada que hacer en

el cine mientras no asuma en sí los cuatro cargos en que se apoya una producción cinematográfica: escribir, dirigir, supervisar el ‘set’, y supervisar el

montaje» (cit. in Gómez Yebra 1990, p. 20).

Una delle esperienze di maggior impatto che visse Poncela durante questa sua prima permanenza hollywoodiana, fu senz’altro l’incontro con il grande Charlot esordiente. Annota Gallud che suo nonno e il mitico attore si conobbero durante una cena presso il ristorante Musso Frank, a cui era presente anche López Rubio. Questi scambiarono varie idee e opinioni sul cinema, tra cui la riflessione che «para lograr resultados satisfactorios en el séptimo arte, una única persona ha de desempeñar cuatro oficios: los de escritor, director, supervisor del rodaje y montador de la película».

Jardiel venne conquistato dall’intrigante figura di Charlie Chaplin verso la quale svilupppò un’opinione di stima totale, che riportò nel prologo di Amor

se escribe sin hache:

El hombre a quien más admiro, al que considero como el más importante del mundo, en el pasado y en la actualidad, es Charlie Chaplin (Charlot), verdadero genio de todas las épocas. (y hoy, después de haber conocido a Charlot de cerca, me confirmo en mi opinión.)

(Pérez 2001, p. 85)

Torres Nebrera (1993, 236) commenta l’esperienza statunitense di Jardiel Poncela dicendo che, come soleva fare per altre questioni della sua vita, si adattò presto alle esigenze della nuova arte con pieno entusiasmo. Nel prologo ad Amor

se escribe sin hache, del 1929, l’autore esprime un giudizio in cui ravvisa nel

cinema risultati migliori rispetto al teatro contemporaneo, che non tardava a criticare:

Voy en rarísimas ocasiones al teatro, pues tengo interés en conservar el perfecto equilibrio de mis nervios, y ese equilibrio se me perturba a la vista de las sandeces abazofiadas que se me presentan. En cambio, voy bastante al cine, porque, como ya hemos quedado en que es un espectáculo inferior, las cosas buenas que veo en él me parecen superiorísimas.

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24 (cit. in Cuevas García 1993, p. 237)

Una volta rientrato in Spagna, Jardiel continuò a dedicarsi al cinema per un periodo. Si occupava di sonorizzare con commenti umoristici gli antichi cortometraggi del cinema muto, facendo sì che si trasformassero in pezzi di pura comicità il cui successo era inevitabile, tanto che il nipote Enrique li paragona ai cartoni animati della Disney.

Tale forma di rilancio dei film muti attraverso il doppiaggio comico era pura invenzione «jardielesca», un vero e proprio nuovo genere cinematografico, che denomina Celuloides rancios. La creazione trionfò tanto che si diffuse in Francia, Inghilterra, Germania e Italia, dove il procedimento venne imitato. Alcuni dei titoli di riferimento sono Emma, la pobre rica (Emma’s dilemma, 1960), Los ex presos y el expreso (The Great Robbery, 1903), nei quali è evidente sin dal titolo la vena ironico-satirica.

Nel giugno 1934 l’agenzia della Fox chiamò una seconda volta Poncela offrendogli un nuovo contratto con salario doppio rispetto al primo, che lo obbligò a tornare in California e sostarvi fino al marzo del 1935. Questa volta, oltre a compiti quali adattamenti e dialoghi, dette vita a una realizzazione senza precedenti: un lungometraggio interamente in versi; ovvero la versione cinematografica dell’opera teatrale Angelina o el honor de un brigadier, da lui diretta e all’insegna del naturalismo e della spontaneità.

Con lo scoppio della Guerra Civile spagnola nel 1936, la famiglia di Jardiel, come molte altre, si trovò in pericolo e nel marzo 1937, secondo la biografia scritta da Gallud, potè abbandonare Madrid e raggiungere Barcellona, fingendosi Poncela un maestro di scuola. Una volta a Barcellona, si procurò un contratto falso con la compagnia teatrale argentina Lola Membrives che gli permise di raggiungere Buenos Aires passando da Marsiglia, dove rimase fino al termine del conflitto nel 1939. Durante questo soggiorno forzato, Poncela intervenne come fonico in Radio Rivadavia e si occupò di nuovi adattamenti cinematografici, tra cui il più rilevante è relativo alla commedia Margarita,

Armando y su padre, realizzata per conto della Lumiton. L’importanza che

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25 dialoghi, ma pure la scenografia tecnica, è data dal suo essere il primo film castigliano presentato alla Biennale di Venezia.

Enrique Gallud Jardiel racconta (2001, p. 84) come l’esordiente collaboratore cinematografico avesse continuato l’attività anche una volta rientrato da Buenos Aires nella città di San Sebastián; lì produsse e pubblicò la seconda serie di Celuloides rancios per lo studio Cea.

Durante la sua prima esperienza statunitense, Jardiel Poncela maturò l’idea di comporre un’opera teatrale che riportasse le sue esperienze nel regno di Hollywood: El amor solo dura 2.000 metros. L’opera venne conclusa dopo otto anni e messa in atto per la prima volta il 22 gennaio del 1941 nel Teatro de la Comedia di Madrid. Con il passare degli anni e delle esperienze di viaggio, Poncela aveva perso progressivamente l’attrazione che poteva aver espresso inizialmente nei confronti dell’America e tale opera ne racchiuse tutta la delusione e il disprezzo verso una cultura troppo materialista e differente dalla propria. El amor risultò un insuccesso totale, a causa della lunghezza eccessiva e del gran numero di personaggi con ruoli insignificanti, ma, come sostiene Alás-Brun (in Ruiz e Nebrera 2003, p. 150), soprattutto perché il pubblico non era preparato ad accettare la visione demisitificatrice di Jardiel rispetto al mondo hollywoodiano tanto idealizzato dalle masse e non perdonò all’autore il finale tragico e pessimista, lontano dai suoi soliti epiloghi felici.

Alla luce di quanto detto, possiamo affermare che il teatro di Jardiel fosse condizionato dai mezzi e dalle tecniche cinematografiche, che si manifestano attraverso un’elaborazione complessa dello spazio scenografico ad accompagnamento del testo. Angelina o el onor de un brigadier, ricorda María del Carmen Bobes (1993, p. 139), fu scritta di ritorno dal primo viaggio dell’autore in America, nel 1934, e vi si nota l’influenza del cinema nel trattare la scena.

Un altro esempio importante è relativo alla forse più nota opera teatrale di Jardiel: Eloísa está debajo de un almendro. María José Conde Guerri, nell’introduzione alla sua edizione della commedia (1998, p. 22), fa notare come ogni atto presenti una localizzazione differente: il prologo realizza la caricatura di una situazione tipica del sainete, parodiando l’attenzione che suscitano le due

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26 protagoniste di sesso femminile e di rango evidentemente altolocato nell’entrare in una umile sala cinematografica. L’apporto geniale e di influsso hollywoodiano è dato dall’ambientazione sulla scena in chiave metateatrale, ovvero il ribaltamento del punto di vista e la disposizione degli attori come se fossero gli spettatori di un telone che è localizzato in corrispondenza del lettore. Nel primo e nel secondo atto è un susseguirsi di effetti cinematografici e di luce, tra cui porte e finestre che si aprono e si chiudono, un armadio a parete nascosto, una scala che dà profondità alla scena e che crea l’idea di un secondo piano.

1.1.6 L’ideologia politica

«El que nos se atreve a ser inteligente se hace político.»

(cit. in Cuevas García 1993, p. 57)

Il problema dell’inclinazione politica di Poncela risulta essere molto dibattuto e, nella maggior parte dei casi, mal interpretato. Jardiel venne accusato per lungo tempo di essere franchista e ciò gli provocò l’insuccesso in molte occasioni, come nel caso del tour in America Latina. Questo ebbe un esito negativo perché gli immigrati spagnoli comunisti che avevano combattuto nella Guerra Civile criticarono l’autore. Inoltre, con ogni probabilità, il diffondersi di tale infamia nei confronti di Jardiel Poncela, contribuì a causare l’abbandono intellettuale in cui il drammaturgo concluse la carriera.

In realtà, come potrebbe confermare anche la massima tratta da Nuevas

máximas mínimas e riportata sopra, Poncela non solo era disinteressato a livello

politico, ma anzi vedeva la politica come materia per persone poco intelligenti, tanto era il disdegno nei suoi confronti. Altra citazione significativa in questo senso e riportata dallo stesso Cuevas García, proviene dal Tratado teórico

sinvergüenza che compare in Pero… ¿hubo alguna vez mil vírgenes?: «La

política como sistema para engañar a los bobos y que se aguanten con todo, pensando que “la cosa” va a cambiar de un momento a otro». E, ancora, nel

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27 prologo di Agua, probabilmente in risposta al rifiuto di Jardiel ricevuto a Buenos Aires, Mario, il protagonista maschile, dirà: «La política, como no es mi profesión, me tiene sin cuidado» (cit. in Conde Guerri 1973, p. 49).

Jardiel Poncela era dichiaratamente deluso e sfiduciato dalla politica come sistema di idee e, soprattutto, dalla politica in quanto strumento in mano al popolo, visto che la vedeva più come un’arma di offesa e manipolazione, che di difesa. Sicuramente quest’opinione negativa della politica che aveva il drammaturgo era influenzata pure dall’esperienza infantile vissuta con il padre quando questi lo portò con sé al Congreso de los Diputados, a soli undici anni. Ciò contribuì a far sì che si sviluppasse in Poncela un disprezzo nei confronti del Parlamento; ne derivano il suo articolo Cómo me retiré de la política a los once

años e la sua critica aperta verso la rivoluzione russa e il comunismo.

Gli anni della Guerra Civile furono per Jardiel, così come per l’intero popolo spagnolo, momenti difficili. Significarono per lui, non solo l’arresto già ricordato, ma anche il pignoramento nel 1936 della sua amata Ford 8 V, simbolo del successo dal suo punto di vista, e soprattutto la profanazione della tomba di sua madre nel 1937. Nel rifugiarsi a San Sebastián, l’autore abbracciò quindi la fazione franchista, partecipando attivamente alla propaganda della sollevazione militare.

In un primo momento Poncela appoggiò dunque le idee filofranchiste perché amareggiato e ferito dalla violazione del sepolcro della madre e dalla censura dei suoi quattro romanzi, ad opera dei repubblicani. Si trattò, ad ogni modo, soltanto di un meccanismo di difesa; successivamente il drammaturgo ripudiò la politica dittatoriale di Franco.

Il franchismo censurò a sua volta le stesse opere di Jardiel, ritenute in questo caso “sbilanciate” a sinistra, il che dimostra quanto in realtà non avessero niente di politico nel senso stretto e propagandistico della parola. Soprattutto, il regime uccise vergognosamente lo scrittore suo amico e contemporaneo Federico García Lorca. L’assassinio fu taciuto e il corpo non è mai stato ritrovato, come il caso di una moltitudine di desaparecidos, vittime della dittatura a cui non è stata concessa una sepoltura. Da qui la riflessione, aperta ed esplicita repulsione politica:

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28 En el maremágnum granadino comprendido entre los días 19 al 23 de julio, se nos había hundido Federico a sus amigos y admiradores, a España y a la Poesía castellana.

Quien no maldiga la política capaz de crear esos casos, es un mal nacido. (cit. in Gallud Jardiel 2001, p. 110)

In effetti, in età avanzata Poncela si riferirà agli anni filofranchisti come a un errore ideologico-politico. L’autore scrisse a proposito della guerra e delle sue conseguenze, nel 1947, una lettera al giornalista messicano De María y Campos; si trattava delle sue memorie riguardo alla cruenta esperienza:

Meses enteros, desde mi casa, he oído yo por las noches gritar a los que

estaban asesinando. Por el día, los ruidos de la ciudad ahogaban esas voces. Y

yo HE VISTO los ríos de sangre que manaban del Depósito de cadáveres de Madrid, en cuyo recinto la sangre alcanzaba en el suelo cuatro dedos de altura. (cit. in Gallud Jardiel 2001, p. 111)

Jardiel coltivò così un fermo atteggiamento individualista, tanto nel teatro, quanto in politica. La conoscenza e la comprensione del suo atteggiamento sono fondamentali nel riscatto del suo genio umoristico e del suo frutto artistico.

1.2 Jardiel Poncela nel contesto spagnolo del XX secolo

Generación cogida entre dos fuegos, ¿sabe nadie lo que somos los hombres nacidos al mismo tiempo que el siglo? Generación que no se ha desprendido por completo del romanticismo trasnochado del 1900 y que no ha podido asimilar del todo el espíritu indiferente deportivo de la posguerra, ¿sabemos ninguno de nosotros lo que somos, lo que creemos o lo que deseamos? – prologo a La tourneé de Dios

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29 Gli anni che vanno dalla fine dell’Ottocento ai primi decenni del Novecento portarono con sé molti cambi economici e sociali in Spagna e in tutta Europa.

Si parla di «Crisi del ‘98» in riferimento alla depressione economica diffusa in tale periodo nella penisola e aggravata dalla perdita delle Colonias de

Ultramar. Questa situazione provocò nella società il diffondersi di sentimenti di

critica e di pessimismo; si crearono organizzazioni di operai caratterizzati da orientamenti anarchici o socialisti, che reagirono con sommosse e disordini. Nel 1923 il generale Primo de Rivera effettuò un colpo di stato appoggiato dall’esercito, dai sindacati e dallo strato sociale più abbiente, che lo videro come un elemento di stabilizzazione; l’azione fu approvata dal re Alfonso XIII, il quale concesse al generale il titolo di Primo Ministro.

Pochi anni dopo, nel 1931, il Re fu costretto all’esilio, venne proclamata la Seconda Repubblica e si aprì, nel 1936, la Guerra Civile, la quale si concluse nel 1939 con la vittoria dei ribelli nazionalisti e l’ascesa al potere del generale Francisco Franco.

Il popolo spagnolo, come leggiamo nella citazione in apertura, aveva perso la propria identità. La crisi della coscienza borghese dette vita a movimenti estetici quali il Modernismo, che ricorreva all’escapismo come reazione e che venne accolto da autori come Rubén Darío, Valle Inclán, Antonio Machado, Juan Ramón Jiménez. Si creò, inoltre, la «Generazione del ‘98»: un gruppo di scrittori composto da Unamuno, Baroja, Azorín, Valle Inclán e Machado, che incentrava la sua profonda riflessione sulla decadenza politica, la povertà e il vuoto intellettuale.

Successivamente, nel 1914, sorse il Novecentismo, l’estetica della nuova generazione che, influenzata da Ortega e Gasset, si preoccupava della modernizzazione e dell’europeizzazione e riscattava la purezza e la disumanizzazione dell’arte. Tra questi, Ramón Gómez de la Serna.

Durante gli anni venti del XX secolo l’Europa si rivestì di movimenti d’avanguardia e in Spagna alcuni letterati perseguirono una corrente innovativa, con alla base la satira della commedia borghese o «alta commedia»: soprattutto

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30 le veniva rimproverato l’uso reiterato di temi e di personaggi topoi, insieme all’eccesivo utilizzo di battute linguistiche.

Il teatro subì una grande crisi, accompagnata dalla crescente assenza di autori; vi furono diverse reazioni nei commediografi, tra le quali luogo comune fu l’opporsi alla comedia sentimentale, insipida e dal finale sempre felice, di Jacinto Benavente. Allo stesso modo, i drammaturghi si distanziarono dalla comicità dei fratelli Álvarez Quintero e dall’Arniche di Pedro Muñoz Seca. Questi rappresentavano il teatro di successo del momento e abbracciavano un pensiero restio a prendere coscienza della crisi. Esempi di tale corrente sono le opere Bodas de Sangre, del 1933, e La casa de Bernarda Alba, del 1936, di García Lorca; El hombre deshabitado di Rafael Alberti, del 1930; Luces de

Bohemia e Divinas palabras, di Valle Inclán, entrambe dell’anno 1920.

Muñoz Seca si collocava nel momento di passaggio tra il vecchio dramma e le innovazioni; con il suo astracán coniò un genere ibrido importante non tanto per la sua (scarsa) diffusione, quanto per il suo riflettere la crisi artistica del momento e spronare il pubblico a reagire, dato che si era adagiato su una scena sempre uguale e prevedibile. Alcune sue caratteristiche erano le esagerazioni linguistiche, caratteriali e sentimentali, le battute con i nomi dei personaggi combinati tra loro, l’inserimento di regionalismi per tipicizzare i personaggi, all’insegna della comicità. Il critico Nicolás González Ruiz, in El

teatro de humor de siglo XX hasta Jardiel Poncela, commenta nel seguente

modo: «El astracán lleva adelante el equívoco planteado por el juguete. No importa descubrir el truco. Lo que importa es reírse y para ello precisamente se pone el truco al descubierto» (cit. in Ruiz Ramón 1986, p. 32). Seca fu assassinato dai «rossi», come García Lorca dai «nazionali», con la stessa assurdità dato che nessuno dei due fece politica.

Miguel de Unamuno combattè a favore del desnudo trágico, ovvero l’istinto di creare veri e propri personaggi caratterizzati, distinti dai tipi conosciuti e carenti di personalità.

Valle-Inclán è l’innovatore per eccellenza del teatro spagnolo contemporaneo, le sue opere sono di importanza paragonabile a La Celestina e a quelle del Siglo de Oro. La sua carriera iniziò nel 1899 con l’opera Cenizas, ma è nel 1920, attraverso l’invenzione del genere da lui definito Esperpento, che

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31 l’autore inscena una creazione drammatica potente, contraddistinta da un’estetica decadente e una morale antiborghese.

Conde Guerri segnala, con le parole di Poncela, la differenza tra l’epoca che stava terminando e quella che stava avendo inizio: «A los de mi generación, los que empezamos la guerra en el colegio y la terminamos fumando nuestros primeros pitillos en aquel Maxim’s de la calle de Alcalá» (cit. in Conde Guerri 1973, p. 54). José Monleón distingue gli scrittori del tempo in due gruppi: da una parte, gli autori provenienti dalla rivista La Codorniz, tra cui Tono e Mihura nella sua prima fase; dall’altra, a cui si aggiunsero successivamente gli stessi Tono e Mihura, vedeva López Rubio e coloro che avevano creato un «tipo de comedia poética». Quest’ultima era impregnata di scetticismo e tolleranza: si era rassegnata all’immobilismo di una generazione spagnola invecchiata e provata dalla Guerra Civile. Questo stesso teatro poetico, detto anche di humor, rifiutava la realtà come faceva quello di Jardiel Poncela, ma senza rinunciare all’approvazione del pubblico.

Mariano de Paco (1993, p. 102) affronta il tema della definizione del gruppo di umoristi contemporanei a Jardiel e riuniti attorno alle due riviste settimanali Bueno Humor e Gutiérrez. Conde Guerri (1993, p. 84) dichiara che

Gutiérrez y Bueno Humor costituirono il fuoco creativo di tutto il teatro vulgar e

produssero un cambiamento nella sensibilità del pubblico spagnolo. Ruiz Ramón, per questo, esprime nella sua Historia del Teatro Español Siglo XX che «Su [de Poncela] misión de dramaturgo consistió en renovar no ya sólo el teatro cómico, al que llamaba “asqueroso teatro de hoy y de siempre”, o la risa vulgar y fácil, sino la sensibilidad misma del público español en tanto que público de teatro» (Ruiz Ramón 1986, p. 278).

1.3 La ricezione critica «jardielesca»

«El público paga y la crítica pega» (Conde Guerri 1973, p. 39)

(32)

32 Enrique Jardiel Poncela fu un drammaturgo al centro del mirino della critica, dalla quale non fu pienamente compreso. Dalla prima all’ultima delle sue creazioni, l’autore dovette affrontare gli attacchi feroci dei critici, scagliategli contro in nome di una concezione della scena comica piuttosto tradizionale.

Ciò era dovuto al costante e riuscito tentativo di Poncela di inscenare un

humor nuovo, lontano dal teatro borghese di Benavente e Mihura, tipici e diffusi

in quegli anni. Questo permise a Jardiel anche di guadagnarsi amicizie profonde e leali tra gli scrittori, come, a parte il sopracitato Marqueríe, il primo fra tutti, Gómez de la Serna, e, a seguire, Gregorio Martínez Sierra e César González Ruano, l’impresario del Teatro della Commedia, Tirso Escudero, l’editore José Ruiz Castillo. Inoltre, di rilievo furono gli sceneggiatori e drammaturghi José López Rubio e Fernando Fernán Gómez, che prestarono a Jardiel Poncela aiuto economico quando questi, a fine carriera e stremato dal cancro, si ritrovò in una situazione di miseria.

In tale periodo, l’autore era dimenticato dalla maggior parte del pubblico e chi lo ricordava lo faceva per rivolgergli critiche, come per esempio Max Aub, che lo definì «perditempo prostituto», nel suo Discurso de la novela española

contemporánea del 1955. Molto probabilmente, il termine era collegato all’idea,

diffusasi tra le malelingue, che Poncela fosse stato un drammaturgo spagnolo con la forte aspirazione di andare in scena nei teatri più importanti del momento e la cui produzione subordinò la scelta dei temi e la costruzione drammatica alla ricerca di fama e denaro.

Contemporaneamente, un gruppo di giovani scrittori quali Alfonso Sastre, Jesús Fernández Santos, Ignacio Aldecoa, Medardo Fraile e Alfonso Paso, erano soliti radunarsi nel Café Gijón, dove seguivano e appoggiavano Poncela, trattandolo con il giusto rispetto dovuto a un maestro.

Negli ultimi anni l’opera di Enrique Jardiel Poncela ha suscitato interesse e riconoscimento in autori come Eduardo Haro Tecglen, Carlos Edmundo de Ory, Francisco Umbral, Carlos Pujol, Rai Ferrer, Terenci Moix, José María Merino, Manuel Longares, Mercedes Abad, Cristina Fernández Cuba e Javier García Sanchez.

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33 La produzione di Jardiel comprende ottantanove opere teatrali, nove romanzi lunghi e ventinove brevi, otto libri di tema vario, diciannove saggi, ventiquattro copioni, più di mille articoli di giornale, una miriade di scritti di ogni genere e ventitré conferenze.

A parte il primo periodo da drammaturgo condiviso con il collega Adame Serafín, che non godette di grandi attenzioni da parte del pubblico, l’opera teatrale prodotta in gioventù da Poncela ha in parte risvegliato l’attenzione dei critici e si è distinta positivamente. Il giovane Enrique del tempo era pieno di energia, inventiva e desiderio di sfondare nel mondo teatrale; non si fece abbattere dall’insuccesso nel 1930 di El cadaver del señor García e pubblicò, nel 1932, Usted tiene ojos de mujer fatal, dramma di grande successo. Da tale anno inaugurò il periodo di gloria del nostro autore, tra la collaborazione con la Fox e la messa in scena di Angelina o el honor de un brigadier, nel 1938.

Nel 1935 avvene la prima rappresentazione di Las cinco advertencias de

Satanás, nel Teatro de la Comedia di Madrid il 20 dicembre del 1935, occasione

in cui l’attrice Gadalupe Muñoz Sampedro affermò entusiasta: «¡Muy preciosa! Es una comedia que, si la hacemos bien y gusta, será un éxito»(cit. in Gallud Jardiel 2001, p. 105).

La commedia Un marido de ida y vuelta andò in scena nel 1939 nel teatro della Infanta Isabel e fu magnificamente accolta da spettatori e critici. Poncela ne fu pienamente soddisfatto, tanto da considerarla una delle sue migliori produzioni; così spiegò il segreto del suo successo:

Un marido de ida y vuelta alcanza justo el punto, altitud y posición

artística perseguidos en su realización y – cosa que ocurre con muy pocas obras de arte – tiene padre y madre. […] El padre se llama HUMORISMO y la madre, POESÍA. Humorismo violento, a veces acre y descarnado, a veces ingenuo y bonachón; profundo y superficial; en juego a menudo con las ideas y con frecuencia saturado de gracia verbalista; es decir, humorismo español – comicidad – cien por cien. […]

Y poesía universal. Porque la poesía no cambia con las razas ni con los climas. (cit. in Gallud Jardiel 2001, p. 130)

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